mercoledì 21 dicembre 2011

Laboratorio MOLTINPOESIA



« Cenai con un piccolo pezzo di focaccia,
ma bevvi avidamente un'anfora di vino;
ora l'amata cetra tocco con dolcezza
e canto amore alla mia tenera fanciulla. »


per un saluto e uno scambio di auguri
c
’incontriamo a Milano
venerdì 23 dicembre alle ore 17
nella sala Dopolavoro Ferroviario sottopasso via Tonale/Pergolesi Stazione Centrale 
(si consiglia di entrare nel sottopasso dalla parte di via Tonale  tenendo il lato sinistra)
Portate una poesia da leggere

[L’incontro-festicciola è aperto a tutti i simpatizzanti]

Di seguito qui sotto un'infornata di poesie natalizie  composte o suggerite da amici e amiche. Altre potete aggiungerne voi stessi negli spazi commenti.




 Emilia Banfi


NATALE,Natal

-Soffia sul fuoco sufia sufia
più forte non posso
ed il fuoco spargeva il profumo
la legna bruciava secca
perche sèca la def vès
più secca di così
non l'ho trovata
e alura sta li a guardà
e la stufa scaldava le mani.
Il Natale era il brodo buono
cun la galina nustrana
i amarètt e 'l vin de pom
Era un freddo Natale
coi fiori su vetri
e un matun cald
denter in dèl lèt.
Fuori la zampogna
Piva, piva l'oli d'uliva
gnaca gnaca l'oli che taca
l'è ul Bambin che porta i belè
l'è la mama che spend i danè.


Natale

-Soffia sul fuoco , soffia soffia
più forte non posso
ed il fuoco spargeva il profumo
la legna bruciava secca
pechè secca deve essere
più secca di così
non l'ho trovata
e allora sta li a guardare
e la stufa scaldava le mani.
Il Natale era il brodo buono
con la gallina nostrana
gli amaretti e il vino di mele.
Era un freddo Natale
coi fiori sui vetri
ed un caldo mattone
dentro il letto.
Fuori la zampogna
"Piva, piva l'olio d'oliva
gnaca gnaca l'olio che attacca
è il Bambino che porta giocattoli
è la mamma che spende soldi".

Fabiano Braccini

BAGLIORI E LUMINARIE


Lampi improvvisi di Kalashnikov

tra i banchi di scuola violati a Beslan:

maestre e bambini nello stesso sangue.

     Una orrenda mostruosità!


Fiamme feroci alla Thyssen-Krupp:

corpi umani neri carbonizzati, 
contorti come stoppini di candela.

     Non solamente fatalità!               

    

Bagliori di mine sui nostri soldati:

stille rosse a segnare la sabbia rovente

nei remoti deserti d’Irak e Afghanistan.                        

     Un dilemma se restare là!
                           
Ogni cerino oggi acceso può innescare  
l’incendio in tutti i respiri del mondo:
ma la gente preferisce ignorare.
     Incosciente irrazionalità!            
           
Puntuale e festoso giungerà il Natale:         
lusso di vetrine, doni, addobbi colorati
e i timori immolati al rituale gioioso.       
     Chissà quando un Messia tornerà!  


 
Raffaele Ciccarone

C'era la neve
e non era Natale
giorni di burrasca gelate di cuore
poi è arrivato il sole
il freddo aveva aria tersa
e tu mi dicevi :
Buon Natale!


 Luigi Consonni

I miei auguri 2011-2012 sono "double-face":
- per il Natale imminente, rubando una breve poesia a quel grand'uomo di fede e di poesia che è don Angelo Casati.
- per il nuovo anno, con le parole di Bertolt Brecht, che si concludono ...a sorpresa.
entrambi i testi sono da "gustare", leggendoli e rileggendoli; e, se vi pare il caso, da diffondere: aiutano a coltivare uno sguardo nuovo di cui tutti abbiamo sempre più bisogno. se no, che auguri ci possiamo scambiare?

ciao!
LUIGI


NATALE 2011

Tenda di Dio
sua calda dimora
è la carne vivente
dell'uomo, sua immagine.


Asino e bue
siamo tutti, Signore,
muso dietro muso,
a fissare il mistero.


Mistero di ruvida
e povera paglia
e giorni senza luce,
droghe senza speranza.


