venerdì 5 novembre 2010

COMMENTI
L'ape furibonda
omaggiata e punzecchiata














Commento di Ennio Abate

Attirato dall’argomento e curioso di sapere cosa avrebbero detto di più e meglio rispetto a noi del Laboratorio MOLTINPOESIA, che ne discutemmo nel marzo 2010 (Cfr. in nota il resoconto), sono andato. Assenti per ragioni varie Majorino, Mussapi e Riccardi, omaggio e lettura critica sono spettati ai restanti. In breve cosa hanno detto?
Kemeny ha raccontato aneddoti curiosi e divertenti su alcuni suoi incontri con Alda Merini, è sembrato affascinato dalla sua esperienza umana dolorosa e ha letto due poesie di lei che egli giudica belle e, come si dice, resistenti al Tempo.
Lamarque ha parlato di produzione poetica fluviale, ha aggiunto che – come tutti i poeti - Merini  ha lasciato poesie belle e poesie brutte e che, in assenza di una più severa selezione, la sua fama di poetessa osannata in vita potrebbe  appannarsi ora che i riflettori su di lei si sono spenti.
Anche Cucchi, e in modo ancora più deciso e agguerrito,  ha  distinto nettamente la poetessa (nessun dubbio per lui che Merini lo sia stato) dal personaggio televisivo e mondano, che egli giudica caduco e persino condannabile, perché i poeti  - egli ha detto in sostanza - oggi dovrebbero assumersi la responsabilità di sottrarsi alla spettacolarizzazione dei mass media, mentre la Merini vi ha abbondantemente ceduto.
De Angelis ha esposto in breve una sua tesi: nelle poesie della Merini la follia non si sente; e in suo omaggio, ha letto anche lui una poesia d’occasione della Merini, nella quale la carica spiritualizzante della poetessa si applica persino al laico e liberale Montale appena morto.
Successivamente Daniela Azzola Farinotti ha ricordato altri aneddoti legati a un incontro con la Merini in una trasmissione di Telenova e dell’ amicizia con lei poi scaturita. Azzola ha proprio la “qualità umana” del personaggio. E lo stesso ha fatto un altro ignoto signore, scrittore di romanzi, dichiarando che il merito dei versi della Merini è quello di saper commuovere e di arrivare alla “gente comune”.
Sono intervenuto anch’io. Prendendo atto della divaricazione tra  i poeti capaci di coltivare e proseguire una tradizione di alta qualità,  ma chiusi nella loro cerchia e attorniati esclusivamente da un pubblico di soli poeti e  e poeti come la Merini che “si concedono” di più alla “cultura di massa” e ai mass media, l’ho giudicata un
segnale preoccupante di degrado culturale e sociale e chiesto cosa si potesse fare per ridurla. Cucchi è intervenuto per ribadire sia il fatto che  essa c’è sempre stata nella storia letteraria sia il suo netto rifiuto della cultura di massa. Scandaloso è per lui che dei cantautori (ha citato De André) possano oggi passare per poeti.

Tornando a casa rimuginavo una mia insoddisfazione. Possibile  che da una parte sta la poesia (magari con la minuscola, perché un po’ si è democratizzata) e dall’altra la non poesia? In quest’ultima Cucchi ieri sera ci ha messo sia i cantautori che la produzione “incontrollata” della Merini, ma è quasi certo che ci mette anche la poetry slam e  quasi tutta la produzione poetica  contemporanea. Possibile che dobbiamo restare ancorati al vecchio criterio elitario di Croce? È cosi vano il tentativo del Lab. MOLTINPOESIA di rimettere in contatto, magari in attrito, i vari modi (alti, medi, bassi?) della ricerca attorno alla poesia?

