venerdì 30 dicembre 2011

Giorgio Linguaglossa
La grande casa
immersa tra gli aranci


G. Zannini

La grande casa immersa tra gli aranci.
U
n vento freddo la percorre a ritroso.
Nel cofanetto, i gioielli di mia madre, il bocchino d'avorio,
le lettere avvolte in un nastro azzurro, il quaderno viola dove è scritto
                                                                                           
[ il destino.
Sullo stipite del tempo, l'algida immortalità dell'angelo:
"Vivete in casa e la casa non crollerà."

Un bambino siede sulla riva del mare spumoso. 
Plumbei cavalieri in armi galoppano sulla spiaggia.
Il bambino guarda dalla siepe di o
leandri e ginestre
la nuvola di polvere sollevarsi, gli zoccoli dei cavalli sferraglianti,
la testa di un Apollo d'avorio è riversa
tra i solchi di un campo di grano.

Un'ombra passa sul volto di mia madre giovane
che si affaccia sul davanzale della finestra e saluta qualcuno
che si assottiglia e scompare nel margine del bosco.

Lenzuolo di neve. Soldati italiani in divisa grigioverde.
Il
colonnello spara alla tempia del giovane tenente,
poi si rivolge la pistola in bocca e preme il grilletto.
Sono padre e figlio condannati al medesimo inferno.
L
a bianca neve bacia il loro orgoglio disperato.

Ora è finito tutto veramente.
Mia madre invecchia sempre più velocemente,
mio padre è caduto in battaglia
e la mia città è in fiamme.

Dietro una siepe di cardi e rovi in fiore
il bambino osserva i corpi dei morti abbandonati sui campi
i cadaveri dei cavalieri disarcionati ...

E mia madre invecchia sempre più velocemente.




* da La belligeranza del Tramonto, LietoColle 2006

54 commenti:

fiorellaangelafrancesca ha detto...

Mi è piaciuta molto, perché l'autore rende bene il processo per cui i ricordi personali si intersecano indissolubilmente a quelli collettivi. E poi, anche quel vedersi dall'esterno, la propria vita come fotogrammi di un film, sensazioni e sentimenti che tutti abbiamo provato, a tutti resta quel sapore dolceamaro, quel vedere la propria madre che "invecchia sempre più velocemente".
C'è infine il dolore della guerra, del male. E quell'impostazione narrativa che a tratti piega sul lirico, come un pudore che trattiene e una ferita ancora aperta.
Insomma, complimenti all'autore. E un saluto a Ennio Abate, a tutti i collaboratori e commentatori di questo interessante blog, con l'augurio di chiudere e riaprire serenamente questo altro giro di anno.

Anonimo ha detto...

E' il fascino della narrazione. Succede sempre quando qualcuno racconta una storia, cominciando come per farti una confidenza. Gli oggetti, detti e spiegati, poi le scene in sequenza cinematografica. Dramma e senso dell'epica per restituire una triste vicenda alla storia, in questo mondo che sembra sprofondare nell'apparenza (O sembrava sprofondare, perché ora mi pare che son cazzi per tutti).
Le parole giocano con serietà, sono catturate da significati e significanti. Quindi si mantengono esatte. Non sgarrano. Il piacere di scrivere sembra mischiarsi al dovere, non vi è nulla di gratuito, di misterioso. De Andrè (campo di grano), Guccini, De Gregori (soldati), sembrano parenti stretti.
Nel complesso però non la si può dire una poesia allineata ( e poi a che?). C'è qualcosa da dire, e viene detto onestamente.
Grazie

mayoor

Anonimo ha detto...

Ma quanto ha ragione Linguaglossa quando dice che la poesia attuale è tutta da buttare. Stefano

Anonimo ha detto...

La poesia si sviluppa sul meccanismo di ricordi innescati, nella casa delle origini, da "Un vento freddo (che) la percorre a ritroso"; un vento che fa (letteralmente) rabbrividire e che scaraventa nel pozzo della memoria, preparandoci ad una esperienza a forte impatto visivo, affascinante e dolorosa allo stesso tempo. Alcuni oggetti importanti emergono dal passato catalizzando il processo mnesico: da tale interazione scaturiscono una serie d'immagini, scene in parte forse vissute (il bambino...) ma anche solo immaginate (i militari, con quell'omicidio-suicidio che ho trovato davvero angosciante), molto coinvolgenti.
Tutto ciò ho apprezzato.
Ho trovato, al contrario, il linguaggio a tratti fuori dal nostro tempo. Forse è una poesia che "non si può dire allineata" (Mayoor)? Sì, probabilmente. Pregio o difetto? A mio modo di vedere: pregio se si considera un generale non allineamento agli attuali discutibili "canoni" della poesia nostrana, quindi espressione di una personalità poco o per nulla influenzabile dal "main stream"; difetto se la poesia è altro rispetto al mondo, ovvero parla una lingua estranea, distante dalla realtà.
Infine: "La bianca neve", "i plumbei cavalieri", "gli zoccoli dei cavalli sferraglianti" (gli zoccoli su una spiaggia non credo sferraglino...) banalizzano le immagini e appesantiscono il testo senza aggiungere nulla a scene di per sé molto evocative.
Ciao e auguri a tutti,
Flavio

Anonimo ha detto...

.. poi come non pensare al fatto che Linguaglossa sta alla poesia al pari di un pesce che viva consapevolmente nell'acqua ( non come forse la maggioranza dagli umani che par che respirino l'universo senza avvedersene)?
Qui scrive il poeta, non il critico. Gli si farebbe torto a voler mettere le due cose insieme (poesia e critica), un torto al Linguaglossa poeta? Sicuramente, ma è vero che ogni poeta un po' di critica se la fa, e quindi vien da pensare che Linguaglossa sia condannato a dover passare sotto il vaglio del suo stesso possente giudizio. Per questo suo esporsi a tutto campo il mio plauso convinto di lettore glielo do. Già gli son grato per l'ultimo suo libro di critica, tanto emozionante quando esplosivo per le domande che solleva. Pasolini, Fortini, Raboni, lo stesso Montale… è in buona compagnia.
Auguri a tutti!

mayoor

giorgio linguaglossa ha detto...

...la poesia ha avuto una gestazione di almeno dieci anni, poi è nato il primo verso "La grande casa immersa tra gli aranci", la casa dei miei nonni in Sicilia nei pressi di Paternò (la casa che è stata abbandonata da tutti e tre i figli, mio padre e i suoi due fratelli)... si susseguono (come ben è stato detto) alcune sequenze "cinematografiche" (perché oggi, credo, la poesia deve imparare dal cinematografo), mia madre che guarda (qualcuno?) che scompare nel margine di una cornice immaginaria (col bosco sullo sfondo). La scena dell'ufficiale padre che spara alla tempia dell'ufficiale figlio ferito a morte e che poi si spara a sua volta alla bocca, è una vicenda realmetne accaduta nella campagna di Russia; l'altra scena della testa di un Apollo d'avorio trovata in un campo, è vera, è realmente accaduta: qualche anno fa un agricoltore arando il proprio campo di grano, trovò tra i solchi, una testa di marmo o d'avorio scolpita; Mio padre, calzolaio comunista, è morto anche lui combattendo una lunga impossibile battaglia; anche le parole che pronuncia l'angelo: "vivete in casa e la casa non crollerà" è una citazione da Arsenij Tarkosvkij; il bambino che guarda da una finestra gli zoccoli dei "cavalli sferraglianti", è un espediente piuttosto semplice di straniamento e di dis-locazione, e l'altra immagine "plumberi cavalieri in armi galoppano sulla spiaggia" è tratta dal bellissimo film "De reditu" sulla figura di Rutilio Namaziano opera di un giovane regita italiano bravissimo...
Insomma, questo per dire che nelle mie poesie, come nella mia poetica, non c'è spazio per episodi inventati, tutti i particolari delle immagini sono legati ad avvenimenti concreti e a episodi concreti... non ritengo che in questo momento storico sia lecito al poeta inventare accordi di significanti o accordi di significati...
ritengo che non ci sia nulla da inventare (in una poesia) ma che ognuno dica quello che ha vissuto realmente o che ha vissuto per interposta persona (di qui le citazioni, che hanno un senso soltanto se non sono un atto di narcisismo o di chincaglieria da addobbo natalizio).
Troppa poesia contemporanea è simile alla chincaglieria da addobbo natalizio.
È una poesia sul Novecento (raramente c'è stato un secolo ha visto tre guerre mondiali! - compreso l'ultima chiamata guerra fredda!) -
Non so se la poesia sia riuscita o meno nel suo intento, ma credo di aver fatto il massimo sforzo per non scrivere come la società letteraria maggioritaria si aspetta...
grazie a Ennio Abate che ha pubblicato questa poesia, non mi aspettavo questo dono.
Del resto chi legge la mia "poesia" si rende conto (senza dover leggere i miei scritti critici) che sono un non-allineato... una specie di "esule" in patria. Mi sta bene questa definizione: come ha chiarito Brodskij si scrive meglio nella condizione di esule che non in quella di aggregato alle milizie del conformismo nazionale.
Buon Anno a tutti. Giorgio Linguaglossa

Anonimo ha detto...

