lunedì 24 ottobre 2011

Ennio Abate
Ancora su poesia e critica


Sul blog di MILANOCOSA è in corso una discussione che, partendo da uno scritto di Giorgio Linguaglossa e in parte allontanandosene, ripropone la solita questione del rapporto tra critica e poesia. Questo mio commento replica a un intervento di "erm" che trovate QUI [E.A.]

Commento di Ennio Abate 24 ottobre 2011
@ erm
[scusandomi di rimanere fuori tema rispetto al post di Linguaglossa]

 I modi della poesia possono essere tanti. D’accordo. Come le visioni del mondo (o ideologie), che in parte riceviamo, in parte rielaboriamo, adattiamo alle nostre esperienze o abbandoniamo in certe fasi della nostra esistenza o della storia collettiva in seguito a crisi, epifanie, pentimenti, revisioni più o meno approfondite.
Queste visioni del mondo (o ideologie) - questi abiti (culturali) che indossiamo - mutano anche perché vengono criticate; e vengono criticate, quando tali credenze (distinte dalle scienze, che comunque hanno anch’esse ormai una natura probabilistica e non più di certezza assoluta) non corrispondono più al “mondo”.
Pensiamo a Galilei, che critica la visione geocentrica e chiusa dell’universo o a Marx, che critica lo scambio tra capitale e lavoro, considerato paritario dagli economisti classici o a Freud che critica l’io unitario della filosofia e della psicologia classica.

Perché, tornando all’orticello della poesia, la critica qui dovrebbe scomparire? Erm dice che la critica al testo non dovrebbe mai attaccare la visione del mondo - « vitalistica o crepuscolare, o assurdista, o minimalista, o espressivista, o impressionista, romantica» - che in esso il poeta, più o meno consapevolmente, esprime.
E perché mai?
E, se si dicesse di una poesia soltanto « mi piace e la condivido, o non mi piace e non mi dice nulla» non sarebbe forse già un dare «un giudizio di valore» , cioè stabilire una gerarchia tra ciò che piace (valore) e ciò che non piace (disvalore) e, dunque, fare un atto di critica (elementare, grezzo magari)?
E perché mai «un critico non può arrivare a battersi con un altro critico», se il critico A è convinto che - tanto per fare un esempio scolastico - il romanticismo è una visione del mondo (o ideologia) più valida del classicismo o viceversa? Perché “battersi” (argomentare le proprie convinzioni in modi più meno leali e approfonditi) sarebbe poi “aggressione”, quasi una sorta di tentativo d’omicidio (culturale), e non un modo ragionevole di cercare nel confronto aperto, leale e persino duro una verità più alta, una visione del mondo, una poetica più adeguata al mondo, che non è mai fisso e immutabile e pertanto va continuamente ridefinito, rappresentato, verificato (visto che le parole non sempre corrispondono alle cose)?
Erm giustamente potrebbe obiettare che la poesia si raggiunge anche per vie traverse o partendo da ideologie considerate sbagliate o superate o reazionarie. Per cui è sbagliato prescrivere a un poeta di essere vitalista o crepuscolare o assurdista o minimalista o espressivista o impressionista o romantico. D’accordo contro le prescrizioni o i comandamenti. Ma non si può prescrivere o comandare di non criticare, di non valutare.
Se tutte le strade portassero a Roma (alla poesia), ogni pretesa di suggerirne o di cercarne una migliore sarebbe stupida.
Ma è proprio così?
Non credo. Se è vero che in singoli casi si può arrivare a fare buona poesia anche aderendo ad ideologie negative o discutibili o addirittura folli, non è vano criticare le ideologie negative o discutibili o folli ( se tali ci sembrano). E c’è da notare che il risultato poetico raggiunto in certi casi lo è malgrado quell’ideologia o quella follia e non grazie ad esse. E’raggiunto, cioè, in poesia perché lì quel poeta smentisce la sua ideologia e noi possiamo riconoscere il valore della poesia, separandola dall’ideologia che non condividiamo e critichiamo.
Non credo poi la convivenza babelica o pluralista delle visioni del mondo (o delle poetiche che sono in fondo visioni del mondo applicate al campo poetico) sia il migliore dei mondi possibili per i poeti d’oggi e, in generale, per tutti noi. Innanzitutto non credo che sia effettiva né questa Babele né questa pluralità. Ma, anche se lo fosse, essa è percorsa da differenze conflittuali e non permette affatto che uno/a sia «com’è», cioè non permetta affatto lo sviluppo libero della propria “essenza” o “autenticità”. La convivenza è apparente (tant’è vero che siamo alle guerre “democratiche”!). E poi da secoli la nostra “essenza” o “autenticità” di uomini e donne ( o poeti e poetesse) è un miraggio o una nostalgia. Non siamo mica rimasti alberi di pere o mele o nespole o albicocche che nascono,crescono e producono rispettivamente il loro frutto “naturale”(questo non è più vero neppure per le piante…). Né siamo rimasti ad abbaiare, nitrire, cinguettare come gli animali. E perciò le nostre visioni del mondo e i linguaggi che le esprimono non solo sono più complessi, ma ancora tendono ad unire o a dividere, a mentire o a dire verità occultate. E c’è da scegliere. E la critica dovrebbe aiutare a farlo.

