martedì 8 febbraio 2011

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Autori vari
Nella ricorrenza
della "Giornata della memoria"
(27 gennaio)

In occasione della "Giornata della memoria" sono stati proposti alcuni testi poetici sulla tragedia degli ebrei sterminati nei lager nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Nella mailing list "interna" dei moltinpoesia si è svolta una vivace discussione concentratatasi soprattutto sul chiarimento dei significati letterali ma anche politici di termini come 'Olocausto', 'Shoah' e 'genocidio' e, secondariamente, sulla possibilità di accostare quella tragedia  ad altre passate o attuali. Non  essendo riusciti a concordare una sorta di "editoriale condiviso" che facesse da introduzione ai testi, pubblichiamo quelli finora ricevuti, invitando chi lo desidera a riprendere nello spazio dei commenti la discussione sia in generale sia sui testi pubblicati.
                          Redazione MOLTINPOESIA

Emilia Banfi

OLOCAUSTO.

Dio d'Israele riconoscimi
almeno tu
quando passerò dalla fiamma
sarò come goccia di mare
nella risacca.

Dio d'Israele
cercami ritrovami
nuda nel breve istante
stringerò forte
soltanto il mio nome
nel grido:
-RACHELE- .

Fabiano Braccini

OLOCAUSTO – SHOAH – GENOCIDIO

Una pietra è una pietra:
cambia nome a seconda di quando si trova, di chi la trova.
E in che luogo si trova:
in Portogallo è pedra, a Parigi è pierre,
a Londra è stone, in Spagna è piedra, a Mosca è ctoyh, in Germania è stein. 
Ma una pietra è una pietra.

Vi sono oggetti simili a una pietra:
più preziosi, più geometrici, più accidentati, più levigati o più grossolani.
Li potremo anche chiamare pietre,
forse li utilizzeremo come pietre, li scaglieremo come pietre,
diremo che sono uguali alle pietre.
Ma solo una pietra è una pietra.

Vi sono pietre colorate di riflessi lucenti o scure come il buio di notte,
Pietre mascherate da pietre.
Pietre per lavorare, per arredare,
pietre per costruire alti campanili e torri, dighe o serpentose muraglie
Pietre per seppellire e pietre per segnare i confini della terra.
Ma una pietra è sempre una pietra.

Ciò che nel lager è stato perpetrato possiamo chiamarlo olocausto, shoah, martirio, genocidio.
Potremo pure battezzarlo: sterminio, strage, massacro, eccidio, macello, ecatombe:  
V E R G O G N A.
Ma quello che è stato fatto rimarrà per sempre ciò che è stato!
Sarà per i secoli dei secoli una pietra:
UN NERO MACIGNO DI PIETRA SULLA STORIA DELL’UMANITA’.

Ora, per favore, taccia il cinguettìo petulante,
il verseggio del filologo e il frullare del filosofo. Si revisioni il revisionismo,
si lasci la negazione alla pipa di Magritte solamente.
Si chiudano gli occhi e si pensi:
a lungo si pensi, profondamente si pensi, immedesimandoci, si pensi.
Si accendano lumini gialli, si ascolti in silenzio il vento di un fumo lontano.

E si ringrazi -in ginocchio, in piedi o supini, con sollievo o col pianto-
la storia, il destino, la dea bendata, il Dio di ognuno che crede o forse ‘il caso’:
se in quei campi, in quelle baracche tra la corrente del filo spinato;
se in quel tempo, in quei giorni,
in quegli istanti d’eternità,
noi non ci siamo stati, noi non ci siamo trovati là.

Milano, 31 gennaio 2011

Grazia De Benedetti

IO VENNI DOPO (pensando alla Shoah)

Io venni dopo.
Dopo la paura e l'angoscia
dopo le fughe e il coraggio
dopo le preghiere e il supplicare
dopo il perdersi e il cercarsi
e il ritrovarsi e il contarsi
e lo strazio, lo strazio delle assenze,
il vuoto di chi non torna più.

Io venni dopo,
nell'ora delle labbra serrate,
del dolore troppo cupo
per mostrarsi,
della memoria rappresa
in uno sguardo sfuggito,
dei nomi carezzati in un sussurro.

Io venni dopo,
assorbii lo strazio
che nessuno ha raccontato
e la paura
di essere quello che sono.
E dell'orgoglio pure
m'intrisi
di quella identità
e di quei morti
che sono i miei morti
e vivono
perché io vivo,
scrigno di memoria.

Maria Maddalena Monti

SHOAH

Siete saliti su quel treno
si sono chiusi i battenti
sull’ultimo scorcio
di pace.
Alla rinfusa,
in quella stanza
le vostre valigie,
i vestiti, le fotografie
e qualche ben nascosta
gioia.
Quel calore di bestie
ammassate…
Dov’è il caldo
delle vostre case?
Le linde tende alla finestra
e  la treccia ben stretta
della vostra bambina?
Non capite perché,
larve umane,
vagate in quel campo,
animali a rubarvi
l’ultima radice.
Più non vi chiedete
se siete ancora vivi.
In alto, nel castello
i canti, i balli,le raffinate
conversazioni.
Fuori dal recinto,
là nella casa ,
la zuppa a cuocere
e dal camino
il filo di fumo.
Nera una nube
lassù nel cielo:
sono voci, respiri, pianti.
nell’ultimo abbraccio
mani a congiungersi.