La resa in prosa - o autocommento - o autoparafrasi - di questa poesia è congeniale alla natura della memoria dell'autore, ma non lo era il verso, in qualche modo troppo lineare, semplicistico. Linguaglossa che è attento a criticare la poesia altrui non me ne voglia se gli dico che avrebbe fatto meglio a scrivere un racconto di queste memorie, perché la poesia La casa degli aranci non è al livello del suo contenuto, dal punto di vista formale. Ma un critico lo sa che quando si esce alla visibilità, non possono venire solo commenti elogiativi.(Anonimo)

fiorellaangelafrancesca ha detto...

Gentile Prof. Linguaglossa, belle le sue spiegazioni, interessanti le puntualizzazioni, ma La prego sia meno burbero! Si avverte sempre un cipiglio (lo dico benevolmente) nei Suoi interventi, la volontà di emettere sempre enunciazioni programmatiche, che - sebbene in altri luoghi appropriatissime - in questa occasione smorzano lo slancio sentimentale che ho avvertito nella Sua bella poesia.
Rispettosamente, buon anno a Lei (con un sorriso).

Anonimo ha detto...

Mi permetto spudoratamente mi permetto:

La grande casa negli aranci
ritroso il vento
i gioielli di mia madre
un bocchino d'avorio
il destino in un quaderno viola.
Mortale immortalità dell'angelo
"Vivete in casa e la casa non crollerà".
Siede il bambino sulla riva spumosa
Galoppano plumbei i cavalieri
ecco dalla siepe oleandri e ginestre
e nuvola la polvere agli zoccoli sferragianti.
Tra il grano riversa la testa di Apollo.
Così giovane è l'ombra
sul volto di mia madre
saluta l'ormai sottile forma
che scompare nel bosco.
Neve e soldati in divisa.
Uno sparo alla tempia
è il giovane tenente
la pistola in bocca, il grilletto.
Padre e figlio all'inferno
insieme
nasconde la neve l'orgoglio.
Ora tutto è finito
veramente
mia madre invecchia velocemente
mio padre è caduto in battaglia
la mia città è in fiamme.
Per il bambino dietro la siepe
cardi e rovi in fiore
corpi di morti ai campi
disarcionati i cavalieri.
E mia madre invecchia sempre più velocemente.

Se lo vorrà mi perdoni Linguaglossa è solo un gioco di fine anno. Emilia Banfi

p.s.: Ennio abbi pazienza... Emy

Anonimo ha detto...

Correggo : Tra i solchi riversa la testa di Apollo

e poi "SFERRAGLIANTI"

Anonimo ha detto...

...e poi FRA GLI ARANCI..eh eh eh. Emy

Anonimo ha detto...

Questa poesia non è bella e non è armonica: sembrerebbe scritta da un principiante con nessuna nozione di poetica. Ci si chiede: ma allora, bisogna o no appellarsi alle tesi di Oscar Wilde ne Il critico come artista per le quali solo chi è in grado di produrre vera arte può giudicarla?

Anonimo ha detto...

ma perchè non vi firmate? chi o cosa temete? Non siamo all'asilo! Emy

Unknown ha detto...

Le correttezze o scorrettezze sono altre e vanno ben al di la di un nome che , quandanche fornito con ogni estremo, se ricordi le contestazioni che anche tu mi sollevasti, non ha portato ad alcun (fare) contatto...perche volevi/volevate tanto i miei estremi,una volta forniti al subatomo, a cosa sarebbero serviti?
a nulla, quindi cvd (come volevasi dimostrare)è un falso problema, perchè cio che conta specifico del mezzo in cui ci troviamo è il fare pensiero , intrecciandolo insieme possibilmente sarebbe meglio senza nessuno che si senta dio..ma purtroppo anche questo sito è uguale a molti altri e non sta a cuore e mente l'in-si-e-me, ossimoro dunque di "molti" puramente lettera morta.

un bacione
ro tua

Unknown ha detto...

Emy/Anonimato
ciao e innanzitutto auguri! ti esprimo di nuovo come la penso sulla problematica "anonimato"..é un falso problema ,tanto come in parallelo quello del prof Linguaglossa, che si sente unico depositario della "scienza" poetica e che dall'alto in basso lancia il suo sguardo come chi sentendosi dio , esclude o include gli eletti..esponendosi al ridicolo tale e quale diventa il secolo di cui solo lui può dire quale poesia lavora per immagini cinematografiche o chincagliose natalizie..o come se avesse capito solo lui che il terzo conflitto, molto più potente a livello di sterminio psichico/mentale, è stato quello non per nulla chiamato "freddo".
Ma torniamo a bomba sul problema che sollevi.
Ogni mezzo dato all'uomo ha i suoi pregi e i suoi limiti e possibilmente le sue regole.
Già in un incontro con la parte corporea(che puo avvenire semplicmente con un incrocio casuale di occhi ancorchè sguardo) non è detto che si arrivi a stringersi la mano e presentarsi, al di la se poi avvenga francamente col piacere reale,candido e reciproco di quella "stretta".
Il medium ha relativamente allo spazio e al mezzo in cui si trova varie possbilita di scelta..addirittura può scegliere di barare o nascondere o occultare la sua identita scrivendo libri, situazione piu o meno simile a questa nuova della rete..in cui una delle regole principali che siimparano sul campo è il dirtto all'anonimato..tale diritto puo essere motivato da mille e piu ragioni anche opposte:di sicurezza o di insicurezza, di adesione a principi esistenziali in cui cio che conta è il pensiero e non l'appropriazione identitaria ...può essere invece sintomo di patologia riscontrabile gia nella vita reale, per eccessiva anonimia forzata dalle gabbie sociali, etc etc

in situazioni rimaste autentiche al fare relazione da persona a persona, del primo livello che anche esimi professori o critici o poeti saltano (raccogliendo di conseguenza amari fritti), chi ha bisogno di un nome e cognome con riferimenti concreti,é colui/lei che nella vita fuori da web è rimasto autentico al normale svolgimento delle relazioni umane. Che ha cioè bisogno di spazi luoghi nomi riferimenti anagrafici e non, per poter coltivare la relazione stessa..ma tale approccio sia fuori dal web, tanto piu nel web , è pura illusione se non a volte pretesto senza senso, poiche nel web molto piu accentuata la possibilità dell'invenzione di sana pianta di tutta l'identita per primo dal nome....pertanto,se non si è allenati alle cecità intrinseche allo svolgimento della vita relazionale fuori dal web, sarà durissimo affrontare le cecità specifiche che entrano in gioco nella relazione umana nel web..di cui alcune comuni a qualsiasi sede /sito web ,altre invece a loro volta specifiche ai temi trattati , come quello che sembra esclusivamente "poetico" di questo sito.
In conclusione,sempre e solo a mio avviso, conviene tagliare completamente la problematica dell'anonimato, rispettando profondamente tanto chi usa il suo nome e cognome come chi non lo usa..tanto piu se sipensa quanto sia facile "digitare" un "mario/maria rossi" facendo credere "vedente" chi leggerebbe da "uno schermo" dello schermo gia esistente in altra forma nei rapporti umani a cui antropologicamente l'essere corpo piu abituato.

Unknown ha detto...

emy /anonimato
ti spedisco via mail su tuoindirizzo il commento completo perche inspiegabilmente non risulta pur avendola inviata in questo box varie volte

Anonimo ha detto...

Diciamocela la verità , con qualche probabilità di andarci vicino : se questo testo fosse stato proposto in forma anonima non avremmo letto parecchie delle riserve espresse nei commenti .
Troppi condizionamenti , come è inevitabile che sia . Linguaglossa poeta ha una sua personale modalità che può anche - come è normale che sia - non incontrare consensi ; ma prima di esprimersi bisognerebbe scordarsi del Linguaglossa critico letterario .

leopoldo attolico -

Anonimo ha detto...

