Su segnalazione di Leonardo Terzo. L'immagine L'esserci, 2005 è sempre di Terzo.
Scriviamo
la nostra storia
come i sassi del fiume
al passaggio dell'acqua
fingono
la loro inutilità
Stiamo
qui immobili a farci
blandire muovere
da quella forza che
di noi vuole solo la resa
la fredda accoglienza
di quando la stella
si specchia nell'acqua
la sera.
Lettura di Gabriel Pizarro
So che
questa poesia nasce all’interno di un dibattito sulla natura, il senso e
la condizione della poesia e dei poeti nella contemporaneità e nella
Storia. Questo non si dice nei versi perché per l’autrice essere ed
essere poeta coincidono. Così questa poesia è tanto profonda che coglie
le radici dell’ ”esserci” (ontologia ed ermeneutica) umano, tra cultura e
natura. La nostra cultura è presentata come scrivere (“Scriviamo”), la
nostra natura è presentata approssimativamente come stare (“Stiamo”).
La prima
strofa di sei versi, è una similitudine, con tre distici incorniciati.
Il primo e il terzo, costituiti solo dal verbo e il complemento oggetto:
“Scriviamo / la nostra storia” e “fingono / la loro inutilità”,
contengono il terzo distico che enuncia la similitudine “come i sassi
del fiume/ al passaggio dell’acqua”. La similitudine trasforma “noi” in
qualcosa di esterno a noi: sassi e acqua, in modo che possiamo vederci e
capirci meglio. Ciò che la proiezione all’esterno e nelle cose sembra
dirci, è che la storia è finzione.
La
seconda strofa è molto complessa, e fatta di due parti. La prima “Stiamo
/ qui immobili / a farci blandire” sembra una frase finita. Il bello
invece è proprio che il pensiero ricomincia a metà del verso senza
punteggiatura. Il vuoto tra “blandire” e “muovere” è un finire e
riprendere che accosta due parti sintattiche separate senza legame
linguistico, un asindeto cioè un accostamento spaziale e visivo quasi
pittorico più che semantico. La poesia diventa quasi “poesia concreta”.
Il significato della ripresa si vede, più di quanto lo si capisca, e
comunque ancor prima di capirlo.
Per la
natura l’umanità è inutile: sebbene l’umanità la usi e la consumi, la
natura è indifferente, perché nulla si crea e nulla si distrugge. Siamo
noi che ci facciamo “blandire”, “muovere” (commuovere) sebbene “qui
immobili”.
La poesia
è, come si è detto, fondata sul confronto fra umanità e natura che si
scambiano le funzioni retoriche di lettera e simbolo (o come dicono gli
analisti della metafora., fra veicolo e tenore) L’umanità si presenta
nella sua espressione più interpretativa, collettiva e culturale: la
Storia.
Infatti
il soggetto è plurale e l’atto di cui parla non è immediatamente il
fatto di vivere, il che costituirebbe la Storia vissuta, ma la Storia
elaborata in scrittura, cioè identità del sapere o sapere dell’identità
di un popolo (come si diceva una volta, poi si è detto “società”, ora si
dice “comunità”).
Scrivere è
vivere, più sapere di vivere, cioè in un modo “storico” appunto. L’uso
del tempo presente elimina, o almeno attenua, il senso della Storia come
passato, tendenzialmente o sostanzialmente irrecuperabile, e ne fa un
edificarsi nel presente. La Storia è però scritta con la minuscola,
perché non è ancora istituzionalizzata e allontanata, e ingrandita e
venerata, ma vissuta momento per momento, come un lavoro dell’esistenza,
di cui siamo costituiti, ma prospettivamente faticosa da vivere e da
fare o subire.
Il
compito di vivere, esistere e rendere, e fare la vita “storica” è tutto
concentrato nell’inizio lapidario. Primo verso, una sola parola, che
però ci comprende tutti, ci collettivizza. La storia ci comprende, ma
non è lei che fa noi, bensì siamo noi a fare lei e a farla nostra.
La
natura, a cui l’umanità è paragonata e confrontata, è a sua volta
dualizzata (da “due” deriva “diavolo”, bella allitterazione) in sassi e
acqua. È un’immagine fulminante che mischia e fa esplodere vari
contrasti o conflitti. Noi siamo i sassi, e l’acqua che passa è la
storia: noi siamo immobilità, staticità, fermezza anche, durezza,
insensibilità forse; durata, solido contro fluido, pluralità statica
contro flusso unico mobile e inarrestabile; limitatezza nel proprio
essere contro invasione fluente di un divenire sfuggente ovunque. Ma
anche tentativo di resistere, come si vedrà dopo.
