domenica 24 ottobre 2010

CONTRIBUTI
Ennio Abate, Commento a Fortini
CHE COS'E' LA POESIA?
Seconda puntata




Ancora su poesia e sentimento



Quando Fortini scrive: «Oggi è quasi naturale identificare la poesia con la poesia lirica, intendendo una espressione di sentimenti soggettivi», coglie bene  un senso comune, un modo di  intendere la poesia diffusissimo tra gli odierni moltinpoesia (tra gli stessi partecipanti al Laboratorio).
Il senso comune è un modo di pensare diventato abituale e quindi ovvio, naturale, automatico. Nessuno  pensa più che sia il caso di discuterne.  Se lo facessimo, dovremmo ricrederci.
Ad es., che la poesia sia soprattutto  poesia lirica è un’idea che in passato sarebbe apparsa “strana” o persino “folle”.  Si è affermata a partire dal romanticismo e, come ricorda  Fortini, ha avuto l’imprimatur definitivo il Italia da Croce, un filosofo nel secondo dopoguerra ancora autorevolissimo (« Benedetto Croce aveva sostenuto che ogni poesia è poesia lirica»).
Per Fortini non tutta la poesia è lirica. E anzi, oggi che siamo in una situazione più  ingarbugliata, in un mondo spettacolarizzato, in cui le apparenze hanno prevalso sulle sostanze (verità, realtà) «la poesia è capace di liricizzare, per così dire, il materiale meno soggettivo, meno emotivo. Ci sono degli autori delle avanguardie letterarie, soprattutto del periodo surrealista, che inserivano nei loro libri di versi interi passi di testi pubblicitari o frammenti degli orari ferroviari o passi dell’elenco del telefono, così come c’erano degli artisti che esponevano una ruota di bicicletta o una sedia contando sull’effetto di "spaesamento"»; e, dunque, far passare per lirico anche ciò che lirico (sincero, spontaneo, naturale, pulito, naif) non è affatto…). Ma pure quella  poesia che può essere correttamente classificata come lirica,  non ha per Fortini quei caratteri che il senso comune attribuisce al poeta lirico: la spontaneità, l’immediatezza,  quasi un corto circuito tra sentimento e scrittura. E fa l’esempio di Umberto Saba: «anche quella poesia moderna, come è il caso della poesia di Saba, che sembra essere un moto immediato dell’animo, è una intenzionale e organizzata finzione». A ragione. Chi, ionfatti, conosce un po’ la vita di Saba, le sue nevrosi, il suo ricorso (tra i primi in Italia) alla psicanalisi, concorderà: il Canzoniere è il distillato di chissà quali lunghe, contorte meditazioni. Altro che “sfogo”.
Il sentimento non è di per sé poesia. Non è neppure u  pozzo privilegiato a cui attingere più facilmente poesia. Tirassimo su secchiate di sentimenti (in sfoghi diaristici, in colloqui con l’amico o l’amica del cuore), quando questi vengono poggiati sul terreno della poesia diventano un’altra cosa. Ci troviamo di fronte innanzitutto a delle parole, disposte in versi. Sarebbe sbagliato atteggiarsi di fronte  a questi “oggetti” come fa l’amico che riceve una confidenza o lo psicanalista che raccoglie nel suo studio il racconto  di un trauma. Giustamente perciò Fortini ci ricorda che è «come se si accendesse un segnale preventivo, una luce rossa che annuncia "qui poesia" e noi siamo quindi disposti a non trovare in questo testo un’informazione ferroviaria ma a interpretare quest’ultima come un nesso fonico o simbolico, cioè una poesia». E dovremmo aggiungere non  un cuore messo a nudo anche se il titolo fosse proprio questo (non ricordo bene, ma mi pare che Baudelaire abbia intitolato così qualche suo libro). Quando leggiamo una poesia, anche se non siamo in una biblioteca pubblica, in un’aula magna universitaria entriamo in un ordine di discorso particolare, entriamo comunque in contatto con «l’autorità dell’ istituzione letteraria che essa evoca o rivive», ci disponiamo ad adempiere «un rituale», a seguire «un cerimoniale»: «insomma, anche la poesia più apparentemente privata chiama in vita una parte della coscienza collettiva, allude al valore non individuale del linguaggio, produce un senso.». ( E qui  i fantasmi dell’avanguardia e delle neoavanguardie cominciano a sentirsi prudere le mani…ma per ora li tengo fuori).
Insomma – dice Fortini e qui completo la citazione giù utilizzata sopra – stiamo attenti: «noi oggi abbiamo la tendenza a sopravvalutare come poesia l’espressione dei sentimenti soggettivi, invece anche quella poesia moderna, come è il caso della poesia di Saba, che sembra essere un moto immediato dell’animo, è una intenzionale e organizzata finzione».
Finzione? Come? Uno che ha il cuore spezzato dal dolore o dall’amore si mette a fingere? Eccoli questi critici che congelano tutte le passioni e non credono alla sincerità dei sentimenti, perché sono esseri aridi!
Finzione, sì! Ma che finzione! Alla prossima puntata…

6 commenti:

Moltinpoesia ha detto...