Dopo tanta ricchezza di opinioni è sempre difficile intervenire. Nonostante tutto ci provo facendomi però aiutare da Giulia, un’amica . enzo

E : come hai potuto vedere ti ho invitato a leggere il testo “La grande casa immersa negli aranci” senza dirti il nome dell’autore. Cosa pensi allora della poesia ?
G : Il testo evoca immagini molto semplici, senza effetti speciali, nella prima strofa si dice già tutto è un ripercorrere il destino della gente che viveva in questa casa. E’ una storia del sud.
E: Ma dove trovi la poesia, se c’è?
G: Anche dentro il cofanetto c’è una vita degli oggetti che suggeriscono immagini creano un’atmosfera: Questa è già poesia rispetto ad una aspettativa di poesia standard. Nei suoni nel ritmo, poi la si trova nelle testa di Apollo, nei plumbei cavalieri, nella bianca neve che creano un clima. Tutto funziona per ritmo e per immagini.
G: E tu che l’hai letta sapendo chi era l’autore cosa ne pensi?
E: ho dovuto faticare molto per dividere la figura dell’autore da quella del critico. Nella prima lettura cercavo forse il “nuovo linguaggio poetico” quello di cui parla sempre il critico ma non l’ho trovato. Anzi ero perplesso poiché il linguaggio usato non mi sembrava “nuovo”. Leggendola con un approccio più libero ho potuto immaginarmi in un bagliore la sequenza “civiltà”/guerra/rovina partendo dall’avorio. Non sono riuscito a sottrarmi all’effetto cinetico delle immagini forse perché ancora immerso in quelle di Freed e Ferlinghetti di un post precedente . D’altra parte le immagini che emergono sono abbastanza forti da farti entrare nella storia e condividere se non le emozioni, i pensieri del bambino o del poeta. E si sente profumo di arance odore di mare polvere ma anche di chiuso del cassetto. Mi piace anche questa forma della poesia-racconto che non è esattamente quella “whitmaniana”, e che potrebbe essere un punto di partenza forse una proposta per cimentarsi in questo genere per far assomigliare la poesia più alla vita che alla letteratura. Forse potremmo far nascere un dibattito su questo tema e ripartire da qui.
enzo

Anonimo ha detto...

"Troppi condizionamenti , come è inevitabile che sia . Linguaglossa poeta ha una sua personale modalità che può anche - come è normale che sia - non incontrare consensi ; ma prima di esprimersi bisognerebbe scordarsi del Linguaglossa critico letterario ."

"bisognerebbe"? e perché mai? Se uno pratica due o tre generi letterari , questi sono / compongono un tutt'uno con ciascuno di essi, essendo parte dell'infratesto di un dato autore, visione di insieme senza la quale nessun giudizio è valido.
(Leopoldo, vuoi dire forse "se Linguaglossa avesse SOLO praticato la poesia", ma non pratica "solo la poesia", pertanto le due scritture, dichiarate con nome e cognome (autoriate), e non anonime, non possono essere disgiunte, gioco forza. Da cui il diritto di chi legge e interpreta (o giudica) all'equazione tra le due forme e i due generi, o anche addizione e sottrazione - + per cui si perviene ad un "uguale"....

Unknown ha detto...

Chi è causa dei suoi mal pianga se stesso, vale al di la di nomi, o anonimi, e anche per Linguaglossa..chi si erige a dio controllore della "creazione" altrui, critico o non critico , fa una brutta fine , tanto piu se in qualita di critico ma anche poeta, crede di aver capito le verita "ultime" , anche solo della ferocia di un secolo, come pure delle chincaglierie natalizie poetiche, mettendosi sopra tutti gli altri.

Se dio sopra gli altri, minimo sarà disposto, si spera, a pagare il prezzo di essere dio in mezzo a bestie che lui considera tutte bestie .il cerchio cosi si apre e chiude, e ogni volta si ripete . la critica non è servita nè a chi si sentiva dio nè alla sua autocritica , né tantomeno a chi non vuole sentirsi dio fino al punto di voler essere anonimo, che nel mezzo in cui siamo è peraltro un diritto del medium per varie motivazioni, pure opposte, di sicurezza o insicurezza..(le ho esposte meglio nel commento saltato inviato mail a Emy)

il loop,corto circuito emblema delle relazioni distorte , avviene sempre al di la di poesia arte o politica o sport o qualsiasi tema , quando la ferocia del secolo XX e successivo è praticata da chi per giunta crederebbe di saperne di piu del suo declino e relative cause e sintomi ... se prevale un ruolo, critico o poeta o scienziato accademico o medico o controller o altro che sia,si perde la p-arte del tuttuno, proprio quella per giunta maggiormente fatta a spezzatino nell'uomo contemporaneo..il primo livello è sempre quello "umano" ,se si perde questo perche si diventa chissa chi,buonanotte a sonatori!

La nostalgia sana antideclino ,innanzitutto umana, poi poetica ,politica, scienziata o altro, si mantine distante dai ruoli per poter essere creativa proprio di quei legami che i poteri antiuomo hanno fatto saltare per poter produrre le vere "chincaglierie " che critici come Linguaglossa et simili usano aritmeticamente per adottare proprieta transitive a tutte le altre produzioni/creazioni pur se lontane milioni di anni luce dai sistemi di fabbrica consumi di massa di poesia ,che peraltro non vende poi cositanto neppure nelle grandi editorie e un motivo c'è sempre, la radicalizzazione anche per chi si sente poeta di sentirsi chissa chi, tranne eccezioni rare rimaste uomo.

Linguaglossa et simili alla fine sono utili al sistema di sterminio psichico/mentale di massa,entrambi i sistemi compatibili a negare l'uomo e la sua capacita creativa, minore e maggiore, anonimi e firme.

Anonimo ha detto...

Cito Enzo: "Nella prima lettura cercavo forse il “nuovo linguaggio poetico” quello di cui parla sempre il critico ma non l’ho trovato. Anzi ero perplesso poiché il linguaggio usato non mi sembrava “nuovo”".
Continuo a pensarla così anche dopo n-letture. Ma sono un dilettante, e potrei non cogliere completamente le raffinatezze di questa scrittura. Mi rimangono tuttavia impresse le parole di Linguaglossa stesso mentre parla di Magrelli: "Il mixage di generi e di stili significa che ormai la "forma-poesia" sta scontando una crisi interna. Ormai, nel tardo novecento, non si può più scrivere come si è fatto nei decenni precedenti." (Dalla Lirica al discorso poetico, pp. 243, 2011)...eccetera...
Non riesco a vedere la novità in questa scrittura che in parte apprezzo (come già sottolineato) in parte no.

Dividere il poeta dal critico non è possibile, anche se solo volessimo utilizzare un ideale criterio di "fair play": il discredito o addirittura l'ostilità verso il critico, fonte di possibili giudizi "vendicativi", sono, a mio avviso, ampiamente controbilanciati dal (giusto) rispetto di molti nei confronti del medesimo critico, e dal credito derivante dalla profondissima conoscenza del linguaggio poetico da parte del poeta Linguaglossa. Se il poeta/critico necessitasse psicologicamente di approvazione "globale" si sarebbe scelto un altro lavoro.
Tanti saluti e ancora auguri
Flavio

Anonimo ha detto...

Certo la firma in un Blog potrebbe non servire, infatti potresti esporti anche con un altro nome, hai ragione Ro, ma per me nel nostro caso, non è uno sconosciuto/a è solo una persona che non vuole farsi riconoscere e neanche usare un altro nome , perchè al suo tiene molto, insomma non sta ne di qua ne di là. A me questa gente non piace . Comunque ognuno è libero di pensarla come vuole , compresa me. Per quanto riguarda la poesia di Linguaglossa se ne parla perchè è lui che l'ha scritta se fosse stata tua o mia non avrebbe raccolto alcun commento. Questo dimostra come dice Flavio, che non è possibile dividere il poeta dal critico, io penso invece che questo si potrebbe fare solo se il critico fosse più poeta e meno critico. Buon anno Emy

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:



Lettura (minima)della poesia di G. Linguaglossa

…..Abbandonai
la gialla casa mediterranea
palpeggiata nella malinconia
degli aranceti
sotto pioggia di primavera
(un vento aspro, là a redarguirci!)

Sono alcuni versi del mio “Immigratorio”. Sono andato a rivederli, dopo aver letto l’attacco di questa poesia di Linguaglossa:

La grande casa immersa tra gli aranci.
Un vento la percorre a ritroso.

La presenza, sia pur in un contesto memoriale e immaginario diverso, di temi comuni come la casa, gli alberi d’arancio, il vento è la prima cosa che mi ha colpito. (Ce ne sarebbero anche altri: Linguaglossa allude ad un *cofanetto* con *i gioielli di mia madre*. Nella mia parlo di *ninnoli, specchiere, polsini d’argento* e di *ornamenti rapiti*).
Ma una poesia, anche se di un amico, non deve essere valutata solo per le risonanze personali che, in questo caso, ci sono per me ma potrebbero non esserci per altri/e. Devo sforzarmi di essere un lettore più distaccato (che non significa neutro). Da quale altra ottica, allora, interrogarla e valutarla. A me pare, innanzitutto, che un punto di vista lo suggeriscano i contenuti stessi del testo. È quello storico. Sì, ho detto ‘storico’.
Le immagini di questa poesia, come ha illustrato anche l’autocommento del suo autore, trapassano dalla dimensione minima di una storia familiare (la casa paterna) a quella novecentesca (l’uccisione di un soldato durante la campagna fascista in Russia durante la Seconda guerra mondiale) a echi della storia antica filtrata da un film (Rutilio Namaziano, di cui su Wikipedia si dice: *L'anno seguente o poco dopo fu costretto a lasciare Roma per far ritorno nei suoi possedimenti in Gallia devastata dall'invasione dei Vandali. Tale viaggio - condotto per mare e con numerose soste, dato che le strade consolari erano impraticabili ed insicure dopo l'invasione dei Goti - venne descritto nel De Reditu suo, un componimento in distici elegiaci, giunto all'epoca odierna incompleto; l'opera si interrompe al sessantottesimo verso del secondo libro con l'arrivo del protagonista a Luni, ma recentemente è stato ritrovato un nuovo, breve frammento che descrive la continuazione del viaggio fino ad Albenga. L'opera è ricca di osservazioni topografiche e citazioni di classici latini e greci.*).
Se si scivola su queste immagini che rimandano alla storia, invece di esplicitarle e ricostruirne almeno un po’ il contesto, ci si lascia sfuggire il dato tragico e il richiamo forte - appunto - alla realtà (storica), rivendicata dall’autore in maniera forse fin troppo drastica (*ritengo che non ci sia nulla da inventare (in una poesia) ma che ognuno dica quello che ha vissuto realmente o che ha vissuto per interposta persona (di qui le citazioni, che hanno un senso soltanto se non sono un atto di narcisismo o di chincaglieria da addobbo natalizio)* in base ad una precisa scelta di poetica.