Essere, mio Dio,
asino e bue
col fiato sospeso
a godere il mistero.


Noi siamo, Signore,
il tuo vivente presepe,
siamo la paglia
su cui coricarti ancora.

                                              
CAPODANNO 2012

Ci impegniamo, noi e non gli altri,
unicamente noi e non gli altri,
né chi sta in alto, né chi sta in basso,
né chi crede, né chi non crede.

Ci impegniamo:
senza pretendere
che gli altri si impegnino per noi,
senza giudicare chi non si impegna,
senza accusare chi non si impegna,
senza condannare chi non si impegna,
senza cercare perché non si impegna.

Se qualche cosa sentiamo di "potere"
e lo vogliamo fermamente
è su di noi, soltanto su di noi.
Il mondo si muove se noi ci muoviamo,
si muta se noi ci facciamo nuovi,
ma imbarbarisce se scateniamo la belva
che c'è in ognuno di noi.

Ci impegniamo:
per trovare un senso alla vita,
a questa vita
una ragione
che non sia una delle tante ragioni
che bene conosciamo
e che non ci prendono il cuore.

Ci impegniamo non per riordinare il mondo,
non per rifarlo, ma per amarlo.

                                                          

Attilio Mangano

Da un anno lo preparano
il Natale con ricerche di mercato,
dal Natale passato
lo prevedono

il panettone e il discorso del Papa
il film kolossal  e la beneficenza,
è tutto programmato

E prevedono anche che qualcuno
venga fuori gridando: " Non vale!
è tutto truccato"

Per lui hanno pronto
il Natale dell'indignato.

Per un giorno faranno la pace
giusto in tempo per caricare le armi.


Mario Mastrangelo

A voglia ‘e chist’atu natale.

Ancora se prova a gghì annanze.
Gelate ‘e gghiurnate
ce affòcano tutte ‘e speranze
e gghiòcano a chi fa cchiù male.

Ma  ra  ‘o funno r’ ‘e lluntananze,
addó r’ ‘e ccose se pèrdeno ‘e ttracce,
‘o stesso s’affaccia
‘a voglia ‘e chist’atu natale.


La voglia di un altro natale

Ancora si prova ad andare
avanti, i giorni gelati
ci soffocano la speranza
e giocano a chi fa più male.

Ma dal fondo delle lontananze,
dove delle cose si perde la traccia,
lo stesso s’affaccia
la voglia di un altro natale.


Maria Maddalena Monti

MA QUALE DIO

Ma quale Dio sei tu
che hai messo
al centro della storia
un bambino?
Nei suoi occhi
d’innocenza spalancati
hai voluto
che leggeri i suoi passi
ci portassero a ritrovarti,
la nostra mano stanca
nella sua piccola
e gentile.
E con lui a scoprire
la voce argentina
dell’acqua
e il misterioso vagare
degli astri,
E ogni giorno scorgere
nella carezza dei suoi occhi
l’amore per i fratelli.



 La tavola di Natale                     

Brilla la tavola di Natale,
il bordo d’oro dei piatti
e iridescente il riflesso
.dei bicchieri.
Dal tuo vestito buono
odore di canfora e lavanda.
Sei tranquilla al tuo posto
-quello solito-.
E’ ritmico il moto
 delle mani che piegano
e ripiegano il tovagliolo.
All’improvviso
,nell’azzurro perso
 dei tuoi  occhi,
un lampo dell’antica
autorevolezza a freno
dei bambini irrequieti.







 

18 commenti:

Anonimo ha detto...

Uova di quaglia in salsa rosa
incipit delicato al Cenone di Capodanno.
Per l’occasione indosserò
il tubino nero
che ti piaceva tanto.

La tavola è un incanto,
gli ori dei bicchieri pronti alle bollicine
per gli auguri fra l’edera e il rosso
delle mele.

Noi come automi recitiamo la scena
come nulla fosse accaduto:
non posti vuoti a tavola
nessuno che si aggrappi da fuori alle finestre;

filiere di memorie giacciono nel sottoscala
con gli scatoloni vuoti dei regali
anonimi ora e inutili
come mi sento io in questa mascherata
di obbligatoria felicità.

Rita Simonitto

Anonimo ha detto...

