venerdì 11 febbraio 2011

CONTRIBUTI
Lucio Mayoor Tosi
Gli intellettuali e l'esperienza



Ritengo che dal punto di vista esperienziale, l'attività intellettuale sia da ritenersi non-concludente. E ritengo che chi sostiene che gli intellettuali debbano svolgere il ruolo provocante del risveglio delle coscienze, vuoi nella direzione di combattere l'ingiustizia o più semplicemente per sconfiggere l'ignoranza che genera apatia e asservimento, si sbaglino se credono che ci si debba concentrare principalmente sul dissenso oppure sul miglioramento qualitativo della cultura. 

Manca il rilievo della verifica esperienziale, cioè l'osservazione dello stato delle cose, meglio se condotta senza l'ausilio di qualsiasi ideologia. Con questo non intendo puntare all'azzeramento del dibattito, al contrario vorrei porre un valore aggiunto e fin qui sottovalutato, quello per cui ogni idea intellettuale, ogni concetto e ogni aspirazione, debbano avere il coraggio di confrontarsi con la sensibilità e l'osservazione del vissuto personale.

Per farlo bisogna considerare che ciò che non è strettamente personale è ideale, o idealistico, porta cioè a confrontare continuamente e forzatamente lo stato delle cose con l'idea di come le cose dovrebbero essere.  L'ideale rimanda ad un reale posticipato, da conseguire, e non vede quanto questo sia già così presente e ben visibile in chiunque, basta si osservi approfonditamente e non ci si accontenti delle interpretazioni stereotipate offerte dai media (anch'esse portatrici di altro idealismo). 

Considero che ogni individuo, per il fatto che può avvertire in se', e all'istante, il manifestarsi del senso di oppressione, ancorché ne capisca o meno le ragioni, sia potenzialmente un valido soggetto critico, e quel che più conta anche il principale artefice della propria liberazione. Opponendo alla staticità atemporale dell'idealismo la mutevolezza del presente riconosco in quest'ultimo la possibilità del cambiamento e la trasformazione conseguente dello stato delle cose. Provare per credere. 

Io lo chiamo senso di oppressione, ma recentemente e usando un termine più sociale Vendola lo ha chiamato senso di precarietà ( termine da intendersi più diffusamente del precariato, che riguarderebbe tutte le classi sociali seppure ciascuna con le proprie ragioni), ma lui fa il politico e io sono un individuo poeta che per andare nel mondo sale e scende dall'ascensore di casa.  
A proposito, e qui mi riferisco all'ideologia della bellezza proposta da Kemeny aprendo una parentesi per alleggerire, proprio per dare esempio di come funziona la verifica esperienziale, mi sono chiesto se l'ascensore di casa mia sia brutto oppure bello. Non ci si può sedere come su certi vecchi ascensori milanesi fatti di legno, è chiuso e irrimediabilmente dannoso per chi soffrisse di claustrofobia, è realizzato con materiali diciamo standard, vale a dire con un soffitto bucherellato industrialmente da cui passa la luce... insomma è povero. Già, e così ho capito che la bellezza, oltre che risiedere necessariamente in chi guarda, appartiene ad una umanità di là da venire, più ricca e meno preoccupata per capirci. Chiusa parentesi. 
Anzi no, alla Darsena il comune ha iniziato i lavori di restauro della zona, hanno messo delle transenne di legno (comprate in Svizzera?) per delimitare la zona sottostante alla strada di via Gorizia, strada che vanta una bella balaustra di pietra, solida e pressoché eterna. Che miseria, perfino ai tempi della monarchia quel misero scorriamo di legno non l'avrebbero permesso. Va così secondo me, che molti sono poveri mentre altri sono miserabili.  

L'attività intellettuale è da ritenersi non-concludente ( diverso da inconcludente) se confrontata con l'esperienza. Perché? Perché l'esperienza, che non è trasmissibile se non facendo altrettanta esperienza, giunge sempre a compimento e cessa con la morte, mentre l'intellettualità sembra vivere in eterno. Da Aristotele, Kant, per giungere se volete a Pasolini o a Vittorini, la fervida attività intellettuale non conosce sosta, ne pare che mai la conoscerà.   Il punto sta nell'unità di misura che è il sociale, ma non il rapporto tra l'individuo e la società bensì quello tra una casta e l'altra, gli intellettuali e la società, gli emarginati, le donne… e i poeti, anche noi una casta? Leopardi o Leopardiani (di nuovi tra i condivisibili non ce n'è tanti), il discorso si fa lungo. 

1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Lucio, gli ascensori sono brutti finchè non ti viene un sciatica e abiti al quarto piano, allora ti va bene tutto anche una carrucola. Questo per dirti che devono essere i giovani a fare in modo che giustizia e bellezza vadano di pari passo, purtroppo la politica non è bella e neanche l'impegno che essa richiede ma prima o poi ci sarà pur qualcuno che vorrà darci una mano a rendere più bella, dignitosa e giusta questa nostra Italia. Sono certa che non sarà molto difficile visto che la nostra terra è già molto bella almeno in parte.Intanto io continuo a salire le scale non ho l'ascensore...dicono che faccia bene alla salute e alla vista , visto che le mie sono ancora di pietra. Ciao Emy