domenica 2 gennaio 2011

ARCHIVIO
Ennio Abate
Appunti, commenti rapidi, frecciate.
In occasione del
MICROFONO APERTO
Casa della poesia 8 ottobre 2009


Rovistando tra i testi arrivati mi permetto alcune osservazioni. Sono appunti, commenti telegrafici a volte frecciate. Non faccio esempi né nomi. Ma potrei in altro ambito (ad es. nel Laboraotrio MOLTINPOESIA o a tu per tu) argomentare e approfondire.

Distinguerei i testi letti rispetto alla distanza maggiore o minore dal vissuto  da cui provengono e al lavorio più controllato o meno controllato fatto sul linguaggio, le immagini, il pensiero che trasmettono.

Prima fascia:  ci sono testi  che  nominano, dichiarano  sentimenti ( rammarico, odio, noia, paure,  nostalgie, gioia, ecc.) o dicono  pensieri, idee ma li nominano e dicono come nella comunicazione quotidiana, per lo più descrivendo, riportando  immagini visive colte a volo : una sorta di meccanica registrazione di immagini casuali, sostituibili da mille altre simili.
Ce ne sono altri dove la poesia è usata come sfogo immediato per denunciare una situazione vissuta, giustificare, giustificarsi o rimane a livello dell’appunto di diario, della comunicazione intimistica tra innamorati.
E altri dove, invece,  - e a me pare uno sfogo  di segno inverso -  si tende all’idillio, alla reticenza rispetto al reale alla sublimazione.
E altri ancora dove affiora un pensiero sulle cose, la gente, sull’io che è anch’esso sfogo, ripresa di luoghi comuni e non verifica, riesame dei pensieri comuni, ripetuti, riecheggiati o delle frasi fatte e generiche alla luce di un punto di vista diverso conquistato proprio nell’esercizio della poesia, nella pratica del poetare.

Seconda fascia:
Qui abbiamo testi che: - oltrepassano la soglia dello sfogo dei sentimenti e dei pensieri ricevuti e rimasticati senza rifletterci sopra; - a volte  non evitano di sporcarsi con la prosa e la narrazione, ma non si riducono a prosa o a conversazione  o a chiacchiera; - tengono sotto controllo l’idillio più tranquillizzante e la sublimazione più vaga o il descrittivismo  disordinato e casuale e solo apparentemente realistico; evitano l’astrattezza del concetto e  lo rivestono di immagini ben pensate, filtrate  dall’intelligenza e dalla ragione; - danno prova di muoversi in un linguaggio che non  può essere confuso con quello della vita quotidiana pratica e ne conoscono però anche le insidie ( ad es. dell’iperlettarierietà, del citazionismo esibizionistico,  di una musicalità  fine a se stessa, di una freddezza ipercontrollata e intellettualistica che congela o reprime il dramma della vita o le tragedie, della confessione ben costruita); - sanno utilizzare le forme della tradizione poetica ( quasi assente quella delle avanguardie in quest’occasione) per far fare ginnastica al pensiero e alla fantasia

A mo’ di esempio e rispettando l’anonimato, ecco i miei commenti telegrafici ad alcuni dei testi da me esaminati:

1.
Ogni giorno
uccidiamo chi amiamo
con una parola
uno sguardo
un'azione
un silenzio.
Ogni giorno qualcosa
dentro di noi muore:
la gioia
l'amore
la speranza.
Sopraggiunge l'inverno
e la neve ricopre il germoglio.

Al di là del rammarico e dell’immagine del tempo che passa quasi nulla…

2.
E se tu non sei felice con me e con nessun altro 
non ti prendere la grande responsabilità di pensare lo stesso della mia non felicità perché non possiedi tale facoltà, 
quella di leggere il mio pensiero e prevederlo. 

Quasi prosa, ma piatta… Che verso è il secondo?

