sabato 19 marzo 2011

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Una poesia di Marco Dedo

Vi mando questa poesia di Marco Dedonato (Dedo) perché è pertinente con quanto stiamo dicendo in questi giorni sul blog.  
Marco è un poeta estremo per me, entrambi abbiamo rinunciato al verso breve preferendo un formato di scrittura che si adatti a qualsiasi giustezza, ma io almeno metto le maiuscole dopo il punto, lui nemmeno quelle. 
mayoor

L'opera qui a sinistra è di Piermarco Mariani che, come me e  Dedo, fa parte del gruppo di artisti che si ritrovano nell'associazione Yaonde. 




l dai e dai dei tempi bui. la meticolosa scansione delle pappe trite e ritrite. fenomeni da baraccone. buoni nemmeno per i porcili. un marciapiedi di barboni improvviserebbe di meglio. sembra tutto qua. a portata di mano. la felicita... l'-espansione... Pasolini si farebbe un baffo di tanta ipocrisia. l' orizzonte, il futuro, fermo a dopodomani. un lasso di tempo buono neanche per vomitare. come se
ci tenessero appesi a un filo. col terrore di precipitare nella morte da un momento all'altro. il giappone. il nucleare. la pietà! come una bestia bastonata si rialza e si lecca le ferite. pronta di nuovo per la fame. questo siamo. adesso si alzano cori sommessi, inni agli eroi. ovunque sconcerto, disapprovazione per una cosa fino all'altro ieri accettata. l'italia che si veste di tricolore per un anniversario da centocinquanta anni ignorato. l'africa che sfonda le porte dell'europa. non abbiamo più nulla da perdere. siamo diventati animali domestici, con un biscottino facciamo la cuccia per rialzarci solo quando vuoi tu, padrone! pensiamo davvero che la vita sia Hollywood. sfarzi, luci, motori, belle donne e maschi muscolosi! davvero siamo qui,  senza pensare che qualcuno o qualcosa prima o dopo presenterà un conto, uno qualsiasi! c'è  sempre di meglio da fare quando si tratta di sviscerare beghe. una scusa difende il diritto alla privacy. niente escursioni nella criminalità collettiva! niente deliri. lasciamo in pace i briganti. pare di sentirli, i morti, là fuori, che mugolano qualcosa.
mentre al tavolo si parla di calcio. e la televisione riprende tutto...         dd

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ennio Abate:

Con Tizio parlo poco. Perché? Con Caio parlo a ruota libera. Perché?
La forma che assume un dialogo, una poesia, una lettera, una mail, da cosa dipende?
Casualità, capriccio o scelta?
Roghi inizia una frase con la maiuscola e dopo un punto (.) rimette la maiuscola. Dedo usa la minuscola anche dopo il punto(.). Perché?
Quanto spingono ad una certa convenzione/abitudine (classica o della "tradizione moderna", come la chiamava Giovannetti nell'ultimo incontro del Lab Moltinpoesia; "avanguardista" o secondo la "tradizione dell'avanguardia") i modelli assorbiti inconsapevolmente o scelti consapevolmente nel caso di Roghi e nel caso di Dedo o Mayoor?
Quanto la vicinanza o la distanza dal 'contenuto' (Mario, vecchio in fin di vita per Roghi; le notizie che arrivano dai mass media in questi giorni per Dedo) o il vigore o la partecipazione con cui è vissuto/rivissuto
emotivamente, intellettualmente?
Domande, domande, domande..

Anonimo ha detto...

mayoor

Quale può essere il dialogo di chi si esprime nella solitudine dello scrivere, con chi si dialogherebbe? In tutti i casi con un altro immaginario, per giunta ad opera di un io altrettanto immaginario ( vale il discorso di Jung sulle maschere e la loro necessità). E anche nel caso in cui una poesia sia rivolta a qualcuno, una poesia dedicata, siamo sicuri che sia rivolta solo a quell'interlocutore?
Il poeta non può sapere chi sia il lettore, non avrà risposte, ciò che scrive arriverà al cuore di qualcuno, ad altri no. Questione di sintonie, certo, ed è indubbio che innalzando la visione si può arrivare al cuore e all'intelligenza di molte più persone, ma è anche vero che la comunicazione si fa più selettiva. Quindi ognuno faccia le proprie scelte. Di fatto ogni poesia può generare un dialogo perché è comunque una forma di comunicazione.
Però è giusto distinguere ciò che si fa dal come lo si fa. Per questo presentando la poesia di Dedo ho ho messo in evidenza questa faccenda del verso senza a capo, dei punti e delle maiuscole.

