mercoledì 20 ottobre 2010

CONTRIBUTI
Ennio Abate, Commento a
Fortini CHE COS'E' LA POESIA?
Prima puntata


Certo chi  chiede (solo per provocare!) ricette per far poesia o adora il feticcio della «creatività pura» o pensa che fare critica sia tempo perso, invece di leggere,  rileggere e commentare questa intervista, cogliendone i tanti spunti interessanti, darà del poveretto a Fortini, ricamerà alcune battute ad effetto e passerà ad altro.
Benissimo.
Io vorrei, invece, dimostrare la ricchezza e la lucidità delle sue risposte.
Sceglierò a puntate (oggi comincio con la prima) alcuni temi. E a ciascuno di essi collegherò citazioni dell’intervista di Fortini.
Dovrebbe risultare più chiaro che egli dà risposte convincenti (o degne d’attenzione e di discussione) alle domande spesso poste nel Laboratorio MOLTINPOESIA (e anche nell’incontro di ieri - 19 ottobre 2010 – alla Palazzina Liberty.  [E.A.]



1. Il fenomeno dei moltinpoesia: se tanti oggi scrivono poesia, va considerato fatto positivo o negativo?

Fortini ha ben presente il fenomeno e ne coglie soprattutto le motivazioni psicologiche.
Scrive infatti: «la scrittura in generale e la scrittura poetica in particolare sono diventate uno strumento di introspezione, sono diventate una via alla ricerca della propria identità». In parole più povere dice: la gente cerca di capire chi è (quale sia la propria identità), è spinta (da situazioni penose in cui spesso vive, dalle delusioni, dalla perdita di affetti, ecc.) all’introspezione.
E scrive, scrive. E spesso scrive poesie, usando «la scrittura in generale» o «la scrittura poetica» come «uno strumento di introspezione» per capire i moti della propria anima, le sue ambivalenze, le zone oscure, ecc. 
Fortini non dà un giudizio positivo di questo fenomeno, lo legge come un sintomo di una “malattia” che viene curata con una medicina sbagliata: «Scrivere versi diventa un modo rapido, un modo economico e, ahimé, un modo illusorio di risparmiarsi una crescita psicologica o un trattamento psicanalitico». In altri termini, per lui, scrivere versi è troppo spesso un falso rimedio, un palliativo, una soluzione illusoria a inquietudini, a crisi esistenziali, a vere e proprie nevrosi.
Tali malanni potrebbero/dovrebbero  essere superati con i “medicinali adatti”: ad es. mediante esperienze di vita più gratificanti e costruttive (un viaggio, un amore corrisposto, ecc.) o con il ricorso a strumenti terapeutici  più collaudati e ad hoc(«un trattamento psicanalitico»). 
Per essere chiari, Fortini non vieta a nessuno di scrivere versi quando è triste o melanconico o di tenere un diario intimo. Avverte, però, gli adolescenti incasinati o gli adulti in crisi: per favore, non confondete la poesia con la cura dell’anima o l’introspezione.
Dice, credo, cose sagge, aiuta a uscire da certi equivoci. 
E fa anche di più. Spiega, ricorrendo alla storia (che esiste, anche se di solito chi vive un disagio esistenziale o ha altro per la testa non prende neppure in considerazione), quando - «a partire dall’inizio dell’Ottocento», col romanticismo insomma - «la scrittura in generale e la scrittura poetica in particolare sono diventate uno strumento di introspezione, sono diventate una via alla ricerca della propria identità».
Perché c’è stato un inizio a questo fenomeno a questa privatizzazione della scrittura poetica. Questa «idea che le scritture poetiche private siano alcunché di gratuito che uno può fare o può non fare» non esisteva. Prima, infatti, la scrittura poetica non poteva servire a questa funzione “privata”. Aveva compiti più “civili”. Il cambiamento nella storia europea e occidentale è avvenuto quando «le classi dominanti a partire dall’inizio dell’Ottocento avevano investito la categoria degli intellettuali di quelle funzioni che erano state nei secoli precedenti propri della casta sacerdotale».
Fu allora che queste classi  sostennero ed esaltarono «all’interno di questi intellettuali i letterati e i poeti».
Videro in essi dei sostituti dei sacerdoti. Li videro «come dei portatori di qualcosa di particolarmente rilevante, libero, gratuito, sublime».
E come si arriva ai moltinpoesia?
Si arriva poiché quelle classi dominanti «hanno continuato a mantenere questa sorta di illusione attraverso l’educazione di massa, attraverso i media audiovisivi». E noi ne siamo influenzati.
Far capire che i nostri tentativi di scrittura poetica s’iscrivono in questa lunga e compessa vicenda storica è forse inutile? Può intimidire qualcuno, ma può permettere di capire quanto sia complessa la strada in cui ci siamo avviati cominciando a scrivere poesie.
Fortini non dice che non dobbiamo incamminarci su tale strada, che essa è off limits per noi o è riservata solo ai dotti o a chi “la sa più lunga”.
Se letto attentamente, dice all’ingrosso così: non voglio scoraggiarti, ma preparati bene al viaggio! Vuoi davvero farlo? Se sì, sappi che «per risolvere dei problemi affettivi, morali, psicologici, religiosi, metafisici è meglio non fare assegnamento sulla scrittura dei versi». Se hai di questi problemi, vai su altre strade. Se invece vuoi scrivere e leggere versi, d procurati una «qualche coscienza critica o storica della tradizione letteraria» (una qualche, eh!). Datti da fare per capire a chi puoi rivolgere i tuoi versi («la loro destinazione»). Collocali «nella realtà di oggi» (quindi un po’ devi sapere quale essa sia e non so se  quanto ti passano i mass media sia sufficiente). Scegli bene, però. Puoi anche preferire una strada più scorrevole. Avviati, allora, sulla strada della «letteratura di consumo di apparente immediatezza». Interessati dell’«uso della parola nei testi pubblicitari o nelle canzoni di consumo». Non è mica un interesse da condannare. «Anzi è molto educativo, è molto importante leggere e considerare i testi delle canzoni per vedere a quali antecedenti di metro, di linguaggio, di argomento, di situazioni essi si richiamino. Per chi conosca questo settore della nostra cultura è facile vedere dietro le parole dei cantautori più moderni come si ritrovano, come si leggono in filigrana cose che fanno parte della tradizione letteraria recente o remota.».