3.
Ridammi le labbra il cui contorno dipingevi con gli occhi ogni volta che scorgevo il tuo sguardo.
Ridammi il tuo calore che per mesi interi ha scaldato il mio cuore rosso d'amore
Ridammi l'ossigeno, ho bisogno di respirarti per vivere

C’è la recriminazione, l’incazzatura… ma che banale  un “cuore rosso d’amore” e quella richiesta d’ossigeno…

4.
Amore, cane rabbioso che ringhi, dimmi un  
era così brutto l'inferno?
  Era diverso da questo posto, da un altro posto,
  era meno figo, meno freak, meno frigo?
  Faceva freddo, faceva caldo, faceva
> condizionato?
> Era incatenato, era libero, era assunto a tempo
> indeterminato?
> C'era il sole, c'era la pioggia, c'era la piscina?
> Era umano l'inferno?

L’idea di partenza di un cane che viene dall’inferno è banalizzata da domandine da conversazione leggera, da bar.. L’inferno… è una cosa seria per molti che lo soffrono qui su questa terra..

5.
sul fiume le note ritornano a fare spartiti
mentre un carme lontano va calmo alle arie del mare
snodando le attese 
la verde collina s’increspa e si sforma riflessa sull’ onda
sugli efflussi più lenti rivedo feriti sentieri aspettando il sollievo

Ecco la natura ridotta a idillio benefico e tranquillizzante. Per contrasto con toni più attenuati e controllati:

Coi passi pari di una mattina accesa
già nel tempo breve dell’aurora.
Di queste ore si vede ogni minuto
e il raggio rosa, che dal monte scalda di colore
e pace chi giace in mezzo ai campi;
sono piccole bestiole
e siamo noi, che accanto scivoliamo muti, con stupore.



6.
La moltitudine saliva la scala dai dodici gradini
con cenobiti e anacoreti.  Si addentrava
nella barbarie della paura per uscirne ammansita.
Folle di mansuetudini marciavano
lungo le pendici di Montecassino.  
“Ora, lege et labora”  negli scriptoria e nei frutteti.
Schiere di temperanze  sotto i campanili.

Sembra ci sia un respiro biblico, solenne, austero nelle immagini di folle che avanzano, ma quanta astrattezza in quel “barbarie della paura” e vaghezza in quelle “schiere di temperanze”…

7.
Abbracciò il marito, lo trattenne…… poi, lo lasciò imbarcare.
Abbassò gli occhi in cerca di conforto.
Era l’America a tirarlo lontano.
L’inizio dell’assenza.
Tutti oltre l’addio, ormai.
Rimasero a guardare oltre la porta
Vetrata mentre  se ne andava salutando col cappello.

Il tono è narrativo. La scena di una separazione. Descritta ma non trasmessa nelle sue emozioni

8.
Il biancospino ha raggiunto
il pozzo. Fremono
stelle e petali nel secchio

Stupore..incantamento…  e poi?

9
Ceno da solo stasera.
Invisibili compagni i miei dubbi,
i miei pensieri,
i miei tardivi pentimenti.

Avvicino alle labbra il tovagliolo,
guardo il vino
già in fondo alla bottiglia
e il bicchiere vuoto.

Distrattamente
sposto la forchetta
tentando una qualche simmetria
che ormai non ha più senso.

D’un tratto,
amara, mi cade addosso la notte
e sarà maledettamente lunga,
infinita. 

C’è l’avvio… la vaghezza di quegli “invisibili compagni”… quali pensieri, quali pentimenti? E quella chiusa ancora più vaga con quegli aggettivi generici attribuiti alla notte: amara, lunga, infinita

10.
Quando mi adagio,
sulle onde del corpo
per farti entrare
nel mio amore,
il tuo bacio mi scioglie la lingua
la tua carezza mi fa da esca.
Il tuo abbraccio è forte,
non ho nessun pudore.
Tu in me,
Io in te,
i nostri corpi avvinghiati,
le nostre anime incastrate,
denti, labbra, seni e braccia,
gambe, spalle
sono le tue e le mie.
tremiti, fremiti
e il tutt'uno,
di un amore,
mai abbastanza compiuto.