Passiamo il Natale con gente della quale faremmo volentieri a meno e gli amici coi quali vorremmo passarlo ti sono lontani a fare anch'essi la stessa cosa. Il Natale che c'è dentro di me sarà così mio e così bello e nessuno saprà quanto.Emy
P.s.: Siamo sinceri e Buone Feste.

Scusate ho corretto il testo ma non so come annullare il precedente Ennio puoi farlo tu? Grazie

Anonimo ha detto...

Ennio grazie del bel regalo che hai voluto farci ! Ora aspettiamo la tua Poesia...e fai presto perchè poi è Natale... Ciao Emy

Anonimo ha detto...

Lucio Mayoor Tosi:

A natale spuntano le margherite
le mucche svizzere suonano coi loro batacchi
come fa il cucchiaino su questa tazza.

Fuori c'è un sole che spacca, preparo la borsa
per la piscina scandinava, mi trucco
mi specchio e ascolto le parole del TG.

La voglia di morire non sta negli ospedali
viene prima, viene a vent'anni anche se oggi
si vive più a lungo, più a lungo con la voglia
di morire.

Le margherite sono piene di zucchero
preparo la borsa scandinava e ballo
con la voglia di morire su questa tazza.

A natale spuntano i batacchi sul cucchiaino
fuori c'è un sole che ha voglia di morire.
Vent'anni, tanto vivono le mucche.

Le parole del TG son margherite scandinave
fuori c'è un sole che spacca, lo sapevo, ieri sera
c'erano stelle intermittenti.

Ho sognato che mi morivo tra le braccia
perché la borsa da ballo era senza cucchiaino
le batterie del cuore erano scariche

e non avevo soldi, ne' per comprarne di nuove
ne' per rifarmi i denti. Le stelle intermittenti
erano senza batacchi e le mucche cagavano
nella tazza.

Per vivere più a lungo, più a lungo di vent'anni
bisogna avere la borsa piena di cucchiaini
e poi andare in ospedale dove abita la voglia
di vivere.

Ti portano la minestra, il prosciutto
con gli spinaci svizzeri intanto che il TG
racconta fiabe sull'economia dove si parla

delle aspettative di vita ormai tanto lunghe
che in pensione ci andranno le piscine scandinave
a natale, mentre c'è un sole che spacca

e le mucche svizzere preparano la borsa
con tanto di tazze e cucchiaini prima di morire
dentro, a vent'anni, sul più bello

insieme alle margherite.

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

Premessa

Il testo che vi mando in allegato appariva nella sua versione originale (del '77)
in una raccolta,"Samizdat Colognom", carica di riferimenti a Cologno Monzese,
la città di periferia dove abito da tempo e agli immigrati che lì, come me,
sono stati/sono "corpi ammucchiati che volevano, vogliono intessere buoni amori".

L'ho ripensato e rielaborato in questi ultimi giorni del 2011, ripulendo
la forma di allora, fin troppo immediata e persino trascurata.
Nel tono narrativo fiabesco avevo inserito (contestandolo)
accenni di cronaca quotidiana e politica degli anni Settanta.
Infanzia e storia, insomma.
Ho, limando e correggendo, rispettato il sentimento di fondo:
un'amarezza ironica.
Da un certo punto in poi (quando?) la ricorrenza del Natale mi ha riproposto
un dilemma che vale anche più in generale per ogni "manifestazione" di desiderio: cedere un po' alla pressione (vitale, ma ambigua, arruffona, sognante)
della gente (qui nella poesia donne e bimbi soprattutto) o insistere a fare il guastafeste
(qui è la funzione del professore, in seguito diventato nella mia ricerca "prof Samizdat"; oggi direi: il critico),
figura antipaticissima, che scova ideologia e mitologia dove altri vedono soprattutto
vita, desiderio, sogno benefico o quantomeno medicina necessaria.
C'è chi il dilemma l'ha risolto concedendo, secondo me, sin troppo all'infanzia (o alla "bambinopoli" di cui parlò una volta Majorino).
Chì cancellandola senza pietà.
La mia scelta del '77 - mi accorgo in questa revisione tardiva -
rispettava, per quanto poteva, la dolcezza del mito, ma tentando di non dimenticare mai la storia.

[Continua 1]

Moltinpoesia ha detto...