Ennio Abate  

Nota

 Resoconto  del Laboratorio MOLTINPOESIA del 30 marzo 2010

Ostacolato dal temporale e dai soliti disguidi organizzativi, l’incontro sulla Merini c’è stato ed è andato bene. Alle 18  avevamo trovato ancora una volta la Palazzina Libery chiusa. Telefonate, trasferimento d’emergenza nel solito Bar dell’Angolo, dove  Luciano Roghi ha tenuto la sua introduzione e abbiamo cominciato a discutere. Poi, avvertiti che nel frattempo era arrivato il custode della Palazzina, nuovo spostamento e completamento lì della discussione.
 Luciano [Roghi] ha raccontato il suo personale avvicinamento ai testi della Merini (soprattutto alle prose), ha ripercorso la sua vita tormentata e eccentrica:  le poesie  giovanili; l’apprezzamento  delle sue prime produzioni poetiche da parte di Spagnoletti, Raboni, etc;  vari internamenti in manicomio con elettroshok; matrimonio, gravidanze, tre figlie nate e subito date in affido; terapie analitiche con Musatti e Fornari; lettere non spedite  a “fantasmi” (scrittori del passato o suoi contemporanei); idealizzazione della figura paterna (primitivo, fumatore e sognatore); formazione da autodidatta; negli ultimi anni, dopo il successo editoriale e di pubblico,  gestione tra il narcisistico e lo spettacolare della propria immagine di poetessa «sofferente, vulnerabile, senza corazza».
La cifra del fascino della Merini sta per lui, se ho ben inteso, in questa sua capacità di «rimanere infantile» contro una società, che impone invece censure, condizionamenti e adattamenti più o meno castranti.
La successiva discussione si è incentrata su alcune questioni:
1) fino a che punto la conoscenza della vita di un poeta o di una poetessa giova alla “comprensione” della sua poesia (o, in altri termini ed esprimendo un dubbio di metodo: cominciando  dalla vita del poeta, non si rischia di fermarsi ad essa, alla biografia, trascurando il necessario o indispensabile lavoro di accostamento, di lettura e magari studio critico dei suoi testi?);
2)  che peso dare alla facile, comune  e affascinante (soprattutto nel caso della Merini) equazione tra malattia mentale (o “follia”) e poesia?  e che credito dare alle parole della stessa Merini, che arrivava a «benedire la sua follia» o la sua esperienza manicomiale come fonte  della sua poesia e ragione di una sua maggiore “autenticità” o “sincerità”;
3) le ragioni esterne o interne del suo “successo”: la sua poesia «arriva a tutti», perché lei prima di scrivere  s’immergeva  nell’«acqua del sentimento», e dunque perché la sua era una poesia  “sentimentale” (in senso positivo) pur rischiando a volte il sentimentalismo? Oppure il successo è stato costruito anche con interventi  più o meno mirati da parte di editori e addetti alla poesia-spettacolo?
Come suntino della riunione mi fermo qua. Sollecitando i partecipanti ad aggiungere attraverso la mailing list osservazioni, commenti o precisazioni .[E.A]

20 commenti:

Anonimo ha detto...

Produzione incontrollata della Merini!?!? La Merini era senza controllo e scriveva per accontentare il suo grande bisogno di scrivere. Poesia, follia? poesia, emozioni? Troppa poesia?
Quale importanza ha tutto ciò se alla fine ciò che si è fatto da buoni risultati.L'importante è trovare nella troppa poesia ciò che non lo è.E questo Ennio , tu lo sai fare molto bene. Ciao a tutti EMY

Anonimo ha detto...

Cara Emy,
Ti dico le mie impressioni. Tra parentesi non trovo negativa l'apertura della Merini ai media. Anzi se si riuscisse a entrare nei media portandovi un autentico senso del lavoro poetico, chi lo facesse sarebbe benemerito, anche a costo di fare autobiografia. Solo che le interviste e gli articoli su di lei e con lei cercavano il sensazionalismo di follia e sesso, pur un po' eufemizzato. Quasi mai si commentava una poesia.

Penso invece alle interviste con letture di Ungaretti in televisione, che discutevano solo dei versi. L'aura che si instaurava intorno a lui come pure a Quasimodo o Alfonso Gatto o altri era di ammirazione, non dell'individuo poeta presente, ma per il fascino della combinazione delle parole, del loro stupefacente significato.

Può darsi, ma non lo so, che la Merini sia una poetessa ingenua, che non sapeva limarsi e rifarsi (faccio sempre l'esempio delle numerosissime correzioni di Leopardi al manoscritto dell'Infinito.)

Ma vengo al punto dei versi che tu hai mandato, che secondo me confermano la Merini come autrice di cose incompiute, che cominciano bene per un'ispirazione alta, ma poi si spengono, si banalizzano, non sanno reggere oltre.

