sabato 24 dicembre 2011

Flavio Villani
I Rapaci
con un commento
di Leonardo Terzo


I rapaci s’alzano in volo
Poco prima dell’alba
Silenziosi volteggiano
In alto
Oltre i cirri più ostili
In cerca di prede
Acuminati incidono il ghiaccio
Sottile
E mentre feriscono il cielo
Attendono il momento propizio
(Proprio il momento più giusto)
Per fare ciò che i rapaci
più amano al mondo
E paiono innocui
tanto distanti
Lassù
Poco più che puntini minuscoli
Quasi invisibili
Persi nell’immenso cielo cristallo
Fra nuvole bianche e lo spicchio
Del sole sorgente
Ancora seminascosto a oriente
Come giusto che sia
E tutto questo ne sono certo
Nulla spartisce
Con il sangue che scorre fluente
Fra le lenzuola dell’ultimo sonno
Nulla con il muto sesso
Di chi dorme ma
Ancora sogna il mondo
Per come non è.

* Commento di Leonardo Terzo

I rapaci sono il dato iniziale che si contrappone al sogno del mondo che non è (finale). La descrizione del volo dei rapaci (alba, silenzio, volteggio) è la visione del cielo nello splendore di nuvole e sole, l’apparente ed evidente bellezza che anche il rapace attraversa e abita. Tutta la prima parte della poesia ci tiene avvertiti: i rapaci sembrano innocui. Non solo ci avverte, ci tiene avvertiti, perché la descrizione copre un volo che prelude all’affondo, che però non avviene ai nostri occhi. Sappiamo che avverrà, perché è la natura, ed è questa tensione (suspénse) che percepiamo, pur immersa nel ritmo pacato del discorso, persino quando “acuminati incidono”. L’essenza che affascina è il contrasto tra il significato tagliente e la pacatezza formale dovuta al calcolo preciso, del momento giusto. L’aggressività è eufemizzata in parole lievi: l’assalto diventa “ciò che più amano al mondo”, innocui, distanti, lassù. È tutto un mimetizzarsi, invisibili, persi nell’immenso, dove poi si apre persino uno spicchio di luce seppure ancora seminascosto. Tutto è misura e separazione. Al sangue si arriva, ma altrove, con un altro senso, fra le lenzuola, nel sonno: non violenza, ma sesso, seppure muto e ultimo. I puntini incombono sul mondo che ancora non c’è. Ma noi restiamo con chi ancora sogna.

L.T.

34 commenti:

Anonimo ha detto...

IL RAPACE


Non il leone è Padrone
Il rapace che nel cielo
libero e attento volteggia
sarà signore del trono
lui vede ciò che il leone
non sa e neppure vorrebbe
Le ali fanno magìe
che nessun leone
potrà mai capire
Il cielo possiede
la forza il chiarore
l'orizzonte dall'alto
è senza confine la pioggia
la neve la notte soldati
in divisa pronti a morire
non guardare non amare
chi scappa ama il rapace
inseguilo senza fermarti
lui sa come salvarti

Emilia Banfi.

Anonimo ha detto...

Grazie, Leonardo, per il commento che mi sembra colga in pieno senso e forma. Pensavo che il male è spesso leggero e bello da vedersi. E può essere molto difficile riconoscerlo. Il nostro sangue e i nostri sogni il rapace non li potrà mai comprendere. Questo pensavo.
Ciao!
Flavio

Anonimo ha detto...

@Emilia
...poi, se sollevo gli occhi al cielo e vedo un falco volteggiare sulla mia testa non posso che guardarlo affascinato...
Ciao e buon natale
Flavio

Anonimo ha detto...

Flavio sei un grande. Emilia

Anonimo ha detto...

Questa poesia scandisce immagini che mi sembrano almeno double face, cioè buone per essere lette liberamente da qualunque parte le si legga.
La metafora nasconde insidie di verità.
Il mondo esterno, duro crudele e ingiusto, con il sonno innocente. La sessualità maschile, rapace quanto solitaria, con chi dorme e sogna il mondo per come non è. Infine, ma forse dovrebbero essere le prime, le belle immagini in soggettiva del rapace.
In me ha fatto sorgere la voglia di perdermi credendo ciecamente alla metafora, quindi per annullarla. Altrimenti sarebbe poesia amara e densa di realismo.

mayoor

Anonimo ha detto...