Non
possiamo fermare la storia, e allora fingiamo inadeguatezza e inutilità.
Dopotutto è vero, siamo impotenti al fluire del tempo, ma cerchiamo di
non divenire, intuendo che divenire significa morire anche. Perciò
sebbene sassi e immobili, siamo però plurali, tanti: la finzione è
resistenza. Non siamo in armonia con la storia; sappiamo che siamo
inutili tutti e singolarmente, perché non sappiamo fermare il fiume del
tempo.
Ma la
nostra consapevolezza dell’impotenza è una finzione. Questa finzione si
chiama coscienza? In fondo alla nostra posizione statica, sul fondo del
fiume, sappiamo che siamo noi a fare o a percepire il tempo a nostra
immagine e misura, anche se prima o poi comunque sfuggirà davvero.
Scrivere
la storia è fingere: ce lo svelano sassi che resistono all’acqua
inutilmente. Fingere significa anche immaginare (Leopardi) ma qui
significa che ingannano la consapevolezza propria e altrui di essere
inutili. Quindi la negano fingendo al contrario di essere utili? È una
collana o catena di negazioni, come una litote prolungata o ripetuta:
fingere nega la realtà, inutili nega l’utilità. Quindi, come in un
nastro di Moebius ontologico, non è realtà non essere utili. Ovvero è
realtà essere utili?
Fingere è
dare senso alla vita con la scrittura della storia, e insieme
ingannarsi, perché non si può fare altro. Fingere è sapere intimamente e
profondamente due cose opposte: immaginare e negare la propria
inutilità. L’inutilità è l’effetto della finzione o la finzione è la
medicina dell’inutilità? Il compito della poesia è aprire dilemmi?
Questo si
aggiunge o si scontra con l’altro conflitto ontologico: acqua e sassi,
acqua e terra. Perché i sassi fingono solo al passaggio dell’acqua?
Negano la vita? E l’inutilità rispetto a quale utilità?
E che
cos’è l’utilità? È il senso della vita, della storia e dell’essere
umani, o “esserci”. Qui rientra (scorrettamente) la consapevolezza del
dibattito sulla poesia, perché è dall’inutilità della poesia nella
contemporaneità che l’autrice individua l’inutilità trascendente
dell’essere. Ogni morte di un frammento è sineddoche della morte totale,
o insensatezza del tutto.
La
seconda strofa comincia con “Stiamo”, ripetizione anaforica del soggetto
come prima persona plurale. Siamo sempre noi, che “Scriviamo” prima, e
poi semplicemente “Stiamo”, cioè non agiamo più; siamo fermi, passivi “a
farci blandire”, “muovere”. Se siamo fermi “muovere” significa
“commuovere”: da chi? Dalla “forza” della vita che da noi vuole una
“resa”, perché la forza è ingannevole: vivere è andare verso la morte,
“fredda accoglienza”, nella “sera”, scambio di consonante (resa-sera)
conclusivo dove di nuovo un concetto, lo specchio, è riprodotto con un
altro mezzo: l’inversione visiva dei suoni.
La forza
che ci blandisce e vuole in realtà la resa è appunto la vita (altro
anello di Moebius concettuale), che vuole in realtà la morte. Dalla
Storia scendiamo alla natura, dalla natura scendiamo alla negazione
della vita. Si cerca un senso nella varietà della chimica (sassi acqua).
Poi si va al rapporto dell’astro con lo specchio alla fine del giorno e
della vita: sera e morte.
Blandire è
l’illusione, la finzione, l’immaginazione, l’inutilità finale quando il
tempo della vita come lo scorrere dell’acqua (mobile e apparentemente
dunque vitale) non può mutare la nostra essenza di sassi. Ma i sassi
sono già pietre umanizzate dal significato della parola “sassi”,
rispetto ad altre alternative come pietre o terra o crosta terrestre.
La
visione finale è tutta inevitabilmente umanizzata: la stella che si
specchia è un costrutto umano, anzi poetico. Come anche la natura stessa
è un costrutto umano: quegli enti che chiamiamo acqua o fiume, sassi o
minerali, o atomi, stella, sera, siamo noi ad averli nominati così, per
poterli usare, per farne il nostro mondo.
Infatti
il finale è un’immagine che ha tutta la dolcezza di una natura
storicamente e letterariamente osservata e pervasa dal sentimento umano,
con tutte le connotazioni tradizionali della stella, dello specchio e
della sera: una ricompensa in immagine dell’aspra consapevolezza
rivelata. Una vendetta, o una redenzione, finale dell’estetica.