Mi viene ora il dubbio che forse proprio questa sia la chiave del suo successo popolare e sincero: lo scendere dall'alto dell'invenzione iniziale ad un discorso già noto, un po' piatto e risaputo e perciò comprensibile da tutti.

Nella poesia che hai mandato i primi quattro versi sono splendidi: sommessi con un senso lineare che aumenta gradualmente il numero delle sillabe: la poesia è un compito e un racconto, in parte ignoto e inconsapevole come la vitalità sapiente ma non conscia dei bambini. L'allungarsi dei versi ha un andamento che suggerisce l'allargarsi e l'approfondirsi della riflessione. E la riflessione sembra proprio il tentativo di capire in primo luogo se stessa. Ma poi questo processo esce dalla riflessione interiore sulla propria vocazione poetica, e si riversa su "Roma senz'amore" che dà per inteso qualcosa di immotivato (ci saranno centinaia di migliaia di romani, e non, a testimoniare di "passioni in città, ah, ah" come in una canzone di Vianello. o un film di Fellini).
Il "vino spento" sembra un piccolo rialzarsi del tono, se non fosse di nuovo affossato da "dell'amore". Poi si ripete e infine crea qualcosa che nonostante l'apparenza è ovvio perchè generico come capire una persona e incenerire le finzioni con la gioia. Gli ultimi sei versi sono anche senza ritmo decifrabile, né prosastico, né scandito su accenti che mettano in risalto i punti forti del senso, come solitamente è compito della versificazione. (A parte amore, narrare e capire dove -ore -are -ire sembrano le desinenze delle coniugazioni, eco di risposta ad un'interrogazione scolastica sui verbi.)

Naturalmente non ho la pretesa di aver ragione. Ti metto solo al corrente dell'effetto che ha fatto su di me. E spero che mi perdonerai

Leonardo Terzo

Anonimo ha detto...

Cara Emy,
Ti dico le mie impressioni. Tra parentesi non trovo negativa l'apertura della Merini ai media. Anzi se si riuscisse a entrare nei media portandovi un autentico senso del lavoro poetico, chi lo facesse sarebbe benemerito, anche a costo di fare autobiografia. Solo che le interviste e gli articoli su di lei e con lei cercavano il sensazionalismo di follia e sesso, pur un po' eufemizzato. Quasi mai si commentava una poesia.

Penso invece alle interviste con letture di Ungaretti in televisione, che discutevano solo dei versi. L'aura che si instaurava intorno a lui come pure a Quasimodo o Alfonso Gatto o altri era di ammirazione, non dell'individuo poeta presente, ma per il fascino della combinazione delle parole, del loro stupefacente significato.

Può darsi, ma non lo so, che la Merini sia una poetessa ingenua, che non sapeva limarsi e rifarsi (faccio sempre l'esempio delle numerosissime correzioni di Leopardi al manoscritto dell'Infinito.)

Ma vengo al punto dei versi che tu hai mandato, che secondo me confermano la Merini come autrice di cose incompiute, che cominciano bene per un'ispirazione alta, ma poi si spengono, si banalizzano, non sanno reggere oltre.

Mi viene ora il dubbio che forse proprio questa sia la chiave del suo successo popolare e sincero: lo scendere dall'alto dell'invenzione iniziale ad un discorso già noto, un po' piatto e risaputo e perciò comprensibile da tutti.

Nella poesia che hai mandato i primi quattro versi sono splendidi: sommessi con un senso lineare che aumenta gradualmente il numero delle sillabe: la poesia è un compito e un racconto, in parte ignoto e inconsapevole come la vitalità sapiente ma non conscia dei bambini. L'allungarsi dei versi ha un andamento che suggerisce l'allargarsi e l'approfondirsi della riflessione. E la riflessione sembra proprio il tentativo di capire in primo luogo se stessa. Ma poi questo processo esce dalla riflessione interiore sulla propria vocazione poetica, e si riversa su "Roma senz'amore" che dà per inteso qualcosa di immotivato (ci saranno centinaia di migliaia di romani, e non, a testimoniare di "passioni in città, ah, ah" come in una canzone di Vianello. o un film di Fellini).
Il "vino spento" sembra un piccolo rialzarsi del tono, se non fosse di nuovo affossato da "dell'amore". Poi si ripete e infine crea qualcosa che nonostante l'apparenza è ovvio perchè generico come capire una persona e incenerire le finzioni con la gioia. Gli ultimi sei versi sono anche senza ritmo decifrabile, né prosastico, né scandito su accenti che mettano in risalto i punti forti del senso, come solitamente è compito della versificazione. (A parte amore, narrare e capire dove -ore -are -ire sembrano le desinenze delle coniugazioni, eco di risposta ad un'interrogazione scolastica sui verbi.)