E.A. [Continua]

Fiaba natalizia (1977)


Venne Natale
e l'Uomo Nero
che stava in una soffitta
- dalla finestra solo nebbia -
chiuse il giornale
ed esclamò: Ci siamo!
Ci pigliano per il culo
ancora una volta ...

Nello Specchio Magico
lì, sopra il suo comò
si vedeva il mondo
come in televisione
ma coi fatti veri
e senza confusione.

Ecco, in piazza Duomo
sotto uno striscione
stavano gli operai
della Lagomarsino.

«Il posto di lavoro?».
«È già toccato».
«Sull' Albero
di Natale
sia il padrone
impiccato!»

E quelli dell’Innocenti?
In cassa integrazione
imparavano il latino
per la disperazione.

Bussarono alla porta.
L'Uomo Nero spense
il suo Specchio
e corse ad aprire …

«Pace in terra
agli uomini
di buona volontà!»
- miagolò un prete
tondo come Gatto Nerone -
«La facciamo ‘sta benedizione?
Gesù, Giuseppe e Maria ...
Fuori il soldino
che scappo via».

Svelto l'Uomo Nero
schiacciò il pulsante
e - click! - nel Magico Specchio
tutto splendente, in collegamento
via satellite con il paradiso
ecco a mezzo busto il Padreterno.

«Porco dio!»
- gridò al prete -
«Son duemila anni
che mio figlio Gesù
non nasce più.
E tu, Intascaquattrin
in giro a spruzzar acqua.
Pussa via!»

E uno è sistemato!
Si fregò le mani
l'Uomo Nero
anche perché
freddo faceva
e i termosifoni
scaldavano poco.

[Continua 2]

Moltinpoesia ha detto...

E.A. [Continua]

Toc! Toc! È permesso?
Era il figlio del carabiniere
professore di mestiere
una barbetta liscia
che parlando gli cresceva
e attaccò: «Ecché ce pozze' fà
si a Natale triste me sent'e!
Cchiù a ggent'ammuina fà.
Cchiù me vene re criticà» .

L’Uomo Nero lo rianimò
gli offrì un caffè e canterellò:
«Bim, bum, bà!
Sì, il mondo finirà
ma come non si sa».

Riaccese il Magico Specchio.
Futuro? No, soltanto buio!
Cambiò allora canale.
«Frrr! Frrrrrrr!» -
fece lo specchio
e indietro andò.
Apparve una scritta
in antica grafia:
millenovecento
quarantacinque
e sei, e sette ...

Seduto accanto a un braciere
canterellava ora un anziano
sulle spalle un cappottone
verde oliva militare:

«Mmo vene Natale
e je nun tengo denari.
M’appicie na pippe
e me vad'a ccuccà.

E quenn'é a nott',
ca sparen' e bott',
m'affacci' a fenest'
e me mett'a guardà» .

Lasciava cadere nella brace
bucce di mandarino
che davano il loro buon’odore
mentre la moglie in cucina
friggeva zeppole, curava il sugo
con le vongole; e chiedeva aiuto
per tagliare il capitone.

L'Uomo Nero tacque e lasciò
il professore ai suoi ricordi.

Due ragazzi preparavano il presepio.
Prima si andava per legni e chiodi.
Poi si spostava il tavolo sotto il muro.
Prima di legno lo scheletro di monti e grotta.
Poi si copriva con carta da pacchi.
E poi, per la neve, si spruzzava la calce.
E poi si metteva il muschio.
E poi i pastori di gesso.
E nella grotta una lampadina.
E uno specchio faceva da lago.
E carta stagnola per fingere il fiume.

E alla fine l'interrogò:
«Caro il mio professore
a lei, dunque, piace
il Natale poverello?».

[Continua 3]

Moltinpoesia ha detto...

E.A [Continua]

«A me non piace
più nessun Natale»
- borbottò afflitto
quello -
«né i botti, né il panettone
né il presepe di cartone.
Mi manca la rivoluzione!»

«Frrr! Frrrrrrr!» -
rifece lo Specchio Magico.
Adesso gente in riunione.

«Natale o non Natale
qui muoversi bisogna!
Basta co' 'sto mortorio!»
- diceva una battendo
il pugno sul tavolo -
«Ci abbiamo la tredicesima?
E spendiamola!»

