giovedì 24 novembre 2011

Nicoletta Saccon
Poesie


Propongo altre poesie di Nicoletta Saccon (le prime pubblicate sono qui). In riferimento a quanto annunciato nel post precedente, I MOLTINPOESIA UNO PER UNO,  chiederei a qualcuno/a (del Laboratorio MOLTINPOESIA o meno) che volesse farne un commento critico  accurato, d'inviarmelo  
Ripeterò da ora in poi l'invito per tutti i post  contenenti poesie.[E.A]

FINIS TERRAE

 Dunque è questo, l’arrivo.
Questo  odore di chiuso, di polvere nei tappeti,
il silenzio sigillato dal giro di chiave
che si sfalda in echi sulle scale,
il tocco incerto sulle pareti
che frantuma la distanza:
e qualcosa di un giorno  impigliato per  le stanze,
quasi  dimenticato lungo il viaggio
- i mille occhi smarriti dentro l’aria -.

L’ora si riavvolge
di là dal vetro,
piano si ripongono i piatti   
nella sera umida,
si scosta il lenzuolo
si respira il pensiero
si attende che il moto di un gesto
ritrovi l’alveo,
-  così come  riaffiora
 un fiume carsico,
e si fa lama di luce che ferisce lo spazio -
perché non sembri
di aver invano urtato
contro il segno, bagliore di un attimo,
senza mai farne sostanza.
 
Scivolano ombre oblique,
rami scossi, dal giardino contro i muri,
mentre si stacca
il grido metallico dell’uccello in fuga
e abbandona l’orecchio.
E’ solo uno il luogo
da cui migrano a stormi
le piccole gioie quiete, lo stesso
a cui ora tornano,
composte sul davanzale:
 là chiedono di entrare,
attendono,
come il tempo paziente che  viene a noi
e nel cerchio della notte
ci sorprende.
  
(agosto 2009)
 
I NOSTRI GIORNI

                                           (a M.)

La stessa penombra
ci vestiva sempre,
ad ogni incontro,
la stessa acuta intensità
di una frattura
lungo il tempo e, dentro,
ci risalivano 
gli occhi degli assenti.

Anch’io in questi giorni
sigillo i ricordi
nel niente dell’aria
e le parole taciute,
come te,
perché le mattine entrino
in un angolo di calma
e la notte tre le tempie cada
oltre il bordo di noi.
Ma oggi, amica mia,
l’ora ha una trasparenza distesa, risuona
di un coraggio che  ricompone le storie
ed è così, che  ci mostra,
appoggiate al buio
tra le foglie
o al sole freddo
che ancora non incrina il ghiaccio
nei fossi,
prese tra il sogno e il magone
e con l’adolescenza che avanza e poi l’estate sulle labbra,
fingendo di non sentire quell’unico bacio sepolto,
un bacio di vetro, ognuna il suo,
la scheggia di un sentimento solo a metà vissuto,
perché solo a metà dato,
mentre noi ci aspettavamo il morso al cielo,
il fulgido mattino.
(2011)

TRITTICO

DI NOTTE, LE TUE FUGHE
                                                                                   (in ricordo di mia madre)

L’erba si piega umida nella fessura del buio, intorno il suono in rivoli corre un ritmo unico, la stanza è a riposo, conciliata, nell’ora compiuta.

Parrebbe una regale notte d’estate
tesa come un arco sopra i campi
e ci sarebbe stata, una delle tante
se non fosse che
il battito leggero della tempia sul lenzuolo
mi è caduto per sempre, smarrito,
il fiato impalpabile sull’orma piccola del corpo
mi ha rinnegato,
le stelle esplodono in spine,
non è più dato il tempo
e l’orecchio sente la corsa oltre il balcone (i tuoi passi sono tonfi come di sogno),
il piede scalzo l’insegue oltre il fosso,
la mente sbanda in fili, si capovolgono i telai
e l’occhio bambino muore, spaccato
contro un bianco riverso sulla bocca del buio,
radice di un corpo che preme nell’erba, affonda,
m’inghiotte il respiro ed è tutt’uno in me.

 (febbraio 2009)

IL REPARTO


Lungo i corridoi lindi
i sentieri portano orme inceppate,
gli sguardi hanno la sostanza del vetro,
scivolano  sulla fronte del giorno
–  attraversano tanta ampiezza, tanto oblio
 e riaffiorano, subito bruciati –
sono né forma, né battito
solo gesto
benedetto dalla sedazione.

