venerdì 22 luglio 2011

CRITICA
Voci d'altri tempi
Enzo Paci*
Qualche osservazione filosofica
sulla critica e la poesia

* Enzo Paci (Ancona 1911  - Milano nel 1976). Dal 1958 insegnò filosofia teoretica all'Università statale di Milano. È stato uno dei più significativi rappresentanti dell' esistenzialismo italiano, da cui si allontanò per passare agli studi su Whitehead e Dewey e infine alla Fenomenologia . Fondò la rivista "Aut-aut  e aderì con entusiasmo ai movimenti studenteschi e operai del 1968-69. Tra le opere principali: " Nietzsche " (1941); " Esistenzialismo e storicismo " (1950); " L'Esistenzialismo " (1952); " Funzione delle scienze e significato dell'uomo " (1964); " Relazioni e significati, I : Filosofia e fenomenologia della cultura " (1965).

Il significato della parola non è nel segno linguistico ma in ciò che esso significa; il significato dei versi non è nei versi ma nel modo con cui l’uomo in essi vive, sia come lettore che come poeta. Ciò vuol dire non accettare una poesia che voglia isolarsi nella propria purezza ma vuol anche dire non contrapporre alla poesia oggettivata, feticizzata, isolata, un altro pezzo della realtà anch’esso oggettivato e feticizzato, sia esso la realtà oggettivata della filosofia o quella della psicologia e della sociologia.
La contrapposizione nasce perché la poesia è considerata assoluta e seguita ad essere considerata assoluta proprio nel momento nel quale le si contrappone un’altra realtà assoluta, poniamo la società assoluta o la vita assoluta. Se questa situazione permane è perché la vita sociale e la vita poetica restano obiettivate. Se alla poesia pura si contrappone una realtà sociale che dovrebbe condizionarla dall’esterno è perché si seguita a pensare la poesia, appunto, come pura ed assoluta. Sia la poesia che la vita sociale non sono state ricondotte alla vita precategoriale e strutturale nella quale si costituiscono: sono dunque il risultato di obiettivazioni, valgono sul piano del discorso categoriale e non su quello concretamente storico. Proprio per questo poesia pura e impura si negano e si sostengono a vicenda. L’affermazione della poesia pura provoca quella dell’alterità della poesia e l’alterità della poesia provoca la difesa della poesia pura. In quanto questa situazione dialettica viene concretamente scontata e vissuta diventa, a sua volta, autentica: la sua realtà concreta e il suo significato sono la realtà e il significato della contraddizione vissuta non più astrattamente ma nel dolore che di fatto rappresenta per tutta intera la vita dell’uomo, per tutto intero il suo rapporto con gli altri nella società e nella storia. Ci sembra questa la situazione che dà una tensione così alta e un valore così complesso all’opera di Pasolini. È un’opera che non vuol essere «dichiarativa» ma vuol vivere il proprio significato senza occultare le contraddizioni, che vuol sperimentare in se stessa i propri limiti. Non accetta né la poesia «tautologica» né l’alterità che le si può astrattamente contrapporre. Inserendosi nella contraddizione finisce per ricondurre la discussione teorica e «categoriale» alla realtà vissuta che riacquista così una dimensione umana totale e un significato storico, intenzionale. Da questo punto di vista è proprio Sartre che ci può aiutare a comprendere Pasolini. Come Sartre Pasolini non crede ad una «coscienza pura» gratuita che non passi attraverso la «fenomenologia della coscienza impura».
Il nostro discorso può forse aiutarci anche ad avvicinare un’opera come quella di Fortini che tende anche essa, nelle sue intenzioni-limite, ad aprirsi il varco di un rinnovamento senza affermarlo anticipatamente, dichiarativamente. Nel notevolissimo studio di Fortini pubblicato in Menabò 2 si dice che «la formula morale più cara a Pasolini», «è il proposito di una autenticità attraverso l’inautentico, di una purezza attraverso la corruzione» (Fortini, Le poesie italiane di questi anni, Menabò 2, 1960, pag. 133). Proposito che diventa significativo, per noi, proprio attraverso l’espressione (intendendo per «significatività dell’espressione» ciò a cui si è accennato). E Fortini scrive che bisogna riconoscere a Pasolini «una “forza di errore” che rende vero, vero di verità poetica» il suo «amletismo “cinico e innocente”» (pag. 134). Una dialettica, dunque, che proprio perché non si occulta, rivela il suo senso. Della dialettica, poi, nella quale può essere vista la posizione di Fortini ci parla proprio Pasolini nel saggio ristampato in Passione ideologia (Milano [Garzanti], 1960, pagg. 467-469).
La poesia vive nella contraddizione, scrive Fortini…


in Enzo Paci, Qualche osservazione filosofica sulla critica e sulla poesia, «Aut-Aut», gennaio 1961.

1 commento:

Giuseppe Barreca ha detto...

Paci in questo scritto fu lucidissimo, soprattutto parlando di Pasolini. Diciamo che la sua analisi mette bene in luce la prospettiva che la poesia italiana andava assumendo in alcuni autori dopo gli anni '50. Secondo me uno dei poeti più lucidi nell'interpretare una realtà senza proporsi l'idea di spiegarla: è Vittorio Sereni. Penso agli Strumenti umani, dove c'è un equilibrio mirabile la una descrizione (poetica) della società industriale e la percezione della realtà interiore...