[Continua 1]

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate [Continua]


I piaceri della vita familiare, il dolore, la paura, lo sgomento dei tempi di guerra - i sentimenti insomma - non vengono assolutamente nominati o dichiarati. La scelta è di incapsularli in immagini e di presentare solo queste immagini. Un occhio cinematografico, che descrive. (Uno può supporre che sia freddo e “senza sentimenti”. Un altro che sia paralizzato dalla paura come può essere quello del bambino che * guarda dalla siepe di oleandri e ginestre*. Un altro potrebbe ricostruire dalle immagini i sentimenti.).
I versi - quasi tutti - sono immagini in sequenza: casa, vento, cofanetto, ecc. Se ne potrebbe ricavare un videoclip. Sfuggirebbero o creerebbero problemi ad una resa puramente cinematografica questi versi:
1. *Sullo stipite del tempo, l'algida immortalità dell'angelo:
"Vivete in casa e la casa non crollerà."*
2. *Sono padre e figlio condannati al medesimo inferno.
La bianca neve bacia il loro orgoglio disperato.*
3. *Ora è finito tutto veramente.*
4. *Mia madre invecchia sempre più velocemente,*

Altre cose si potrebbero dire, ma partendo dal testo, leggendolo e rileggendolo; e dandogli spazio nella propria enciclopedia emotiva e intellettuale.
[Fine]

Anonimo ha detto...

Certo Ennio era ed è davvero tutto molto chiaro. Ma quel "palpeggiata dalla malinconia"...non ha paragoni. Emy

Unknown ha detto...

01 gennaio 2012 15:40
01 gennaio 2012 17:39

Flavio,Emy , avete "palpeggiato" fili,logici e non, cose piu sensate delle mie,quasi come i rametti di Alberto
.-)
ro

Anonimo ha detto...

se è vero che esistono due testi, con due case mediterranee, e due aranci, e due cofanetti, e due sistemazioni memoriali,e due retoriche del passato da cui si emigra, allora ennio uno riscrive l'altro: il critico Linguaglosa riscrive la poesia di Ennio senza avere nessuna remora a farlo, a ripescare nelle sue immagini ed immaginario: lo fa pensando di avere impunità, e lo fa pensando presuntuosamente di poterlo fare meglio....
è abbastanza stomachevole il tutto.

Non possono, due autori contemporanei e tanto vicini , proprio vicini di blog, di scambi di libri, pervenire a due case di campagna e a due alberi di arance, e al vento poi, sulle memorie... in entrambe: no, uno copia l'altro. questo è a dir poco grottesco.

Anonimo ha detto...

Questa poesia di Linguaglossa non presenta nessuna novità E' una poesia retorica e potrebbe al massimo essere il testo per una canzonetta di cantautore tipo Francesco De Gregori ("La casa di Hilde") o Lucio Dalla ( ma loro ne hanno scritte di migliori)- quel tipo di romanza con un ritornello, un sacco di simboli stanti, il linguaggio indefinito, attaccato al passato, forzatamente aulico e con una morale.

Non dice nulla e non evolve la forma (che è l'unico vero contributo che il poeta possa oggi dare al genere). Va bene: a Giorgio gli permettiamo lo stesso di fare il critico della poesia altrui. Ognuno ha i suoi hobby.

Buon Anno.

Francesco.

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate ad Anonimo 1 gen. 19.56

Che superficiale e prevenuto!
La poesia di Linguaglossa è tratta da "La Belligeranza del Tramonto" pubblicata nel 2006 da Lietocolle, che sto leggendo solo adesso. Il mio "Immigratorio" è stato pubblicato adesso (ottobre 2011) da CFR.
Sono in contatto mail con Linguaglossa appena dal luglio 2010, quando ho letto e scritto sul suo libro "La nuova poesia modernista italiana".
Io facevo notare un coincidenza di temi del tutto casuale. Tu ne ricavi sciocche illazioni.
I commentatori sono benvenuti, ma esiste anche una responsabilità nel commentare.

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

Suggerimento di lettura per commentatori:
http://www.minimaetmoralia.it/?p=6068&cpage=1#comment-126835

Roberto Bertoldo ha detto...

Vorrei dire a Giorgio Linguaglossa, che è mio amico dai moti rivoluzionari del ’90 e che solo per questo ha potuto affrontare la mia poesia nei suoi (s)brani critici, che il suo autocommento è straordinario e chiarificatore e che dovrebbe usare questo metodo di analisi per tutti i poeti che giudica. Questo perché solo così ci si può addentrare nella poesia di un autore. E infatti, io che non capivo il perché di certi sintagmi del tuo testo, li ho apprezzati dopo la tua spiegazione. Si dirà che non è questo il modo di apprezzare una poesia, ma ogni autore ha il suo modo di scriverla e bisognerebbe conformarsi ad esso per giudicarla. La tua poesia, dopo “Uccelli”, ha scelto la strada intellettuale, è divenuta programmatica, e io capisco che si possa fare poesia anche così, seppure sia lontana dal mio modo di scriverla. In fondo tu hai spesso dichiarato che la poesia è morta e, se davvero lo credi, è giusto che la stupri come hai fatto in “Paradiso”, libro che molti dovrebbero leggere per capire il tuo progetto, che per me è in un certo senso (quale te lo dirò in un altro contesto) simile alle operazioni di Carducci o di Schonberg. Sotto questo aspetto mi stupisce un verso: “Un vento freddo la percorre a ritroso”, perché, in contrasto con i tuoi obiettivi, è suggestivo.
Io amo la poesia che suggerisce, credo che la strada intrapresa dai simbolisti non sia ancora esaurita e che anzi sia ciò che permette al linguaggio una crescita espressiva continua. Da anni siamo su due strade contrarie per quanto riguarda il gusto poetico, che però è anche l’esito di un diverso approccio nei confronti della situazione storica, di una diversa infanzia, ecc. ecc. Tuttavia non disistimo altri percorsi, come il tuo, quando sono retti da un’esigenza non utilitaristica. Tali percorsi non sono mai allineati.
Ha ragione Francesco a dire che la tua poesia non presenta novità, ma tu non vuoi novità! Tu non vuoi neppure poesia! Vuoi andare oltre, “a ritroso”. Devi chiarirlo questo, perché non tutti hanno letto il libro “Uccelli”, libro di poesia “novecentesca” come diresti tu, con versi ricchi e suggestivi. Anch’io, come Fiorella D’Errico, non credo ai programmi, né in poesia né nel giudizio, ma credo nell’onestà della tua programmazione. Anche se penso che la “società letteraria maggioritaria” di cui parli se ne freghi di come uno scriva, le basta sia pronto a mettersi a novanta gradi, come sono pronti tutti coloro che non hanno il coraggio di firmare neppure un semplice innocuo giudizio.
Roberto Bertoldo

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate a Roberto Bertoldo:

Beh, Roberto, stuprare una morta, fosse pure la poesia, mi sa troppo di necrofilia patologica!
Conosco ancora poco la poesia di Linguaglossa per poter dare giudizi meditati e perciò mi sono imposto una lettura “minima” di questa, che ho scelto, senza troppo pensarci nella logica del “dizionarietto dei moltinpoesia”. Cioè di una documentazione preliminare - esempi o frammenti di quanto si va scrivendo oggi in Italia - che mira tra l'altro a non essere “parrocchiale” o “generazionale” (come accade su vari siti che si occupano di poesia e pubblicano solo gli amici o gli amici degli amici; o solo la generazione TQ o i poeti dell’ultimo quindicennio, ecc.).
Mi chiedo, però, se davvero Giorgio abbia scelto (e possa scegliere davvero) e così programmaticamente (a freddo, "scientificamente") «la strada intellettuale». Non lo vedo davvero nelle vesti del programmatore. Più (per ora almeno) in quella dell’appassionato demolitore di un Novecento e di una contemporaneità affollata da “finti rivoluzionari”, che egli giudica - a torto o a ragione (bisognerà valutare caso per caso) - come consapevoli o inconsapevoli *moderati". Non credo che in *La grande casa immersa negli aranci* solo un verso (Un vento freddo la percorre a ritroso) sfugga alla “programmazione” intellettuale e riesca «suggestivo».
I quattro che ho indicato come difficilmente traducibili in immagini da un (freddo) occhio cinematografico suggestivi lo sono, se ci si riflette, altrettanto. E lo è pure l’intero montaggio di immagini di storia familiare e storia tout court. Qui i “suggerimenti” ci sono a mio parere. Non li coglie chi in alcuni di questi commenti ha voluto "vendicarsi" del critico Linguaglossa sminuendo la sua poesia, che in effetti non è di quelle che possono oggi piacere a prima vista. Ci dovremmo ricordare tutti che il problema non è solo il testo ma anche il lettore e il concetto di poesia che si è consolidato nella sua mente. Dei lettori che cercano in un testo solo quello che li emoziona, se non lo trovano (o non lo trovano subito)possono diventare delle vipere.
Grazie, comunque, di questo intervento. Conferma la presenza in questo blog di “commentari responsabili” (non necessariamente amichevoli o apologeti).

