mercoledì 28 settembre 2011

Massimo Gezzi
Due poesie inedite


  da LE PAROLE E LE COSE

[Queste due poesie fanno parte di una sezione inedita composta da dieci testi. Ognuno di essi ha un numero di strofe pari alla sua posizione e al suo titolo].




Quattro strati sotto Piazza Matteotti

I.
Il primo è ricoperto
di terra umida, piena di muschi
e di cemento. La pala la frantuma,
la penetra a fatica.


II.
Il secondo sono scheletri
composti, tibie, crani fracassati
di uomini sepolti in parallelo
con la testa alle colline e la spina
a perpendicolo del mare.

III.
Il terzo sono forme indecifrabili,
finché la pala non ne raschia nettamente
i contorni: e sono arcate, muri,
volte di granai e la fornace
circolare in cui cuocevano gli operai
i materiali di costruzione.

IV.
Il quarto è il buio inesplorato,
la verticale del silenzio.
.
Cinque finestre

I.
La sagoma dei palazzi in zona Fiera.
Il muro macchiato, la lampada impolverata
accesa tutta la notte. La coppia che faceva
l’amore sotto casa, non sapendo che da là sopra
si poteva esser visti.
Tieni sempre in mente
la tua conformazione.
Simmetria indeclinabile, assiale:
due orecchie, due gambe, due polmoni.
Due occhi soli.

II.
Il movimento delle foglie contro la luce
del pomeriggio di metà ottobre.
Due corpi coincidenti sopra il letto,
a porta chiusa. Passi più vicini: veloci,
ricomporsi. Risalire di gradini: via libera,
spogliarsi.
Smettila di credere che il silenzio
significhi nulla. Ripeti questa lista:
ronzii dal frigorifero,
automobili che vanno,
acufeni nelle orecchie, ambulanze,
il tuo respiro.

III.
Sul terrazzo delle domande.
Le torri come punti esclamativi
contro il viola delle sette.
Gli aerei su Malpensa in cui qualcuno
che atterra sta guardando dritto qui.
Mezza cupola di Duomo non basta
nemmeno a trattenere le tue carte.
Stacca tutti i fogli appesi ai muri.
Apri l’immondizia, getta via le pentole,
lo zucchero, le piante del balcone.
Chiuditi la porta alle spalle, butta la chiave.

IV.
Luci incolonnate, cellette di cadaveri
che ogni sabato spalancano i vetri
per battere un tappeto, o sospendere nel vuoto
un lenzuolo, due guanciali.
Una volta un cuscino rovinò dal nono piano.
La signora gridò, fu colta da vertigine.
Siediti e guarda precipitare Edna Cintron
sui marciapiedi di Manhattan. Le gambe parallele,
le mani intrecciate dietro la nuca,
nel suo volo da manichino.

V.
La geometria delle cime dei cipressi.
La luce del mattino, interrotta dalla tenda.
Poi la cena condivisa, il sonno comune,
l’abbraccio sulla soglia che dice
non muoverti, ritorna, possiamo addormentarci
prima che faccia giorno, ricomincia a tracciare
i perimetri, spegni le luci.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Poesie ben composte , freddamente incise in un mondo di città. La ricerca di un cuore forse pulsante ancora.Un'umanità compressa alla quale non è permessa la gioia. Il sentimento vorrebbe prevalere. Un banale tragico di grande effetto.

Emilia Banfi

Anonimo ha detto...

Mi piace questa scrittura senza fronzoli ma piena di piacevoli imprevisti verbali e visivi. La prosa è trattenuta e addomesticata dalla poesia che la scompone e ricompone a piacere. E poi non ha quasi racconto, quasi non se ne cura, così che tutto possa accadere per sempre in buona competizione con qualsiasi altro presente.
Magari toh, quella voglia d'espandersi che inciampa nel citazionismo. Ma è veniale. Ci siamo, m'è venuto da pensare, è buona poesia.

mayoor