Naturalmente non ho la pretesa di aver ragione. Ti metto solo al corrente dell'effetto che ha fatto su di me. E spero che mi perdonerai

Leonardo

Anonimo ha detto...

EMILIA BANFI (SEMY)

Riguardo la produzione incontrollata della Merini vorrei segnalare questa sua poesia:

RACCONTO MOLTO.

Racconto molto
perchè forse non so
qual è davvero il mio compito
come la sapienza accesa dei bambini
per questa Roma senz'amore
che canta il vino spento dell'amore.
Per questa città senza più affetti
io voglio ancora narrare
che la vita è una persona da capire
e la gioia incenerisce tutte le finzioni.

A. MERINI

Anonimo ha detto...

LEONARDO TERZO:


Cara Emy,
Ti dico le mie impressioni. Tra parentesi non trovo negativa l'apertura della Merini ai media. Anzi se si riuscisse a entrare nei media portandovi un autentico senso del lavoro poetico, chi lo facesse sarebbe benemerito, anche a costo di fare autobiografia. Solo che le interviste e gli articoli su di lei e con lei cercavano il sensazionalismo di follia e sesso, pur un po' eufemizzato. Quasi mai si commentava una poesia.

Penso invece alle interviste con letture di Ungaretti in televisione, che discutevano solo dei versi. L'aura che si instaurava intorno a lui come pure a Quasimodo o Alfonso Gatto o altri era di ammirazione, non dell'individuo poeta presente, ma per il fascino della combinazione delle parole, del loro stupefacente significato.

Può darsi, ma non lo so, che la Merini sia una poetessa ingenua, che non sapeva limarsi e rifarsi (faccio sempre l'esempio delle numerosissime correzioni di Leopardi al manoscritto dell'Infinito.)

Ma vengo al punto dei versi che tu hai mandato, che secondo me confermano la Merini come autrice di cose incompiute, che cominciano bene per un'ispirazione alta, ma poi si spengono, si banalizzano, non sanno reggere oltre.

Mi viene ora il dubbio che forse proprio questa sia la chiave del suo successo popolare e sincero: lo scendere dall'alto dell'invenzione iniziale ad un discorso già noto, un po' piatto e risaputo e perciò comprensibile da tutti.

Nella poesia che hai mandato i primi quattro versi sono splendidi: sommessi con un senso lineare che aumenta gradualmente il numero delle sillabe: la poesia è un compito e un racconto, in parte ignoto e inconsapevole come la vitalità sapiente ma non conscia dei bambini. L'allungarsi dei versi ha un andamento che suggerisce l'allargarsi e l'approfondirsi della riflessione. E la riflessione sembra proprio il tentativo di capire in primo luogo se stessa. Ma poi questo processo esce dalla riflessione interiore sulla propria vocazione poetica, e si riversa su "Roma senz'amore" che dà per inteso qualcosa di immotivato (ci saranno centinaia di migliaia di romani, e non, a testimoniare di "passioni in città, ah, ah" come in una canzone di Vianello. o un film di Fellini).
Il "vino spento" sembra un piccolo rialzarsi del tono, se non fosse di nuovo affossato da "dell'amore". Poi si ripete e infine crea qualcosa che nonostante l'apparenza è ovvio perchè generico come capire una persona e incenerire le finzioni con la gioia. Gli ultimi sei versi sono anche senza ritmo decifrabile, né prosastico, né scandito su accenti che mettano in risalto i punti forti del senso, come solitamente è compito della versificazione. (A parte amore, narrare e capire dove -ore -are -ire sembrano le desinenze delle coniugazioni, eco di risposta ad un'interrogazione scolastica sui verbi.)

Naturalmente non ho la pretesa di aver ragione. Ti metto solo al corrente dell'effetto che ha fatto su di me. E spero che mi perdonerai
L.

Moltinpoesia ha detto...