Roberto Bertoldo ha detto...

Scrivendo qui a Giorgio mi sono ricordato di una lunga e piacevole discussione che avemmo in una notte romana a casa sua – chi lo attacca per vendetta o fastidio dovrebbe conoscere l’estrema simpatia e generosità umana di Giorgio, fatto che conta molto di più di quanto contino le diatribe sulla poesia –, discussione nella quale la programmazione del Linguaglossa critico si riversava, con mio rammarico, nel Linguaglossa poeta. La sua condivisibile voglia di disfare le gerarchie del mondo letterario lo portavano, a mio avviso, a disfarsi della poesia, prima di tutto della sua. Io penso che lui abbia ragione sul fatto che per la poesia sia esaurita, e da molto, la possibilità di incidere nella società e il suo desiderio di una postpoesia, al di là del tipo di strada che avrebbe scelto, oltre a quella a quel tempo già nota di “Paradiso”, era ed è un desiderio comprensibile. Pubblicare di Giorgio una sola poesia è proprio per questo un azzardo e può portare, chi non conosce la sua vena poetica, a dire: “Questa poesia non è bella e non è armonica: sembrerebbe scritta da un principiante con nessuna nozione di poetica”. Ebbene, io volevo evidenziare che Giorgio non solo ha nozioni di poetica ma è stato anche autore di poesia, prima di ritenerla morta. Dunque la sua consapevole scelta di scrittura orientata a semplificare la cultura (i riferimenti) che contiene non deve essere valutata con i criteri con cui si valuta la poesia ovvero con gli stessi criteri che Giorgio usa per valutare la poesia degli altri. Non voglio che il Linguaglossa critico oscuri il Linguaglossa postpoeta, anche perché se il primo ci libererà dai tanti idoli fasulli, venerati dagli opportunisti, il secondo potrebbe liberarci da una vena poetica inefficiente.

Roberto Bertoldo

giorgio linguaglossa ha detto...

...la riscrittura della mia poesia ad opera della gentile Emy, che ringrazio, è la dimostrazione di quanti guasti abbia fatto alla poesia italiana un libro come "Somiglianze" di De Angelis: la moda di ricorrere a piccoli trucchi quali le inversioni di parole, i salti (tra un veso e l'altro), le accelerazioni (di immagini) etc. a mero scopo di sorprendere il lettore "ingenuo"... per la via indicata da De Angelis si può operare tranquillamente con un grande ventaglio di piccoli (e grandi) trucchi,operando di destrezza, facendo scomparire (cme per magia) le carte dal mazzo, per poi rifarle comparire in un altro mazzo...
Insomma, ecco, io ritengo che alla lunga questo metodo di imbonimento del lettore non tenga, non sia in grado di produrre risultati estetici duraturi e che, quindi, giunti al pungo odierno non rimanga altra strada che tornare indietro (il vento della Storia va "a ritroso"...)
La riscrittura di Emy è significativa perché fa capire come lei punti unicametne sulla falsariga della poesia emotiva, delle emozioni delle immagini, dei trucchi scenici e scenografici, dei trucchi del montaggio (ma non per colpa sua ma perché così hanno fatto i modesti poeti di questi ultimi 40 anni - ma non tutti: ci sono molte eccezioni).
Volevo dire che il mio metodo di composizione evita, appunto, la bellezza della scrittura tradizionale, troppo convenzionale e prestabilita, rifugge da una "tecnica" imparata a tavolino, rifugge dalle facilitazioni della koiné stilistica "maggioritaria".
Poi, la mia poesia può essere anche "brutta" o non rispondere ai gusti che sono stati intorbidati dal clima imbonitorio della scrittura poetica "catartica"... può anche apparire prosastica, grigia, può apparire nuda, semplice e semplicistica... ma è proprio quello che voleva essere, non vuole concedere al lettore alcuna facilitazione "emotiva"...

giorgio linguaglossa

Daniela Quieti ha detto...

Caro Giorgio, trovo la tua poesia bella: la ruvidezza, l’amaro, il groviglio di dolore e morte si fanno, a mio avviso, alta emozione che divampa dalla città in fiamme, dall’esperienza di padre e figlio condannati al medesimo inferno, dall’orgoglio disperato, che si smarriscono tra i fantasmi dei cadaveri abbandonati sui campi, dei "cavalieri disarcionati”; e quanto più velocemente invecchia la madre, tanto più lirica e struggente diventa “la grande casa immersa tra gli aranci”...

Gianmario ha detto...

Se non sapessi che questa poesia è di Giorgio e qualcuno me la sottoponesse per un giudizio, risponderei:
Qui il poeta c’è, c’è la “situazione in sé” poetica ben colta e presentata da chi scrive, peraltro anche densa di allusioni (la casa non è solo “la casa” fatta di mura, ma anche fatta di vita: la casa è un archetipo dell’identità..., ecc.). C’è indubbiamente lo spessore tematico, che manca a troppa poesia contemporanea. C’è forse poca concisione: troppe parole per dire quello che vuole dire – e le troppe parole “spiegano” troppo, circoscrivono e legano la sensibilità interpretativa del lettore alla visione mentale del poeta: insomma, questa poesia non taglia il cordone ombelicale col suo autore, è troppo legata alla sua storia, alla sua figura, al suo modo di vivere la vicenda, impedendole di farsi paradigma e quindi essere meglio condivisa. Non dico che una poesia deve essere spersonalizzata e non contenere chi la scrive, ma solo di un maggior equilibrio, in questo senso.
Dal punto di vista fonoprosodico la rottura con la poesia tradizionale è evidente. Non esiste quasi un ritmo, ossia, la base ritmica è quella del racconto, della prosa. Io credo che sia una scelta voluta ma, debbo soggiungere, leggendo questi versi mi vengono spontanee delle cesure, senza volerlo, seguendo semplicemente il respiro dei miei polmoni che si accorda col senso di quanto sto leggendo. E quindi non la so leggere. Non parliamo poi di versi tradizionali: trovo un paio di endecasillabi e un novenario, il resto sono ritmi ibridi, quelli della prosa, con accenti forti che vanno a caso.
Ora, la mia domanda è questa: l’intenzione è quella di rendere indefinita la musicalità e la ritmica del verso? Se è questo il disegno dell’autore, allora ottiene pienamente ciò che vuole. Si è dato insomma una regola e l’ha osservata. Che piaccia o no, sono aspetti soggettivi e il lettore si regola di conseguenza. E, conoscendo la competenza di chi ha scritto la lirica, non posso che concludere che il suo disegno, il suo “gioco” linguistico è appunto quello di sganciarsi da ogni musicalità, per scelta. Insomma: tutto l’opposto delle eco-lallazioni che oggi vanno per la maggiora.
In sintesi, definire questa “poesia di un principiante” non mi sembra generoso né corretto, ma il frutto di un abbaglio. Questa è la poesia di uno che sa scrivere, indubbiamente.
Quanto ad essere d’accordo con questa proposta stilistica o no, è una diversa questione. Io credo che nella critica si debba rispettare chi la pensa diversamente, chi si dà delle regole e le osserva: ogni poesia ha le sue regole, l’importante è che siano criticabili.
Quanto alle soluzioni “estetiche”, come ho già detto, ho perplessità perché, tutto sommato, questo modo di scrivere è semplicemente l’opposto, a 180 gradi, della poesia più in voga oggigiorno e, francamente, mi suona un po’ da contro-gioco (e pertanto non “libero”, ma imposto da una esigenza di contrasto e quindi dipendente da ciò che si vuole contrastare).
L’unico appunto critico rispetto al gioco del poeta (che è anti-lallatorio e demistificante) è il ritorno all’uso anche se sporadico (ma a mio avviso di troppo) di alcuni aggettivi qualificativi, che conferiscono alla scrittura una nota passatista o comunque manierista (mare spumoso, algida immortalità, plumbei cavalieri, bianca neve...) e certe immagini mi sembrano anch’esse di maniera (es. l’Apollo d’avorio) o certe espressioni poco concise (si affaccia “al davanzale della finestra”: ma è ovvio che se si affaccia alla finestra sta al davanzale: c’era bisogno di specificarlo?) ma in complesso la composizione mi sembra buona, capace di sintetizzare un complesso gioco di emozioni, tempo, storia personale e collettiva, affettività in un movimento ad andamento poematico, ricco di contenuti.

