lunedì 14 novembre 2011

Erminia Passannanti
Sul senso e sul futuro:
la poesia contemporanea


Ed ecco il secondo [E.A.]

1. Il fatto che la poesia sia diventata 'nota a troppi', diceva Leonard Woolf, svilisce l'intellettuale 'alti-frons', e 'alti-frons-issimo' (A Caccia di intellettuali, Ripostes, 1993). Infatti, quando un soggetto culturale si declassa, per le alte sfere critiche, è sempre sintomo di un populismo che raggiunge ed infetta il mondo delle arti. Il fatto che la poesia, in dati periodi, venga praticata da 'più persone', invece che essere confinata ad una o più elites culturali egemoniche, invece, può essere un sintomo (positivo) di gravità dei tempi, gravità che induce, non per vanità o ambizione, il poeta in erba, il potenziale poeta, i '+ poeti', i 'futuri grandi poeti', a tentare la via espressiva della poesia per ricavarne consolazione, e/o l'illusione di uno spazio per 'dire la propria' (idea, protesta, afflizione, etc). 

Non sono, personalmente,'apertamente' infastidita dalla proliferazione dei poeti e dei loro linguaggi: per me, ciò è buon indice di una qualche forma di istruzione in voga che circola, e circolando smuove le acque e crea dialettica.... ciò pone ahivoi! gli individui in condizione di usare il mezzo linguistico-espressivo a qualche livello che si (auto-)determina come 'poetico'.
Non vedo nulla di negativo nelle esigenze, nei motivi, nelle circostanze socio-economiche, nonché storiche, che muovono i criteri dell'auto-giudizio e inducono coloro che abbiano imbrattato o con la penna, o con la macchina da scrivere o con il computer (come facciamo tutti), un foglio di parole, e dopo attenta (auto)-osservazione, ne pensino: "sono l'autore di questa poesia."
La Dickinson scelse l’ invisibilità, mentre Emily Bronte scelse di uscire, insieme alle sorelle, dalla sfera dell'invisibile e darsi alle stampe (autofinanziate, con gli spiccioli, prima di passare ad un vero e proprio editore, ma da postuma).

2. Quanto alla nozione di 'post-poesia', secondo me, è un concetto inapplicabile alla poesia.
La poesia è un fare in divenire e non può mai essere postuma, siccome alla poesia non si applicano le normali categorie estetiche, soprattutto imperialiste, essendo espressione prima e diretta del modo sempre attuale dell'individuo, di ogni individuo, di percepire il mondo (e tradurre queste percezioni dei modi presso di lui o lei del mondo stesso).
Si possono, invece, applicare, sempre e comunque, senza tema di sbagliare, o abusare la poesia come genere espressivo, le categorie marxiste, quelle sì: sicché la poesia, come espressione di dati classi e situazioni economiche, fa trasparire il suo essere collocata nel mondo a vari livelli di appropriazione del discorso poetico.
La riforma che parte dalla critica è riforma impossibile perchè, a dire il vero, la poesia si riforma da sé, e riforma anzi gli altri, e anche il suo non riformarsi secondo le aspettative della critica è, a modo sua, una riforma, una riforma verso la propria rivoluzione/risoluzione.
Non vi sono per la poesia 'autorità di controllo' oltre a quelle che risiedono all'interno di essa: i critici non capiscono i poeti e i poeti non capiscono i critici,.. a meno che non coincida il critico e il poeta, come in Dante, Petrarca, Cavalcanti, Wilde, Eliot, Fortini, Ungaretti, Pound, Brecht, etc etc...ovvero: il poeta di gran statura è sempre anche critico autorevole, conoscendo la materia nell'intimo. Su nessuno di questi poeti-critici- critici non solo di se stessi ma della poesia come genere, - un esterno critico può avvicinarsi e dire: ?Ehi, sono la tua autorità!" sicché solo la poesia (del poeta) è la sua stessa autorità.

3. Cosa resta alla poesia in epoca contemporanea se non riferirsi ai processi ragionativi e comunicativi?
La razionalità del discorso poetico, come attesta il tipo di poesia scritta da Pasolini, Fortini, Brecht, Enzensberger, è modello di una poesia che come la filosofia studia i processi della ragione nel rapportarsi all’esperienza del mondo, e dunque alla conoscenza.
La poesia è, infatti, secondo Vico, la prima esperienza possibile di comunicazione con il mondo, e dunque, aggiungo, la prima esperienza filosofica universale artisticamente condividibile, oltre le circostanze locali, geografiche e temprali, storiche.
La poesia ragionativa è la poesia del futuro, il mezzo che comunica il contenuto tramite la forma/le forme, il linguaggio/ i linguaggi, che le sono propri.
Questo genere di poesia enfatizza la forza del sociale rispetto all’individuale perché assume come proprio il potenziale di razionalità ed universalità che sempre è insito nel linguaggio poetico.
Per la poesia comunicativa di Fortini, l’argomento in un testo, anche il più sintetico, criptico, è sempre il suo fulcro, la sua forza, pur restando nell’estetico. Anzi il ‘livello estetico’, per Fortini, si conduce di fianco all’argomento critico, ma mai per falsificarlo, dominarlo o nasconderlo.
 L’opera poetica comunicativa, che, comunque, si attua attraverso l’esperienza estetica, sostituisce il discorso critico e promuove le istanze dei valori su cui si fonda. La poesia ha anche, per Fortini, una funzione sociale officinale, che chiarisce l’autoinganno delle arti, quando servono il potere.
Chiamiamo questa poesia ‘razionale’ perché si pone lo scopo di dissipare le illusioni che si basano su processi e forme, non tanto di ‘errore’, ma di ‘inganno’, individuale e della intera società.

4. Rimedio all’impasse
Il castello (dei poeti laureati morti, sepolti, o uccisi), nota Ennio Abate, è in soqquadro, ed i poeti proliferanti, che vi arrivano e lo trovano nel caos, che fanno? Lo saccheggiano?  Lo ordinano?
Da che esiste la letteratura scritta, questi movimenti di rivoluzione si realizzano soprattutto in un modo: ci si mette insieme, avendo delle intese ideologiche e politiche, si concepisce, un progetto comune, e ci si accorda sulle linee programmatiche estetiche e contenutistiche, nonché teoriche, di tale progetto di poetica e di movimento, si redige un manifesto, si fa una serata di lancio del manifesto, e poi serate anche per due o tre anni, di letture e performance, si organizza un volume, più volumi, delle mostre, s’invitano e coinvolgono critici e giornalisti, si titillano gli editori a mostre e fiere a farsi i conti sui possibili profitti e si lanciano nuove raccolte e opere critiche su quel dato movimento, sia come evento singolare (per ogni aderente al movimento del manifesto programmatico), sia collettivo.
Ecco che il momento individuale, che è proprio della scrittura poetica, si fa momento di prassi comunicativa e performativa. Ecco che si contribuisce, con il movimento, a cambiare la cultura e anche ad intervenire poeticamente, creativamente, politicamente, ideologicamente, nella sfera pubblica, e sugli istituti letterari che gestiscono il canone.
Non vorrei scomodare l’enfasi che Habermas pone sulla democratizzazione della, e sulla partecipazione alla cultura, come elementi dello sviluppo individuale. In The Structural Transformation of the Public Sphere,  pubblicato nel  1962, Habermas confronta varie forme di partecipazione borghese alla vita pubblica, nell’era delle liberal-democrazie, del mondo della burocrazia industriale (ormai diremmo post-industriale), mondo in cui, appunto, la borghesia controlla la cultura attraverso i media, le loro industrie, e ne è controllata.
La poesia può molto, quando decide di mobilitare le sue forze in questa sfera borghese, nell'accezione positiva del termine, equivalente a "cittadino dentro la sua tradizione ed il suo spazio civico": questo tipo di azione-manifesto è ciò che Habermas definiva nel 1962 la 'sfera pubblica borghese', che consisterebbe in spazi organizzati dinamicamente, all'interno dei quali gli individui-cittadini (in questo caso, i poeti) si riuniscono per discutere i loro interessi pubblici e culturali "comuni", contro quelli arbitrari ed oppressivi delle forme di potere pubblico e sociale.
Se si vuole uscire dall’essere mesti consumatori di cultura, assoggettati alle manovre e agli scopi delle mega-corporazioni economiche e organizzazioni governative della ‘res publica’, bisogna esserne produttori di cultura, costi quel che costi.