Come mai
- se le menti qui sono conchiglie
disabitate dal tempo,
risucchiate, trafitte
da una luce che non si fa raggio,
ma trapassa la  carne con aghi di ghiaccio
e intanto sgretola  memorie -
come mai
il desiderio qui non gocciola via,
la paura rimane incrostata nella madreperla
- basta raschiare con l’unghia -
e intanto  il pensiero si affila, si fa sottile come velina
arde nell’istante
e poi si rivela?

E’ tra il letto e il crocefisso
la bellezza,
il cuore del silenzio.
Ma noi scappiamo, come da un rosario che brucia le dita.

 (febbraio 2009)
                                                                               

LA MATTA


Come in una coppa
tra le mani tengo un pensiero
una piccola fantasia guizzante
e a passi minuti la seguo
mi arrampico su una scala d’oro
ma vedo precipitare un pianeta
e dentro chiudersi un buio feroce.
Ora ho bisbigli nella mente
come frantumi di fuoco
che sigillano parole
e sono popolata da uccelli inquieti,
rapaci a grappoli
che trasmigrano nei sonni,
mi circondo di campanelli
per seppellirne il verso.
Se apro gli occhi
il mio nome si spezza
e dall’iride
dilagano moltitudini di forme,
processioni di nascite che tappezzano
la carne:
somiglio a tutti e il mondo sussulta.

E’dal varco di un sussulto 
che balzo nell’inganno
e intanto 
mani guaritrici mischiano l’angoscia
in un solo mazzo di plumbea amnesia.
Mi chiamano la Matta.
Adesso dicono
che ho la materia di un amuleto:
vedi  come catturo i desideri estranei
e  in  uno  sfolgorio di luci mi crescono addosso?
Ma è per scampare
all’assassino sul balcone,
allo scatto veloce della serratura,
a ciò che resta dei volti e dei luoghi
dentro la  polvere sospesa nell’aria…

Io mi muovo solo
all’interno di me stessa
lungo rotte liquide di abbandono,
arrivo dove l’uno e l’altro
si dissolvono all’incontro,
dove si distilla il dolore.
Arrivo e prendo tutto,
sorrido e intanto anniento.
                   
 (marzo 2009)

Note di Nicoletta Saccon


Finis Terrae
Il ritorno circolare al proprio luogo di appartenenza più profonda; è 
il tentativo di recupero/riconciliazione/ricongiungimento,  che l’
esperienza consente, con alcune  parti di sé  (luoghi, memorie, 
affetti) che sono state motivo di  trafittura, ma anche contributo non 
rinnegabile d’ identità.

Trittico
Il tema della follia in  3  diverse  progressive aperture: da quella 
più personale (e tuttavia non soggettiva) a quella più collettia, sino 
all’ultima, che utilizza lo sguardo più visionario ed allucinato della 
follia  utilizzando la metafora della “Matta”  (il jolly nel mazzo di 
carte)

I nostri giorni
Il sentimento di intimo riconoscimento tra due sensibilità affini, 
similmente condizionate dall’esperienza di una rottura,  di una perdita 
(non necessariamente fisica) e dall’impossibilità, che questa ha 
generato, di vivere fino in fondo il  collegato portato affettivo. 
 
*
La poesia Il reparto  in Trittico è già stata pubblicata nel precedente post dedicato a Nicoletta Saccon. Qui va letta come sezione del Trittico. [E.A.] 
 
 
 

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono porte spalancate, vetri rotti dall'uragano , memorie senza scrupoli di sentimenti rinchiusi nel fondo di un'esistenza interrotta dalla leva abbassata della felicità. Chiederci di più non puoi cara Nicoletta, le tue parole cosi vicine e spinte dalla tua bravura ricca e partecipante di grande umanità, fanno di te una grande poetessa. Grazie grazie. Emilia Banfi

Anonimo ha detto...

Poesia ad un commento di una poesia
(Ready made)

Sono porte spalancate,
vetri rotti dall'uragano,
memorie senza scrupoli
di sentimenti rinchiusi
nel fondo di un'esistenza
interrotta
dalla leva abbassata
della felicità.
Chiederci di più non puoi…

L.T.

Anonimo ha detto...

Ineccepibile!(?) il commento di L.T.
Sta anche in questa capacità di 'tradurre', senza 'tradire', la funzione dell'esercizio della critica? Che non sarebbe soltanto un 'dire sopra qualche cosa' ma anche un dire 'dentro qualche cosa'.
Opzione, quest'ultima, fattibile soltanto all'interno di piccoli gruppi.

Rita S.