LEONARDO TERZO:

Ma vengo al punto dei versi che tu hai mandato, che secondo me confermano la Merini come autrice di cose incompiute, che cominciano bene per un'ispirazione alta, ma poi si spengono, si banalizzano, non sanno reggere oltre.
Mi viene ora il dubbio che forse proprio questa sia la chiave del suo successo popolare e sincero: lo scendere dall'alto dell'invenzione iniziale ad un discorso già noto, un po' piatto e risaputo e perciò comprensibile da tutti.
Nella poesia che hai mandato i primi quattro versi sono splendidi: sommessi con un senso lineare che aumenta gradualmente il numero delle sillabe: la poesia è un compito e un racconto, in parte ignoto e inconsapevole come la vitalità sapiente ma non conscia dei bambini. L'allungarsi dei versi ha un andamento che suggerisce l'allargarsi e l'approfondirsi della riflessione. E la riflessione sembra proprio il tentativo di capire in primo luogo se stessa. Ma poi questo processo esce dalla riflessione interiore sulla propria vocazione poetica, e si riversa su "Roma senz'amore" che dà per inteso qualcosa di immotivato (ci saranno centinaia di migliaia di romani, e non, a testimoniare di "passioni in città, ah, ah" come in una canzone di Vianello. o un film di Fellini).
Il "vino spento" sembra un piccolo rialzarsi del tono, se non fosse di nuovo affossato da "dell'amore". Poi si ripete e infine crea qualcosa che nonostante l'apparenza è ovvio perchè generico come capire una persona e incenerire le finzioni con la gioia. Gli ultimi sei versi sono anche senza ritmo decifrabile, né prosastico, né scandito su accenti che mettano in risalto i punti forti del senso, come solitamente è compito della versificazione. (A parte amore, narrare e capire dove -ore -are -ire sembrano le desinenze delle coniugazioni, eco di risposta ad un'interrogazione scolastica sui verbi.)
Naturalmente non ho la pretesa di aver ragione. Ti metto solo al corrente dell'effetto che ha fatto su di me. E spero che mi perdonerai

LEONARDO

Anonimo ha detto...

Oooh! carissimo Leonardo, questa poesia anche a me non piace soprattutto la seconda parte, ma è perfetta la mancanza di controllo che la Merini mette in ogni sua poesia, si sente un'umanità sbandata e bisognosa, lo so queste caratteristiche non fanno poesia ma rivelate in questo modo,un pò pigro e rassegnato, stanco sul finire danno alla Merini il titolo di "poetessa del sentimento negato". Leonardo, niente è più banale della sofferenza (nella poesia).Ciò che di negativo trovo nella penna della Merini secondo me è la non musicalità, proprio trascurata, ma poi sono arrivata a pensare che forse è proprio per questo che la sua sofferenza, cinismo e mancanza d'amore sono entrati nelle nostre corde. Con questo non voglio mettere la Merini troppo in alto ma senz'altro tra i migliori. Cosa ne pensate? ciao Emy

Anonimo ha detto...

Io penso che non ci si debba ridurre a giudicare un poeta o una Merini considerando esclusivamente o prevalentemente gli aspetti estetici o sentimentali, come si fa quasi sempre. E ci si debba anche chiedere, quando si legge qualsiasi poesia,: ma perché lo faccio? a quale scopo?

Ennio Abate

mayoor ha detto...

Racconto molto
perchè forse non so
qual è davvero il mio compito

Cosa si può pretendere di più? Certo che i poeti sono esigenti... come se la poesia fosse un dogma incorruttibile. Se così fosse non sarebbero certo in molti a scrivere, e ancor meno quelli che leggono.
Come se vivere in vestaglia fosse meno importante che indossare l'abito da cerimonia. Forse è questa sua evidente sciatteria che non piace?

Anonimo ha detto...

@ Mayoor

Nessuno t'impone di essere cerimonioso se scrivi per te. Ma quando pubblichi te lo vuoi porre o no il problema di chi ti dovrà leggere e delle sue possibili reazioni al tuo vergeggiare sciatto o cerimonioso, comunicativo o ermetico?
I poeti sono esigenti più con se stesso o con i possibili lettori?
Se Merini o il suo entourage facevano passare per poesia anche la lista della spesa, uno che se la trova pubblicata in un libro con l'etichetta 'poesia' che reazione deve avere?
Duchamp, se non erro, presentò il su water come opera d'arte, Manzoni la 'merda d'artista'. Andiamo avanti così?...