Prese la parola
il compagno Fabio:
«Io sarei d'accordo
con la compagna mamma.
A me piacerebbe
fare il Diabolik natalizio:
comprare miccette
e sparare un razzetto
in testa alla barista.
Ma papà non vuole!».

«Papà non vuoleeee!»
- strepitò furibonda
la compagna Elena -
«Abbasso i papà!
Basta coi tiranni!
Vogliono proibire
persino l'allegria.
E allora diciamo:
“Il Natale è mio!
Me lo gestisco io!”».

Ci furono applausi.
Donne e bambini
si alzarono.

Chi preparò la colla?
Chi le scope?
Chi il manifesto?
Chi le frittelle?
E chi i dolci?

«Su, professore!»
- disse l'Uomo Nero -
«Diamogli un po’
di collaborazione!».
«Ma non è la rivoluzione!»
- obiettò lui. Si scosse però.
E uscì assieme all'Uomo Nero.

[Continua 4]

Anonimo ha detto...

Mi affascina l'idea che la poesia possa aiutare a scoprire nessi di realtà altrimenti impensabili. Oggi, per esempio, mi domandavo come fosse che dal motore della mia auto spuntassero margherite. Poi, finalmente, ho capito: l'auto è scandinava...
Grazie per le poesie di oggi...
Ciao e buon natale!
Flavio

Moltinpoesia ha detto...

E.A. [Continua]

In strada che confusione!
Sui muri già attaccavano
un manifesto. C'era scritto:
«No ai panettoni con i coloranti.
No ai presepi di porcellana.
Vogliamo i pastori di gesso.
Vogliamo un Natale di uguali».

La gente si fermava
e commentava.
I giovani approvavano.
Brontolavano i vecchi:
«Adesso i ragazzini
fanno la rivoluzione?
Che esagerazione!»

Eppure in piazza arrivava folla
come per una manifestazione.
C’erano i nonni con e senza bastone,
gli operai, pur se in cassa integrazione,
il sindaco che tossiva imbarazzato,
Mauro con la nuova fidanzata,
la Pizzullo con gatto Cirillo;
e Donato con tutta la tribù,
e Gigi Degli Abbati con un quadro
appena dipinto in più.

C'era anche la maestra Cassio
ma soltanto con le due figlie:
«Mio marito? È in farmacia.
Ha una forte emicrania».
C'erano pure Michelina Russo
e Faccia di Merluzzo.
E c'erano borbottanti
femministe che ce l’avevano
con Maria: «Fare un maschio!
Avessi fatto almeno una Gesù
Crista!». «Eh già! » - ribatteva
lei - «Ma la colpa vostra fu.
Se ammettevate Giuseppe
al collettivo, forse ora l’ avreste
un Natale femminista».

Attorno tante bancarelle
distribuivano panettoni
champagne e zeppole.
Su un palco Dario Fo
e Franca Rame
a recitar gongolanti.

Poi invitarono sul palco
il ben noto Gesù Cristo
che gironzolava anonimo
in mezzo alla folla eccitata.
E tutti si aspettavano il discorso
finale sullo stato del Santo Natale.

Questo Gesù, invece, tagliò corto.
Fece capire che, sì, un compagno era
ma come tanti altri.
E che, essendo nativo di Betlemme,
s'intendeva poco di modernità
e quasi nulla di economia politica.
Lui era specializzato in miracoli.
Questo sì.
«Ma, scusatemi»- sì, così disse -
«la rivoluzione non è un miracolo
e, come farla, non chiedetelo a me».

Ognuno facesse
bene la sua parte.
Insomma deluse parecchio.
Anche perché concluse
con il solito slogan
dei suoi anni gloriosi:
«Lasciate che i pargoli
vengano a me».

Quando i bambini capirono
che i pargoli erano loro,
fecero un casino della madonna
specie quelli di via Boccaccio.
Saltarono a decine sul bue e l'asinello
spararono miccette
nella barba di Giuseppe e del sindaco
e andarono in giro tutta notte
per le strade fredde ma illuminate
della città.

Natale 1977 /revisione 22 dic. 2011

[Fine]

Anonimo ha detto...