Lidia Are Caverni ha detto...

Giorgio Linguaglossa deve ringraziare Ennio Abate per aver fatto conoscere una sua poesia. Non è affatto vero che per valutare le sue capacità poetiche bisogna staccarsi dalle sue capacità di critico.
Giorgio ha scritto dei libri bellissimi di poesia quali "Paradiso" e "La belligeranza del tramonto" e magari ogni poeta fosse capace di fare critica a partire da se stesso, cosa molto rara nei poeti italiani.
Non deve inoltre dare nessuna spiegazione della veridicità degli spunti poetici: una poesia deve fornire immagini, sensazioni, non essere copia della realtà,ed è una bruttissima cosa essere costretti da insinuazioni più o meno malevole su quel che sta dietro a un'ispirazione, a fornire gratuite spiegazioni.
Eppure esiste nella critica di poeti e critici valenti il rispetto per l'espressione poetica e dell'autore nella sua più totale libertà. Giorgio è uno di questi e solo chi lo ha conosciuto di persona può dire quanto ospitale e gentile sappia essere. La severità di critica,
tanto più accompagnata da un acume raro e da una conoscenza infinita dell'infinito mondo della poetica italiana e non, non è un difetto, tutt'altro e dobbiamo ringraziarlo se oltre a sentirsi valutato positivamente o negativamente, in tutta onestà, è anche in grado di regalarci una poesia quale quella presentata.
Lidia Are Caverni

Anonimo ha detto...

Ho apprezzato molto che un autore abbia commentato una propria poesia. È questo il poeta che si avvicina di più al mio modo di pensare il poeta. Leggendo questa poesia mi sono emozionata di una emozione che accomuna tutti gli fuggiaschi confinati in patria e malati di Esulitudine, per dirla alla maniera di Ennio Abate. Ho ricevuto una certa emozione perché il lavoro creativo dell’autore ha mobilitato e anche arruolato una violenza che in altro suo tempo non ha trovato parole per essere espressa. C’è il prima ed il dopo di tutti. Qui ed ora un conflitto diventa arte uscendo dal biografico. Diventa parola primitiva rianimata dal processo creativo. Andarsene è trasformazione e tutti andiamo via da qualcosa che fu il più amato e il più odiato. Qualcuno lascia pochi stracci, qualche altro lascia polsini d’argento e gioielli della mamma, ma tutti lasciamo venti freddi di attaccamento alla storia, ricchi, arricchiti e poveri. Anche io penso ci siano troppi aggettivi che danno una ridondanza artificiosa ad un testo che vuole sganciarsi da certe musicalità. 1.Non c’è posto per episodi inventati; 2. tutti i particolari delle immagini sono legati ad avvenimenti concreti; 3. sono un non allineato…una specie di esule in patria; 4. si scrive meglio nella condizione di esule. Parole sante, queste di Linguaglossa, direbbe mia nonna. Io come lettore non leggo per il solo gusto di farlo, ma vado alla ricerca di chi fa il mio stesso tipo di ricerca. Non amo la poesia come arte e basta, ma scelgo in base ai tipi di pennellata.
Giuseppina

Anonimo ha detto...

A Giorgio: posso dire appena questo: la poesia è bella. Semmai, condivido gli appunti di Gianmario (credo), là dove dice che alcune immagini sono ridondanti. Mi attengo a questa poesia. Confesso di non conoscerne molte, delle tue, dopo il periodo di Arsenale. Una volta parlavamo spesso di poesia, poi non più. Nel frattempo hai elaborato una critica che ancora mi sfugge, in molti suoi aspetti e 'necessità' (se mi passi il termine): ho, come sai il tuo libro sul 'discorso poetico' che ho appena "assaggiato", come usa dire un mio amico (però ho notato omissioni dolorose e un po' ingiustificate, mi pare: capirò leggendo?. Spero di sì, e spero di parlartene appena letto il libro. Insomma, non ti conosco più molto come poeta (una volta la tua Poesia mi piaceva, come mi piace questa poesia; una volta, mi pare, anche la mia ti piaceva, poi... chissà più?), né come critico (ricordo con perplessità certe note su Poiesis, là dove parlavate - tu ed altri redattori, credo - di nuova poesia metafisica, e poi trovavo inclusi nella categoria, diciamo così, poeti come l'amico Carlo Bordini - ricordo male?). Molti commenti mi sembrano interessanti (come quelli di Bertoldo - che tempo fa credo d'aver fatto arrabbiare con un commento di malumore su alcune poesie della Annino) e ovviamente quelli di Abate. Concordo con te sui danni che dobbiamo a "Somiglianze" (e non solo) di De Angelis (quante volte durante le riunioni redazionali di Arsenale ne parlavamo con Giovanna Sicari...). Per ora la chiudo qui, non prima di aver aggiunto che il regista di "De Reditu", l'amico Claudio Bondì, non è poi tanto giovane (68 credo), che fu anche aiuto di Rossellini, che - insieme a lui - l'autore della sceneggiatura è il poeta Alessandro Ricci (anche lui fece parte di Arsenale - e magari lo ricordi - e ora non è più tra noi): una di quelle assenze di cui t'accennavo all'inizio: un'assenza che molto avverto quando poi leggo della grande importanza che attribuisci alla poesia di Toma... Con affetto
Francesco Dalessandro

Anonimo ha detto...

Tentare un giudizio di "valore" su un singolo testo firmato è impresa non da poco , che si tratti di Calogero , di Ripellino o di Linguaglossa come in questo caso .
Io preferirei sempre pronunciarmi su un testo anonimo perché credo che nel "giudicare" la creatività firmata esista sempre una sudditanza o comunque un condizionamento psicologico - inconfessabile ai più - mediato dai connotati pubblici , privati , o riconoscibilmente "storici" dell'interessato . Non credo che il pubblico e il privato ( l'anonimo ) siano irrilevanti - almeno qui nella nostra italietta dell'esserci e dell'apparire ; quando come sappiamo basta apparire a certi livelli editoriali per essere percepiti come vincenti oggetto di sviolinate , buonismo critico ecc. .
Poniamo che Ennio Abate pubblichi in forma anonima una poesia introducendola con " Propongo un testo di un poeta emergente ". Già quell'"emergente" scatenerebbe le riserve mentali di larga parte dei commentatori e delle conseguenti valutazioni critiche ( dopodiché Ennio ci svela che l'autore è - poniamo - Lucio Piccolo ... ).
Questa operazione spiegherebbe quali meccanismi entrano in gioco di fronte a un nome e a quello che c'è o non c'è dietro . Non so , io non voglio radicalizzare ma la stessa cosa succederebbe di fronte ad una scultura di Arnaldo Pomodoro o di un anonimo .
Quanto al "valore" della poesia di Linguaglossa se ne può dire tutto il bene ( non tutto ma parecchio dico io ) e tutto il suo contrario . Sta di fatto che in tutti noi - credo - esiste un precipuo fisiologico indice di gradimento , una questione di pelle a cui non si comanda ; però non siamo Contini o De Benedetti con la loro sordina di esperienza , di conoscenza e di oggettività funzionali all'avvicinamento di una "verità"; quindi esterniamo idiosincrasie o solidarietà a ruota libera ( fa tanto bene all'ego ! ) ma non dimentichiamo il piccolo defettibile condizionante perfettibile orticello della nostra maniera di stare al mondo e quindi di scrivere ( e di "giudicare" il lavoro altrui ). .

Grazie dell'ospitalità .
leopoldo attolico -

Anonimo ha detto...

"E mia madre invecchia sempre più velocemente. "

Questo è l'unico verso che collega questa poesia al presente. Neanche brutto a ben vedere. E' prosa, ma non sta a spiegare. E se una cosa non la spieghi diventa un fatto, la vedi.
Per il resto son ricordi, cose passate. E' fuori dal tempo, quindi non teme confronti col presente, non ci gioca, non lo rincorre.
Via dal presente si va nella storia universale, in un'altra storia fatta di episodi e ombre che si possono comporre liberamente come si farebbe per un patchwork ( la casa, i soldati, i cavalieri sferraglianti...).
Il linguaggio privo di musicalità non aiuta, ora non mi viene in mente altro che certe sequenze di Olmi...
Versi cinematografici, sì, ma che sanno anche di romantico reportage: "La bianca neve bacia il loro orgoglio disperato." ( che la neve sia bianca è il minimo della... ma la bianca-neve è altra cosa).
Benissimo.
Niente colonna sonora (musicalità della scrittura)...Tarkovskij... alla fine, pure che sian tutti fatti veri, il viaggio onirico è garantito.
Interessante.

mayoor

Anonimo ha detto...

