mercoledì 26 gennaio 2011

CRITICA
Leonardo Terzo
Ridare funzione politica
alla poesia:
leggere attentamente
le istruzioni.

Da http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2011/01/ridare-funzione-politica-alla-poesia-leggere-attentamente-le-istruzioni.html









La questione di ridare una funzione politica alla poesia e alla letteratura deve affrontare il problema della particolare natura che l’arte ha assunto dal momento in cui, dal Settecento, si è resa una significazione autonoma, dando luogo al campo concettuale dell’estetica.
Il problema sta nel fatto che la produzione della bellezza - fine specifico dell’estetica - utilizza comunque dei materiali che appartengono a tutti gli altri campi della realtà umana, cioè il sapere o i saperi. Tali materiali hanno un loro significato e valore originario, che viene trasformato e trasfigurato, e quindi osservato, fruito e interpretato in un nuovo contesto funzionale, culturale e addirittura “cultuale”, dove acquista un suo senso “altro” e specifico.
La contemplazione estetica implica infatti non solo un piacere sensibile e una comprensione intellettuale, ma anche un’aura di ammirazione estatica e di trasporto emotivo assimilabile appunto al culto. Ciò disturba chi vuol ridurre la letteratura a discorso letterale e referenziale. Di qui l’accusa di fare dell’arte una religione. Che cosa voglia dire “religione” per chi lancia queste accuse non è chiaro, ma è certo un significato spregiativo. Forse si intende fede cieca in qualcosa che non si può capire.

Il rapporto dell’arte con la politica, visto come rapporto con un settore della realtà sociale non estetica, è complicato dal fatto che l’arte, e in particolar modo la letteratura, non appare davvero autonoma, come per esempio le scienze naturali quali la fisica, la chimica ecc. Essa opera invece nel campo delle conoscenze attinenti alle cosiddette scienze umane, che si occupano del significato che i gruppi umani danno alla vita individuale e sociale.

Ne deriva una facilità di commistione e confusione non del tutto legittima, ma neanche del tutto arbitraria, perché l’arte letteraria non prescinde dalla comunicazione di senso e di valori. Essa è solo una comunicazione per così dire “cifrata”, cioè ambigua e polisemica, dal punto di vista dei significati. Ma soprattutto vuole comunicare anche, se non soprattutto, attraverso le forme e le tecniche, che assumono così una carica semantica connotativa e, come dicono i semiologi, "sovrasegmentale", complementare o addirittura conflittuale con quella denotativa e apparentemente referenziale. La forma diventa così significato, ma anche il significato è una forma, cioè si articola in modi che aspirano ad essere espressivamente inediti ed efficaci, in modo da suscitare interesse e ammirazione.

Questo modo di “essere” e di procedere viene avversato da chi non ne intende la natura e la fecondità. Ma non si può ridurre la letteratura a diretta espressione degli interessi e delle ideologie dello strato sociale a cui per esempio si ritiene appartenga l’autore, anche quando l’autore pretende di esprimere proprio quella ideologia. Vedi il caso del poeta presunto critico da una posizione che lui ritiene radicale che più radicale non si può, che invece finisce per scrivere una poesia vergognosamente razzista. O viceversa la poesia “Sant’Ambrogio” di Giuseppe Giusti, che descrive un caso in cui si trascende la natura politica del “nemico” austriaco, per scoprire una fratellanza umana “internazionale” svelata dal fascino della musica.

La poesia aspira sì ad essere inserita nella pratica comunicativa, mantenendo però i suoi privilegi. Cioè vuole essere usata, ma a suo modo, con una sorta di patto fruitivo, come quello degli spettatori a teatro, che sanno di assistere ad una finzione, ma “sospendono l’incredulità”, per entrare nel mondo rappresentato e vivere coi personaggi e attraverso di essi. Allo stesso modo il lettore di poesia dovrebbe entrare nella dimensione poetica e sospendere la pretesa di una diretta referenzialità, per ricevere quella comunicazione speciale che lo compensa dello sforzo, gratificandolo con il piacere di una conoscenza fino allora impensata, espressa in una musica inaudita.

Questa comunicazione cifrata e fino allora inedita e segreta potrebbe essere sia rivoluzionaria sia conservatrice in termini di ideologie referenziali vigenti, ma sempre sovversiva appunto perché è, per sua natura, “cultuale”, nel senso che è capace di rivelare uno spostamento di visione in un’altra prospettiva. Una prospettiva che, partendo dal linguaggio, dalle tecniche, dalla costruzione di  nuove forme del contenuto, rivela, spiazza, sovverte, oppure anche conferma, ma produce comunque il proverbiale “shock del riconoscimento”, cioè fa capire ciò che magari sapevamo già, ma non eravamo così limpidamente coscienti di sapere.