Salerno, 13.11.2011

58 commenti:

ha detto...

Grazie dell'accoglienza, Ennio. Volevo specificare ai lettori che non si tratta di un vero saggio, ma di un collage di tutti i miei vari interventi al post di Linguaglossa, che, letti insieme, mi sono sembrati potere dare una qualche idea di come io mi ponga dinanzi allo scenario culturale attuale in cui si muovono i poeti, e consideri lo stato in cui versa la poesia contemporanea: dunque un collage, non più.

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:


Cara Erminia,

due note su autorità (in poesia) e azione-manifesto nella “sfera pubblica”

1. « Non vi sono per la poesia 'autorità di controllo' oltre a quelle che risiedono all'interno di essa… i critici non capiscono i poeti e i poeti non capiscono i critici,.. a meno che non coincida il critico e il poeta… solo la poesia (del poeta) è la sua stessa autorità».

Così dicendo tu teorizzi proprio il fai-da-te anarchico, che a me pare un comportamento o da ultima spiaggia (quando si è soli e staccati del tutto da un gruppo o comunità o società, da naufraghi, insomma da Robinson Crusoe) o da monadi individualiste (oscillanti anch’esse tra disperazione e megalomania). Non dico che non ci siamo passati per queste esperienze. O che l’assetto sociale (capitalistico) questo comportamento non ce l’imponga o solleciti sistematicamente ad assumerlo. Ma teorizzarlo, farne un modello valido, consigliarlo, no! Se poi riconosci che i grandi poeti sono anche critici autorevoli, non capisco perché non proporre appunto il modello del poeta-critico a tutti. Allora il consiglio potrebbe essere: poeta, sii critico di te stesso! Ma come fai a diventare critico, cioè autorità di te stesso? Io aggiungerei: vedi che lo puoi diventare anche dando ascolto ai critici autorevoli. O semplicemente misurandoti con i critici che ti capita di conoscere, magari duellando con loro. Perché un’autorità non sta lì solo per comandare, intimare o vietare. In teoria potrebbe star lì per accrescere (mi pare che l’etimo di ‘auctoritas’ contenga tale significato) le potenzialità di chi con essa entra in rapporto. Ne avessimo di autorità di questo tipo. Ma capisco che di solito un po’ tutti abbiamo incontrato perlopiù autorità castranti; e, solo a sentire la parola, ci chiudiamo a riccio.

2. «Se si vuole uscire dall’essere mesti consumatori di cultura, assoggettati alle manovre e agli scopi delle mega-corporazioni economiche e organizzazioni governative della ‘res publica’, bisogna esserne produttori di cultura, costi quel che costi».

Sì, ma non tirarmi fuori Habermas e la sfera pubblica borghese oggi che non si sa più nemmeno cos’è diventata la borghesia e navighiamo a vista in chissà quali sfere, che di pubblico hanno ben poco. La borghesia non c’è più , la democratizzazione (anche in poesia) è quantomeno dubbia e inquinatissima e i movimenti organizzati a mo’ di partito con tanto di programma-teoria-manifesto ( tanto per fare un esempio: il Gruppo ’63) non funzionano più (come si vide dal fallimento della sua riproduzione in vitro e a scadenza simbolica: il Gruppo ’93). Per i moltinpoesia la situazione - purtroppo - è più complicata. Non disperiamo, ma non facciamola facile.
Chiedilo a Mayoor che voleva fare lo “sciopero dei poeti”..( Cfr. http://moltinpoesia.blogspot.com/2011/11/lucio-mayoor-tosi-smettano-di-scrivere.html
in uesto stesso blog)

ha detto...

ennio: grazie dei commenti.
'poeta, sii critico di te stesso!' non lo volevo dire e non lo intendevo: perchè per me questo è solo l'inizio, o stadio iniziale, e 'necessario', per cominciare a scrivere. volevo invece dire: 'poeta, assumi come tua autorità solo la poesia!', che è molto diverso.

i critici autorevoli, se sono come Fortini e Luperini, poeti e scrittori lòoro stessi, non affliggono con giudizi che sfiduciano e stroncano i loro interlocutori, ma anzi si limitano ad interagire ed, al massimo, a descrivere. il critico può solo descrivere, mai legiferare.

Unknown ha detto...

Ad Erminia, Lucio,Ennio, Emy, gli assenti e gli scrutatori non votanti,

questo commento può essere cancellato;
questo commento potevo metterlo nel post di Lucio;
questo commento potevo metterlo dove per quanto da me sostenuto doveva rimanere l'intero corpo del "discorso" poetico inerente al tema;
questo commento può essere cancellato perchè volutamente provocatorio ma non intellettuale.

Cari tutti ,
lo smarrimento che riguarda una condizione di per sè UMANA già in condizioni più vivibili rispetto all'ultimo secolo, è nel giorno della marmotta che continua da piu diun secolo totalmente pervasivo in ogni sua veste ed espressione, ancorchè quelle piu alte (solo artigiane,o addirittura artistiche...invisibili o tele-media-visibili etce)relativo al basso l'alto sotto o sopra ovunque , non è della poesia , ma di tutto,tranne di chi non vuole vedere e fa finto a se stesso, ma soprattuto tranne di chi , capitalismo o "massonerismo", ci vive alla grandissima invisibile e visibile...con che cosa?

con la commedia è finita ( la tragedia e il dramma pure), perchè?
perchè è la realtà che andata a farsi fottere.
Ovviamente sto parafrasando un mix fra due Paoli(rossi e villaggi) e non un mix di due Poli(nemmeno di Paolo Poli purtroppo che non sono) ,
è un bipolare-mente su cui checchè se ne dica hanno spostato in false alternanze il mondo, per sventrare anche quelli piu resistenti,dal nucleo essenza di due trampoletti che camminano lungo deserti sterminati chiamati essere pensante.

se la realtà è andata a farsi fottere come la canzone guccini nomadi cantavano, è sempre per la stessa solfa parecchio azzeccosa che aveva predetto Nietzsche e con lui o da lui vari poeti del pensiero non solo filosofi.
Un appunto a latere per Ennio, quando parlavo di techne, non era per l'indubbio vantaggio di usare gli stessi strumenti del potere,concessi al "popolo" per affondarlo meglio ( vedi es del media in cui ci troviamo , studiato per spostare le masse a divorarsi su fessbuk o a far finta di poter fare le rivoluzioni scolorate in partenza o per deafult)

Se la realtà è andata a farsi fottere, è chiaro che non riguarda solo il fenomeno che la realtà aveva con i poeti e con POESIA, i quali potranno far finta a se stessi di non accorgesene ed entreranno nel realitypoetry,o penseranno che il fenomeno riguarda solo loro, oppure invece potranno diventare cantori di una relazione divelta fra l'uomo e la realtà ( non importa se da cazzoni qualsiasi o chissa con quale talento riconosciuto singolarmente o collettivamente)

la realtà " ambientale" è in questo discorso da quella piu semplice , a quella piu complessa ..dalla relazione alienata molto piu di quanto marx dicesse relativo solo alla "fabbrica" ,fra sè e i propri muri, o le stagioni o sè e il tempo (accellerato senza poter essere vissuto appieno) etc etc a quelle ugualmente alienata fra sè e i suoi simili,in una montagna di masse massicce sovrappopolate solitudini etc etc

è l'elemnto di partenza , quello umano(emotivo-intellettivo),che, poeti e non poeti,hanno alienato e chi riesce ancora cantarlo non solo dentro un canone ( artistico o meno , artigiano o meno , poetico o meno) è fuori dal reality (commerciale o intellettuale, di massa o di nicchia, di poteri o contropoteri).

con tutte queste cagate pazzesche, vi saluto nelal speranza che i molti presenti in quella sala , si facciano "vivi" come "i molti" richiederebbero di per sè.

Anonimo ha detto...

