mercoledì 13 luglio 2011

MOLTINPOESIA:
SCRIVERE AL PRESENTE
Abdulah Sidran su Srebenica


Credono forse
davvero
che siamo vivi
noi che stiamo qui
e da questo luogo
parliamo così
come se davvero fossimo vivi
Davvero pensano che si chiami
salute
davvero pensano che si chiami
ragione
ciò che in noi è rimasto
della salute e della ragione di un
tempo?
Non vedono, non sentono forse
non sanno forse che noi,
quelli rimasti, siamo più morti di
tutti
i nostri morti, e che qui oggi, con
la loro voce,
la voce dei nostri morti, dalle loro
gole,
gridiamo e con il loro grido – noi
parliamo?


(da «Le lacrime delle madri
di Srebrenica», Adv edizioni, Lugano
traduzione di Nadira Sehovic )





ABDULAH SIDRAN è nato a Sarajevo nel 1944. Poeta, prosatore, drammaturgo,
sceneggiatore cinematografico, è personalità centrale del cinema, della letteratura e
della poesia contemporanea.
Ai testi di Abdulah Sidran e alla regia di Emir Kusturica si deve - negli anni Ottanta
- l’irruzione della Jugoslavia nel cinema contemporaneo con Ti ricordi di Dolly Bell?
e Papà in viaggio di affari - Leone d’oro a Venezia, Palmarès a Cannes.
Per il teatro Sidran scrive nel 2000 A Zvornik ho lasciato il mio cuore (ed. Saraj,
2005; edizioni Teatro Festival Europeo di Mantova, 2009), la pièce è messa in scena
dall’Ars di Mantova.
Romanzo balcanico (Aliberti editore, cura e progetto di Piero Del Giudice, maggio
2009) contiene gli scritti di cinema e teatro, la poesia, testi e interviste sull’opera di
Sidran e sulla storia dei Sidran di Sarajevo parallela e riconoscibile nella storia della
Jugoslavia dalla nascita alla dissoluzione.
Il corpus principale della sua poesia è ora nel volume Il grasso di lepre (Casagrande
editore, Bellinzona, settembre 2010)