Naturalmente tutto ciò vale perché, e se, la poesia è bella. Ecco quindi che la letteratura, proprio perché è fatta del linguaggio usato anche in tutte le altre funzioni, incide più chiaramente delle altre arti sulla nostra filosofia di vita, e dunque su tutti i nostri atteggiamenti, anche etici e politici. Ma lo fa attraverso la bellezza, perché senza la bellezza la poesia è una pistola caricata a salve. Non produce effetti reali, per lo meno non effetti di emancipazione, ma solo regressione e autocompiacimento ideologico.

Una riduzione agli effetti politici immediati priverebbe la letteratura del suo distinto modo di significazione, sterilizzandone l’iperfunzionalità comunicativa. Infatti uno degli specifici compiti della letteratura di invenzione è di intensificare e accrescere il distanziamento che il linguaggio, il pensiero e la cultura nella sua totalità, pongono come interfaccia tra le pulsioni istintive della vita come energia bruta e la loro elaborazione in coscienza.

Il riduzionismo politico del testo letterario ne fa un’articolazione “unidimensionale” degli ideologemi esistenti, e mira a neutralizzare ciò che l’arte potrebbe aggiungere all’interpretazione della vita e al pensiero politico stesso.

La letteratura si pone come meta-linguaggio che, riflettendo criticamente sui mezzi espressivi stessi, mira a rendere problematico il significato referenziale, invece di limitarsi a trasmetterlo. La separazione tra fatti e finzione (fact and fiction) rende impossibile ogni equiparazione automatica del valore letterario al valore strumentale alla politica.

Nella pratica si verificano tuttavia tante occorrenze diverse. I giudizi estetici, necessariamente condizionati dal contesto sociale e ideologico, possono essere sottoposti a confutazione e revisione, ma i criteri estetici non sono completamente arbitrari, così come arte e ideologia non sono sfere irrimediabilmente separate e antagonistiche. Di solito sono miste e di volta in volta l’arte o l’ideologia possono essere dominanti a seconda delle scelte prioritarie dei gruppi sociali. Egualmente la letteratura e la dimensione estetica possono prestarsi all’utilizzazione politica o resistervi. Oppure l’autonomia estetica può essere mistificata come sfera trascendentale, indipendente dal suo contesto storico. D’altra parte, la complessità e la difficoltà interpretativa si prestano a de-familiarizzare la cornice ideologica entro cui operano, ma sia da posizioni conservatrici che da posizioni radicali.

Stabilito che la complessità formale del testo è sempre socialmente mediata, la sua “apertura” potenziale non genera di per sé un sapere radicale, e deve essere suscitata e recepita dagli interessi pragmatici dei lettori. Essa può resistere e trascenderli, ma in linea di principio può anche accettare una posizione ideologica acquisita, anche in termini di convenzioni e forme di rappresentazione. Essa può essere considerata elitaria o politicamente ingenua. Al contrario testi politicamente rilevanti possono avere una portata estetica capace di sfidare il canone in termini di interessi politicamente cogenti. Un’arte esteticamente sovversiva può rimanere elitaria e politicamente inefficace, mentre un prodotto dei mezzi di massa può avere un effetto politico, pur non essendo innovativo e aperto. Tutti questi casi vanno di volta in volta riconosciuti e decifrati.

L’efficacia politica ha sempre di fronte queste alternative. Ma ai mezzi estetici non si può chiedere a priori di svolgere un compito immediatamente politico o di ottenere un esito prestabilito, proprio perché l’estetica è un tipo di discorso che, sebbene operi in un contesto politico e abbia una reale importanza come tale, deve essere considerato e accettato alle sue condizioni, e non costretto lavorare in modi impropri, più semplicistici e diretti. Il compito specifico del discorso letterario è operare al livello inventivo e immaginativo dell’originalità: se non è formalmente innovativo non è politicamente efficace, e neanche politicamente corretto.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

"se non è formalmente innovativo non è politicamente efficace". E' questa frase conclusiva quella che mi ha toccato maggiormente. Se ne può discutere, ma è vero e osservabile che ogni artista che voglia essere partecipativo, o impegnato, cercherà l'unicità della propria forma espressiva, l'originalità. Ognuno poi s'inventerà i propri stratagemmi per non allontanarsi troppo dal referente, per qualcuno è semplice, per altri meno. Io per esempio scrivo tra la gente, spesso seduto al tavolo di un bar, altrimenti sarei di un altro pianeta.
mayoor

Anonimo ha detto...

Leonardo, ciò che hai scritto mi ha fatto comprendere quello che "già sapevo ma che non ero
così limpidamente cosciente di sapere".GRAZIE Emy

Moltinpoesia ha detto...

Il "Politecnico" è lontano dal popolo, esso esalta le avanguardie e l'arte decadente, alla continua ricerca del nuovo ( tratto senza vergogna da Wikipedia dove si sintetizza un pensiero di Togliatti).
Poi crollò il muro di Berlino e con esso il senso del partito. Può sembrare che certi contenuti si ripresentino ma non sono gli stessi.

mayoor