GIUSEPPE BEPPE PROVENZALE

    TRE INEDITI


“Mamma perché siamo ebrei?”
Che cosa rispondi a tuo figlio? Armi spianate e cani feroci costringono a salire su un lurido vagone di treno, disumano anche per gli animali da macello.
Si può sopportare una espiazione personale dammi un peso sulle spalle, ponilo corona, ricordami le tue spine ma quella dei bambini? Gli si può negare un’infanzia?
“Questo treno ci porta in vacanza.
Di là dalle montagne con la neve e il freddo c’è il mare e sabbia calda… sotto la scarpata, dentro quelle casette ordinate da ciminiere che fumano ci sono porte che…”
“Mamma perché non lo dici anche a loro? Così non piangeranno più per i loro vestiti. Di’ che ne avremo di nuovi e puliti… che dietro quella porta di ferro e cattivo odore c’è un altro treno che ci riporterà a casa…”
I burocrati e i loro elenchi.
Farai la doccia verso cui sei spinto? Sì, dopo l’odore e lo sporco, prima di mangiare e un letto... e il pudore di mostrarti nuda dinanzi ad estranei. Benedetta la mano.
....
Staffetta quattroperquattrocento.
Come punire i quattro giovani che avevano osato battere la squadra olimpica germanica? Quattro ragazzi sotto quattrocento soldati, per quattro giorni. Trasformandoli in macchine di carne e sangue che nascondono le lacrime tentando di sorridere per un pezzo di pane o una patata. O il permesso di pescare le bucce scaricate nei cacatoi delle guardie gli internati non ne hanno bisogno.
Sino al ricambio dei nuovi arrivi e al gas.
I ragazzi vedranno in anticipo cosa sono le docce... e cosa sia il finire il proprio tempo. Privati di dignità, educazione ed avvenire solo perché qualcuno ha deciso di curarsi facendo la conta.
Scelti ad ogni arrivo e portati in squallidi locali con materasso e bacinella, a servire di tutto la soldataglia. E se non bacinella, forbici senza anestesie, lame affilate, aghi e filo da sutura per gli ancor più sfortunati, chi li ascolterà? senza un grido da poter raccontare. Il terrore senza scampo ogni mattina all’arrivo dei camici bianchi. Per noi siete carne viva, sangue e budella. O pelle fresca, carne, gambe divaricate a forza, schiene inarcate con la frusta; buchi riempiti e massacrati di violenza; bocche tenute spalancate per ore per scaricare nell’unico piacere della giornata l’urgenza di arnesi orgogliosi del sangue altrui. Per ritornare ad obbedire uncini, sull’attenti, per scansare in quello stesso letto lo stesso ruolo. O più dignitosamente penzolare da una forca la fine delle primavere.
...
Ci portano “lì”? Almeno finirà la sete e il caldo,
le cimici e l’odore di merda
La tosse e la febbre si scioglieranno nel sonno che il corpo desidera,
nella musica che non è ricordo
Cesserà l’angoscia e la fame dei miei figli
E maledetto quando li ho ammessi al mondo
e alla speranza.

“Mamma perché siamo ebrei?”




         [1] Miriam è morta, per favore cibo per i bambini.
 
MARILENA VERRI

MUSEO DELLA SHOAH  A GERUSALEMME                   16-12-2010

Ora so che nome hanno
quelle stelle su nel cielo:
è quello dei bimbi sterminati dai nazisti,
chiamati ad uno ad uno
e a cui danno anche l'età.

Nel museo della Shoah,
tra gli orrori più “ orrendi” e più vili,
ho capito che cos'è più nero
di un crimine tremendo:
è la coscienza di quegli esseri dis-umani
che hanno oscurato per sempre un passato
che niente potrà cancellare.

Ho un mattone appoggiato sul cuore
che non so se potrò frantumare!

Ho speranza che il sale delle lacrime
cadute oggi qui,
possa entrare fin dentro l'umano
di un'umanità più umana,
più umana, più umana...



Augusto Villa

GRIGIO CHIARO

Di corpi, melodia triste
sul pentagramma di filo spinato.
Piange e uccide la morte
il violino di Sarah.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ennio,vorrei sentire la tua voce poetica non credo che tu non abbia niente da dire... . Emy

Anonimo ha detto...

Caro Beppe, alla fine del tuo scritto ci si sente molto male, l'impotenza mi frena il respiro e mi fa sentire fuori, troppo fuori da questo inferno.
Perchè loro sì e noi no si sono chiesti in tanti.
Ora me lo chiedo anch'io e mi sento male... . Emilia