martedì 4 gennaio 2011

ARCHIVIO
di Microfono Aperto 2009
Masque
di Giuseppe Beppe Provenzale

F. Goya, La sepoltura della sardina, ovvero quando finisce il carnevale e comincia la quaresima
                 
                 

 Masque

Sulla panchina dell’anima
sei fermo in                                                               
sguardo diritto e occhi che perdono luce

La maschera morte danza la tua vita e   
t’invita a due

Ma non è il tuo passo.
Senza tempo né tempi           bacia, sussurra, t’accarezza e non dice
sei tu la tua morte.

Spenti i colori reali      
e la luce trionfante                                               ora
accendi le tinte
all'altra metà trasparente al nero.                                             
E’ finito il rosso, l’oro, il presepe e il Natale
il bianco, le tuberose e i veli.
Verde giallo e primavera.
Un grigio
sperato perla e madre,
dipinge rigido
lo stupore fermato bianco.

Andarsene.
Addormentarsi partendo.
Tempie battete, cuore fermati.
Nessuna tromba arpe e flauti
né cori di mille.
Ma
un raggiungibile mi moll maggiore nel cuore
e un silenzio clessidra di pace sopra un campo
di grano
Torri e fichi, grilli, idilli, e profumo del mosto addio

Andarsene
via dalla finta innocenza meridiana, poggiato                                  amato
nel profondo dello scavo
profondo
della terra sotto terra
                                      
Da dietro la finestra dell’anima e
dal rinato grigio,
i pensieri della perdita
aprano ora il tuo passaggio.                                    
Ora
ora sia azzurro e contento il giorno
che l’insospettato dio
ti viene incontro

Prati verdi reggano il tuo passo,
una mano che non tocca se vacilli.
Canzoni e versi                                                    ora 
comprendano con me la tua tristezza
scolpita nel  marmo


9 commenti:

Moltinpoesia ha detto...

Caro Beppe, veramente bella la tua "dimenticata " poesia .
La rievocazione composta e sofferta ci porta in un'atmosfera di antica bellezza, dove i toni affettuosi sono affidati anche allo sguardo sulla natura che è descritta con modi non usuali e convenzionali, secondo me, con elementi quasi pittorici.
Le mie sono solamente sensazioni, non pretendono di essere una critica...

Maria Maddalena Monti

Moltinpoesia ha detto...

Il tema della maschera in questa poesia è associato a immobilità interiore (la panchina dell’anima= anima in panchina), alla morte (che invita, viene respinta ma è “dentro”: nell’anima, nel sé), al nero, colore luttuoso (nelle nostre culture), che ha cancellato - qui prevale il simbolismo coloristico - i colori della vita evocanti anche immagini d’infanzia (il presepe, il Natale).
L’imperioso e impersonale Andarsene, ripetuto più avanti ancora una volta tiene a bada desideri e sentimenti inespressi ed evocati esclusivamente attraverso immagini- simbolo di un mondo che s’indovina contadino (Torri e fichi, grilli, idilli, e profumo del mosto)e che ormai appare immerso in una « finta innocenza meridiana».

La poesia illustra una sorta di passaggio emotivo per tappe vita-lutto-accettazione-rinascita, sempre per via simbolica (maschera?) coloristica (colori reali e luminosi-nero-grigio-azzurro (del cielo) e prati verdi) e con cenni musicali (tromba arpe e flauti; mi moll maggiore; Canzoni e versi).

Per me c’è un eccesso di immagini-maschere e di allusioni velate e metafore troppo letterarie come «Sulla panchina dell’anima», «occhi che perdono luce», « lo stupore fermato bianco», « silenzio clessidra di pace», «finta innocenza meridiana», « nel profondo dello scavo/profondo/della terra sotto terra» accentuano questa impressione, saturano il testo, occultano, distraggono o indeboliscono il dramma di separazione e rinascita invece di offrirlo alla riflessione nella sua umanità.

Ennio Abate

Anonimo ha detto...

Caro Beppe,
leggendo questa tue bellissime righe ho avuto la sensazione di leggere più poesie scritte in tempi diversi, può essere? Un vissuto trascorso un presente rassegnato e consapevole dolcemente supportato da una fede. Anche questa volta trovo la costruzione una preziosa filigrana. Ciao Emilia

Anonimo ha detto...

Quanta tristezza, malinconia...si nasconde dietro questa maschera?
Questa è cio' che m'è arrivato...
Bella...sicuramente da rileggere...e scoprire fra le righe altre emozioni/sfumature.

Augusto Villa.

Moltinpoesia ha detto...