E  lasciamo passare le “onde del corpo”,  ma la situazione erotica è tutta  troppo dichiarata, descritta nella sua genericità  quasi di oggetti anonimi (l’elencazione anatomica dei pezzi)… …possono i corpi degli amanti non essere “avvinghiati”? e  non  è banale quel “nostre anime incastrate”

11.
Attorno alle case ancora silenti,
da poco emerse dalle ombre notturne,
si distendono i frutti della mia terra.
Come custodi gelosi del ritmo vitale delle stagioni
mutano colore seguendone attenti i passi.
Le verdi viti, gonfie e ricche,
pronte ad offrirsi in un secolare rito,
intatto nella sua essenza,

L’idillio, il maledetto idillio…. Quel ‘ silenti’ !
E, altro esempio, dove l’idillio però tende a smorzarsi nel realismo:

Fievole il prato azzarda
uno squillo di verde,
bruni ancora d’inverno
e di foglie testarde
gli alberi affacciano fragili germogli.
Ma non è campagna,
corrosa da lamiere butterata di cemento
ammorbata da cataste
vi stridono colori sfacciati e grigi tombali.
Campi solcati da capannoni e strade
l’occhio non sa dove perdersi,
solo coi suoi cipressi
galleggia un cimitero.
Sperduto un contadino
vaga col suo trattore
cercando zolle da rianimare.

12.
ansimava l’agosto
piovevano sorrisi dalle viti
e miagolii a frusciarmi le vesti,
i garofani ribelli contesi
al basilico, i galletti stonati
lottando nei giochi,
era un verde odore di vento
e menta, e in quella salita
il cielo si vedeva forte:

L’abbandono ai ricordi d’infanzia, la sottile nostalgia  e poi?

13.

Il mio cuore di figlia mi impediva di vedere.
Non potevo vedere il vero,
non potevo urlare il vero.
Non potevo sopportare il vero.
Avrei perso completamente anche la parvenza
di colei che né poteva né voleva darmi amore.
NON SONO IO A DOVER CHIEDERE SCUSA,
NO, NON SONO IO.
NON IO. 

L’urto di una denuncia,  la  sua teatralità , retorica della ripetizione ( Non potevo…) l’autogiustificazione.. La poesia usata come sfogo, sfogo che non si tramuta in qualcos’altro e sembra aspettare la trasformazione dagli altri a cui si espone nella sua immediatezza…
Per contrasto sul contenuto e sulla forma, ma eccedendo in reticenza e sublimazione:

Apro la scatola.
Adagiate
matasse di fili
ordinate
colorano lo spazio
perfetto.
Sanno di mamma.
Rinchiuse in un ieri 
di mille anni fa,
intatte e fresche
di quell’odore
di bucato e cucito
di quelle stanze
lucide di cera e patini
di quel cantare
sciacquando i piatti.
Dialogo interrotto
sospeso
nella sabbia
della clessidra.

14

Ad ogni giro
ad ogni scintillio
si libera un pensiero
che gira col mandala
e vola via
e macina pensieri
e macina distanze
il cerchio rotolante
il suono fracassante
nella città silente

Insistita ricerca di un ritmo musicale   che si affida alla ripetizione all’allitterazione a scapito dei significati ( o forse per espungere proprio i significati)

15

La panchina ai giardini di Palestro
è di fronte al laghetto artificiale
con anatre e topi giganti
che sfilano al sole davanti ai bambini
la domenica pomeriggio e i padri
- sempre più rari - ad ascoltare
tutto il calcio minuto per minuto. 

È una descrizione, un bozzetto, immagini visive colte al volo.. Se ne potrebbero  fissare  altre mille..ma il poeta è un semplice registratore di immagini ?

16

Non è ancora vuota la bottiglia
ne resta un fondo più alto del solito.
I topi giganti si leccheranno
le dita sulle sponde del Pavese.
Il telegiornale elenca le solite
quotidiane percentuali di ribasso:
il prodotto interno lordo gli indici
di borsa pretesto per chissà quali
altre porcherie. Mi chiedo se sia il caso
di intervallarle con una mela.
Mi ritroverò anch’io a dividere
a produrre spaccature fessure
vuoti. Riporrò con cura la cravatta
nell’armadio senza disfarne il nodo.
Ho dato tutto quel che avevo
fate di me quello che volete.

