lunedì 24 ottobre 2011

Un flash sul 1° incontro
del Laboratorio MOLTINPOESIA
del 18 ottobre 2011



 Il 18 ottobre eravamo davvero molti (anziani ma anche giovani) per il primo incontro del Laboratorio. Leggere in gruppo i propri testi, sentire la propria voce davanti ad altre persone è, malgrado le riserve sui reading, un momento  di autoriconoscimento e di verifica. Organizzaremo altri incontro nei prossimi mesi. Qui sotto pubblico i testi letti che mi sono arrivati. [E.A.]

Materiali letti: 

Ennio Abate


CCOSE GROSSE E PICCIRELLE

Chella se metteve na mane dinta camicetta
e mme gguardave penzierose.

Ssì, ssì - diceve - je rire
sulamente ppe ccose piccirelle:
nu sciore,  nu cilluzze, na stelle.

E tu, nzalanute, sempe a penzà
a morte, a miserie, ae malatie.

Nunn' o ssaje cche fatiche s'addà ffà
e ccose piccirelle pe ffà campà?

E je, nziste:  Voglie rire sule doppe
quanno o sciore sponte
mmiezze a nu campe chine e granurinio
a stelle luce ncoppa na città aggiustate
e volene l'aucielle senza piglià schiuppettate.

Ma o munne è malamente!
Chi vò troppe, chi vò tante
corre dritt' ao campusante!

Co munne malandrine fammece pazzia.
Nge voglie pruvà.
Forsse primme do campusante
nu poche puchurille o putimm'accuncià.

*Cose importanti e cose trascurabili

Quella si infilava una mano nella camicetta | e mi scrutava  pensierosa./ Sì, sì -esclamava -  io rido | soltanto per cose trascurabili:| un fiore, un uccello, una stella./ E tu, scimunito, sempre a pensare| alla morte, alla miseria,  alle malattie. / Non sai  che fatica ci vuole| per far vivere le piccole cose? / Ed io, testardo: Voglio ridere soltanto dopo | quando il fiore spunterà | in mezzo ad un campo pieno di granoturco | la stella luccicherà sopra una città  ben rifatta | e gli uccelli voleranno senza rischiare schioppettate./ Ma il mondo è malvagio!| Chi vuole troppo, chi vuole molto | corre dritto al cimitero! / Lascia che io giochi col mondo malandrino. | Ci voglio provare.| Forse prima di finire al cimitero| possiamo aggiustarlo un poco.





 ***


Fabiano Braccini
TUTTINFILA

Divise verdi in fila per tre:
mitra in braccio bombe a mano,
coltellaccio seghettato
per potare liane e gambe;
nervi tesi
da energetiche ‘presine’.
Col cianuro sottolingua
vanno dentro alla foresta,
caricati soldatini.

Divise nere in fila per sé:
un elmetto doppio strato
per pararsi dalle schegge,
dinamite nelle tasche,
esche inneschi,
erbe amare biascicate.
Con borracce di bevande
vanno dritti nelle casbe
a guastarne i paradisi.                      

Divise rosse in fila per due:                         
generali in testa a tutti
con le sciabole levate,
luccicanti, insanguinate;
con gli sguardi
sempre uguali, allucinati.
Sono massa che sbandiera
ideali del momento
che domani cambieranno.
 

Divise grigie a cento a mille:                   
con libretti fili-d’oro              
d’una santa ribellione,                  
con le bluse usate lise,                    
cappellacci;
baionette lama fine.
Con la fame nella gola
vanno dove non lo sanno
a far carne da macello.

Divise strette al seggiolino:                      
con mirage, mig e tornado
vanno in cielo a saettare;                    
hanno i pollici già pronti
per sganciare
vulcan,  missili aria terra.
Con asettiche missioni
per far pace con la guerra,
per far brace d’ogni vita.