... questo non per rifuggire nell'astrazione, al contrario, è che mi guardo dalle metafore perché le trovo ingannevoli, spesso cerebrali ( non è questo il caso), e parecchio scivolose. Inoltre qui la metafora, anche se assai efficace e creativa, a me è parsa un po' lunghetta.
ciao

may

Anonimo ha detto...

inoltre la metafora interviene nel linguaggio prosaico, nobilitandolo a poesia. E questo non sarebbe necessario se la poesia avesse un linguaggio suo proprio (uno tra i tanti possibili). Su questo, sull'uso della metafora in poesia, mi piacerebbe aprire un dibattito, come si dice.
Oggi è natale, non mi sento per niente buono. A Flavio, che ha letto per altro benissimo l'altra sera questa sua poesia (Flavio ha gli occhi più buoni che abbia mai visto), prima che pensi che non mi sia piaciuta, voglio dire che l'ha scritta secondo me con buon ritmo. Sembra avere qualità musicali che fanno sperare in composizioni fluenti. Non ingannino le iniziali maiuscole dei versi, ne' la brevità dei versi stessi.

may

Anonimo ha detto...

Versi brevissimi
non mi riferisco assolutamente alle parole finali del commento di Mayor che fanno parte di un contesto. Trovo nel caso specifico il verso di una sola parola una soluzione che versa luce preziosa sulla "parole" da un lato mentre nella mia ottica diventa una provocazione contro coloro che affermano che il verso è fatto di altra sostanza e continuano a misurarlo con il centimetro, salvo poi ad essere loro gli autori di versi brevi o brevissimi. Enzo

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:


Vorrei dare una lettura meno formalistica di questa poesia di Flavio Villani, sviluppando uno spunto accennato da Mayoor ("La sessualità maschile, rapace quanto solitaria, con chi dorme e sogna il mondo per come non è"), ma non svolto.
Noto innanzitutto un’incongruenza logica (interessantissima invece dal punto di visto dell’inconscio)tra l’immagine quasi classica e fin troppo descrittiva dei rapaci (uccelli) e quell’immagine inattesa, che s’impone all’improvviso e dopo "lunga preparazione", di un «sangue che scorre fluente/ fra le lenzuola dell’ultimo sonno».
L’affermazione «Nulla spartisce» (= nulla ha a che vedere, nessun legame c’è), ulteriormente ribadita e precisata poi con «Nulla con il muto sesso/Di chi dorme», pare confermare
l’incongruenza.
In superficie la poesia sembra strutturata sul contrasto tra cielo e terra; tra animali rapaci, abitatori del cielo e umani dormienti e sognanti; tra naturalezza della violenza animalesca e naturalezza dell’umano che riposa (anche sognare il mondo «per come non è» è riposante).
A un livello più profondo, però, sulla traccia di alcuni termini fortissimi (rapaci, sangue, sesso), se li analizziano nei loro possibili collegamenti metaforici (rapace è/può essere l’impulso sessuale maschile; il sangue è/può essere l’effetto di una violenza sessuale; il sognare il mondo «per come non è» la condizione psichica su cui si fonda un rapporto immaginario e stravolto con l’altro/a, per cui non se ne riconosce la realtà: un corpo che cerca piacere e non violenza; un immaginario che s'attende amore e non violenza), la lettura della poesia coglie - appunto - aspetti più inquietanti, perché pare giustificare un’allusione (mascherata) proprio ai rapporti tra figure “rapaci” (maschili di solito; ma perché no anche femminili) e «muto sesso/ di chi dorme», cioè figure di corpi o anime “dormienti”, cioè più facilmente aggredibili o non pronti/e a «fare ciò che i rapaci
più amano al mondo».
Tra l’altro, in strana coincidenza, ho letto il questi giorni sul sito di LE PAROLE E LE COSE una interessante lettura di Umberto Fiori di una poesia di Baudelaire, che mi pare accostabile per contenuto (lì più esplicito) a quello qui “sotterraneo”, che a me pare di vedere in questa di Flavio.
La trovate a questo link:
http://www.leparoleelecose.it/?p=2502
Qualcuno potrà trovare cervellotica questa mia lettura. E allora l’avverto: con la poesia non si sa mai dove si va a finire…

Anonimo ha detto...