Meccanicità della registrazione. Genericità dei commenti ( es.“ pretesto per chissà quali porcherie”). La rassegnazione  paurosa ( da far tremare) dell’io di fronte al mondo esterno che gli sfugge.

17

fucilatemi! Fucilatemi!
Non è perché sono qua
che sono viva.
Se lo sono
è per loro, per via degli
imprescindibili, coloro
che non cessano mai.
Dalla gabbia/prigione
di un balcone la piccola
in Via Stendhal non usciva
nonna - lupa diceva che puzza!
quei monelli dei giardini
tutta fuffa là sotto
solo occhi allora sguardi
alternati fuggenti là sotto
o fissi all’oblò rotante
della centrifuga.

Cosa saranno quegli “imprescindibili / che non cessano mai” incuriosisce ( e un po’ irrita)… Però tutta una storia, un dramma di bimba è reso attraverso immagini  veloci.. ( qui c’è denuncia sottintesa, non dichiarazione della denuncia …)

18

Scendo a Monterosso
piove e tolgo gli stivali
sento i sassi sotto la pelle
mi batte un vento pieno di sale
e strana inebriante solitudine
(come in quel film nessuno
si accorge che lei non è tornata).

Con la lingua assaggio il sale sulle labbra
e mi risucchia il nero interminabile.
Subito cerco di telefonarti
per dirti che oggi
ho visto il mare.

Diarismo. Poesie che restano nei quaderni degli innamorati.. quanto generici quei due aggettivi: inebriante (solitudine), (nero) interminabile

19

Roma è svegliarsi all’alba
caffè bevuti in fretta
la nausea del sonno e della strada.
Ma ecco immensi spazi
di luce, mura che raccontano
vite di millenni lungo gli argini,
Roma caput mundi.
Roma è un vestito da sposa,
un Padre che accarezza,
occhi stanchi, vivi del mondo intero.

Soggettivismo dell’immagine esterna ( Roma) e poi lo slittamento  nei luoghi comuni ( Roma caput mundi). Invece di tener fuori dalla poesia le frasi fatte si rincara la dose aggiungendovi una spruzzata di sublimazione simbolica ( Roma= vestito da sposa=padre)

20

Ma i muri ascoltano e d’inverno
ripetono storie incomprensibili
solchi di dolore nel giardino stridulo.

La casa dove torno a primavera
ha stanze-parentesi riempite
del prima e del dopo
un’anima di nausea, di morte sussurrata,
di seme custodito, un’anima di finestre
di legno scuro, che ascoltano voci di figli
e uniche sanno.

Interessante quest’antropomorfizzazione o animismo degli oggetti ( muri, finestre di una casa). Anche l’immagine delle stanze-parentesi  mi piace. E non manca, a evitare  la caduta nell’idillio, l’allusione a qualcosa di nauseabondo e mortuario che sta nelle cose

21
Attimi fissati
e resi eterni
ritornan sentimenti
ancora vivi
solo un po’ impolverati
dalla sabbia
di clessidre impietose.
Vecchie foto
stasera


Genericità dell’avvio. Genericità della conclusione.  Terra terra: ma qual è il contenuto delle foto  (del passato)?

22
La libertà tocca rapida la spuma
una volta ancora
poi ricade indietro in dissolvenza
e s’ispessisce in un crepuscolo incombente
di cambiamenti autunnali: le sere desolate
maturano nei toni color seppia di occhi impazienti
e i colori non sorgeranno più abbronzati e azzurri
fino al rilascio e al ritorno prodigo dell’anno —
grigiori senza sorprese il prezzo da pagare
perché l’umore freddo sia spazzato via, schiumante.
                              