Divise bianche crocerossine:                      
a tappare le ferite,
a tagliare mani e gambe
senza troppa deferenza.           
Son dottori
senza patria né frontiere     
per salvare bimbe e madri
nella giostra di granate
(attenzione al fuoco amico!)

                 Basta divise! Baaastaaa!   -   Mai più divise? Nessuna?
Sono sogni virginali,
u-to-pie con le ali                      
che mai in alto voleranno.                   
Son poeti e sono matti                                               
che si svegliano sudati,
preda d’incubi notturni.
Son preghiere e imprecazioni:                 
son ‘fioretti’ … da coglioni.                       


*** 
        Grazia De Benedetti

ISTANTANEA (4/11/10)

Due giovani Rom su una panchina 
lei armeggia con due valigie
lui parla al cellulare.
Forse sono appena arrivati
forse sono stati scacciati.
Forse.
Nel giardino nessuno a quell'ora.
Il giardino è accogliente,
non chiede chi sei né che fai
non disprezza il dove e il perché.
Cinge d'alberi e prati
bisbiglia di fronde, non urla.
Il giardino è accogliente
quando non piove.

2 GIUGNO MI – TO (RISAIE) (2011)

Verde implume
aguzzo e rado,
immerso nell'acqua immobile,
specchia la luce del cielo
sagome d'alberi ombre di tralicci.
Lunghe ripe terrose
lo spezzano con ordine.
Uccelli acquatici lo sfiorano,
vi atterrano morbidi,
il becco puntato al riso nascente
nel solletico di peluria sottile.

E' la stagione che la terra si sposa con l'acqua,
nel ricordo di donne chine
affaticate nella guazza.
Il fascino del germoglio delicato
e sommerso
per chi non conosce il piegato sudore.

***
 

          Maria Maddalena Monti
 
                                   
                                            LA NOSTA STRADA


E se peu ghe tucass
all’incuntrari  caminà
‘n sta strada che semper
en fa  in cumpagnia?
In mez i tusan lusisen
de splendur
cunt i brasc a fa bariera
Valzen i mamm
 mè na bandera
 i fiuritt pena nasu.

Nanca ‘n fir
 pour’n fazulet
tucc insema
de dre  al funera.
E se infin ghe tucass
-_m’è l’è ciar-_
de per nung per semper
caminà
sta strada, la sarà
peu  la nosta strada.

[LA NOSTRA STRADA

E se ci toccasse da oggi/da soli camminare/a ritroso in questa strada/che sempre
abbiamo fatto in compagnia?/In mezzo, ragazze splendenti di fervore/ insieme con le
braccia a far barriera*/.Giovani madri con trofei di bambini appena nati/ .Neppure lo
spazio per un fazzoletto/assiepati dietro a un funerale//E se poi ci toccasse/-come è
chiaro-/per questa strada da soli / per sempre camminare/per noi,non sarà più/ la stessa
strada

*a far barriera. Per gioco le ragazze si tengono per mano e ,ridendo impediscono di passare
(Dialetto bassa comasca)]


                           MINUTI

E ci consegnamo a questi giorni
che sfuggono fra le pieghe delle dita.
Ore,minuti fissati a punta di spillo.
Sull’atlante il viaggio prosegue.
Ma il dito puntato ritorna sempre
là,dove forse c’era  il nostro posto.

                                               SONO UNA CASA

Sono una casa
piena di refoli  di vento.
Di volta in volta
mi affaccio alle finestre.
Non finiscono mai
di aprirsi e di chiudersi
a mani senza spessore
che pure scardinano
le strette aperture
e  districano,ostinate,
grovigli di filo spinato.

Ma c’è un punto,
uno squarcio d’azzurro
sul tetto.
E lì ,come un respiro,
abito

***



 
Anna Maria Moramarco



SILENZIO

Chiudo gli occhi
e il mondo non esiste.
Silenzio.

Profonda assenza
estasi sospesa.

Silenzio.
Nel distacco da tutto
mi sento
sono io
esisto pienamente.