Ennio Abate

Anonimo ha detto...

La Merini sarebbe diventata la poetessa Merini , senza la sua sofferenza? Chiedo a voi.Per rispondere ad Ennio: loscopo per il quale mi sono accostata alla lettura della Merini è stato proprio per quella domanda che mi sono posta. Forse sono fuori strada? chiedo ad Ennio .Ciao la solita vs, aff.ma scolara Emilia

Anonimo ha detto...

@Emilia

Prima controdomanda: in una giungla dell'Amazzonia un indigeno, sbranato da una pantera, sta soffrendo fino a morirne. La sua sofferenza produce poesia?

Seconda controdomanda: alla Merini, se non avesse letto a sufficienza libri di letteratura, conosciuto Spagnoletti, Manganelli, Raboni e la Valduga etc.sarebbe mai venuto in mente di scrivere poesie?

Terza controdomanda: se non ci fosse un luogo chiamato Lab. Moltinpoesia domande di questo genere
le faresti al droghiere, alla parrucchiera, a....?


Ennio Abate

Moltinpoesia ha detto...

A volte, per alcuni, la poesia stessa può farsi pretesto. In questa significativa poesia della Merini, mi sembra ritorni, forse invadente, il suo bisogno di dichiarare ciò che le interessa: "questa Roma senza amore" o "il vino spento" che è quel che resta dopo l'ebbrezza. Questo... anticorpo dei versi che precedono forse è solo un pigro ritorno alle sue ripetute tematiche? Può essere. Ma è in nuce il messaggio di cui lei vuole farsi interprete, o no? Si vede che amava più i suoi compagni di sbronze che i pallidi intellettuali.
Sì, cresce in me la certezza che la Merini fosse, sotto sotto, un anti-poeta. Per questo anti-patica a tanti poeti. Succede a tutti i marginali che non si redimono.
Non credere Ennio che qualcuno possa scrivere solo per se stesso. Anche chi è sciatto cerca il suo pubblico, e il pubblico della Merini si è rivelato assai numeroso. Bella forza, si dirà. Lo si dice ancora anche di Manzoni... e lo si dirà sempre, a tutti coloro che escono dal seminato. La loro sembra una battaglia persa in partenza. E' un viaggio in solitaria, ma non tanto in se stessi come può sembrare.
Voglio anche dire che non amo particolarmente le poesie della Merini. Qualcosa qui e là. Il termine "sciatto" non l'ho scritto a caso, ma ricordo che una volta paragonai una sua poesia a quelle di Saffo. Nientemeno.

Moltinpoesia ha detto...

Si ha la pretesa di scrivere qui per parlare con dei poeti, dei compagni di strada interessati a parlare, seppur diversamente, con la stessa gente. Si vede che abbiamo idee diverse sull'interlocutore.
Quanti scrivono rivolti all'intellighenzia? Mi sembra che lo facciamo tutti, qualcuno con tante speranze, qualcun altro con tante pretese. C'è anche chi se ne fotte? No. Nemmeno la Merini, e se proprio volessi parlare di una sua sofferenza, dovrei riferirmi proprio a questo aspetto. I poeti non le hanno mai reso la vita facile, neanche da morta. Bel match.

mayoor

Anonimo ha detto...

Caro Ennio ,
c'è anche chi legge Spagnoletti Raboni Manganelli e la Valduga e tutta la letteratura postmoderna e quella futurista ecc.eppure non scrive una sola poesia anche se potrebbe farlo.
Tu mi dirai che non sentono il bisogno di farlo, non è necessario che la facciano... . Insomma questa poesia e non solo la poesia, l'arte in genere non è strettamente legata ai nostro stato d'essere , ai nostri bisogni che trovano sfogo, Grazie a dio,nel fare arte? Scusa Ennio sono un pò osso duro, ma non riesco a staccarmi da queste idee, troppo umane. Ciao Emilia
Tu che ne dici? e Voi?

Anonimo ha detto...