La poesia di Linguaglossa puzza di armadietto di vecchie signore di inizio novecento: puzza di mutande di uomo non candeggiate: è moralistica, è passatistica, è autocompiaciuta, è logorroica, è ridondante, è insomma tutto quanto una poesia non deve essere. La riscrittura di Emy infatti insegna a Lingauglossa i suoi vizi, che egli vorrebbe con la sua risposta ''inutile'' far passare ancora per virtù, e questo a dispetto delle sue critiche alla poesia moderna: io direi che questa poesia di memorie mitizzate ri-setta un piccolo universo borghese da cui non si può ricavare che un piccolo dramma domestico, mai storico.

Anonimo ha detto...

resto anonimo, come autore del commento precedente, per un solo e importante motivo: oltre la identità, conta la critica. non aggiungo altro, sennò dovrei approfondire lo squallore della critica, per la quale invece vale solo la identità. non si spaccia per valido quello che ha valore 100 o zero solo perchè le si attribuisce o meno un nome.

Anonimo ha detto...

"Il bambino"???? Chi cazzo è sto' bambino....Lingaglossa?

Ma, signor Linguaglossa, mi faccia il piacere! Cresca!

Anonimo ha detto...

Epifanico Omaggio a Giorgio.

Sferraglianti: profonda unica dissonanza che mira a dotare i cavalieri di un'armatura all'avanguardia, di una Figura dello Spostamento-Allontanamento, fuga dopo il saccheggio del basilare sito della Madre. Inutile ispezionare. Tutto può essere già accaduto (ma nulla succede se non viene descritto).
Domus, locus ricorrente che tormenta il dominus. Per aver abbandonato. Casa-placenta, utopica, colpa rimossa, soavemente qui contestualizzata, in aranceti corografici. Ma collocabile tra infrastrutture Ovunque e "Nullepart". Casa del godimento e dell'infinito aculeo. Edificio urbano? Ben servito? Facilmente raggiungibile da pubblico tram, dall'usurante sferragliamento-deragliamento quotidiano? Mitizzata sede ambita, dolcemente sublimata dall'amico pittore, nella Conca d'Oro, ma nel sogno riesumata, isolata-diserta, popolata di scoiattoli criceti che attraversano in diagonale il soggiorno, si arrestano senza un motivo plausibile. Sarà il continuamente dimenticato file amoenus sincronicamente riaffiorante tra i nuvoloni del nubifragio [la mamma faceva subito delle frittelle]. Sede dell'incubo, sillogistica conclusione cui pervenire per Ananke (del recupero: caro mio, esisto e non mi sfuggirai. E' con me che devi fare i conti). La statua è caduta qui presso. Quanto al verbale del tesoretto, è reperibile in ogni inventario: Ori repertati di forte influsso sciita delle steppe, endoesotico gozzaniano.
Il destino poi è solamente (de)scritto.

Luciano Troisio

Anonimo ha detto...

"tutti i particolari delle immagini sono legati ad avvenimenti concreti e a episodi concreti... non ritengo che in questo momento storico sia lecito al poeta inventare accordi di significanti o accordi di significati... 
ritengo che non ci sia nulla da inventare (in una poesia) ma che ognuno dica quello che ha vissuto realmente o che ha vissuto per interposta persona" GL

E' una posizione rispettabile, assai ben motivata, ma vale quanto ogni altra se ci si propone d'essere innovativi, o più semplicemente di uscire dal già letto.
Personalmente ritengo che gli unici episodi davvero concreti siano quelli che accadono in questo momento. Diversamente dovremmo avere senso del passato, averne uno da raccontare o da cercare nella storia. Tutte componenti che si crede contribuiscano a dare identità.
Stando con ciò che accade (e la poesia è forma di accadimento quanto qualsiasi altra vicenda), c'è sempre da inventare (inventarsi).
In questo momento... "storico", dice Linguaglossa, quello d'inventarsi qualcosa sta diventando secondo me una necessità collettiva esistenziale.
Tuttavia ringrazio e trovo utile questo invito ad abbandonare gli orpelli.

Mayoor

Anonimo ha detto...

Ho letto il Linguaglossa critico e non conosco il Linguaglossa poeta. E sarebbe impossibile e superficiale farsi un’idea completa con un solo testo. Eppure conoscendo il critico che attacca un certo abuso della prosa, mi sarei aspettato una poesia diversa. Meno narrativa e prosastica. Ma a ben vedere, se i versi presi singolarmente sono prosastici, nel suo insieme la poesia non lo è affatto. Non mi piace un certo abuso dell’aggettivazione che è stato sottolineato. Ci vedo alcune assonanze con il Pavese di Lavorare stanca. Ma nel complesso questo mi sembra davvero un bel testo, poetico e tutt’altro che prosastico per la ricchezza delle immagini e delle suggestioni. Insomma, mi piace, mi suggerisce, e innesca nel lettore certi meccanismi immaginativi che sono la ragione prima della poesia. E poi trovo molto utile l’autocommento al testo e condivido la dichiarazione “ritengo che non ci sia nulla da inventare (in una poesia) ma che ognuno dica quello che ha vissuto realmente o che ha vissuto per interposta persona”.
Grazie.
Vito Russo

Anonimo ha detto...

Se Linguaglossa afferma che nelle sue poesie “Non c’è posto per episodi inventati… tutti i particolari delle immagini sono legati ad avvenimenti concreti” vorrà dire che ha optato per il realismo. Però non lo ha esasperato fino a trasformarlo in antiliricismo. Secondo me non c’è alcun Pavese di “Lavorare stanca” in questa poesia sulla casa. Né dal punto di vista delle assonanze, né dal punto di vista delle tematiche. Qui c’è il sangue e c’è la morte. Là il silenzio, l’incomunicabilità? Qui non ci sono le colline, né i riti dei contadini. Neanche il ritorno al paese. Per fortuna! I tempi cambiano e anche i poeti si adeguano.

Anonimo ha detto...

Certo che i tempi cambiano e i poeti pure, ci mancherebbe, però ci sono alcune sensibilità e stili espressivi che tengono. Non mi riferivo alle tematiche e alle immagini, però ci sono delle somiglianze secondo me nei toni, nel ruolo del soggetto, nel gusto narrativo ed epico.
VR

Anonimo ha detto...

Rita Simonitto [Continua]:


Come rendere ‘cinematica’ questa scena, drammatica nella sua fissità? I tentativi si bloccano di fronte alla rigidità della parola e i colori ed i suoni chiamati in causa non riescono a far esprimere alla “nuvola di polvere” quel movimento risucchiante che si solleva e che poi, come dopo un tornado, risputa fuori pezzi sparsi, oleandri, ginestre, zoccoli, testa di Apollo e un campo di grano a solchi, ormai deprivato dalle spighe.

I tre ‘versi’ che seguono, quasi una prosa, è come se servissero a dare un po’ di respiro quieto, una narrazione sciolta, lineare.

Ma subito dopo la sarabanda riprende. Sono ombre, lutti, perdite.
Scene presentate a lampi, che andrebbero lette in modo sincopato, per esprimere il senso dello sguardo allucinato su cotanta belligeranza.
Alla fine, “ora è finito tutto veramente”, la natura stessa si è involuta, ritirata nella sua crudezza: dagli oleandri e ginestre a cardi spinosi e fiori di rovo.
Solo l’inesorabile freccia del tempo continua imperterrita il suo andare: “e mia madre invecchia sempre più velocemente”.
E noi lettori presi dalle maglie di questo andare della memoria, che non appartiene soltanto alla storia personale dell’autore ma è anche nostra memoria, ci possiamo interrogare ancora su questa scenografia che il poeta ci mette a disposizione.

Ecco, questo è il lavoro che faccio (anche per deformazione professionale) quando incontro una poesia che suscita in me un qualche interesse e tocca corde che fanno risuonare interiormente i pensieri.
E’ un lavoro di narrazione a latere, ovvero dilatare ciò che il poeta ha cercato di condensare in pochi versi. Un movimento a fisarmonica durante il quale posso osservare anche il rapporto tecnica/contenuto/rappresentazione.
Non so, né mi interessa sapere, se la mia narrazione esprime davvero il vissuto del poeta: è una mia esperienza soggettiva che è scaturita da un’altra e che ha creato un campo di relativa condivisione.
Si è originato un campo di “noi”.

Rispetto alla poesia di Emilia [Ndr. si riferisce a quella presente in questo post nel commento 31 dicembre 2011 16:33 firmato Emy] , che pure mi è piaciuta e che ho apprezzato, sono intervenuti in me altri stimoli che mi hanno orientata verso una lettura di tipo diverso, senza dubbio ‘altro’, forse più ‘moderno’, nel senso di meno ‘passatista’. Anche in questo caso si è creato un campo di “noi”, però più di ‘partecipazione’ che di ‘riconoscimento’.
Il ritmo veloce della versificazione, secondo il MIO sentire, ne ha condizionato il contenuto. Se nella poesia di Linguaglossa sentivo il bisogno di ‘velocizzare’, di dare una virata ‘cinematica’ per non sentire tutto quel dolore, quel senso di irrimediabilità, qui ho sentito il bisogno di rallentare. Come essere su una giostra dove cavalli, carrozze, colori e suoni si rincorrono con fotogrammi così veloci da non dare il tempo di poterci soffermare un po’ di più, lasciando la casa immersa tra gli aranci sempre più lontana. Una specie di ‘stordimento’ per controllare quel terribile ossimoro: “invecchiare velocemente”, dove il diventare vecchi presupporrebbe un processo lento che invece non è concesso.