Grazie per aver approfondito, Ennio. Una lettura non solo formalistica implica che si debba ricorrere ad altri ingredienti, immagino, come la psicanalisi ed in generale altre scienze umanistiche. Ma si entrerebbe nella sfera del privato e si sa che non viviamo ancora in un'epoca allenata all'introspezione. Inoltre, anche per guardare meglio nella storia, servirebbe di avere più confidenza con la sociologia. Lo dico ripensando al libro di Linguaglossa di cui abbiamo tanto discusso. Riprendendomi dall'emozione mi sono reso conto che le difficoltà non possono essere attribuite solo alle questioni interne al far poesia. Basterebbe considerare che anche altre arti sono in difficoltà, ed è ragionevole pensare che le cause siano le stesse. Ma questo "nulla spartisce" con la poesia di Flavio Villani.
E' solo per dire che una lettura approfondita può mettere in luce aspetti inibitori propri del linguaggio, dei costumi e delle usanze. Questo è possibile se si vanno a leggere poeti che si espongono maggiormente, altrimenti nel sapiente manierismo tutto si fa più difficile. Alle dolci menzogne è difficile controbattere.

may

Anonimo ha detto...

"E allora l’avverto: con la poesia non si sa mai dove si va a finire…"

Ennio, non sai quanto sia d'accordo con questa affermazione. Ho letto la poesia di Baudelaire. Dirompente. "Spartisce" con la mia i due piani contrapposti di luce e oscurità: l'immensità del cielo e il microcosmo della stanza oscura dell'ultimo sonno. La bellezza luminosa descritta nelle prime quartine, contrapposta all'inquietante carnalità, allo stupro, di quelle successive, con la cesura di quel "ti amo e ti detesto!" potentissimo, ad interporsi fra le due componenti della poesia: fra la luce e l'oscurità.
Sono convinto che non esista poesia senza allusione. C'è un bilancio sottile fra ciò che è esplicitamente detto e ciò che non lo è. Molto "spartisce" con la struttura psichica dell'autore.
Ovviamente l'autore si espone ad alcuni rischi (nel caso di Baudelaire perfino alla censura). Ognuno li affronta a modo suo. Ma alla fine li si accetta oppure non si scrive.
Ciao
Flavio

Anonimo ha detto...

Interessantissimo questo spunto verso l'universo maschile. Sarebbe un vero peccato perdere l'occasione che hai offerto, Flavio, con questa tua poesia.
Leggendo la poesia di Baudelaire basta quel "je voudrais" per chiarire (anche sul piano giuridico) che non ci fu alcuno stupro. Se stupro ci fu, fu senz'altro quello di profanare l'ambiente benpensante della sua epoca. Facile che quella donna non sia nemmeno esistita. Ma fosse esistita val la pena di considerare un fatto assai comune nella mentalità maschile, anche dei giorni nostri: che l'atto sessuale mancato nell'uomo produce rabbia. Le carceri sono piene di uomini che non si son saputi trattenere da questo istinto, e per lo più neanche lo sanno.
Baudelaire fa lo stesso, ma secondo me ci gioca. E' certo uno stimabile innovatore, ma anche un dissacratore. Cioè, per innovare sceglie la via più breve.
L'accostamento con la tua poesia a me pare pertinente per quel verso di chiusura, quello sì mi sembra stizzito. E che male c'è? Nessuno, oltretutto l'hai scritto con garbo e dopo che una certa amarezza l'ha preceduto. In Baudelaire tutta questa amarezza non c'è, è sarcastico e diretto. E non v'è allusione alcuna.

may

Anonimo ha detto...

Davvero m'affascina la lettura che fa Ennio, su suggestione di Mayoor, della mia poesia, e il parallelo con la poesia di Baudelaire, soprattutto ora che ho anche potuto apprezzare il bel commento di Fiori. A questo punto però mi risulta inevitabile riflettere su un'apparente inquietante disparità: quella che sussisterebbe fra la mia intenzione (ovvero trattare un certo tema - l'idea di partenza - con un particolare "tono" o linguaggio) e il risultato ottenuto, risultato che rappresenterebbe una finestra su "altro", addirittura "sull'universo maschile", mettendo in gioco un salto non irrilevante dal particolare all'universale. L'autore può essere strumento inconsapevole di forze che lo trascendono? Il totale controllo del mezzo e della materia è di Baudelaire: ogni parola è lì scelta con consapevolezza non comune. Ovviamente il paragone con il sottoscritto non regge, ma il dato di fatto è che pensavo e continuo a pensare di scrivere con sufficiente consapevolezza. Forse le parole vanno al di là di tale illusione, la superano e la ridicolizzano. Se le cose stanno effettivamente così, la poesia si confermerebbe strumento potentissimo di conoscenza. Altro che modalità espressiva morta e sepolta. Nello specifico: il mio lavoro ha effetivamente aperto uno spiraglio su ciò di cui parlano May ed Ennio? Se sì, pur inquietato dalla disparità fra intenzione e risultato, non posso che rallegrarmi.
Ciao
Flavio

Anonimo ha detto...