La poesia genera poesia così come, ad esempio, la musica genera altra musica e il cinema altro cinema di tipo amatoriale. Può sembrare strano che arti tanto difficili possano moltiplicarsi, ancor più in un'epoca come questa così segnata dall'avidità e dal funzionalimo. Ma ben venga, no?
Secondo me, in questo rinnovarsi del traffico culturale le citate "categorie marxiste" dovrebbero principalmente occuparsi di favorire la viabilità delle idee e dei sentimenti. Quindi sono d'accordo con Erminia passanti quando scrive: "Se si vuole uscire dall’essere mesti consumatori di cultura, assoggettati alle manovre e agli scopi delle mega-corporazioni economiche e organizzazioni governative della ‘res publica’, bisogna esserne produttori di cultura, costi quel che costi." La critica metterà ordine al caos se sceglierà di tirarsi su le maniche accettando di sporcarsi le mani (Linguaglossa, ma anche il nostro Abate, mi sembrano tra questi).
Inoltre credo che si dovrebbero cercare nuove forme associative e nuovi comportamenti oltre a quelli canonici descritti da Erminia. Questo perché, sempre secondo me, i poeti oggi soffrono per un rapporto di infelice dipendenza nei confronti di un'editoria che si è fatta per certi versi troppo distante, e per altri ruffiana e sfruttatrice.
I poeti, e parlo qui dei poeti davvero invisibili, per necessità stanno imparando una lezione importante: si auto promuovono in tutte le maniere possibili, tengono reading, si associano, aprono e scrivono su blog etc. Credo quindi che sarebbe utile creare un censimento delle attività possibili, un censimento almeno a dimensione urbana: quali librerie, quali associazioni, quali organizzazioni pubbliche o private sono disponibili a diffondere poesia? Creando una rete di questo genere i poeti possono interrompere il rapporto di dipendenza a cui accennavo. Anziché avere sempre a che fare con singoli disposti a qualsiasi umiliazione, gli editori si troverebbero a trattare con individui imprenditori di se stessi ( il termine non piace? troviamone un altro). Se si potesse contare su una rete indipendente, magari che comprenda anche i circuiti museali e le gallerie d'arte, una rete creata dai poeti per i poeti, possono bastare anche le tipografie. A ben vedere è già una realtà, solo che è lasciata a se stessa. Perché non organizzarla?
Come fare per promuovere le proprie poesie o il proprio libro? Semplice: esattamente come si fa per cercare un hotel. Clicchi e vedi quali sono gli spazi disponibili.
So che sto uscendo dal nobile discorso e mi scuso (sono un ex pubblicitario), ma questo faciliterebbe anche la visibilità della poesia. Poniamo che il nome di questa rete sia "Milano-poesia", basterebbe dare visibilità a questa sigla per rendere visibili tutti i poeti.

Mayoor
poeta e scombinato faccendiere

Unknown ha detto...

ciao Mayoor , di quella scombinata "fazienda" del mio poco sopra commentar, hai colto l'essenza .."FARE" POESIA, da parte di poeti e non poeti , in queste condizioni liquidissime atomizzatissime( senza liquidi denari se non dalla parte di chi è conforme a certe solitudini da numeri primi, tanto per dirne uno dei pu noti esempi ing ing ing di marketing ed happyhours) significa una sola cosa: fare ciò che il potere e il controllo ( sia di poteri che di contropoteri) ha vieppiù sterminato peraltro in modo "ambiguissimo", schizofrenico ,bipolaremente, facendo credere a non poeti di esser tali e a poeti di non essere degni.

Rimane solo una strada, quella da te tracciata al fine, almeno per quanto riguarda la coscienza individuale di più individui,di non far continuare i vari potenti e contropotenti a ridere o piangere (dipende sempre da poteri e contropoteri e dal bipolare schizofrenico con cui hanno esaltato e depresso, con un'immanenza peraltro di "ogni monumento" del passato con cui misurarsi in una competizione al massacro a diminuzione pure della memoria di quelle statue viventi, visto che il passato pesa come un macigno da qualsiasi lato vi si ponga lo sguardo: che sia orrore, che sia menzogna con cui hanno gestito le persone, che sia poesia con cui alcuni , noti o del tutto sconosciuti, hanno cantato in modo sublime la nuda e cruda realtà ma anche il sogno

occorre pertanto usare nello stesso sistema e parole in codice schizofrenico, qualcosa che rovesci la condanna ...l'organizzazione, mappatura che descrivi è saper vivere poesia , ed è per questo aspetto cio che diceva Bukowski per ogni aspettoo in cui è facile scrivere poesie, il dfficile è viverle.

rovesciare "i canoni" del realitypoetry, per vivere poesia dalla parte dei poeti( che poi peraltro è essere dalla parte dell'uomo e di ogni sua fragilità, senza sentirsi chissa chi e cosa, perchè altrimenti che cazzo di poeta saresti) , è usare ad esempio le parole della neolingua con un fare capovolto, ergo farle ritornare al dritto dove dovevano rimanere, ari-ergo organizzare in continuo strato su strato e inclusione di forme e contenuti , come proponi nel tuo intervento... ad esempio quindi che siano RONDE POETICHE e in ogni paesaggio anonimo riempirne i vuoti con le parole di sempre dei poeti ..oppure tantissime cose CREATIVE ma rigorosamente strutturate tanto come i grandi editori e i grandi critici le hann volute destrutturare per strutturarsele ad alto ricavo ,strictu sensu inteso o semplicemente perchè ai margini costretti narrare lo spaesamento.
queste cose si fanno anche da soli, ma insieme vengono meglio e incidono ovviamente di piu.

quando non ho aderito alla tua proposta " smettano di scrivere i poeti" è perchè questo è l'obiettivo finale dei guardinai del mondo:togliere dapprima ogni poesia nella realtà, e poi fino all'ultimo uomo,poeta canonico o meno, monumento o sconosciuto.
La poesia era è e deve rimanere un ostacolo al piano di distruzione autodistruzione che complotti o meno , chi ha cuore Poesia, deve sapere come fronteggiare nell'impresa poetica necessaria.

concludo con una frase da film: a disposizione! da intendersi anche come personale impegno operaio a "movimentare" quello scheletro da te proposto perchè si appalesi alla realtà ( sopra le macchine ,le vie ma anche i luoghi classici librerie) il cuore bum bum dei "molti" assenti presenti scrutatori liquidamente sparpagliati.

Anonimo ha detto...

Ronde poetiche dici? Non male. Vediamo se piace ad altri. Io per me lo metterei nel programma dei Molti un incontro così. Stilare un elenco di librerie per cominciare e poi riviste, blog e via via tutto il resto comprese le gallerie d'arte e ogni sorta di spazi pubblici. Basterebbe un sito, una cosa semplice da poter usare, neanche un portale vero e proprio. E naturalmente un minimo di organizzazione. In buono stile non-profit.
Ciao

may

ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
ha detto...

(ho cancellato io il post precedente perché avendo mal di testa stamattina avevo sbagliato a postare: pardon)

@ mayoor

"Inoltre credo che si dovrebbero cercare nuove forme associative e nuovi comportamenti oltre a quelli canonici descritti da Erminia. "

ok, namely? (vale a dire, quali? proposte please...)

ad ogni modo, le performance dada e i manifesti surrealistie futuristi non erano intesi dai loro ideatori come soluzioni canoniche, rispetto al canonico (quello sì) partecipare e vincvere un dato concorso e guadagnarsi il consenso di critica e l'iniziazione editoriae.

per chiarirci, il premio e la pubblicazione dietro suggerimento della critica, è un modo "canonico": il manifesto e le performances non lo sono, mai, rispetto ai procedimenti rituali della poesia "mainstream"

...ovvero, LO SONO (CANONICI) MA SOLO all'interno del movimento di dissidenza, che pure, eh già, ha i suoi canoni.


:)

ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
ha detto...

faccio un esempio: volevo tanto scrivere una raccolta impoetica, totalmente impoetica, anti-cattolica, anticlericale, pienamente oltraggiosa dello Status Quo, profanatoria e profana, anti-mainstream...
come avrei potuto MAI pubblicarla se mi fossi rivolta prima al giudizio di un critico? nessuno me l'avrebbe passata per buona, nes-su-no. lo so. siccome è la poesia la mi autorità, le ho chiesto: "Posso io ritenermi libera di scrivere questo testo e catalogarlo sotto il genere di poemetto, libello, satira poetica al sistema letterario, dai Vangeli in poi, in primis!?"

Mi ha risposto la Poesia, dicendomi : "Sì, lo puoi!"

Il libello l'ho pubblicato in UK con un editore che nemmeno sa leggere l'Italiano....e che non ha avuto nessuno che abbia analizzato i miei contenuti.