Si può fare la critica alla critica?
No, perché mentre il tono in uso del “criticato” oscilla tra il risentito e il lamento “di non essere stati capiti”, il suo codice di comunicazione si sforza di puntellare l’orgoglio ferito.
Dunque non si può fare la critica alla critica, ma si può analizzare meccanismo e postura del critico.
Avvertenza: come il neologismo inglese che distingue art da arty (“artistoide”), io qui distinguo critic da criticy (“criticante”)…
La struttura critica di Ennio Abate é asimmetrica al testo ed obliqua. Un’obliquazione che citando immagini percepite attraverso filtri e setacci in uso (o mode) temporanei, si ferma prima di “figurare” in profondità i contenuti della trasfigurazione del testo. Risultato? Il corpus poetico è definito “saturo” e alcuni versi "la panchina dell’anima… occhi che perdono luce…" rotolano velocemente ai piedi dell’artificiale piano inclinato dell’obliquazione di cui sopra. Si accumulano informi e avulsi dal contesto, anche se ognuno al suo interno possiede dignità di capoverso/sintesi compiuta. Non essendo compatibili con un qualche modello d’obbligo e ritenuti superflui vengono sbrigativamente storicizzati con una petrosa etichetta di “espressioni letterarie”. Orfani.

Emilia, Maria Maddalena e Augusto sono esenti da stereotipi e invece sensibili a parole e versi che vibrano l’anima. Hanno trovato tre chiavi diverse che hanno aperto la stanza della trasfigurazione del testo. Hanno letto ciò che non è scritto, hanno aggiunto poesia al mio lavoro (che s’è anche compiaciuto). Grazie

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate @ Beppe Provenzale

Chi critica è obliquo.
Chi loda è diretto (e dritto).

Chi critica è asimmetrico.
Chi loda è sensibile.

Chi critica è orfano.
Chi loda ha l’anima in vibrazione.

Chi critica è un bel tipo.
Chi loda è esente da ogni stereotipo.

Chi critica sfigura (il criticato).
Chi loda trasfigura il creato.

E così invece di un laboratorio
ci consoleremo in un laudatorio.

Anonimo ha detto...

Chiederei a Ennio Abate di proporre uno dei suoi begli articoli sul giudizio. Quale significato diamo al verbo giudicare=criticare? Penso che dobbiamo riscoprire e potenziare il testimone interno capace di osservare e accogliere l’esperienza di un testo senza fare interferire il giudizio nel soppesarlo. Esprimere solo il proprio punto di vista senza tirare in ballo il giudizio credo contribuisca a fare emergere il potenziale creativo. Certamente, non si potrà trasfigurare più di tanto un certo contenuto. Passi che la bellezza è negli occhi di chi guarda, ma non si potrà vedere a tutti costi un lampione dove a malapena c’è una candela stearica.
Giuseppina Broccoli

Moltinpoesia ha detto...

Eugenio Grandinetti:

Caro Beppe,non so se il rapporto tra il dipinto di Goya e la tua poesia sia stato voluto da te. Trovo comunque che nel dipinto la morte è oggettivata nel labaro che sovrasta gli uomini che danzano (per dismemorarsi o perchè inconsapevoli che la morte li sovrasta?);mentre nei tuoi versi è la morte quella che danza sovrastando la gente incosciente, pronta ad avventarsi su colui che ha deciso di spegnere.Forse, a ben pensarci, è una differenza di poco conto che nulla toglie alla suggestività dell'immagine.
Io avrei "snellito" un po' la poesia togliendo alcuni riferimenti,ma naturalmento così non sarebbe stata più la "tua" poesia che,peraltro,io trovo molto suggestiva.

Moltinpoesia ha detto...

Giuseppina Broccoli allarga e approfondisce il suo commento.

Carissimo Beppe, mi è piaciuta la terza parte del tuo testo. Trovo che il tono degli ultimi versi sia confidenziale, un po’ familiare, pervaso di senso di dichiarata gratitudine. E io sono una che ama chi è in grado di provare gratitudine. (la riconoscenza va via via sparendo nella nostra società di oggi) Riveli la tua generosità e la tua benevolenza alla persona a cui ti rivolgi in un modo esplicitamente scoperto e, come ho detto nelle mie due righe di commento, con tono amorevolmente umano. Per umano non intendo affatto quello fantozziano, ma intendo dolce, premuroso, buono, di cuore.


Ho riportato i versi di Sconforto: un’Ode di Coleridge perché quel tuo mi moll maggiore nel cuore

mi ha riportato alla mente “…tu non hai da chiedermi

questa forte musica dell’animo che sia!” La musica dei buoni sentimenti, la musica della poesia, la musica della vita, la musica di chi sa riconoscere il valore di ogni momento, la musica di chi deve saper accettare quell’ Andarsene, la musica di chi ha imparato ad accettare il dolore, le negatività della vita, e qui l’elenco potrebbe continuare all’infinito. Nel tuo testo ho trovato tutte le sfumature artistiche e la potenza dell’emozione; poesia, musica, colore, bontà di cuore.

Quel tuo:

Prati verdi reggano il tuo passo,

una mano che non tocca se vacilli.

Canzoni e versi ora

comprendano con me la tua tristezza

mi ha riportata a

Con lieto cuore possa lei levarsi,
umore gaio, occhi ridenti,
gioia le allieti lo spirito, gioia le accordi la voce;
le cose tutte le siano vive da polo a polo,
la loro vita il turbinio della sua anima vivente!

Perché Coleridge? Primo perché amo i poeti romantici inglesi, secondo, perché quel che è stato detto dai grandi viene ripetuto dai molti. L’animo umano si dibatte sempre con gli stessi sentimenti.