Ennio Abate

*Nota. Ho dovuto inserire come post questo intervento. Come commento non me lo permetteva (forse perché troppo lungo).

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho letto con interesse l'intervista a Fortini e penso che sia stato capace, molto capace di uscire dai vincoli dell'intervista per presentare le sue riflessioni nella loro compiutezza.

Utilizzo il tuo, Ennio, frazionare la lunga intervista per sottolineare alcune cose che mi hanno fatto riflettere, anche grazie agli spunti dell'incontro del 19 ott.

Io penso che la scrittura di poesie esista da sempre e proprio come modo, in fin dei conti, per affrontare le fatiche e i dolori della vita. Però esse rimanevano nel cassetto perchè ognuno aveva un ruolo sociale da cui non poteva scartare: cosa doppia, fonte di sofferenza, ma anche schermo dietro cui nascondersi. Da molto tempo, in una società liquida come la nostra, il ruolo sociale non è più uno schermo difensivo, ed ecco che la poesia come "medicina" viene tirata fuori dai cassetti. Però qs medicina va forse bene per quel malato: ma - qui cito Fortini e la sintesi di Ennio - "se invece vuoi scrivere e leggere versi, devi procurati una «qualche coscienza critica o storica della tradizione letteraria» (una qualche, eh!). Datti da fare per capire a chi puoi rivolgere i tuoi versi («la loro destinazione»). Collocali «nella realtà di oggi» (quindi un po’ devi sapere quale essa sia e non so se quanto ti passano i mass media sia sufficiente)".