Pienamente in tema questo post segnalato da Leoardo Terzo, "I molti modi di non capire l’arte. O no? 1. La psicanalisi kleiniana", di James H. Argenblur, che si legge per intero a questo indirizzo:

http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2010/10/i-molti-modi-di-non-capire-larte-o-no-1-la-psicanalisi-kleiniana-di-james-h-argenblur-.html#more

Cito alcuni brani:

La psicoanalisi vede l’arte come sublimazione (Freud) o riparazione (Klein), di pulsioni relative all’agire e quindi al produrre, che consiste nello spostare il fine della produzione dal reale all’immaginario. Ma questo non basta a definire l’arte, perché aguzzare l’ingegno e l’immaginazione e inventarsi un mondo fittizio non è fare arte, ma solo rappresentare delle imitazioni illustrative, o persino proporre un ideale, come per esempio l’utopia, oppure produrre una menzogna per trarne un vantaggio ingannando qualcuno.
L’autonomia dell’arte è difficile da far capire agli storici, ai politici e agli emotivi cronici, ai sociologi e quindi anche agli psicologi, perché la intendono solo come una funzione secondaria al servizio di un’altra funzione primaria, cioè quella della loro disciplina, quindi con uno scopo e un’efficacia eteronoma all’arte.
[..]
Lo scopo dell’arte sarebbe ricostituire la perfezione distrutta, quindi una mimesi di ciò che non c’è più, ma che comunque esisteva prima della distruzione. Lo scopo non sarebbe il piacere, ma la tacitazione del rimorso dovuto all’aggressione primigenia, un’opera di carità risanatrice, un riequilibrio psichico del precedente scompenso.
[…]
Si vede però che la produzione artistica, non importa se riparativa della perfezione o imitativa della distruzione, non è definibile con queste motivazioni pulsionali, perché tali pulsioni spingerebbero solo a imitare il mondo con fini ricostitutivi, estrinseci al fine estetico.
Gli psicologi, a partire da Freud, interpretano tutto in termini di dinamiche psichiche, a loro volta originate da situazioni psichiche più o meno traumatiche. Ora certamente alla produzione artistica è sottesa sempre la psiche dell’artista, ma la psiche dell’artista riguarda tutte le modalità della sua vita, che non sono arte, e d’altra parte una situazione psichica è sottesa anche alla vita dei non artisti. Quando qualcuno si dedica all’arte non lo fa perché ha una certa conformazione psichica e non lo fa come terapia, più di quanto non lo faccia come lavoro, o come hobby. Oppure, se lo fa come terapia, non è un artista, almeno in questa prospettiva, ma un malato in cura, appunto perché lo scopo della sua attività non è l’arte, ma la guarigione di cui l’arte è solo il mezzo.
Allo stesso modo, se una persona fa l’artista per guadagnarsi da vivere, è un lavoratore artigiano, e se lo fa per hobby è uno che ha solo bisogno di distrarsi. Allora, ci si può chiedere, l’artista, per essere tale, che motivazione deve avere? Nell’epoca dell’arte pura, l’artista è colui che crea perché non ne può fare a meno, e l’arte per lui è il senso della vita. A prescindere dal fatto di riuscire o meno a vendere i suoi prodotti sul mercato dell’arte. L’arte come riparazione o sublimazione non è un fine estetico, ma una scorciatoia o una deviazione che ha la sua causa nel trauma e non nella volontà di creare. L’arte non è riparare, ma aggiungere, non riutilizzare, ma porre in essere un modo di formare auto-celebrativo.

[E.A]

Anonimo ha detto...

Sono convinta che la "finzione" nella poesia e ancor meglio nella pittura, non è altro che il desiderio di ciò che si vorrebbe o non si vorrebbe vivere. Allora ti/vi chiedo perchè non riconoscere l'amore, l'emozione, l'ipocrisia, la rabbia i sentimenti insomma, come il vero motore dell'arte? Certo esiste anche quella forma d'arte che esprime solo la forma, un'estetica minimalista che io chiamo "la solitudine dell'arte" ma che sempre arte è, sicuramente l'artista avrà dovuto lavorare molto per togliere il sentimento da ogni punto di vista, ma dovrà ammettere di aver fatto i conti con i sentimenti. ciao Emilia Banfi

Moltinpoesia ha detto...