7 commenti:
Io vorrei,ma forse è un desiderio impossibile, che le poesie potessero essere così presentate di modo che si esalti non solo tutta la loro ricchezza emozionale (intensamente presente in questa poesia molto bella), ma anche, attraverso il commento, venga dipanata, ampliandola di senso, anche tecnico, perchè no, quella 'sintesi' che il poeta espone nella sua opera.
Questo potrebbe essere un modo attraverso il quale poeta e critico (non necessariamente dev'essere un critico accreditato o paludato, ma qualcuno che si accolla questa funzione/finzione) vanno a braccetto oppure litigano ecc. ecc.
Almeno a me farebbe piacere succedesse così rispetto a ciò che presento: non mi è sufficiente il "ma che cavolata!" e men che meno "oh, che bello!".
Significherebbe tagliare via, mostrarsi precipitosi nei confronti dell'esperienza altrui.
Certo, ciò è anche un segno dei nostri tempi, oberati come siamo da molteplici cose.
Ma si tratta soltanto di questo?
Tornando al testo, mi è anche piaciuta la circolarità di immagine, poesia, prosa: Leonardo, Emilia, Gabriel. Che può diventare, Emilia, Leonardo, Gabriel e via poetando.
Anche ciò arricchisce il lettore di ulteriori suggestioni
Grazie.
Rita Simonitto
Ciao Emy,quel saper essere pietra e poeta, da quel poco che conosco del tuo discorso poetico, è "poetentissimo" in questa tua cascata/pozzanghera di suoni in movimento immoto...mi ha fatto ancor più battito di pietra,acqua,alberi, barbagianni,lupi,scoiattoli e insomma foresta, quando poi ho letto il lievito pizzarro, messo al fianco e poi tutto ricomposto alla tua farina di pietra.
Dal fiume, lentamente e anche rapidamente,a zig e zag, in una scogliera poetica dritta al mare, le porte dell'oceano
un grandissimo abbraccio
tua ro
Mi piace assai, Emy! Questo pessimismo radicale, che è così radicale da metterci quasi il cuore in pace, tranquillo.
Grazie ragazze! senza falsa modestia , davvero mi sembra troppo! La magìa questa volta mi ha davvero sorpresa.Beh, non posso negare la mia felicità. Emy
Cara Emilia, mi fai ricordare la Merini. Come lei scrivi moltissimo e come lei scrivi in modo comprensibile. I versi sembrano le frasi semplici ma esatte di un discorso. Discorso sul quale non mi soffermo perché ne ha già scritto profusamente Leonardo III. E comunque dico che mi sembra una poesia perfetta. Come un arco, neanche un segno di punteggiatura, si apre e si chiude, come un bello sbadiglio che sgrida consolando. Bella perché serena e ottimista. Disarmante e coinvolgente.
Io è così che me la ricordo la Merini. E per me la sua era poesia nuova, ci sentivo lo stupore di chi non ha niente ma non si rifugia nei sogni, sogna ma ci sta attenta, capisce il valore delle cose ( qualcuno invidioso direbbe: fin troppo bene).
Mi sembra che questa tua poesia abbia un bel vestito, sicuramente quello che indossi quando scrivi e che ti fa bella perché capace di romanticismi. "La stella che si specchia nell'acqua, la sera" è un verso popolare come una cartolina, ma è innocente e fa vedere e pensare. Una metafora struggente che dice della poesia ancor più dei poeti, loro parlano parlano.
mayoor
Cara Emilia, conoscevo questa poesia,che è proprio tua.Un canto in cui si compendia la capacità di ascolto e la tua comunione con la natura.
Anch'io leggendola, alla fine ho respirato un senso di tranquillità.
Per il resto.. Le analisi precedenti hanno già detto.
Maria Maddalena
Gabriel Pizarro, da non confondersi con il noto giocatore di rugby (Nato a San Juan, in Argentina, il 19 novembre 1979, 183 centimetri per 100 chili), ha svolto un buon componimento didattico. Pensare che per averlo frettolosamente scambiato per "il buon" leonardo III, m'era arrivato uno sbadiglio... che ho voluto trascrivere nel mio commento qui sopra, ma finendo col farlo pesare sulla poesia di Emilia Banfi. Sbadiglio che ho cercato di camuffare, ma tant'è.
Mi scuso con Emilia, la poesia è bellissima.
mayoor
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