Il mio augurio per me e per tutti che partecipare attivamente a Moltinpoesia ci aiuti a fare passi importanti in qs direzione.

ciao

Claudio Lepri

Anonimo ha detto...

Carissimo Ennio,
molto chiara questa opinione di Fortini, penso proprio che ognuno di noi si sia trovato a scrivere per bisogni dell'anima. Quale arte moderna non è partita da questo? Ti chiedo: che gli artisti (vedi Pavese, Baudelaire, Prevert, Campana, Merini ecc.)abbiano avuto o hanno tutti bisogno di sedute psicoterapeutiche? che siano stati riconosciuti dei GRANDI dopo aver risolto i loro problemi psicologici...non mi pare proprio.Tutto questo comunque secondo me non ha niente a che vedere con la bravura del poeta e penso che lo studio della società e della letteratura sia la vera chiave per raggiungere qualcosa di veramente valido nel tempo, come dice Fortini. Grazie Ennio e attendo la prossima puntata e come al solito ripeto HO TANTO DA IMPARARE. cIAO A TUTTI EMILIA.

Anonimo ha detto...

@ Emilia
Non è che Fortini dica che tutti gli artisti dovrebbero fare psicoterapia o che i "grandi" hanno risolto (magari col successo) i loro drammi psichici. Pavese, tanto per dire, si suicidò che era ormai "arrivato".
Fortini distingue il campo della poesia dal campo dei moti psichici. Grandi passioni o sentimenti potenti non necessariamente spingono a grande poesia.
Solo il romanticismo stabiliva un rapporto quasi meccanico tra sentimento e poesia. O tra genio e follia. Ma la Merini, per far un esempio che si presta a questi equivoci, ha scritto poesia QUANDO LA FOLLIA LE DAVA TREGUA e non GRAZIE ALLA SUA FOLLIA.


ENNIO

Anonimo ha detto...

Grazie Ennio sei stato molto chiaro. Io però ho ancora un dubbio: e se non fossero stati folli o comunque malati nell'animo, avrebbero scritto ciò che è rimasto nella storia come opere di grande valore? Io penso di no. Che l'infelicità dell'anima non sia altro che la porta dell'arte e che basti trovarne la chiave per entrare in questo mondo? Pensiamoci che ne dite? Un abbraccio Emy

Anonimo ha detto...

Tutto sta ad intenderci su cosa ficchiamo nei termini 'follia' o 'malattia'.
Di solito ci ficchiamo tutto ciò di cui abbiamo paura e che ci appare orrendo e non vogliamo o sappiamo esplorare o interrogare.
Altri vi intravedono il varco che permette di passare da questa "realtà" banale, pesante o a volte repellente a mondi ideali di serenità, pacificazione, felicità.
Siccome non sappiamo davvero COS'E' la follia e COS'E'
la malattia, queste MITOLOGIE negative e positive sono destinate a durare e ad alimentare o frenare la nostra fantasia e la nostra intelligenza.
Chi fa poesia ci casca più o meno come chiunque.
Uno si può persino convincere a procurarsi, oltre a quella che già la vita fornisce in abbondanza, una infelicità "speciale" in vista di una poesia più sublime. Non mancano gli esempi nelle biografie di vari artisti.

Ennio

Anonimo ha detto...

Già,"la vita ne fornisce in abbondanza"...L'artista vero deve superare questo limite e cercare di trovare anche la felicità o se non altro almeno la voglia di fare e di autocritica, logicamente confrontandosi e studiando. Ma si Ennio ,ho visto tanti poeti sorridere. Ciao Emy

Anonimo ha detto...