No, in poesia, in arte, la "finzione" (=plasmare, supporre, figurarsi, immaginare) non ha la connotazione negativa che può avere nella vita pratica. Non è semplice inganno. E' costruzione (c'è chi preferisce 'creazione') di qualcosa. Non è semplicemente "il desiderio di ciò che si vorrebbe o non si vorrebbe vivere".Quest'ultimo ( ma pure i sentimenti. amore, odio, ecc) può avere diversi sbocchi. Forse il desiderio potrebbe essere il "motore della vita", ma non necessariamente dell'arte.
Tant'è vero che i sentimenti li provano tutti (e spesso con più forza gente che alla poesia o all'arte neppure ci pensa). L'artista o il poeta è quello che finge i sentimenti, nel senso buono detto sopra: li plasma, ne fa delle figure, gli dà in forma. Mentre uno, mosso dal sentimento abbraccia la persona di cui si è innamorato o la strozza, il poeta fa "altro". costruisce "altro".

Ennio Abate

Anonimo ha detto...

Il mio lavoro di riflessione di questa giornata è il seguente: questa mattina sono partita dalla considerazione di Fortini “…per favore, non confondete la poesia con la cura dell’anima o l’introspezione”, poi sono passata a quella di Argenblur: “… l’artista è colui che crea perché non ne può fare a meno, e l’arte per lui è il senso della vita. L’arte non è riparare, ma aggiungere …” e questa sera, dopo la lettura dei vostri interessanti commenti concludo nel seguente modo. Il poeta è l’uomo comune che sa usare la scrittura non solo per costruire una visione estetica ed artistica del mondo, ma per combattere contro le grandi avversità. Il poeta è colui che sa fare chiarezza, che sa interpretare il mondo e parteciparvi energicamente. Il poeta ha imparato a ricomporre l’essenza primordiale del reale e dei sentimenti che tutti gli uomini hanno in comune. Sa raggiungere la natura vera delle cose con occhi liberi e puliti. È un pioniere, ha dentro una spinta esplorativa che lo porta verso nuovi miti? Benissimo, lo faccia e vada alla scoperta della sua modernità cantando di se stesso. Scavi pure nel linguaggio per creare il nuovo leggendario mondo dei significati, lo faccia come meglio crede perché l’importante è il risultato, come dice Leonardo Terzo. Però non sono d’accordo sul fatto che la casa sia qualcosa di diverso dal materiale usato. Se la casa è il prodotto finito, cioè l’opera d’arte, il materiale usato non sarà altro che la fatica interiore impiegata per costruirla, quindi degna di grande rispetto.
Giuseppina

Anonimo ha detto...

Ci si dimentica che il far poesia è un fatto creativo? I sentimenti, le emozioni, sono spesso ingannevoli. A chi non è successo di scrivere in un momento di sconforto e di accorgersi, via via che si scrive, che la poesia riveli inaspettatamente dei sentimenti esattamente contrari? E' la poesia che "ti prende la mano" e quindi stai venendo meno alla tua coerenza? Non credo, credo piuttosto che l'arte parli sempre d'altro e che il lavoro del poeta consista nell'assecondare, nel rendersi disponibile a ciò che arriva, meglio se con tutta l'intelligenza che gli riesce di mettere in campo. E che i sentimenti non siano altro che il motore, la libido, la voluttà che generano l'energia necessaria a sostenere il percorso creativo. Ma più che contare sui sentimenti credo serva di avere fiducia.
mayoor

Moltinpoesia ha detto...

Cari amici,
per me un reading di poesia non è proprio spettacolo, va bene slam poetry oppure le canzoni di cantautori che sono considerati poesia, ma è pur sempre una poesia "leggera", la vera poesia richiede concentrazione, riflessione e molta attenzione (non richiede meditazione, la meditazione si può fare da soli con il testo in mano), può piacere e non piacerre,ma non si può dire sia puro divertimento. Sarebbe come paragonare la musica classica con la musica leggera. Entrambi sono belle ma esiste una differenza. Alcune volte piacciono le canzoni d'autore ma altre volte si ha bisogno di musica classica.
Direi che ci si può mettere anche in gioco leggendo in pubblico con intervalli di musica, magari classica, o slam poetry la performance diventa più divertente e attira più ascoltatori, ma la differenza esiste ed è questo il punto: se la maggior parte degli scrittori di poesia preferisce questo tipo di poesia-divertimento quele è lo scopo dello scrivere poesia ?
Ognuno può tirare le proprie conclusioni.
Ciao
Luisa Colnaghi