Poi il primo fiore sulla scogliera
rosso e brillante
ad espugnare i pensieri
profondi, sepolti nella mente nuvolosa.

Qui siamo fuori dal descrittivismo banale o che non sa dove andare. Una sola osservazione tra le altre che meriterebbe. C’è il rapporto d’ascendenza romantica tra esterno ( il paesaggio) e interno (i sentimenti o i pensieri di chi parla).  Ma è reso  con immagini  di un colore omogeneo (toni color seppia, colori più abbronzati e azzurri, grigiori ) cariche di sentimenti  non dichiarati, ma resi in un linguaggio dal tono alto e misurato.

22
menti a te stesso — e a me —
se la tua ostinazione giustifica la vita
stendendola pulita sulla pagina
tra margini tagliati col coltello,
pregando e chiedendo nel terrore
di chiarirne i meccanismi interni
bloccati dalla sabbia e dall’inchiostro.

A confronto con:

Troppi anni ho vissuto
prigioniera
nella rete della rabbia
e quanto tempo,
dopo, quanto dolore,
per capire
che non odio, forse
ti donava
lame di parole
arroventate
di minaccia e disprezzo,
ma paura,
paura di essere negata

Forse  nelle due poesie affiorano sentimenti simili (delusione, rimprovero a una persona amata, perduta). Ma nel primo caso la distanza dal vissuto è netta e ottenuta attraverso immagini efficaci, incisive (icastiche) [la vita stesa “pulita sulla pagina/ tra margini tagliati col coltello”]. Nel secondo  l’accumulo di termini astrattissimi ( dolore, odio,  minaccia, disprezzo, paura) non supera  il muro di un  vago psicologismo

23

[Milano]forse ti vergogni del tuo cancro al seno
o forse ti vergogni dei figli della colpa?
Tenti di disfartene tra Opera e Bollate
ora che il problema diventa più bruciante?
Non pensi che con un caro abbraccio
molti di questi bracci potrebbero svuotarsi?
Avvicina i tuoi figli prediletti ai suoi fratelli,
non aver timore, noi pure siamo figli tuoi. 

Lo schema è quello dell’invocazione- rimprovero ( qui popolare, umile, castigata)  alla città personificata ( qui quasi madre) da parte di oranti respinti e che vorrebbero essere invece riconosciuti come figli. I termini (cancro al seno, figli della colpa, figli prediletti) sono ripresi dall’ immaginario cattolico.  La forma qui occulta la drammaticità del contenuto (il drmma dei carcerati relegati in periferia)

 24

Un riflesso là sul balcone del primo piano
Un cartellone della pubblicità, sul murone del palazzo in questione:
“Tutti aumentano, io no – Mondo Convenienza”.
Una signora che porta due sacchi abbandonica,
un’altra più avanti che parla e cammina,
un’auto che fa retromarcia dietro la mia.
Ancora un esempio di descrittivismo quasi in presa diretta che può durare all’infinito… Ancora un poeta-registratore

25

Perché eri cresciuta.
Perché eri a scuola.
Perché eri a danza.
Perché ero triste.
Perché ero anestetizzata.
Perché ero solo una presenza.
Perché qualcuno mi gridava nell’orecchio.

Quanto intorpidimento della mente e del verso in quei ‘perché’ e in quell’imperfetto del verbo essere in fila come soldatini in serie…

26
Ci regalò l’autunno
e poi l’inverno
l’acqua scrosciante
e un giorno… la neve.
La primavera no. Io non la vidi
insieme a te.

M’avvolge il caldo adesso
e sul mio letto
giro e rigiro le mie belle gambe.
Le sollevo.
Le allungo.
Le spalanco.
Loro ci sono
e tu…
non ci sei più.

Non va al di là di un capriccio  leggero e autocompiaciuto per un amore finito

27

La notte sbuffa di tutti i nostri infanti superlativi.
Odiamo entrambi gli -ismi, non le parole innamorate,
i sillogismi che spiegan cubitali
la terra l'aria l'incubo del mare.
A noi ci piace il labirinto, lo schema irriducibile della metropoli,
la febbre dei discorsi
che fanno le ore piccole
che inciampano fra gli scomparti vuoti
della 90.