Rita S.

[Fine]

Anonimo ha detto...

“La poesia deve imparare dal cinematografo”…ma qui siamo un po’ oltre: “La grande casa immersa tra gli aranci” sembra la sintesi di due brogliacci mentali nella testa di due differenti registi -Visconti? Fellini? - nell’atto di impugnare la cinepresa. Da una parte un ipotetico Visconti che inquadra il cofanetto, i gioielli, il bocchino d’avorio, i soldati italiani in divisa grigioverde, il colonnello omicida e suicida, dall’altra un immaginario Fellini che mette a fuoco un bambino dietro la siepe e poi la testa di Apollo tra i solchi di un campo, l’ombra che passa sul volto della madre, la madre che invecchia…
I due brogliacci in testa ai registi non troverebbero mai una sintesi convincente. Nella poesia invece il miracolo avviene. Perché? Nessuno lo sa veramente, neppure l’autore. Certo, aver avuto un padre calzolaio e comunista è un vantaggio non da poco!

Paolo Ottaviani

giorgio linguaglossa ha detto...

@Paolo Ottaviani, Roberto Bertoldo, Emy etc.
... grazie a tutti, innanzitutto, anche a coloro i quali hanno espresso perplessità o contrarietà alla mia poesia, ovviamente. E anche a "In soffitta", il quale mi accusa di dispensare stroncature come oracoli di un deus ex machina...
Vorrei rispondere all'osservazione di Bertoldo secondo il quale io avrei «struprato» la mia poesia (e la poesia in generale, se capisco bene) in quanto avrei abbandonato la poesia, diciamo così, post-simbolistica per aderire in toto ad una poesia prosastica che non sa più che farsene del simbolismo; e che le nostre direttrici di ricerca poetica segnino ormai due direzioni divergenti. Vorrei obiettare a Bertoldo, con gli argomenti di Paolo Ottaviani, che la mia poesia tenta di operare una sorta di "mediazione" tra, diciamo così, Fellini e Visconti: «Da una parte un ipotetico Visconti che inquadra il cofanetto, i gioielli, il bocchino d’avorio, i soldati italiani in divisa grigioverde, il colonnello omicida e suicida, dall’altra un immaginario Fellini che mette a fuoco un bambino dietro la siepe e poi la testa di Apollo tra i solchi di un campo, l’ombra che passa sul volto della madre, la madre che invecchia…»
Io credo, anzi ne sono convinto, che si può operare in direzione del «post-contemporaneo» (per utilizzare una categoria di Bertoldo) con entrambe le soluzioni stilistiche, che l'una non escluda l'altra, e che anzi ci siano anche altre direzioni di ricerca come ad esempio quella di ennio Abate con il suo ultimo libro "Immigratorio" che tenta la omogeneizzazione tra dialetto e lingua, tra prosa e poesia e tra un "io" dell'infanzia, un "io" adulto" e un "Noi"...
Certo, credo che per scrivere poesia (che non sia soltanto un addobbo natalizio o un ornamento turistico) occorra munirsi di un pensiero critico, andare contro corrente "contropelo rispetto al mondo" scriveva Mandel'stam negli anni Dieci del Novecento.

Giorgio Linguaglossa

Anonimo ha detto...

Riscrivo qui il commento che Rita mi aveva pregato d'inserire e che avevo dovuto dividere in due pezzi (come si deve fare sempre quando si superano le 4000 battute).[E.A.]


Rita Simonitto:

07.01.2012

Al momento non conosco i lavori di Linguaglossa né come poeta né come critico (anche se mi sono promessa di coprire questa lacuna).
Perciò mi sono trovata davanti alla “grande casa immersa tra gli aranci” senza avere né arte né parte. E ho fatto ciò che faccio (quasi) sempre nella seconda/terza lettura di una poesia, superato il primo impatto legato al ‘mi piace/non mi piace’.
Così, di fronte alla “grande casa…”, mi è venuto di guardarmi intorno…
So che il vento freddo della non-conoscenza dell’attuale spinge all’indietro, all’in-dentro, a cercare tracce. Tracce che possono essere idilliache (i gioielli, le lettere strette nei classici nastrini) o che sanno di vecchio, di stantio, come rileva l’odorato (uno dei sensi più primitivi) del sensista anonimo che segnala le puzze, il tanfo di morte.
Ahi, come bluffa l’angelo quando dice “vivete in casa e la casa non crollerà”: come si può vivere in casa, oppressi da tutto questo, ideali da una parte e caducità mortifera dall’altra?
Ma, uscendo fuori, che si trova? Il passato duella sempre col presente: Ma non solo. Ci sono più stratificazioni di passato e più tagli prospettici rispetto alla lettura del presente… esprimersi attraverso colori e rumori è un tentativo di dare una veste di rappresentatività a qualche cosa di incomprensibile.
E che cosa si guarda quando nulla di guardabile ha un senso?
“Un bambino siede sulla riva del mare spumoso”. Punto. Stop. Ma intuiamo che non è soltanto una descrizione fotografica. Che mai guarderà quel bambino?
“Plumbei cavalieri in armi galoppano sulla spiaggia”. Punto. Stop. Ma intuiamo che non è soltanto la descrizione di un fatto, troppe ridondanze ci sono per non supporre che si addensino lì ben altre evocazioni.

Come rendere ‘cinematica’ questa scena, drammatica nella sua fissità? I tentativi si bloccano di fronte alla rigidità della parola e i colori ed i suoni chiamati in causa non riescono a far esprimere alla “nuvola di polvere” quel movimento risucchiante che si solleva e che poi, come dopo un tornado, risputa fuori pezzi sparsi, oleandri, ginestre, zoccoli, testa di Apollo e un campo di grano a solchi, ormai deprivato dalle spighe.

I tre ‘versi’ che seguono, quasi una prosa, è come se servissero a dare un po’ di respiro quieto, una narrazione sciolta, lineare.

Ma subito dopo la sarabanda riprende. Sono ombre, lutti, perdite.
Scene presentate a lampi, che andrebbero lette in modo sincopato, per esprimere il senso dello sguardo allucinato su cotanta belligeranza.
Alla fine, “ora è finito tutto veramente”, la natura stessa si è involuta, ritirata nella sua crudezza: dagli oleandri e ginestre a cardi spinosi e fiori di rovo.
Solo l’inesorabile freccia del tempo continua imperterrita il suo andare: “e mia madre invecchia sempre più velocemente”.
E noi lettori presi dalle maglie di questo andare della memoria, che non appartiene soltanto alla storia personale dell’autore ma è anche nostra memoria, ci possiamo interrogare ancora su questa scenografia che il poeta ci mette a disposizione.

[Continua 1]

Anonimo ha detto...

Rita Simonitto [continua]:

Ecco, questo è il lavoro che faccio (anche per deformazione professionale) quando incontro una poesia che suscita in me un qualche interesse e tocca corde che fanno risuonare interiormente i pensieri.
E’ un lavoro di narrazione a latere, ovvero dilatare ciò che il poeta ha cercato di condensare in pochi versi. Un movimento a fisarmonica durante il quale posso osservare anche il rapporto tecnica/contenuto/rappresentazione.
Non so, né mi interessa sapere, se la mia narrazione esprime davvero il vissuto del poeta: è una mia esperienza soggettiva che è scaturita da un’altra e che ha creato un campo di relativa condivisione.
Si è originato un campo di “noi”.

Rispetto alla poesia di Emilia [si legge in questo post nel commento firmato Emy del 31 dic. 2011, 16:33], che pure mi è piaciuta e che ho apprezzato, sono intervenuti in me altri stimoli che mi hanno orientata verso una lettura di tipo diverso, senza dubbio ‘altro’, forse più ‘moderno’, nel senso di meno ‘passatista’. Anche in questo caso si è creato un campo di “noi”, però più di ‘partecipazione’ che di ‘riconoscimento’.
Il ritmo veloce della versificazione, secondo il MIO sentire, ne ha condizionato il contenuto. Se nella poesia di Linguaglossa sentivo il bisogno di ‘velocizzare’, di dare una virata ‘cinematica’ per non sentire tutto quel dolore, quel senso di irrimediabilità, qui ho sentito il bisogno di rallentare. Come essere su una giostra dove cavalli, carrozze, colori e suoni si rincorrono con fotogrammi così veloci da non dare il tempo di poterci soffermare un po’ di più, lasciando la casa immersa tra gli aranci sempre più lontana. Una specie di ‘stordimento’ per controllare quel terribile ossimoro: “invecchiare velocemente”, dove il diventare vecchi presupporrebbe un processo lento che invece non è concesso.

Rita S.

[Fine]