Silenzio.

IL PASSARE DELLE ORE

L’orologio della vita
scorre
sulle ore
passate e future.

L’oggi è scialbo
apparentemente inutile
molto faticoso.

Ci vuole coraggio,
un coraggio ardito
provato dalla solitudine e dalla speranza,

nel  sopportare
di trascorrere
col passare delle ore.
 
***

Nicoletta Saccon


RIVELAZIONE

Togliersi il cappotto, i pensieri,
togliersi.
Anche gli sguardi degli altri,
appenderli alla soglia.
Lasciare le scarpe,
aprire le mani.
Appoggiarsi piano all’ombra
all’osso sottile che ci sostiene
al rivolo tiepido dell’alito
sul vetro.
Allora, nell’istante, vegliare.

Ci sarà una tenda che oscilla al balcone
e volti arsi di un’antica bellezza muoveranno
come lime sul passato,
ci sarà un chiarore
oltre i muri dentro le stanze
e   nei corpi una luce che rotola
e s’incarna in brace  
-  una mano ostinata la raccoglie
in fondo
alle minuscole fratture del giorno,
e  trema -.

IL REPARTO


Lungo i corridoi lindi
i sentieri portano orme inceppate,
gli sguardi hanno la sostanza del vetro,
scivolano  sulla fronte del giorno
–  attraversano tanta ampiezza, tanto oblio
 e riaffiorano, subito bruciati –
sono né forma, né battito
solo gesto
benedetto dalla sedazione.

Come mai
- se le menti qui sono conchiglie
disabitate dal tempo,
risucchiate, trafitte
da una luce che non si fa raggio,
ma trapassa la  carne con aghi di ghiaccio
e intanto sgretola  memorie -
come mai
il desiderio qui non gocciola via,
la paura rimane incrostata nella madreperla
- basta raschiare con l’unghia -
e intanto  il pensiero si affila, si fa sottile come velina
arde nell’istante
e poi si rivela?

E’ tra il letto e il crocefisso
la bellezza,
il cuore del silenzio.
Ma noi scappiamo, come da un rosario che brucia le dita.

                                     (febbraio 2009)

***
 
Flavio Villani




 
NELLA BATTAGLIA


Nella battaglia non si fanno prigionieri
e il cammino diventa obliquo
passo dopo passo
si fa obliquo e cauto sull’asfalto sporco
mentre i tendini dolenti spingono
nella direzione più sbagliata
(verso i cecchini o fra le braccia
accoglienti di robusti macellai)
che quella giusta è sempre opposta.

Nella battaglia – è chiaro, lo sa anche un bambino –
non si fanno prigionieri:
un piede oltre la soglia ed è troppo tardi
di buon mattino è già il segnale
lo sai del finale che è sempre quello.

Le cuffie ben piantate nelle orecchie
(Bach con quel preludio è meglio
dell’indistinto clamore della lotta):
ah, quanta ingenuità
in tutte le parole dette e ridette
dimenticale se puoi
dimentica tutte quelle
che sarebbe meglio ricordare
dimenticarle è bene
la battaglia è giusta, dicono
niente parole nessuna pietà
non c’è pietà per tutte queste facce
perdio nessuno ha pietà
nessuno ne avrà per loro
per l’avversario solo sconfitto
travolto sulla scala mobile di buon mattino
nel passaggio fra linea rossa (Loreto
è oggi il nodo ma forse lo è sempre stato)
e quella verde (Piola, l’ultima stazione).

Nella battaglia non si fanno prigionieri:
non inganni il profumo del cappuccino
e attenzione a dove vanno i piedi
a non pestare il sangue che veloce scorre
negli interstizi giù giù delle scale mobili
fino al binario che dritto e scuro corre
fino dentro il cuore (di sicuro via di qua).

Cammina cauto amore mio poiché nella battaglia
per l’avversario non c’è pietà.      E così sia.



16-18 ottobre 2011







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