Un editore che pure ha una collana universitaria di Italianistica di prestigio...ma sono certa che il mio volume non è stato sottoposto a nessuna revisione. E tanto meno 'peers' review'.

Pubblicato il volume, che da anni ed anni volevo scrivere contro lo Status Quo (e che nello scriverlo mi ha fatto molto divertire), non l'ho inviato a NESSUN critico "out there".

A qualche amico (che per caso fa anche il critico, sì, l'ho mandato, ma senza chiedere nessuna recensione: una 'opinione' l'ho chiesta solo al Linguaglossa, che assai vedo aperto, ma fino ad ora si è guardato bene dal farlo: ciao, carissimo Giorgio...)

:)))) (e dai, Giorgio, fammi sapere che ne pensi del Torsolo)

L'ho inviato però a molte biblioteche europee dove solo voglio che giaccia. Punto.

Ho dato l'idea di quello che intendo?

ha detto...

_ Come vedete, alòtro che ronde.-.-.. poetiche.
Io suggerisco: Liberty!

Unknown ha detto...

ciao :-) ...ho fatto solo un esempio di getto ( come penso scrivo quando intenzionalmente uso il pensiero agganciato alla mano senza altri filtri )

era solo un esempio di mappatura in senso ampio da intendersi che va dalla radice stessa del dibattere, ergo "LA PAROLA"...

la mappa, e chi se ne occupa, è di per sè "rivoluzionaria" nel senso incontaminato da ismi umani, perchè riguarda qualcosa , che al di la del reality in cui hanno voluto affondare la realtà, è di per sè approssimazione, di divenire in divenire ..pure ciò che hanno ridotto a vuoto, può sfuggirmi al censimento completo,perchè non potrei mappare tutto il vuoto o il suo contrario pieno o semipieno....nel momento stesso in cui ne ho tracciato una, ne dovrei tracciare un'altra in continuo movimento: questo il fabbisogno rivoluzionario esistenziale poetico dalla PAROLA ai suoi AUTORI, LUOGHI e NON LUOGHI

sulla parola quindi , il mio è stato solo un esempio di strumento per far coincidere parola a strumento ...forse mi è venuto quel suono per una spiegazione contingente politica , aver letto stamattina che la bestia Gentilini , ergo lega della piu ronda delle ronde pensiero, fa dissenso alla lega stessa e come si esprime?

con una ronda ben gradita ai guardiani del mondo ( anche della PAROLA, con la neolingua) esprimendo tutto il suo appoggio al tecnocrate del capitale cannibale per antonomasia, ma rivestito con un'altra parola ridotta a neolingua ergo democrazia.

tutta qua l'esegesi di quel suono , che era sepolto nella mia stessa memoria, per quanto grottesca ne era stata la sua propaganda pubblicità, utile al divide et impera degli stessi tecnocrati rivestiti di "parole" antibarzellette, peggiori delle "parole" contenute nelle barzellette statiste stesse.

Anonimo ha detto...

Cara Erminia,
condivido ogni cosa che hai scritto e in quel "canonico" non c'era polemica. Almeno non ne avevo alcuna intenzione. E comunque le proposte stavano lì di seguito. "Credo quindi che sarebbe utile creare un censimento delle attività possibili, un censimento almeno a dimensione urbana ..."
Ciao

mayoor

Anonimo ha detto...

Sono una inguaribile romantica che guarda ancora alla poesia come a quello strumento del tutto particolare da cui il *duende*, come lo chiamava Garcia Lorca, ti fa prendere a suo piacimento:
ti dà l’illusione di essere in grado di possedere questo stra-ordinario mezzo di comunicazione espressiva, ma poi ti fa scoprire inerme allorchè ti senti deluso e/o abbandonato.
Il *duende* è anche il demone che ti porta alla lotta estenuante per far convergere le strade, come diceva Lucio Mayoor Tosi, di “sogno e concretezza. Sogno per poter vedere oltre e concretezza per poterci arrivare”. Un continuo confronto tra svelamento e copertura.
E in questo tipo di confronto dovrebbe risiedere la cifra politica della poesia.

Per questo motivo ritengo che il problema della visibilità non debba avere tanto (o soltanto) a che vedere con la visibilità del poeta (certamente e giustamente ambita), o della sua opera (ancora più giustamente necessitata perchè a nessuno piace mandare messaggi in bottiglia), ma che riguardi invece la capacità del dire poetico di rendere visibile quell’invisibile con cui l’arte poetica è in contatto. Invisibile che attiene sia alla realtà esterna e sia alla realtà interiore. Ed è, a mio parere, in questa visibilità che oggi ci si dovrebbe misurare. La odierna poesia, riesce o no a dare voce a ciò che viene nascosto (tenuto nascosto) dal frastuono?
Oggi partecipiamo ad una indigestione di visibilità: di (pseudo)emozioni, di corpi vestiti e corpi nudi, corpi-maschera e corpi-cadavere, di relazioni (ambiguamente false e ambiguamente vere), di (pseudo)rivoluzioni, di vittorie che nascondono invece la caduta nell’abisso. Vediamo tutto ma capiamo ben poco. Questa visibilità ci acceca ma, paradossalmente, vogliamo ancora più luce.
Se scorriamo un po’ Internet ci accorgiamo che una certa visibilità non manca sia per aspiranti poeti sia per quanto riguarda offerte editoriali che ‘giocano’ sul desiderio dell’aspirante scrittore di avere un suo momento sulla scena. Ma, e poi?
In questo modo, la poesia, invece di essere ‘interprete’ (non mi piace tanto questo termine, ma non mi viene in mente altro) di tutto ciò, diventa ‘parte concreta’ di tutto ciò.
E’ questo che si vuole?
E quale metodo, o tecnica si intende ricercare per non cadere nel fai-da-te, delusi da un mercato che ti avvolge nelle sue spire?
Sinceramente non lo so, ma continuo a chiedermelo.
Già Moltinpoesia è un esperimento importante:il tipo di commenti e di interventi lo dimostra.
Ma forse può subire il destino di ciò che appare in rete. Una toccata e via (anche se spero di no).
Un caro saluto.
Rita Simonitto

ha detto...

La teoria della "Communicative action", di Habermas, è ancora una delle teorie più moderne in circolazione, nei Social Studies, in quanto negli anni Sessanta già prevedeva la pletora dei Movimenti che oggi si vedono (per me "per fortuna", per altri, non so).

Insieme a quelle di Giddens, le teorie di Habermas sono le teorie sociali sul senso e futuro della cultura più aperte all' abolizione naturale delle classi sociali (laddove ogni agente sociale tende a fare parte di una sola ed unica classe universale del villaggio globale, come si è visto in epoca recente).
L'azione è utopistica, proprio perché portata su un piano universale, quale quello che i divulgatori della nuova religione cristiana a suo tempo si prefisse.

Nelle società post-industriali, tale è il fenomeno di auto-assimilazione del singolo, e dei singoli movimenti, nei grandi movimenti transnazionali, e trancontinentali (e si veda l'ondata di movimenti e rivoluzioni nel mondo arabo, e musulmano, tutti tendenti a raggiungere la condizione di base, laica, internazionalista, per appunto assimilarsi alla nozione oggi in voga di villaggio globale, ahimé questo certamente dominato dal mondo delle finanze).

La poesia contemporanea oggi deve scrivere di questo, se vuole 'riflettere' la sua epoca: ovvero riflettere 'sulla sua epoca', 'sul suo mondo'.

La poesia contemporanea deve scrivere dei vantaggi, degli svantaggi, delle realtà, ma anche del disagio eventuale che questa grande massa in movimento causa, ovvero deve dire di come l'immaginario, che insieme a questa massa oceanica di gente e movimenti si sposta, possa rapportarsi ad essa, rimanendo fedele anche ai termini suoi propri.

Insomma, la poesia contemporanea deve fare una cosa molto semplice, antico, tradizionale, non altro: ovvero il suo mestiere di poesia.

ha detto...

A Rita: grazie del bellissimo commento.

A Mayoor,

“censimento" e "canonico" - termini che hai tu usato nel tuo pieno diritto di farlo - appartengono al nostro comune registro legale, che ci forma, informa, limita, anche protegge e agevola. Non ho nulla da obiettare a proposito.

Siamo cittadini e, dunque, anche i poeti appartengono a città e popolazioni passibili di essere sottomessi a dati "canoni" (insieme alle loro opere)e a dati censimenti.

