martedì 23 agosto 2011

CONTRIBUTI
Ennio Abate
Su Paola Febbraro 1


 È stata Marcella Corsi di Roma a  farmi per la prima volta il nome, a me ignoto, di Paola Febbraro anni fa.  Afferrai che ammirava i suoi versi e che aveva una stima affettuosa per lei, che nata nel 1956 è morta nel 2008. Più tardi ebbi, sempre da un amico romano, Salvatore Dell’Aquila, il suo libro pubblicato da Manni nel 2002, La rivoluzione è solo la terra. Ha un formato di dimensioni inconsuete (un rettangolo 13x20,5 cm.) scelte - suppongo - per accogliere  versi quasi sempre lunghi o lunghissimi. Sono riuscito ad aprirlo e a leggerlo solo  quest’estate. E qui, a puntate, farò il resoconto della mia lettura.

L’introduzione di Mara Cini mi scalda poco. Mi sa di scolastica femminista. La scrittura della Febbraro sarebbe un esempio di écriture féminine, perché parlerebbe delle «radici corporee del processo di pensiero». Poi la solita semina di citazioni di versi belli o significativi incorporati nel discorso di presentazione. Tesi principale: il «fare» della poetessa, che sarebbe una tensione «volta ad “incastrare” cose, parole e fatti al loro posto, “nel lavorio del mondo”». Do, invece, una lettura a salti dei versi della raccolta; e mi prendono subito.Leggo Fammi restare con te lavorìo del mondo:

o! tenera forma già fatta crosta del pane lattuga o! mare di tutte le lacrime che pure sono acqua del corpo che pure escono e spingono e si allargano dentro come fiume di fuoco e li senti che stai diventando guscio dell’uovo del mondo che sei trasparente come tutti quando si torce la forza consiste nel non alzare lo sguardo per vedere il già fatto la forza è restare incollati al lavoro fammi restare con te lavorìo del mondo rendimi zucca pelata non farmi vedere riempimi d’acqua chiama a raccolta le menti del mondo le menti isolate e tranquille le schiene nelle risaie quei fili dell’erba a uno a uno o! muraglie o! gelsomini o! dirupi! o! capre del sale e il nero di china fammi restare con te lavorìo del mondo rendimi invincibile come filo di rame arrossami e non farmi morire porta via da me questo non fare questo credere di non stare facendo non darmi queste ultime parole: rovinami tu!”


30 settembre 1996

Sono dieci righe (tante appaiono sul cartaceo, sul Web a volte il numero non è rispettato) di versi mascherati da prosa. Fortemente lirici. Me lo segnalano i sette esclamativi e i sei simpatici ‘o!’ vocativi e, in più, l'assenza di ogni altro segno d’interpunzione che rende il flusso di parole ancora più compatto. A me fanno venire in mente Amelia Rosselli e Zanzotto. L’invocazione simil-zanzottiana (Mondo, sii, e buono;/ esisti buonamente,/ fa' che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,ricordate?) contenuta nel titolo è ripetuta altre due volte nel testo. Nel flusso di parole spiccano immagini comuni di cose riferibili  alla natura o forse, meglio, al mondo contadino di una volta (pane, lattuga, guscio dell’uovo, zucca, acqua, risaie, fili d’erbe, muraglie, gelsomini, dirupi, capre). Si colgono delle metamorfosi in atto (ti senti che stai diventando guscio dell’uovo del mondo). Avvengono in  luogo imprecisato (mente?  anima? corpo?). Ci sono poi delle (auto)raccomandazioni etiche (la forza consiste nel non alzare lo sguardo per vedere il già fatto la forza è restare incollati al lavoro). E, nel finale angoscioso, una serie di invocazioni-preghiere martellate con grande effetto dagli imperativi (fammi..rendimi..arrossami..non farmi morire.. porta via… non darmi… rovinami).
Per ora mi fermo qui.
[segue]



3 commenti:

fiorellaangelafrancesca ha detto...

Ben venga una scrittura femminile (e anche femminista) di questo spessore. La sincerità di ispirazione è fortissima, palpabile; la forma invece mi prende meno, ma è questione di gusto. Grazie a Ennio Abate per la sua lettura.

Anonimo ha detto...

Quando la vita chiede aiuto al destino
sempre non vede che il disperato invocare.

Sul suo filo arrivo a questa poetessa con grande ammirazione. Emilia Banfi

Larry Massino ha detto...

Ennio ero venuto qui per un altro motivo, vedo l'articolo su Paola Febbraro... Curioso. Sai che l'ho conosciuta? Condividevamo l'amicizia di Victor Cavallo, un a mio avviso grande, non solo nella poesia. Paola mi pareva avere una tristezza marmorea, intransigente, quasi felice. Mi sembrò una "vergine sporca", quella de L'azzurro del cielo di Bataille (Simone Weil), che peraltro stavamo progettando di fare in teatro (B. Bertolucci al cinema). Ero molto attratto da lei, lei meno, mi trattava da pischellino, assai simpaticamente, anche perché di poesia ci capivo poco, ero più " esperto " di letterature e filosofie che a lei gliene fregava poco, almeno così ricordo. Durante le giornate o serate passate assieme a Roma ci ripromettevamo sempre di fare un lavoro tutti insieme, cosa che invece non avvenne mai. Vabbè, scusami per la memorialistica.

Volevo invece domandarti che fine ha fatto l'articolo sulla Libia che doveva uscire su... (tra poco non c'è più la Libia...). Ciao.