       - Tutti gli uomini sono mortali
                         e Socrate è un uomo...

[…]
Dirti che gli occhi tuoi son come schegge
e il timbro della tua voce un filo di rasoio
un piccolo giudizio universale
che scalcia ogni sentenza
per la colonna vertebrale?

Dirti che tremo di spavento sul limine delle tue porte
che qui non c'è la morte
seppure

Un tono confidenziale da io poetico che si confessa, … punteggiato da intellettualismi, riferimenti colti e  termini ricercati (‘ sul limine’)… Il rischio: chiacchiericcio che può andare avanti per pagine

28

niente perdite di tempo
e risultati sempre interessanti
conducono a una tranquillità
che non ha lo sguardo spento

la ripresa non è frenata
non indugia non si lancia alla cieca
fa la cosa giusta al momento giusto
non sbaglia nessun intervento

nei momenti di difficoltà
una buona via d’uscita è quella che
impassibile non si fa distogliere che
rimane in attesa freddamente

freddezza intellettuale.. ipercontrollo quasi ossessivo: una sorta di breviario dell’efficienza messo  nella
gabbia-controllo delle quartine…

29

in ogni cascata si gettano gli invisibili
si sentono i loro tonfi i gridi

scrivere vuol dire raddoppiare ascoltarli
entrare guardarsi guardare in uno specchio

[…]
la scacchiera è stata appena sgombrata
eppure vi si avverte ancora la partita

non si arrende lo sconfitto sovrano
e il vincitore teme ancora

[…]

LA FELICITA'


camminando per la via l'ho vista davanti
né grande né piccola né bella né brutta

né invisibile né visibile
era lì dietro un cancello

Anche qui   freddezza intellettuale accresciuta dalla scelta di una forma fissa  (tutti doppi distici). Il pensiero fa ginnastica. C’è una cura dei significati sottile e varia. Siamo sulla sponda opposta dello sbrodolamento che tende al prosastico.  Il rischio della concisione? La fuga dal dramma, la sua repressione…

30

Celebriamo la dissoluzione negli elementi
In rete ci modifichiamo Con ferma furia
Il doppio estirpa dalla terra le ferite
Dissimula certezze
e gode dell’ora scaduta
Davanti a voi un altro noi

Il buio si snocciola tra i denti
della volta e dell’io

Tono oracolare, teso…una sorta di superomismo che agisce in un paesaggio vuoto, astratto, paurosamente metafisico…

31

Dove sei poesia balbuziente di un bimbo
che piscia su una telescrivente.? Dove sei?
Dove sei grande fannullone beatnik?
Dove sei Ginsberg? Fai sentire la tua voce,
inalbera la tua poesia, noi siamo prigionieri del vuoto
e non abbiamo più le parole per agire. Dove sei?
Dove sei Rilke, chi canterà un’elegia per la morte della Civiltà Occidentale?
Dove sei Salvatore Manoiero? Dove sei caduto sconosciuto,
nessuna medaglia per te, solo una discreta pensione,
eccoti almeno un ricordo: la Brigata Catanzaro è presente!
Dove siete? Dove sono le barbe illuminate di Marx ed Hengels?
Dove sei Nietzsche? Ritorna dalla tua follia,
rischiara dal passato quest’inutile ritorno.

Un Villon troppo telegrafico. Un citazionismo esasperato. Eccesso di letterarietà e di riferimento colti

32
Ogni giorno che trascorre,
ciascuno, alla propria ora,
riprende il sentiero,
accenna dei passi di danza
verso l’Eden.
Un piccolo tentativo,
qualcosa di più
di un’inezia,
un movimento delicato
e deciso, ancora interno
come il battito dei polsi.