E' legale, da parte del potere, di sottoporre a censimento i suoi cittadini.

E parlavamo appunto "del" potere che rende o meno visibili.

Non si può facilmente essere ‘in toto’ contro il potere, ed i suoi sistemi, se si è "dentro" di esso: si può solo riformarlo, se vi si è dentro, e la poesia è certamente dentro non uno, ma molti istituti di potere.

Quando la poesia si porta fuori da questi poteri, diventa o invisibile, o visibilissima, se assume forza rivoluzionaria: la poesia può, infatti, rivoluzionare i poteri.

Ma è un atto coraggioso: e quale poeta o poetessa davvero l'ha fatta, la rivoluzione del genere, del canone?

Pochissimi.

Laddove è sempre possibile una rivoluzione all'interno del continuum del linguaggio e della retorica, sono pochissimi gli scrittori capaci di operare dei radicali rivolgimenti e rendersi meritevoli per quello (si pensi a Beckett, Ionesco, Pound, e da noi Amelia Rosselli): il rivolgimento di contenuto (ah quello è facile: ci si siede, poeticamente predisposti, dinanzi al foglio bianco, e si inizia a parlare di istanze legate, per esempio, a date realtà minoritarie: gay/lesbians rights, animal rights, human rights, ecologia, etc ect, )....il rivolgimento di forma, certo pure quello è stato magnificamente già fatto, sicché la forma l'hanno rivoluzionata le avanguardie storiche, rivoltando la tradizione come un calzino ed operando qualsiasi stravolgimento possibile ed immaginabile del canone.

Cosa resta al poeta contemporaneo? Certo non rassegnarsi, e nemmeno scegliere la invisibilità o la visibilità prostituita: ma anzi, a mio parere, dovrà sciogliere la performatività, l’impegno civile, la dissidenza, il coraggio di dire, che è il solo che parla del vero mestiere della poesia.

Ma sono solo delle mie solite idee...e anche, forse, non solo da me stessa sorpassate.

Anonimo ha detto...

Dopo aver letto e riletto i vostri ( e anche i miei) interventi vorrei dire con amore quanto segue:

non siete abbastanza nella merda per potervi accostare al nuovo che avanza con sicurezza di vedute. Magari no, magari nella merda ci siete, ma l'abitudine ereditata dalla tradizione borghese, alta medio alta o piccola che sia, vi costringe a volare con un linguaggio che non ammette cedimenti.
Il punto dell'intera questione mi sembra stia tutto qui.

Non so bene se il nuovo sarà una rivoluzione come lo fu per Goya o William Blake, ma sento che partirà dal basso, tanto dal basso che metterà l'intera estetica a gambe all'aria.

Perciò, chi ce la fa, si prepari per tempo. Ammalarsi gravemente, morire di fame o ammazzarsi di lavoro può essere utile. A che serve continuare a volare sul proprio cadavere? Cos'è mai questa poesia che acceca?

Quando sei nella merda non conviene nemmeno guardarsi tanto indietro, i secoli scorsi non basteranno a salvarci. Ne' basterà essere ragionevoli, inutilmente positivi o pessimisti. Bisognerà essere folli, tanto nella gioia quanto nel dolore.

L'eredità del passato servirà solo a renderci più abili, più bravi certo, ma il passato non è uno strumento. Dovremo essere capaci di aggiungere nuovi insegnamenti agli insegnamenti. Saper guardare nella merda usando il suo linguaggio, alla pari, con cuore e intelligenza.

Così come stiamo messi siamo vecchi. Superati, confusi, illusi. Disperati, soli, abbandonati... finalmente!

mayoor

Anonimo ha detto...

"L'eredità del passato servirà solo a renderci più abili, più bravi certo, ma il passato non è uno strumento. Dovremo essere capaci di aggiungere nuovi insegnamenti agli insegnamenti. Saper guardare nella merda usando il suo linguaggio, alla pari, con cuore e intelligenza.

Così come stiamo messi siamo vecchi. Superati, confusi, illusi. Disperati, soli, abbandonati... finalmente!"

Sottoscrivo questo urlo, epperò non vuoto ma pieno. Non come la voragine fonda della bocca dell'"Urlo" di Munch.
Ma, nello stesso tempo, e parlo per me (e a questo punto sarebbe interessante il confronto con altri) mi serve quella parte di eredità del passato che non è costituita soltanto da macerie ma da rovine (differenza che ben esplicitava Marc Augè in suo libro), da cui si può anche prendere qualche cosa, anche di strumentale.
Eppoi, stare nella merda da tanto tempo può anche renderti mitridatizzato alla puzza....


1969: Merde

Ho gridato ‘merde’ tutto il giorno.
Al mondo di vacche e tori,
ai campi lascivi sotto il vento dell’Ovest,
al cane che piscia a gamba alzata,
all’uomo di strada con la piorrea.

Ce la siamo davvero voluta
piccole pupille dallo sguardo vuoto
o basite da inutili eroi.

Eppure ho continuato a urlarlo.
L’ho detto infinite volte più una,
ma ancora troppo poco per riuscire
a disimbragarmi da questa mota,
da questo puzzo di catarsi esistenziale.

E soprattutto nessun effetto davanti
alla comunità di silenzio,
ai sentimenti raggrumati ormai
come sangue nero,
davanti agli uomini vagolanti
con lo stupido marchio dell’onestà.

1969 di un giorno qualsiasi

Rita Simonitto

ha detto...

Cara Rita, prima di te l'ha fatto Pasolini! E prima ancora ha iniziato con la parola "Merda" Ubu Roi, Alfred Jarry!: nel mio Torsolo, compare "merda" più di 50 volte, e la merda è materiale sacro in Jung, materia escrementizia simbolicamente ormai sfruttata: devo deluderti, ma la merda e i suoi derivati sono anche nel film di Pasolini, Salò, "Girone della Merda", come metafora del marciare/marcire sulla tradizione borghese. Che altro puoi mai dire, tu, di nuovo, gettandoti a capofitto in questo sfuttatissimo, logoratissimo, consumatissimo soggetto e tema?

Anonimo ha detto...

Erminia, se prese alla lettera le parole della metafora finiscono col diventare materia per collezionisti. Via, non bruciamo il senso delle cose. Decidilo tu dove sta il nuovo, ma prova a farlo guardando in avanti se possibile. Ciao

mayoor

Anonimo ha detto...

... anzi no. Anche guardare in avanti può essere una fuga, in avanti vedremmo assai probabilmente il passato che selezioniamo.

m.

ha detto...

come mai 'debbo' imparare, secondo te, queste cose? sempre secondo te non guardo abbastanza al presente? e da cosa lo desumi che io non guardi al presente? infatti, io guardo "esattamente" al presente.

Anonimo ha detto...

Per carità, pare a me che tu abbia già imparato molto, e il tuo pensiero mi è chiaro. L'hai espresso molto bene, particolarmente al punto 3 del tuo post.
"Cosa resta alla poesia in epoca contemporanea se non riferirsi ai processi ragionativi e comunicativi?".
Qui mi riferivo a questo:
"Che altro puoi mai dire, tu, di nuovo, gettandoti a capofitto in questo sfuttatissimo, logoratissimo, consumatissimo soggetto e tema?"
perché m'è parso un appunto sgarbato verso la poesia postata da Rita Simionitto e, nella sostanza, con quell'elenco di citazioni l'andavi distruggendo con esempi retrodatati, per altro mancando a mio parere il punto della questione. E confermavi quanto sostenevo a proposito del passato che in poesia non può farsi strumento (riferendomi al nuovo, naturalmente).
Quanto detto, sempre ammesso che in poesia sia del tutto vero, viene confermato da questo tuo commento, che poesia non è, ed indica quel continuo rimandare al già noto che al nuovo, almeno per come l'intendo io, dovrebbe interessare relativamente, o almeno non in questa misura.
E, a dirla tutta, scrivendo ho tentennato all'idea che mi stavo intromettendo in quanto certo non toccava a me rispondere al commento di una all'altra.
Per quanto attiene al presente, ma in poesia, può bastare quel tuo "La poesia è un fare in divenire" che si capisce non essere ovviamente riferito al futuro.
D'altra parte ti si potrebbe chiedere: che succede quando guardi esattamente al presente? In quel momento che ne è del passato e del futuro?

mayoor

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate a Mayoor:

1. Non capisco perché chi sta «abbastanza nella merda» (= incasinato, confuso, sofferente, squattrinato, isolato, depresso?) avrebbe il privilegio di «accostare il nuovo che avanza» con maggiore lungimiranza di chi fosse fuori o poco nella merda.

