martedì 6 dicembre 2011

Fiorella D'Errico
Poesie




da Lettere dal ventre



*
Se non dormi, scrivi.
O prega: il corpo si piega nello stesso modo.

Ti alzi, lasci il letto – riprendi i nodi che trascini
normalmente al ventre.

Hai paura. Anche stanotte.



*

Dico del ventre come avesse acqua, lo scroscio che annuncia
una presenza. Come se fosse mare, abitato, e nave
scorrendo in corpo con i suoi tremori.

Tutto nasce da lui. Lo nutre la forza
che è degli animali sparsi al mondo: quanto più scarna la vita
sempre lontana dalla morte.




da Architetture


*
A mia discolpa
                                                              posso (a)scrivere poco.
Lascerei indietro le stanze,
questa stanchezza consapevole
di tracce antiche.
Ma non so mai partire
e prendo in cambio la colpa
su me come una crepa, per sempre
alla luce chiusa dei muri
                                   poi  muove la notte
come intonaco nelle fessure.
 
*
 Dall'arco limpido
verso le vetrate
qualcosa del mare è trascorso
sorveglia i muri
al fianco del percorso scorri il greto
che l'acqua scava fino al volto
nascosto, più segreto
dell'inverno appena morto
dove nasce la radice erosa
oggi il sole riconosce il suo posto


*
L’esatta posizione degli oggetti
dopo un calore d’aria e di ombra
- di sbieco, alla rinfusa amorosa
ché l’amore, almeno, quasi mai è dritto -
non va cambiata.
Preserviamo così il candore
di un’architettura nata senza progetto
campata in cielo e in terra
come la sagrada familia.
Tutto quindi resta intoccato
come è stato toccato:
nell’attimo che non ci sei
io colgo il senso, ti passeggio dentro.


da La fatica del metallo

*

Dicono che fuori sia la guerra.
Anche qui, in un piccolo mondo
dalle feritoie dei fili - fisso
nelle orecchie c'è il rombo
anche qui
nella scappatoia
la lotta per la vita
di sera i feriti
stendono al fuoco ciò che resta
Vento pace sangue miele
tra il sentirsi bambina e sparare
anch'io come un cecchino
Non devo guardare oltre: miro alla mia testa.

*

Tanta resistenza
e questa schiena dritta in attacco
cammina con le spalle al cielo
non guardare che il vuoto
vita morte amore inevitabili fiere
da tenere stretti i tendini, sempre
all'erta - come se - una preveggenza
di scatto


da Terra disunita


*
Avvolti in una scia di comete
il viaggio non breve non lontano
nella sfera lo scirocco

questo cerchiamo
il mare caldo che rimbomba dentro

(l'ho conosciuto sai era il mio senso
di bambina mai madre - era il canto
sul balcone e l'ala nera
dei tuoi capelli come rete)




da Di questo centro infisso nella terra


*

Di questo centro infisso nella terra
sordo ai richiami inamovibile
forse non scriverei così
come un cuore brillante, disperato.
Se il resto del corpo lo seguisse
composto e gentile, senza lo scatto
convulso di un pensiero solo
sarebbe vivere.


*
Dovrei uscire, andare verso il mare
e stendermi come una conchiglia
per la raccolta di qualcuno che dopo
dica guarda quante righe sul dorso
com’è bella, mettiamola in salotto
con un po’ di sabbia ci ricorda l’estate.
Sarebbe un modo straordinario
di riciclarmi, giustificare la gabbia.

Fiorella D'Errico vive a Roma. Scrive poesie da età giovanissima, ma solo negli ultimi anni si dedica alla scrittura con costanza. Ha composto quattro raccolte poetiche e una breve silloge (delle quali qui sono proposti alcuni estratti) tutte edite nel suo blog personale (http://fiorelladerrico.blogspot.com). Poiché ama condividere la poesia con altri autori, gestisce anche un blog collettivo dove di volta in volta presenta le voci che maggiormente l'hanno colpita durante la navigazione in rete (http://fiorelladerrico.wordpress.com).
E' stata selezionata al Concorso Verba Agrestia del 2011 e sue poesie compaiono nell'antologica curata dalla Lieto Colle.
Ha pubblicato su vari blog letterari, fra cui: VDBD-Viadellebelledonne, La Stanza di Nightingale, RaiNews24, Rebstein - La dimora del tempo sospeso, Neobar, Poetry wawe-dream.

5 commenti:

Francesca Diano ha detto...

Ogni volta che leggo qualcosa di Fiorella avverto la presenza di quello che Jung definisce "numinoso", quell'esperienza del sacro che si cela dietro il visibile. A differenza di tanta scrittura poetica che crede di rendere un'immagine del reale attraverso tassonomie prive di significato, lei usa le parole per edificare strutture solide, entro cui tessere le sue tele ancorate nel profondo. Perché forte è la presenza di un eterno femminino.

Anonimo ha detto...

Che bello questo "corpo" poetico, una vero corpo a corpo. Esserci così dentro fino a toccare il pensiero , le parole, davvero interessante! Emy

fiorellaangelafrancesca ha detto...

Ringrazio Ennio Abate di questa plaquette sul sito che cura con un'attenzione che fa capo al progetto milanese di Moltinpoesia, davvero interessante.

Grazie a Francesca e Emy per aver lasciato una traccia del loro passaggio, con parole bellissime.

A presto.

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

Una veloce nota

In questo assaggio (da varie raccolte, credo) della poesia di Fiorella colgo questi elementi della sua ricerca:

- un fondo di materialismo antico, ma apparente o, comunque, filtrato attraverso un’inquietudine religiosa, che rimanda a una scissione tra materia e pensiero («Se il resto del corpo lo seguisse/ composto e gentile, senza lo scatto/convulso di un pensiero solo/sarebbe vivere»);

- un’autointerrogazione in presenza di cose, stagioni e elementi della natura; in assenza di *societas* o distaccata da essa e dal tempo storico («Dicono che fuori sia la guerra»); promossa, dunque, da un io che raccomanda a se stesso possibili modi di preservarsi da oscure minacce; e che si tiene (per proseguire il suo raccoglimento e la sua ricerca?) a distanza dalla fisicità corporea dell’altro/a («nell’attimo che non ci sei/ io colgo il senso, ti passeggio dentro»);

- è una poesia che collocherei nell’ambito del filone ermetico-metafisico-religioso (spia: gli accenni alla colpa: «e prendo in cambio la colpa»): concentrata sulla parola, tendente all’essenziale, alla composizione breve e intensa, non narrativa…

Appunto su « Se non dormi, scrivi »

Certo, nello scrivere e nel pregare il corpo «si piega nello stesso modo». Bisogna aver visto quei movimenti di un corpo scrivente o pregante. Dall’esterno del corpo che li eseguiva. O aver sentito/pensato quell’analogia anche dentro il proprio corpo. La paura che si ripete è associata alla notte, che pur essa si ripete. Ma anche al corpo e a una parte (molle,debole?) del corpo (il ventre). Turba questa immagine: il ventre come contenitore d’acqua scrosciante e poi mare, addirittura «abitato» come fosse una casa, anzi una nave, con una confusione angosciante tra scorrere dell’acqua (o della nave sull’acqua) e i tremori (del corpo).

fiorellaangelafrancesca ha detto...

Profondo e ricchissimo di spunti, questo Suo commento è un tesoro da tenermi prezioso, Ennio, da rileggere più volte. Non succede tutti i giorni di avere qualcuno che ti guarda e ti legge dall'esterno, uscire da se stessi e farlo da soli non è facile.

A risentirci presto, con stima.