A mio avviso la Merini possedeva una sensibilità esasperata e straordinaria. La chiave di lettura delle sue espressioni poetiche parte da questa
sua formidabile capacità di guardare e oltrepassare il sentire comune.
Ha scritto tanto, e nel modo più confusionario possibile, (scriveva sulle pareti di casa, su carte carbone, su fogli sparsi), ed è forse questo suo disordine, questa sua incapacità di programmare le cose più semplici, che mi indirizza a credere alla sua sincerità artistica.
Il clamore, la pubblicità, la spettacolarizzazione della sua folia, lei li ha utilizzati per sentire intorno a se un pò più di calore e di attenzione verso la sua vita. Al contrario, non è stato altrettanto sincero l'interesse che la maggior parte di coloro che hanno gestito questa reale operazione di marketing, ha nutrito per lei.
Basti pensare ai prezzi dei suoi libri che costavano il doppio, (se non di più), delle raccolte poetiche di altri autori.
Con i suoi versi è riuscita a descrivere le debolezze umane e la possibilità di rinascita.
Ha sempre manifestato riguardo e affetto verso i poeti; li ha spesso citati e ricordati (Plath, Stampa, Quasimodo, Montale, Dikinson) come persone capaci di contribuire a modificare parte del dolore del mondo.
Infine, è riuscita a comporre un ritratto memorabile, forse involontario, della Milano anni 60, città avviata a un futuro carico di infelici presagi.

Luciano

Anonimo ha detto...

@ Mayoor

Merini «sotto sotto, un anti-poeta antipatica a tanti poeti»?
Ma se è stata allevata ed è cresciuta nella élite letteraria milanese e ha occupato il posto ben tollerato (e poi ben pagato) della "poetessa folle"?
Poesia e follia è un logo vincente dal Romanticismo in poi.
Le facevano i funerali di Stato, se davvero fosse finita soltanto coi «marginali che non si redimono» o con «tutti coloro che [davvero e definitivamente] escono dal seminato»? No, sarebbe finita anonima e dimenticata in manicomio o in prigione.
«Amava più i suoi compagni di sbronze che i pallidi intellettuali»?
Forse, ma proprio come Pasolini frequentava le borgate e i salotti, lei pure frequentava a corrente alternata osterie e salotti letterari.
E sono stati proprio i “pallidi” intellettuali (l’intellighenzia radical chic in particolare) e non i “santi bevitori” a farne una diva televisiva o a pomparla come «la più grande poetessa italiana del Novecento».
Di marginali così la TV, la Chiesa cattolica e i mass media hanno un gran bisogno.
«Anche chi è sciatto cerca il suo pubblico, e il pubblico della Merini si è rivelato assai numeroso». Mi pare preoccupante che la sua sciatteria
letteraria si sia incontrata con la sciatteria dei suoi lettori. E che il suo successo sia stato decretato proprio in un’epoca di crescente degrado culturale. Che le abbia giovato la «dittatura dell’ignoranza» (Majorino) più di quanto si creda?
Un giorno, se troverò il tempo di leggermi le sue poesie, andrò a cercarmi quelle (se ci sono) in cui più sfugge a questo stereotipo della poetessa folle, tutta sesso selvaggio e spiritualità celestiale.

@ Emilia
Scusami, ma invece di interrogarmi o interrogarci come se fossimo degli oracoli, perché non provi a rispondere tu alle tre o quattro contro domande che ti ho fatto sopra?

@ Luciano
Ammettiamo che «la Merini possedeva una sensibilità esasperata e straordinaria». Ma perché illudersi che questa producesse soltanto sincerità o «sincerità artistica»?
I meandri dell’inconscio – suo, dei suoi fans o dei suoi invidiosi avversari, ma anche di tutti noi - sono infiniti e contengono qualcosa che di per sé non è né bene né male.
Lei utilizzava o subiva «il clamore, la pubblicità, la spettacolarizzazione della sua follia» soltanto « per sentire intorno a se un po’ più di calore e di attenzione»? Solo gli altri non erano sinceri?
Non credo alla sincerità assoluta dei poeti (o dei folli) né all’insincerità assoluta degli altri. Il grado maggiore di sincerità e insincerità possibile è condizionato da mille spesso inafferrabili fattori sociali e personali.

Ennio Abate

Anonimo ha detto...

Rispondo alle domande di Ennio:
1) La sofferenza dell'indigeno non produce poesia, essendo egli un indigeno ma la potrebbe produrre in chi lo vede soffrire .