Eh! Eh! Basta una parola: Sesso! E tutti perdono la testa! Ah! Ah!

L.T.

Anonimo ha detto...

Non è il motore di tutto?! Aspetta un po'...chi è che lo diceva...??? Ciao Leonardo! Buone feste!
Flavio

Anonimo ha detto...

Vuoi mettere il sublime; "I cirri più ostili"?

L.T.

Anonimo ha detto...

"Ma noi restiamo con chi ancora sogna" , è commento materno.
E potrebbe bastare allo stato onirico. Ma la parola sesso non ce la siamo inventata, l'ha scritta Flavio che scrive con sufficiente consapevolezza.
Naturalmente potrei aver travisato il senso della metafora, ma questo accade quando l'opera è lasciata aperta. In pittura accade frequentemente perché la narrazione è per immagini, quindi è più adatta al linguaggio inconscio. Qui è narrato (accade) un risveglio, e si passa dai cirri alle lenzuola, cioè dal sogno al pensiero cosciente. Il passaggio tra il rapace e il sesso crea nessi inevitabili.
Forse il commento di LT avrebbe senso se la poesia fosse rimasta in ambiti surrealisti, ma la seconda parte è scritta con realismo...
In quale direzione si vorrebbe andare?

may

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

Non è la parola 'sesso' che fa perdere la testa a tutti ( a tutte?).
E' l'interrogazione della "cosa", che noi oggi, in mancanza di parole che più e meglio ad essa ci approssimano, chiamiamo 'sesso' a scombussolare certezze e forme e a renderci o troppo angosciati o troppo ilari.

Anonimo ha detto...

Caro Flavio,
Come dice Huysmans: Sesso? Ne facciamo parlare i nostri servi!

E anche Freud ai dilettanti dell'inconscio direbbe: "Oltre i cirri pià ostili". Tie' psicanalizzatemi questo!

L.T.

Unknown ha detto...

Non per altro Jung prese a un certo punto un ' altra strada.

Unknown ha detto...

Flavio,
Se ci fosse sesso nel senso in cui l' hanno "ossessivizzato" i contemporanei peraltro riducendolo a meccanico volo simulato ," le nuvole " non sarebbero presente né in cirri né a pecorelle ne altre forme .inoltre il linguaggio degli uccelli , al di la dei rapaci in questione , é una delle forme alfabeti più divine che ci sia nella carnalità musicale non confrontabile con quelle più basse o più alte degli attrezzi strumenti x l accoppiata . Infine limitandoci a quelli dei rapaci capaci di ogni male predatorio, stupro convenzionale e non convenzionale alle loro prede,non credo propeio sia un transfert poetico del tuo io aquila a caprette o vipere. Ciao

Anonimo ha detto...

"Questa poesia scandisce immagini che mi sembrano almeno double face, cioè buone per essere lette liberamente da qualunque parte le si legga."

Riprendo la frase di Mayoor per dire: sì, le immagini sono "almeno double face". Non ho alcun timore dello scavo. E sono d'accordo: non si tratta del banale "transfert poetico del mio io aquila...".
Le motivazioni coscienti della poesia sono nella metafora. Sono però anche convinto che un testo sia composto di strati concentrici che ricoprono un nocciolo mitico. Il mondo non è come lo sognamo. Meglio o peggio? Non lo so.
Ciao
Flavio

Unknown ha detto...

Ciao Flavio, mi scuso per l italiano ma sono con tastierina incasinatissima . Il doppio che sento" io ", più tesa possibile nello spazio cavo androgino maschile femminile, é quello naturale fra io e sé più profondo , consapevolezza inclusa, da te peraltro dichiarata , del " fascino " a sua volta doppio, che certi rapaci possono attivarci subendoli nell io abbandonato al loro rapido mutevole incedere rispetto alla lentezza richiesta dalle costruzioni razionali irrazionali del se. Ps la tua poesia non la commento perché mi p-rende in quel sé senza altri alfabeti, al nucleo del simbolo.