E la volgarità,
non vorrebbe mostrare
quella terribile nostalgia.
Pulizia.. non descrittivismo

33

Dunque è questo, l’arrivo.
Questo  odore di chiuso, di polvere nei tappeti,
il silenzio sigillato dal giro di chiave
che si sfalda in echi sulle scale,
 il tocco incerto sulle pareti
 che frantuma la distanza
e qualcosa di un giorno  impigliato per  le stanze,
quasi  dimenticato lungo il viaggio
- i mille occhi smarriti dentro l’aria -.

Tono un po’ troppo solenne, che tende al mistero, alla velatura metafisica.
Simile la proiezione metafisica ma più solare e gioiosa:

Quei giorni in cui la neve sa di verginale
e vi sfavillano coriandoli,
polverio di sole che accende dentro
 memorie sopite.
Quei giorni in cui un sole sontuoso apparecchia
una bellezza ridondante
e paiono gli abeti preghiere a fior di labbra, per un grazie fiorite
e non per supplicare.
Quei giorni in cui l’anima si staglia netta, ebbra del suo esistere,
dimentica di dubbi e mezze tinte,
sciolta da bavagli e lacci.


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ora come in quell'8 ottobre 2009 una 34° poesia é stata dimenticata. Eccola:

Masque

Sulla panchina dell’anima sei fermo in
sguardo diritto e occhi che perdono luce

La maschera morte danza la tua vita e
t’invita a due
ma non è il tuo passo.
Senza tempo né tempi bacia, sussurra, t’accarezza e non dice
sei tu la tua morte.

Spenti i colori reali
e la luce trionfante ora
accendi le tinte
all’altra metà trasparente al nero
E’ finito il rosso, l’oro, il presepe e il Natale
il bianco, le tuberose e i veli.
Verde giallo e primavera.
Un grigio
sperato perla e madre,
dipinge rigido
lo stupore fermato bianco.

Andarsene.
Addormentarsi partendo.
Tempie battete, cuore fermati.
Nessuna tromba arpe e flauti
né cori di mille.
Ma
un raggiungibile mi moll maggiore nel cuore
e un silenzio clessidra di pace
sopra un campo
di grano
Torri e fichi, grilli, idilli,
e profumo del mosto addio

Andarsene
via dalla finta innocenza meridiana, poggiato amato
nel profondo dello scavo
profondo
della terra sotto terra

Da dietro la finestra dell’anima e
dal rinato grigio,
i pensieri della perdita
aprano ora il tuo passaggio.
Ora
ora sia azzurro e contento il giorno
che l’insospettato dio
ti viene incontro

Prati verdi reggano il tuo passo,
una mano che non tocca se vacilli.
Canzoni e versi ora
comprendano con me la tua tristezza
scolpita nel marmo

di
Giuseppe Beppe Provenzale

ps. purtroppo la rigidità del programma impedisce il corsivo, qui fondamentale per il dialogare dei versi.

Anonimo ha detto...

Giuseppina a Beppe Provenzale

Mi ha colpito la parte finale del testo. La forma colloquiale dai toni teneramente umani pulsa di una confessione di benevolenza e generosità. Chissà perché? Mi ha fatto ricordare questi versi che Samuel Taylor Coleridge scrisse nel 1802.

(…) Oh, Donna! Noi riceviamo solo ciò che diamo
E solo della nostra vita la Natura vive:
nostro è il suo abito nuziale, nostro il suo sudario.
(…) È mezzanotte, ma pochi pensieri ho di sonno:
ben di rado possa l’amica mia simili veglie trascorrere!
Visitala, Sonno gentile! Con ali risanatrici,
e che questa bufera si sfoghi solo sui monti,
tutte le stelle pendano lucenti sulla sua dimora,
tacite come in veglia alla dormiente Terra!
Con lieto cuore possa lei levarsi,
umore gaio, occhi ridenti,
gioia le allieti lo spirito, gioia le accordi la voce;
le cose tutte le siano vive da polo a polo,
la loro vita il turbinio della sua anima vivente!
Spirito semplice guidato dal cielo,
cara Donna di mia scelta amica la più devota,
così possa tu sempre, sempre più gioire.