2)La coltura della Merini riguardo il fare poesia sicuramente è stata determinante ma non penso che sia stato ciò che l'ha spinta a scrivere

3)Le domande che vi pongo non le ho poste solo a voi (scusa non voglio offendere nessuno , anzi siete x me dei maestri)neanche al droghiere, ma alla mia parrucchiera che si interessa di poesia sì, l'ho fatto , anche al ragazzo del bar di sotto che scrive e mi ha dato questa risposta: -i sentimenti non sono poesia, la banalizzano ma non ho mai scritto prima della morte di mio padre, sono universitario e per me la vita è dura.-. A volte bisognerebbe anche cercare tra le persone semplici, sono certa Ennio che tu lo fai e lo hai già fatto e la tua cultura ti ha aiutato molto . Io leggo per chiarire i miei dubbi relativi a quelle domande a cui voi pazientemente rispondete. Grazie per lo stimolo che mi hai dato e mi sento onorata di averti risposto. Ciao Emilia

Anonimo ha detto...

Mi inserisco solo ora, non ho letto moltissimo Alda Merini, ma la penso così:
a. è stato un caso umano, le è capitato di stare a contatto con dei poeti e ha cercato di guarire le sue memorie dolorose con la poesia/similpoesia (chiamatela come volete). Se avesse incontrato dei pittori forse avrebbe tentato di guarire le sue memorie dolorose con la pittura o con la danza o altro. Non è detto, quindi, che quel bisogno di guarire ricordi angosciosi abbia prodotto POESIA. Ha prodotto del materiale perché ogni elaborazione porta con sé un esito. C’è POESIA e poesia. Siccome Ennio Abate e Leonardo Terzo non sono gli ultimi arrivati, ma un po’ di vera poesia la sanno individuare, di fronte ai testi della Merini non riconoscono la poetessa, ma la donna bisognosa. Un tipo di donna nella quale si riescono ad immedesimarsi anche i tanti senza passato da folli. Insomma, come dice Luciano, impersonava bene certi aspetti degli anni ’60. Bisognosa di risolvere i suoi problemi di accettazione con la scuola e la sua cultura (aveva fatto tutti gli sforzi per essere ammessa al Liceo classico Manzoni, ma era caduta proprio in italiano ed era stata rifiutata), bisognosa di risolvere i suoi problemi con la figura maschile, con l’amore, con la maternità, con la femminilità, con la confusione, con la solitudine, con le distanze ecc…
b. Il fatto che sia stata una donna sensibile non le dà lo scettro di poetessa, ma forse di artista? Con il termine “artista” si può spaziare un po’ di più. La sensibilità deve essere affiancata da certe accuratezze, altrimenti non si riesce a fare buon uso dei tecnicismi e produrre poesia vera (direbbe Ennio).
c. Alla fin fine, però, è stata molto letta perché non lasciva passare l’idea della cetomedista (anche io cito Majorino), ma della donna del popolo dal grande cuore.
d. Credo abbia ragione Mayor quando dice: “Mi pare preoccupante che la sua sciatteria
letteraria si sia incontrata con la sciatteria dei suoi lettori. E che il suo successo sia stato decretato proprio in un’epoca di crescente degrado culturale. Che le abbia giovato la «dittatura dell’ignoranza» (Majorino) più di quanto si creda?”

Comunque quel suo traboccante sentimento mi piace molto.
Giuseppina

Anonimo ha detto...

Cara Giuseppina, mi trovo molto d'accordo con te .
La Merini e la sua poesia stimolano la vecchia domanda: Cos'è la poesia? Alla quale si tenta di rispondere da sempre. Ho letto ancora parecchio della Merini e mi son trovata una risposta grazie anche ai vostri commenti: la Merini ha fatto poesia comprensibile a tutti perchè è sofferenza e la dittatura dell'ignoranza ne ha prodotta molta di sofferenza penso sia per questo che il successo della Merini sia arrivato oltre i suoi meriti...ma davanti a questa sua poesia io m'inchino:
"La verità è sempre quella,
la cattiveria degli uomini
che ti abbassa
e ti costruisce un santuario di odio
dietro la porta socchiusa.
Ma l'amore della povera gente
brilla più di qualsiasi filosofia
Un povero ti da tutto
e non ti rinfaccia mai la tua vigliaccheria."

Ciao Emilia