2 commenti:

Unknown ha detto...

Visto che questo intervneto è da incorniciare, chiunque l'abbia fatto, in questo caso di nome "EA", dico perchè lo per me, destinataria partecipe più o meno attiva o passiva di quel/quella capitale di nome Poesia .

Spero mi perdoneranno i poeti da antologia e tanto più quelli di ulteriorità antologica, intendo nei margini oltre i margini.

Poesia innanzitutto per me non è quella solo strictu sensu intesa , ma più ampiamente arte,musica,letteratura,versi, tutto ciò che da bellezza ritorna a bellezza ma anche tutto ciò che da bruttezza, o dolore, annientamento, menzogna o tormento o tristezza etc , viene trasformato in un linguaggio che ne sa penetrare il buio in cui rimanendo tale( bruttezza o dolore o etc etc) non verrebbe decodificato ulteriormente, nè per chi lo vive,nè per chi lo vivrà direttamente o indirettamente.
E' dunque il pieno o quasi pieno ( di senso di per sè come un albero), oppure il vuoto ( di per sè come una morte violenta, una malattia atroce,uno stato di prostrazione, un mare ridotto a fango, o un'angoscia esistenziale )


Se il poeta , di volta in volta compositore , di colori o suoni o parole o forme , scolpisce o quasi o non scolpisce o quasi, quel movimento detto sopra ( esemplificato per brevità in alcuni dei mielle e infiniti stati d'animo, o della natura ,o della realtà, o delle verità, o del viaggio, o del labirinto) , solo la pluralità VERA ( non quella mistificata da melassa di pluralismo democratico del nazismo 2.0 in cu viviamo) di chi è appassionato e competente , quali i critici (ovviamente lontani dalle note strumentalizzazioni di marketing per spingere certe musiche, o versi , o romanzi, o dipinti) può contribuire al movimento stesso di quella bellezza a bellezza o bruttezza a bellezza ,grazie a un' ulteriorità necessaria alla continua ricerca...visto che ognuno è liebro e schiavo del suo sguardo e della sua visione o ideologia, l'unica possibilità per tendere alla libertà è sapere fino in fondo che non siamo liberi, critica compresa che è schiava per la stessa considerazione. La libertà interiore continuamente da ricercare e mai raggiungibile , si avvantaggia della critica in qualsiasi campo, ovviamente ripeto della critica avulsa da sistemi vendite ( convenzionali e non convenzionali) e altrettanto ovviamente quando è il COME che fa la differenza da critica a critica , fra quella fatta per puro esercizio di forza e forzatura dialettica , a quella che libera ulteriorità energetica o crburante o buona forza perchè questo o quel compositore rimanga vicino, o si avvicini meglio o non si allonti da quel viaggio a quel/quella capitale chiamata eterna o musa, o musica o colore o forma o poesia.

Anonimo ha detto...

Un giorno mi dissero: - Senza i critici i poeti sarebbero nulla- Rimasi stupita ma questa "battuta" non scheggiò minimamente il mio pensiero che era ed è sempre lo stesso - Il poeta deve avere coraggio, deve continuare a credere in quello che fa e a capire con molta umiltà gli errori che durante questo cammino compie. La poesia è un'arte difficile e complessa.Il critico deve come giustamente dice la nostra Soffitta, contribuire a muovere l'arte nella sua espressione più alta e vera. di conseguenza sia l'arte che la critica devono essere libere da condizionamenti (e qui l'elenco sarebbe lungo).- Carburare, sì ,carburare è il modo migliore per spingere l'arte ed alleggerirla nel suo viaggio, insomma farla uscire dal banale, sarà solo una piccola forma che emergerà all'arrivo ma sarà quella più libera da ogni condizionamente. Il coraggio del poeta è la parte migliore della sua poesia. Grazie Ennio per averci fatto pensare. Ciao Emy