Due quindi le considerazioni: l'uso particolare del verso libero e l'uso della punteggiatura.
Sono apparentemente conseguenti, ma non necessariamente. Sul verso libero lo sappiamo che in mancanza di metrica conta la musicalità del linguaggio (la poesia è pur sempre un canto), ma è inutile starci su in modo ossessivo, è una qualità intrinseca alla poesia ( anche se qualche poeta "stonato" ricordo di averlo letto). Non siamo tutti uguali. Il fatto di scrivere versi che non si curano degli a capo non è rubare qualcosa dalla prosa, è una scelta di libertà.
Di solito uso un esempio sportivo: ci sono sciatori che amano lo slalom, che sono abili nell'interpretare un percorso stabilito, e altri che invece preferiscono l'alta quota e le nevi incontaminate, il fuoripista. Questi ultimi gioiscono per il fatto che si sentono liberi di muoversi come gli pare e dove gli pare. Se durante il percorso incontrassero delle bandierine ben ordinate non si farebbero certo scrupoli per interpretarle. Se letto in questa chiave, "viaggio nella presenza del tempo" di Majorino, è da ritenersi un validissimo esempio.

Considero la punteggiatura un aiuto alla lettura, ma non sbaglia Dedo se non mette la maiuscola dopo il punto. Un punto resta un punto, con o senza maiuscole a seguire. L'esigenza principale è quella di non interrompere il flusso creativo che, almeno nel caso mio e di Dedo, non mette nemmeno l'accento sulla musicalità ( in quel caso conterebbero gli a capo), se mai si guarda alla direzione del verso.
Procedendo da sinistra a destra, il verso va in direzione di qualcosa che viene incontro, cioè qualcosa che arriva in senso contrario. L'incontro delle due correnti genera un trauma per così dire esplosivo. Genera caos.
Il caos meriterebbe più attenzione che giudizi. Senza caos non ci sarebbe estetica perché il caos è il seme che la determina.
La forma si stanca del proprio agglomerato perché, usurato, perde vigore. Quindi, chi fosse animato da ribellione al precostituito, dovrebbe necessariamente tornare al caos.
Tornare alla forma per rimediare al caos sarebbe come parlare della propria disobbedienza in maniera obbediente. Non sarebbe un prendersi in giro?

Oggi a mio avviso il lettore è condizionato dall'abitudine alla fruizione semplificata dei messaggi, è portato alla passività dalla televisione dove le immagini non vengono scelte, vengono indotte dalla regia e dal montaggio che sono fatti in maniera da non creare vuoti. La visione è pilotata, non scelta. La fruizione è passiva e gli spettacoli sono quasi sempre parecchio superficiali, di intrattenimento. Questo genera pigrizia.
Bisogna tenerne conto perché di solito la poesia ha un alto concentrato di difficoltà per il lettore. Secondo me ammassiamo troppi significati in poche righe.

Personalmente ho scelto altri modi per rimediare, e così credo abbia fatto anche Dedo, sebbene diversamente da me.

Anonimo ha detto...

dd

cèline m'ha ipnotizzato sin dalla prima riga.. e sono passati vent'anni dalla lettura del "viaggio"! poi recentemente ho scovato un libretto: cèline e l'attualità letteraria, edizioni SE, saggi e documenti del novecento. ho letto con ardore le interviste fatte allo scrittore medico francese e, come sempre accade quando leggo cèline, mi è salita una voglia di verità e denuncia che solo il suo stile riesce a esasperare! mentre leggo penso. mentre scrivo penso. mentre penso il mondo accade ed è qui che personalizzo il mio essere cèliniano, nella punteggiatura, o meglio, nella non punteggiatura! il parlato non ha bisogno di riconoscere un nome proprio da uno comune.io scrivo parlando (cèline) ma la voracità del tempo che vivo mi consente (haimè?) persino di divorare le convenzioni più solide. la minuscola dopo il punto...! non considero poesia (nell'accezione comunemente intesa) ciò che ho scritto. nemmeno prosa (nell'accezione comunemente intesa). non considero la nostra società in grado di partecipare della poesia, o della prosa. il limite è umano-televisivo (benigni legge dante) e di propaganda editoriale (dan brown, faletti ecc.). i pochi canali esistenti (?), paiono riserve indiane! si, mi faccio forza di un linguaggio che non ha bisogno di fronzoli. ma il mondo d'oggi, i paesi e le letterature cosidette moderne, di cosa hanno bisogno?! domande...