L’anno scorso alla domanda su quando sia nata la mia passione per la poesia, posto di fronte a quello che per la prima volta mi appariva come un problema, provai a rispondere anch’io riferendomi ad una intervista di Fortini letta in Internet (quella a cura di una scuola media della provincia di Verbania).Fortini diceva che c’è un movente psicologico, un’insicurezza e l’esigenza di oggettivare un altro se stesso;bisogna poi che ci sia una richiesta sociale.
Mi ci ritrovavo appieno nell’insicurezza, nel movente psicologico.Avevo infatti qualche tempo prima avuto la perdita di mio padre e stavo vivendo un brutto momento in ambito lavorativo ,chiamamolo mobbing o giù di lì.
Insomma doppio disastro e tentativo di ricominciare con nuovi punti di riferimento.”Oggettivare un altro se stesso” dunque, e la maschera del poeta mi affascinava e mi affascina.Poi c’è la questione della considerazione di cui gode la poesia nella nostra società ,questione complessa che ridotta all’osso mi portò ad usare la metafora della “discarica”.La società industriale o post che sia, produce indirettamente le condizioni materiali della poesia, il suo deposito di oggetti,valori,parole.Operando la selezione utilitaria lascia confluire in una immensa “discarica” ciò che non risulta immediatamente utile dal punto di vista economico.Si può avere poesia quando il “catadores” che visita questo immane accumulo di cascami é sufficientemente disperato,curioso e colto o fortunato per trovare e poi per comporre qualcosa che ha a che fare con il bello,o il suggestivo, o il vero.Ebbene la cosa curiosa è che il riciclo in forma poetica di questi materiali fa si che non si dissoci mai del tutto ciò che è profondamente umano dalla vita pratica e quotidiana segnata profondamente dalle costrizioni economiche,sociali e politiche.Insomma è come se il sistema fosse in grado con successo di assegnare alla funzione poetica del linguaggio una funzione consolatoria nella società.Come questo non si traduca in una domanda anche di mercato dipende forse dalla concorrenza del Circo(mediatico,naturalmente).

Anonimo ha detto...

Se i poeti e le loro poesie non fossero anche da considerarsi come casi umani degni di interesse dove starebbe il valore della loro testimonianza? L'apertura ai moltinpoesia secondo me è salutare se compresa come espressione del non-detto tra il chiasso uniformante del fin-troppo-detto. Mi chiedo se non ci sia del conservatorismo (scusate la bruttezza dell'ismo) in queste considerazioni di Fortini, magari dovuta a qualche bega stilistica dei suoi tempi.
Sono un sostenitore della "creatività pura", come dici tu Ennio, non solo perché considero la creatività un fenomeno ampio dentro cui si inscrivono tutte le arti, ma anche per il fatto che ritengo che la creatività sia una disobbedienza... anche verso se stessi. Per questo non credo sia da considerarsi come derivante dal romanticismo. Non è solo un rapportarsi presuntuoso all'ignoto ( ignoranza) dall'ispirazione, non è uno sfogo gratuito. Come siamo passati dalla metrica al verso libero così possiamo anche assaporare il gusto di ogni contaminazione, e questo senza perdere nulla dell'arte poetica.
L'autocompiacimento, l'intimismo, lo sfogo personale sono difetti non di oggi. E' bene rimarcarli, ma riguardano la brutta poesia di sempre della quale, va detto, storicamente non ne resta mai molto. E così sarà anche per molta poesia di oggi, se è vero che oggi l'intimismo e le inezie la fanno da padrone.
Proviamo a metterla così: chi scrive sa cosa scrive oppure no? Il poeta ha o no padronanza dei propri pensieri?
Dai commenti di Fortini sembrerebbe che dovrebbe averne, però mi chiedo: conoscete qualcuno che sappia con esattezza quale sarà il prossimo pensiero che gli verrà in mente? Il pensiero può essere determinato? Sì? E allora mettiamola in soffitta l'ispirazione...

Mayoor,
volutamente polemico, ma per gioco.