2. Lasciamo perdere «la tradizione borghese, alta medio alta o piccola che sia». Almeno su questo dovremmo concordare: di quella tradizione abbiamo ereditato meno di altre generazioni, perché il mondo è cambiato e anche parlare di borghesia oggi non ha più senso. Al massimo ci giriamo tra le mani qualcuna delle sue «rovine» senza saperle neppure più decifrarle a sufficienza. Anche l’appello di Fortini a un «buon uso delle rovine» è sempre più problematico. E non solo tra i giovani, come l’intervento di Pozzato (Cfr. post Glossa a Linguaglossa) quasi con candore ( e senza offesa) dimostra. Ma pure tra gli anziani o i meno giovani di entrambi i sessi.

3. Che il “nuovo” (???) « partirà dal basso, tanto dal basso che metterà l'intera estetica a gambe all'aria» è tutto da dimostrare, è una fede (rispettabile, ma fede). Ammesso poi che l’estetica non sia troppo femminista per assumere volentieri la descritta posizione.

4. Pessimo (vera “allegria di naufraghi!) mi pare il suggerimento di «ammalarsi gravemente, morire di fame o ammazzarsi di lavoro» per preparasi al Peggio (anch’esso “nuovo?) che avanza. È proprio il suggerimento che con parole più melliflue ci daranno Monti e il suo esecutivo di Tecnocrati appena annunciato. Non prendo nemmeno in considerazione quel «Bisognerà essere folli» per il rispetto che ho della sofferenza dei folli in carne ed ossa ( e qualcuno/a l’ho visto/a in performance nella mia vita). Aggiungo: «quando sei nella merda», sei appunto espropriato anche dalla possibilità di guardarti indietro, di usare la memoria individuale o collettiva. E questo è un guaio in più. Perché questa cancellazione della memoria ci è sta imposta dalla informatizzazione (operazione politica e non meramente tecnolgica) della nostra vita. Non è che l’abbiamo liberamente scelta; e dunque non è affatto un vantaggio. E, ancora di più, avendo smarrito via facendo molti insegnamenti (basterebbe pensare cosa ha comportato l'inabissarsi di tutto il pensiero marxiano socialista e comunista, nonché quello cristiano), non si capisce come potremmo « essere capaci di aggiungere nuovi insegnamenti agli insegnamenti».

5. L’apologia della vecchiaia o dell’essere «superati, confusi, illusi, disperati, soli, abbandonati» non conviene neppure ai vecchi. Non scherziamo. Invecchiamo almeno lucida-mente!

ha detto...

Cara Rita, innanzitutto ti ringrazio per l’interazione: il presente è fenomeno in divenire: lo si vive ed è già passato, così ogni forma od opera nel suo darsi e compiersi, che si dispiega orizzontalmente e cronologicamente, sta in tutte e tre le dimensioni temporali. Nel compiersi si (auto)supera, ed è, da altrui opere, superata. Dunque, il presente è il futuro che diviene. Ed il presente è il presente che è passato. MA è ANCHE IL FUTURO CHE è PASSATO.


;) IO credo che se bisogna dirla francamente, sul versante critico, allora la poesia di Rita postata deve potere essere soggetta ad analisi senza preoccupazioni di essere cortese o "scortese" (mi pare che "scortese" sia stato secondo te il mio rinvenire in quel suo testo qui postato di alcuna novità.

Poi, sinceramente, ho solo descritto quel suo testo e contesto, collocandolo in una millesima parte della tradizione che attiene alla metafora della “merda”.

Ma potevo non dirlo?
No, non potevo dirlo: sicché postare un testo significa sottoporlo a lettura ed analisi: e tu postandolo (o forse lei postandolo) chiedevi questo: che si leggesse e giudicasse.

Sarebbe stato scorretto fingere stupore dinanzi ad un testo che certo NON introduce il nuovo.

E siccome invece mi era sembrato che tu volessi indicarne la novità, ho voluto sottolineare come per me non contenga, lo dico sinceramente, novità alcuna.

Stavamo parlando di proposte nuove, se non sbaglio: questa non la posso considerare tale, dalla mia prospettiva. La “merda”, il suo tema, può solo comparire come citazione, ormai; da Dante in poi si è detto tutto sullo stare immersi nella “merda”, e gli altri, noi altri poeti, possiamo solo rappresentarla in un contesto citazionista, con ironia, dentro la tradizione di commedia, in cui Dante magnificamente l'ha collocata, addirittura "Divinamente".

Ma certo, puoi anche rappresentarla con passione, odio, astio, amore, nessuno lo vieta, a ben vedere. Nessuno lo vieta e nessuno lo impedisce. Non è infatti vietato rappresentare la “Merda” all’infinito.
:)

Anonimo ha detto...

"...che succede quando guardi esattamente al presente? In quel momento che ne è del passato e del futuro?"

Io credo che nel presente, in ogni nostro presente, si verifichi uno srotolarsi del passato in un movimento verso il futuro. Non sempre ce ne accorgiamo, non sempre accettiamo questo processo "in divenire" e allora tentiamo di bloccarlo, impedirlo, mistificarlo, ecc. ecc.
Il mio "Merde" del '69 appartiene a quel 'presente' là, subito dopo il fallito desiderio, estetico e pragmatico, di mettere il mondo a gambe all'aria. Finendoci, noi, a gambe all'aria.
Non volevo riproporlo come "soggetto a tema" che potesse 'servire' come strumento per capire la merda di oggi.
Il presente mefitico di oggi è ben altra cosa, e andrà trascritto nel senso di oggi, con gli strumenti linguistici ed emotivi di oggi. Ma questo non mi impedisce di notare che c'è qualche cosa in quest'oggi che mi riporta ad un passato (che fu presente,allora)in cui si potevano intuire già tracce di futuro senza che se ne potesse avere coscienza.
La poesia o, per dirla meglio, il dire poetico, dovrebbe avere la capacità di far vedere, anche in una mera descrittività, quegli aspetti 'ponte' che permettono i transiti. E' un po' quello che ho letto io nel poetare di A. Zanzotto rispetto al paesaggio.

... "non siete abbastanza nella merda per potervi accostare al nuovo che avanza con sicurezza di vedute.
Magari no, magari nella merda ci siete, ma l'abitudine ereditata dalla tradizione borghese, alta medio alta o piccola che sia, vi costringe a volare con un linguaggio che non ammette cedimenti".

Stare nella merda, purtroppo, significa solo 'stare nella merda' e prestare attenzione a che non si faccia l'onda. Cercare di starsene fuori attraverso il volare alto del linguaggio sarebbe fare come il Barone di Munchausen che dal pantano si tirò fuori afferrandosi alla coda dei capelli.
Che fare? Quale soluzione?
Ancora una volta, non lo so.
Ma non demordo.
Cari saluti a tutti.
Rita S.

Anonimo ha detto...

A Ennio Abate:
1 - l'idea classista è tutta nella tua domanda e non mi appartiene. Tutti possono essere lungimiranti, senza distinzioni. Tu continui a ragionare per collettivi, hai pudore a ragionar di individui (di uno voglio dire)?
2 - No, secondo me la tradizione borghese culturalmente esiste ancora. E bada che non le sono avverso, solo credo abbia perso la sua ragion d'essere e ora divaga in un mare di consuetudini prive di necessità.
3 - E' tutto da dimostrare a chi?
4 - Non è che voglio fare il prete, ma vorrei dire che non è difficile aggiungere insegnamenti agli insegnamenti. Ogni volta che apprendi dall'esperienza qualcosa che non sapevi, ebbene questo è un nuovo insegnamento che puoi condividere, che poi sia valido per tutti è da vedere, ma lo è. Ogni onesta poesia è nuova.
E' vero che il pensiero post moderno induce ad arrendersi, che tutto è già stato fatto e tutto è citazione, ma se è stato fatto bisognerebbe saperlo anche abbandonare.
5 - Oh Ennio, mica parlavo dei vecchi vecchi. Parlavo dei vecchi se confrontati ai nuovi, della crisi di cui stiamo parlando perché è la crisi del vecchio che non sa rinnovarsi, perché si è già rinnovato milioni di volte e ora si ta ripetendo.

mayoor

ha detto...