I RAPACI

I rapaci s’alzano in volo
Poco prima dell’alba
Silenziosi volteggiano
In alto
Oltre i cirri più ostili
In cerca di prede
Acuminati incidono il ghiaccio
Sottile
E mentre feriscono il cielo
Attendono il momento propizio
(Proprio il momento più giusto)
Per fare ciò che i rapaci
più amano al mondo
E paiono innocui
tanto distanti
Lassù
Poco più che puntini minuscoli
Quasi invisibili
Persi nell’immenso cielo cristallo
Fra nuvole bianche e lo spicchio
Del sole sorgente
Ancora seminascosto a oriente
Come giusto che sia
E tutto questo ne sono certo
Nulla spartisce
Con il sangue che scorre fluente
Fra le lenzuola dell’ultimo sonno
Nulla con il muto sesso
Di chi dorme ma
Ancora sogna il mondo
Per come non è.


(Flavio V.)

Anonimo ha detto...

Molto bella la poesia di Flavio. Appena ho un momento di tempo la commenterò.
Leonardo Terzo

Anonimo ha detto...

I rapaci sono il dato iniziale che si contrappone al sogno del mondo che non è (finale). La descrizione del volo dei rapaci (alba, silenzio, volteggio) è la visione del cielo nello splendore di nuvole e sole, l’apparente ed evidente bellezza che anche il rapace attraversa e abita. Tutta la prima parte della poesia ci tiene avvertiti: i rapaci sembrano innocui. Non solo ci avverte, ci tiene avvertiti, perché la descrizione copre un volo che prelude all’affondo, che però non avviene ai nostri occhi. Sappiamo che avverrà, perché è la natura, ed è questa tensione (suspénse) che percepiamo, pur immersa nel ritmo pacato del discorso, persino quando “acuminati incidono”. L’essenza che affascina è il contrasto tra il significato tagliente e la pacatezza formale dovuta al calcolo preciso, del momento giusto. L’aggressività è eufemizzata in parole lievi: l’assalto diventa “ciò che più amano al mondo”, innocui, distanti, lassù. È tutto un mimetizzarsi, invisibili, persi nell’immenso, dove poi si apre persino uno spicchio di luce seppure ancora seminascosto. Tutto è misura e separazione. Al sangue si arriva, ma altrove, con un altro senso, fra le lenzuola, nel sonno: non violenza, ma sesso, seppure muto e ultimo. I puntini incombono sul mondo che ancora non c’è. Ma noi restiamo con chi ancora sogna.

L.T.

Anonimo ha detto...

@ Lucio Mayoor Tosi

Sette-nari a Natale

La vita senza senso
ha il senso sperduto
fra mucche e margherite,
mortiferi Natali
lumini d’Ognissanti.

Margherite su cacche
di alpeggianti vacche
sghignazzano ai pini
che staranno vicini
ai TG che spaccano
ciondolosi batacchi,
tazze vuote di stelle
senza palcoscenico.

La nazione si beve
discorsi s-zuccherati,
non c’è un cucchiaino,
se li sono rubati
quelli delle minestre
lunghe da Ospedale:
il malato guarirà
quando sarà tosato
di ogni velleità
di voler vivere o
di voler morire o
d’avere una mucca
tutta sua da mungere.

Senza più avventori
il Paese s’ avventa
ma senza denti sono
dolori. E soltanto
il sole può spaccare
questo truce Natale,
festa da sballo che va
svizzera-mente su-giù
dai Monti al Male.

Rita Simonitto

Anonimo ha detto...

Natale 2011

Ed ora fuggiamo
intermittenti
di pace
L'inutile cercare
porta miseria
solo miseria
nel cuore che vuole
ancora scoprire una vita
dentro la morte di cose
risorte solo di un giorno
forse di un'ora
inutili cose
cosucce scartate
dentro presepi
d'amore inchiodati.

Emilia Banfi

Anonimo ha detto...

Ennio: porca Miseria! Che Natale! Emy

Anonimo ha detto...

@ rita
chissà perché, quando non mi va di stare in un posto, mi vengono in mente le vacche svizzere e perfino gli ospedali.
:)

onorato

may

Anonimo ha detto...

Mayoor, le tue mucche le leggo e le rileggo ed ogni volta mi fanno tenerezza e paura...rifletto e m'accorgo del triste sorgere del giorno , della miseria che sta dentro e che ogni giorno spingiamo sempre più dentro.Emy