Lettera da Gorazde
Le Srebrenica prima di Srebrenica

Per scrivere su RatkoMladic´ e sul genocidio
di Srebrenica (luglio 1995) parto dal mio lavoro. 
Non dal corpus di poesie scritto nell’assedio di Sarajevo 
(La bara di Sarajevo) o dalla pièce teatrale 
A Zvornik ho lasciato il mio cuore – messa in
scena anche in Italia – sugli eccidi e deportazioni
della popolazione musulmana lungo la Drina, 
né parto dal poema che conoscete 
Le lacrime delle madri di Srebrenica
Non di versi si tratta ma di prosa, delle oltre millecinquecento
pagine sottotitolate «romanzo della famiglia Sidran di Sarajevo». 
L’ho appena consegnato
all’editore di Zagabria ed è in allestimento
la versione italiana del romanzo. 
Romanzo della saga dei Sidran di Sarajevo e del
paese-Jugoslavia. Il titolo l’ho ripreso da un’insegna.
Nella periferia della cittadina dove ormai vivo – Gorazde,
sulla Drina – in esilio volontario da Sarajevo,
esiste una ditta che esibisce un grande cartello bianco con la scritta:
si acquistano pelli grezze.
Non conciate, non trattate, fresche.
Per anni ci sono passato vicino, 
prima di capireche in quelle parole e nel loro odore  di sangue
è raccolta tutta la mia vita.
Il duraturo, continuo, umiliante tributo di pelle fresca, di sofferenza,
di vero dolore, delle tre generazioni
dei Sidran protagonist ie testimoni – dalla fondazione
nella Resistenza alla sua fine – della
storia dellaJugoslavia. 
Fine del progetto-paese e fine della Bosnia Erzegovina: 
questa nostra Jugoslavia in nuce, in vitro. Nessuno oggi
vuole più un paese multiculturale, almeno
nessuno di coloro che hanno voluto la guerra
e occupano i posti di potere. Le tre comunità
etniche – la serba oltranzista, autoreferenziale
e irresponsabile, ma non esente da colpe e
omissioni, la croata e la musulmana – rendono
asfittica l’intera situazione.
Il paese stagna.
«Quanto pessimismo!» telefonano e scrivono amici,
anche italiani: «Ecco vedi – dicono –
esiste qualche forma di giustizia, lo stragista
Mladic´ è ora davanti ai giudici dell’Aja!». 
Beh, a proposito dell’arresto di Ratko Mladic´– e prima
di Karadzvic´ – diciamo che tutto va bene,
ok, tutto sta in poche frasi di rito: «Una soddisfazione
ritardata», «la giustizia è lenta ma
inesorabile», «meglio tardi che mai» eccetera.
Non c’è bisogno, però, di essere molto intelligenti per
capire che si tratta di puro commercio,
neanche tanto nascosto. Vi diamo
questo vecchio Ratko (guerriero), questo rottame
e voi ci aprite le porte. 
Su un giornale belgradese la notizia dell’arresto di Mladic´ è
stata pubblicata in maniera chiara: «Entriamo
in Europa!».Non è importante Mladic´, non sono
importanti stragi e genocidio. È il baratto.
Solo gli ingenui formano giudizi sulla politica
della Serbia in base ai gesti simbolici e
alle dichiarazioni di circostanza dei suoi leader politici.
Per quanto al personaggio, il Ratko dalle
cui mani cola sangue, è un misto di primitivismo
feroce e furbizia. Accarezza i bambini e
rassicura le torme degli innocenti prima di
scannarli a Srebrenica, veste i panni del vecchio
malandato quando cerca di evitarel’estradizione all’Aja,
insulta i giudici dell’Aja per fare  del processo un incidente. 
Ogni persona normaledeve inorridire di fronte al modo di essere militare
di Ratko Mladic ,che non è un’eccezione,
una rarità. La restrizione mitomane della coscienza
si incontra sia nel contadino analfabeta della Serbia
che nel colto accademico di Belgrado! E ciò mi è davvero incomprensibile
ed è un fenomeno che dovranno studiare gli esperti di socio-patologia.
La guerra della Bosnia Erzegovina è cessata
nella sua forma peggiore, ma – come si dice a Sarajevo –
«la guerra è finita solo per coloro che in guerra
hanno perso la vita». La cosiddetta Comunità
internazionale ha fermato la guerra in Bosnia
nell’autunno-inverno del 1995, quando di fatto  la guerra stava appena
cominciando, legalizzando con l’accordo di
Dayton la divisione etnica del paese prodotta
dalla violenza e dal crimine. Srebrenica fu genocidio.
Ma quante Srebrenica! 
A Zvornik nel 1992, è successo Srebrenica prima di Srebrenica.
Ricordatevi questo! Srebrenica prima di Srebrenica!
Sono stati uccisi, o sono scomparsi,
li ha portati via la Drina, circa 3.500 bosniaci.
E poi a Bijeljna, a Visegrad, a Foca...Non ci
sarà un processo per queste stragi.
Bisognerebbe rinnovare il Tribunale Russel.
L’umanità ha bisogno di un tribunale simile, per processare
gli autori delle idee di guerra e genocidio,
gli assassini a tavolino, per giudicarli sia
in contumacia che post mortem, per la verità e
la giustizia senza le quali non ci potrà essere
né riconciliazione né futuro migliore, ma solo gemito
poetico e pianto.


(Testo raccolto da Piero Del Giudice)
©RIPRODUZIONE RISERVATA


Da "domenicale" Il Sole 24 Ore  DOMENICA - 10 LUGLIO 2011 n. 186

1 commento:

anna maria ercilli ha detto...

Le coincidenze. Appena letto 'Cartolina dalla fossa' di Emir Suljagic, libro da diffondere nelle scuola(testimonianza di un altro genocidio). Con 'Srebrenica' di Abdulah Sidran
un saluto