4. tutto è citazione, ancora. ognuno roscrive idee e temi e forme dalla tradizione.

questa pratica della "citazione" esisteva ed era messa in atto già prima, nell'infratesto delle opere,molto prima che entrasse in voga la riflessione postmodernista sulla nozone di citazione e citazionismo. solo che il post-modernismo ha nobilitato, sul piano teorico, della definizione teorica del fenomeno, quello che prima si definiva, ad esempio,

- pseudotraduzione, -riscrittura, -imitatio,

ma che, in effetti, era sottile o sfacciato "plagio" delle altrui idee e delle altrui scritture.

oggi, rispetto ad un ieri, è molto più difficile vincere una causa per questioni connesse al plagio, ma molto più facile vincerne una per ragioni di "authorship." (firma ed identità autoriale)

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate a Lucio Mayoor:

1.Vista la tua apologia della lungimiranza di chi sta nella merda, la contestavo. Lungimiranti in teoria possono essere tutti. Nella vita reale ci sono invece condizionamenti di vario tipo. Io ragiono da individuo sociale ( da io-noi). Per ragionare esclusivamente o prevalentemente in termini di io, avrei dovuto nascere borghese o condividere in pieno la visione del mondo dei (veri) borghesi.

2. Se la tradizione borghese ha perso la sua ragion d'essere, ne esiste appunto solo il fantasma culturale.

3. E' tutto da dimostrare da parte di chi sostiene che il nuovo emergerà dal basso etc.

4. Ci sarebbe una distinzione da fare tra insegnamenti che ci vengono da una Tradizione (antenati, nonni, padri colti, semicolti, altrimenti colti, etc.) e insegnamenti che ci vengono dall'esperienza. Dovremmo tenere a mente il discorso di Benjamin: il tipo di vita che facciamo ha sempre più immiserito o annullato la possibilità di esperienza (del mondo). Forsedovremm interrogarci sulla miseria della non-esperienza o della riduzione dell'esperienza (frammentata e incoerente).

5. La crisi che stiamo vivendo a me pare che tocchi vecchi e giovani; ed è tale da non permettere di distinguere più con sicurezza il 'vecchio' dal 'nuovo'. Questo ambivalenza è il problema.

Anonimo ha detto...

"Forse dovremmo interrogarci sulla miseria della non-esperienza".
Tornando a ragionar dal basso questa sarebbe l'ennesima perdita di tempo, ma certo potrebbe essere un inizio.
Dal basso ci si interroga sulla miseria ( come stiamo messi), e da lì potrebbe nascere l'approfondimento che nobilita ciò che è sostanziale. Questo perché il basso può riequilibrare sostanza ed estetica congiuntamente.

Inoltre, per chiarire il senso degli insegnamenti, rimanderei alla poesia come incessante rivelazione. L'esatto contrario del ripetersi e del pre-meditato.

mayoor

Unknown ha detto...

La ricchezza del mio cuore è infinita come il mare,

così profondo il mio amore: più te ne do, più ne ho,

perché entrambi sono infiniti……

Alle meraviglie del creato noi chiediam progenie

perché mai si estingua la rosa di bellezza,
e quando ormai sfiorita un dì dovrà cadere,
possa un suo germoglio continuarne la memoria:
ma tu, solo devoto ai tuoi splendenti occhi,
bruci te stesso per nutrir la fiamma di tua luce
creando miseria là dove c'è ricchezza,
tu nemico tuo, troppo crudele verso il tuo dolce io.
Ora che del mondo sei tu il fresco fiore
e l'unico araldo di vibrante primavera,
nel tuo stesso germoglio soffochi il tuo seme
e, giovane spilorcio, nell'egoismo ti distruggi.

Abbi pietà del mondo o diverrai talmente ingordo

da divorar con la tua morte quanto a lui dovuto

William Shakespeare

ha detto...

grazie in soffitta, ma questa traduzione è inappropriata sicché del sonetto di Shakespeare non rispetta la metrica, le rime, ovverso il senso e la scansione del verso...

ma chi è l'autore della traduzione? tu stesso? non sarebbe lecito, idealmente, postare una traduzione senza citare il traduttore/trice o riscrittore/trice. (quando postano una mia traduzione di un sonetto di shakespeare senza citarmi, mi incavolo.)
inoltre bisognerebbe dire qualche sonetto è, che numero? e postare anche l'originale.

così, non so...non mi pare affatto shakespeare, ma una pseudo-traduzione. a naso dico che è parte del cosiddetto ciclo della "procreazione", che guarda istantaneamente al passato e al futuro, tramite l'atto della procreazione (della bellezza, della poesia, del rapporto amoroso, poetico, comunicativo, etc.).

Sarebbe il sonetto I del ciclo :


From fairest creatures we desire increase,
That thereby beauty's rose might never die,
But as the riper should by time decease,
His tender heir might bear his memory:
But thou contracted to thine own bright eyes,
Feed'st thy light's flame with self-substantial fuel,
Making a famine where abundance lies,
Thy self thy foe, to thy sweet self too cruel:
Thou that art now the world's fresh ornament,
And only herald to the gaudy spring,
Within thine own bud buriest thy content,
And, tender churl, mak'st waste in niggarding:
Pity the world, or else this glutton be,
To eat the world's due, by the grave and thee.

ha detto...

ab ab cd cd ef ef gg
e così dovrebbe a seguito procedere anche la traduzione

Anonimo ha detto...

Daccela però la tua tradizione

Unknown ha detto...

ciao Erminia.." inappropriato " rispetto a cosa?

facciamo dnque contro la mia volontà un distinguo "cerebrale":

1
per quanto volevo trasmettere , non esiste decoder o traduttore, se non forse il refuso "anonimo" con cambio consonante, che di tradizione sarebbe in zona corpo tripartita ma non divisa il cui motore è la prima parola che esiste al mondo prima della parola stessa.

2
per quanto non ho saputo/ voluto / scelto e non scelto di trasmettere mi scuso , ma per il mio "io" rispetto al punto 1 era del tutto ininfluente anche se accademicamente incompleto

ha detto...

tu hai postato la poesi come poesia di shakespeare-..,ora io non vi riconosco shakespeare in nulla.

Unknown ha detto...

Ariciao Erminia, se questo è il tuo problema, è un falso problema, ci puoi togliere la parola Shakespeare e poi a te la prossima mossa si scacchi che come altri giochi analoghi mi annoiano.

Unknown ha detto...

ec
di scacchi, non si

ha detto...

ma che dire, tradurre vagamente il senso di una poesi di tale autore non basta a dirla la poesia "in traduzione" di quell'autore: ci vuole un poeta dietro quella tradizione, oppure una persona abile a restituirne le caratteristiche stilistiche. Sei u che hai postato questo testo per giocare a scacchi, non io: se poi ti annoia un gioco che tu hai introdotto, non so....non giocare, allora.

Unknown ha detto...

ciao Erminia, non ho postato nessun tipo di precommento o post o durante che parlasse di traduzione,o tradizione, o abilità o stile.
Ho colto semplicemente un momento , di conversazione fra voi, restituendovi qualcosa che per quel che volevo trasmettere , già precisato in quale ambito, bastava cosi..sei tu che l'hai affrontato con gli strumenti consueti della tua esperienza mentale.

ciao:-)
ro

ha detto...

io qua ero per conversare infatti... :) e così credo che Shakespeare abbia conversato con te...
ciao rita!
:)

ha detto...

aspetta, mi sto confondendo? chi è in soffitta? Rita o Emy?
:/

Anonimo ha detto...