Anonimo ha detto...

uff, vedo che 'sta cosa del sesso si va ingigantendo da se'. Nella poesia in questione è un atto, un pensiero intimo assai naturale e non è di questo che si discute. Inoltre la poesia I rapaci s'è fatta pretesto per discutere liberamente, e mi scuso con Flavio per questo. Anche se può sembrare accanimento resta pur sempre un gioco e spero si capisca.

Al simpatico LT posso dire che se avesse fatto almeno un Terzo della terapia che ho fatto io magari ne potremmo palare in modo più adeguato. Non mancheranno altre occasioni. Ciao

may

Anonimo ha detto...

L'avevo già detto e qui mi va di ripeterlo il sesso c'entra sempre. Anche nelle poesie sulla primavera del tipo: entrò il seme nella terra e fu subito amore.- Il sesso si fa sempre anche quando solo lo si pensa ..e poi il rapace, ragazzi è davvero scatenante. Gli intellettuali non parlano mai di sesso, ho notato,forse lo "fanno" e sempre lo scrivono. Ho spesso pensato che la Divina Commedia del Grande Alighieri sia impregnata di sesso o meglio di raffinata sessualità. Possiamo far finta che non sia così , fino a quando poi ci si incontra via internet sul Blog dei Molti? ciao Emy

Anonimo ha detto...

May: mi fa solo piacere che la mia poesia sia stata pretesto per una libera discussione.
Ciao
F

Anonimo ha detto...

La parola sesso è stata a lungo impronunciabile. Lo si doveva rappresentare per immagini metaforiche: ecco allora la necessità del linguaggio esplicito, di rottura, non allusivo, della poesia di Baudelaire.
Oggi, al contrario, di sesso se ne parla fin troppo, in tutte le forme. La rappresentazione è continua. Meccanica. Estetizzante e commerciale. Come dice Emy, "gli intellettuali non ne parlano mai". Forse. Ma certo è difficile parlarne senza diventare stucchevoli. E' come se l'iper-rappresentazione della "cosa" abbia avuto la capacità di depotenziarla, di ridurla a poca cosa, tutt'al più gossip da talk show (guardatevi almeno una volta "La Mala Educaxxxion", su La7, talk show sul sesso, per capire cosa intendo...), oppure mezzo di autopromozione (vedi l'entusiasmo scatenato dai baci lesbici e non del Grande Fratello).
Tutto questo però nulla toglie all'effetto deflagrante della parola quando inserita in un contesto diverso e inatteso.
Ciao
Flavio

Anonimo ha detto...

Stucchevoli? Ma noooo!Discorso Proibito e poco pochissimo intellettuale si pensa...e poi per quelli che non lo fanno è castrante quasi punitivo, meglio scriverlo... accidenti che sbaglio! Si evita di parlarne nei salotti buoni
e poi...lasciamo perdere, c'è sempre l'analista. Emy

Anonimo ha detto...

Via, la parola sesso la dicono anche i preti nei loro sermoni.
:)

may

Anonimo ha detto...

Solo la parola. emy

P.s.: del sesso si sparla non se ne parla

Anonimo ha detto...

... tutto perché leonardo ha sputacchiato un po' di veleno sulle interpretazioni che sembravano non tener conto della sua profumata spiegazione...
Basta poco, un chicco d'uva rancida può rovinare l'intero pasto.
io mi fermerei qui.

may

Anonimo ha detto...

Ve bene Emy, se ti va parliamo di sesso. Di libido in senso Junghiano potrebbe andare?
Servirebbe un post adeguato, non mi sembra giusto farlo qui. Questo spazio è per la poesia di Flavio...

may

Anonimo ha detto...

ok may hai pienamente ragione. Emy

Moltinpoesia ha detto...

Abate Ennio:

Non penso che la poesia di Flavio venga danneggiata da una seria discussione. Semmai dalle schermaglie che mirano ad evitarla o a banalizzarla. Comunque sul sito LE PAROLE E LE COSE è stato pubblicato un post serio proprio sul bacio delle due ragazze lesbiche (Diversamente reale. Un Sogno lesbico al “Grande fratello”) e c'è stato un po' di dibattito. Per i curiosi il link è questo: http://www.leparoleelecose.it/?p=2522