Cara Erminia,
per quanto adori le soffitte, come adoro tutti i luoghi reconditi, misteriosi, io sono Rita e non Rosanna nè Emy.
Concordo, in parte, con la tua posizione sulle traduzioni. In parte, perchè ho sofferto, letteralmente sofferto, quando ho letto delle traduzioni penose del sonetto 66 di Shakespeare, o del "In ricordo di Marie A." di Brecht o di stralci da "La terra desolata" di T.S.Eliot, per citarti quelle più 'saccheggiate', letteralmente saccheggiate, nell'intento di permettere al pubblico (?!) di accedere a questi versi.
In parte, dico, proprio perchè siamo 'condannati' ad un continuo lavoro di traduzione tra ciò che esperiamo e ciò che riusciamo a trascrivere sia ai fini di una comunicazione quotidiana sia ai fini di una comunicazione 'speciale' (sì, speciale, con buona pace di chi pensa che questa sia una forma di élitarismo. Perchè non siamo tutti scienziati, allora?)che avviene attraverso l'opera d'arte.
E non sempre queste 'traduzioni' sono 'pulite': a volte sono dei veri e propri tradimenti (nel senso di portare da un'altra parte)e a volte sono espressione di quella difficoltà umana a
dare 'faticità' all'ineffabile senza violarlo un po', mutilarlo un po'.

E dopo questa precisazione notturna, saluto
tutti e mi isolo con una compagnia più misteriosa, i miei (7) gatti!

Rita S.

ha detto...

!!! beata te (dico per i gatti!, li adoro.)

Unknown ha detto...

Rita S.
17 novembre 2011 21:54

che parolone : tra..duzione poi ..dizione poi.. dimento, e l'èlite peraltro se ne crolla tutta nel momento stesso in cui verrebbe rivendicata da chi contraddicendosi con altri discorsi, portamenti,saudade, parole,el duende, el duende voleva fare contropotere, critica, o antiqualcosa che è in realtà possibile solo fra eletti come in ogni cerchio magico compreso quelle delle sette ..

rifacciamo ordine:
traduzione va esattamente collocato come da mia specifica al punto 2 17 novembre 2011 14:57 , in cui dicevo che mi intressava mettere a fuoco il punto 1

tradizione nn l'ho tirato in ballo io, ma anonimo ..dal quale refuso ho risposto non a una conversazione ma un fare le pulci rispetto alla emozione provata a mia libera traduzione vista la mia emozione, nel leggere l'incomunicabilità fra non conversazioni

il tradimento, altra parolona rispetto al frugale che volevo trasmettere, posso solo farla cadere nel vuoto

consiglio per gli eletti che se ne deriva è di chiudervi in ambienti impenetrabili che anche in internet possono essere strutturati per leggervi scrivervi solo previo screening.

Anonimo ha detto...

Ciro, il nostro gatto siamese, mi ha fatto capire, con il suo linguaggio da gatto che c'era bisogno di una chiarificazione rispetto all'élite e che non potevo andarmene a dormire così, facendo finta di niente: ne andava di mezzo il suo amor proprio.
Ciro è un gatto 'speciale': con lui si possono intrattenere 'discorsi' (non 'dialoghi', per carità. Anche se siamo convinti che, mentre lui capisce sufficientemente bene ciò che noi diciamo, noi, dalla nostra previlegiata posizione di umani, capiamo a stento ciò che lui ci comunica).
Rispetto agli altri gatti (ognuno, ovviamente inteso come 'soggetto' comunicante), la sua gamma interattiva è diversa, trasmette emozioni "altre", intraducibili, ma che sono "altre" e con le quali ci si può trovare maggiormente in sintonia, forse perchè sono più complesse, nel senso che ci mettono in contatto con un mix stupefacente di istintualità e possibilità di interpretazione. Che ne so.
E poi la mia conversione al 'gattolicesimo' è stata anche merito suo.
Ho fatto questo giro lungo per tentare di spiegare il mio intendimento di èlite, sentita come un sottogruppo particolare che appartiene comunque ad un gruppo e non ha nulla contro di esso, men che meno in termini di supremazia.
Ciro sta bene con noi, con noi ha un linguaggio previlegiato, ma sta anche, e molto bene, assieme agli altri gatti.

Mi scuso per aver obbligato il lettore a questa forzata 'escursione' nel mio privato, ma si sa, a volte le ore della notte ci fanno aprire porte che hanno molte analogie con quelle dei sogni.

E, a proposito dello straniamento, due pensieri in poesia.

Stranità

Allucinata rispondo alle domande.
… certo non vi appartengo,
altro idioma il mio.

Mantiene cucciolate e nidi
in quell’ eterno rito e aspro e dolce
che mal si appoggia
al comunque e dovunque
che oggi inganna.

E poi le mie chiostre si son chiuse.
Dalla gola arsa un canto stride
ruggini di note.

Proprio non so che altro dirvi.

01.08.07

Rita Simonitto

ha detto...

molto bella questa ultima poesia: e il gattolicesimo è anche la mia professione di fede.in questo allora ci somigliamo molto e facciamo certamente parte di una elite, nel nostro piccolo universo gattico.

ha detto...

rita, ma dai, te la sei presa a male? ma chi ha parlato di tradimento: io ho solo detto che non credo si possa apporre william shakespeare appunto ad una tua riscrittura: quello non è un testo tradotto 'da' Shakespeare, e lo dici tu stessa che ti sei meramente ispirata emozionalmente...si definisce con altri termini, quel tuo nuovo testo, ma non puoi mettere sotto il nome William Shakespeare sicché davvero è troppo diverso da quello che il testo di lui era e ancora può essere. immagino tu parli l'inglese, no? dovresti saperlo allora.

cmq, qui non c'è nessuna elite, ti assicuro, tranne quella dei gatti, di cui possiamo certo costituire una setta.

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

Seguo un po' da gatto un po' da élite (buona) la discussione o dialogo o discorso qui in corso. Mi chiedo sempre perché il tema del post viene quasi sempre perso di vista. Mi accorgo anche che Erminia continua a confondere Rita con In soffitta. E di tante altre cose che dirò man mano, per non disturbare il gattolicesimo e l'antigattolicesimo.
Ma sempre mi chiedo mettendomi al posto del post: perché sforate il tema?
Può darsi però che mi sbagli. Può darsi che sia colpa mia, del blog.

Ciao

ha detto...

a me piace sforare...divagare, dissennare, vagabondare, sgattaloiare via da un dato posto o tema...fa parte della mia natura felina. non so gli altri/ le altre...io preferisco le divagazioni al tema dominante o conduttore, infatti. ;)

Anonimo ha detto...

A Erminia e a RitA :Erminia sei davvero forte! Anch'io amo i gatti il mio purtroppo è morto l'anno scorso... .
Tristezza... . Rita 7 gatti!!! Che bello. Scusate sto sgaiattolando ma ora vado a "fusare".B.Notte Emy

Anonimo ha detto...

A Ennio:

Colpa dei gatti Ennio, colpa dei gatti. Emy

ha detto...

è esemplare qui come altrove come agli uomini piaccia tendenzialmente stare nei ranghi e alle donne prevalentemente divagare...non per niente mandano gli uomini a fare la guerra...se ci mandassero le donne sai che diserzioni!!! (oddio, adesso alcune ci vanno volontariamente! 'de gustibus...') ciao Rita e ciao Emy. Grazie della compagnia. Ciao Ennio e grazie per l'accoglienza: mi sono divertita con le tue amiche.

Moltinpoesia ha detto...

Abate Ennio:

Beate voi che sgattaiolate!
Eppure, Erminia, vedi che che anche le donne stanno nei ranghi ( e non solo degli eserciti!).
E che la natura felina o ferina la trovi in entrambi i sessi.
Non si tratta di piacere che gli uni provano (a stare nei ranghi) e le altre no. Si tratta di storia e di progetti che si devono costruire nella storia ( e non nell'immaginario). Se no, torniamo all'homo homini lupus (o al foemiana foeminae lupa). T'illudi se pensi che siamo libere fiere in libera foresta. Anche in questa postmoderna dove ci aggiriamo ci sono i cacciatori o le cacciatrici...

Anonimo ha detto...

A Ennio e ad Erminia: Verissimo ciò che Ennio scrive , alla storia lui ci pensa sempre e molto attentamente. Allora dai Ennio, divaga un po' con noi. I felini difendono accanitamente il loro territorio ma la loro libertà è invidiabile. La foresta è di tutti che ci vuoi fare, anche dei più piccoli. Emy

Erminia ,quel ciao ,che non sia per sempre...

ha detto...

"T'illudi se pensi che siamo libere fiere in libera foresta. Anche in questa postmoderna dove ci aggiriamo ci sono i cacciatori o le cacciatrici... "

:) aahha
hai ragione, ma io sto con il fucile spianato, tenuto stretto e carico sotto la zampa, e rido da sotto i gattici baffi.

ha detto...
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