martedì 31 gennaio 2012

Flavio Villani
L'assedio di Saigon


                                                                   
 Invio la nuova versione dell'Assedio di Saigon. Penso che essendo lavoro che si pone (con convinzione) al limite fra poesia e prosa, sfruttando in modo, credo, non del tutto convenzionale entrambi i linguaggi, potrebbe fornire materiale di discussione sulle questioni sollevate dal dibattito aperto di recente sull'argomento. La scelta di scrivere questo particolare testo in tale forma è dipesa, come spesso avviene, da plurime considerazioni, difficilmente sintetizzabili in poche parole, non ultima la mia personale propensione verso forme narrative, per così dire, "ibride", dove versi e prosa narrativa e teatrale si possono comporre a costituire un insieme eterogeneo. La possibilità, propria della poesia, d'infrangere le barriere imposte dall'unità di tempo e di spazio del racconto è stata per me ulteriore forte motivazione per esplorare questa via. [Flavio Villani]
  
                        
Il tempo è tutto. Tutto.
In ogni dramma il tempo è tutto.
In questo dramma il tempo è l’aprile del
settantacinque.  

Non è un caso. No non credo che lo sia.


A Milano il trenta aprile il sole sorge
quindici alle cinque ma poiché la terra ruota
da est a ovest
(velocità 460 metri/secondo o giù di lì)
in Vietnam
in quello stesso istante
lo stesso sole raggiunge l’apice
e inizia la sua lenta discesa verso
occidente.

E mentre a Milano l’aroma del caffè si spande
in vecchie cucine piastrellate
bianche
e bambini dagli occhi cisposi
sospinti in gelidi cessi
da genitori precocemente invecchiati
si lavano la faccia come gatti
– e giovani uomini e donne
escono dai loro letti caldi e umidi e odorosi
mormorando parole dolci appena concluso
l’amore nel muto dormiveglia del mattino
e quelle stesse donne
cariche del seme di quegl’uomini giusti
pronte a scaricare tale seme e l’urina della notte
s’avviano verso water sbrecciati e freddi
su cui si siedono sospirando
nell’attesa di sentire il grumo di sperma
cadere nell’acqua con rumore sordo
(che questa è l’unica speranza  
per il prosieguo della specie
nei secoli dei secoli a venire)
e altri uomini e donne
esauriti
da una vita oggettivamente senza senso
imprigionati in una solitudine d’acciaio
attendono nuovi segni o forse presagi
per questa giornata di fine aprile

(il lavoro
la fabbrica
il traffico
l’ufficio)

propri o in quelle medesime frazioni temporali
suddivisibili in infiniti istanti
tenendo attento conto dei fusi orari
e dell’indubbia posizione
rispetto
al meridiano zero
come della distanza dall’Equatore
(distanza indubbia anch’essa
in quanto esattamente misurabile)
be’ proprio in quei momenti
(e a pensarci con un minimo di attenzione
si viene presi da una vertigine
da una nausea improvvisa)

Saigon è sotto assedio

a partire dall’ambasciatore Martin
strano personaggio
cieco
di fronte alla semplicità dei fatti
all’evidenza della fine
fino all’ultimo marine o degli agenti
della CIA
che non sono militari ufficialmente
ma che conducono azioni militari
che qualcuno con indubbia fantasia
chiama di polizia
solo perché non vestono uniforme
ma le armi sono le stesse e in abiti
civili
con i Ray Ban (modello a goccia)
sul naso piantati bene
ammazzano
tali e quali a quelli in uniforme verde
che si sa entrano nel villaggio in via ufficiale
e rispettando come giusto le regole d’ingaggio
fanno fuori
tutti gli esseri pensanti e anche gli animali
e lasciano scivolare i cadaveri
alcuni dei quali mutilati
in fossati colmi di fango
dove scorrono le acque
che dovrebbero irrigare le campagne
fino ad allagarle
allagarle
per coltivare
il riso
il riso
– riso benedetto –  
che con il riso la gente
di fame certo non muore
e che invece oggi deve nascondersi
in qualche maleodorante buco
sotto terra
per evitare di morire
per mano di un sergente paranoico
venuto da lontano
su di un grosso aeroplano
carico carico di armi
pronto a ficcarti nella testa una pallottola
modificata ad arte
per esplodere all’impatto
che i danni così s’amplificano
perfetti
o stupri le tue figlie
e poi non faccia grandi distinzioni
fra donne e uomini
vecchi e giovani
e saccheggi
e violenti
e ammazzi
a piacimento
chiunque passi a tiro
e saccheggi
e violenti
e ammazzi
a piacimento  
e nessuno per questo è stato mai punito
e mai lo sarà davvero
neppure in questo mondo pieno d’avvocati
e di corti di giustizia
internazionali

neppure nel mondo
della vedova da poco più di un anno
– che lei suo marito non l’ha mai tradito
anche se a essere sinceri
ne avrebbe avuto l’occasione
e lui di sicuro lo meritava
perché certo era un brav’uomo
ma pensava a se stesso solamente
anche durante i rapporti intimi  
mai per lui bastanti
e li voleva anche quando
lei aveva le sue cose ed era
stanca
e nauseata
e non ne poteva più –  
appena uscita
dal parrucchiere con la messa in piega
in ordine
e il colore ben fatto da lavoranti esperte

neppure nel mondo sonnolento
di quella stessa donna
ora con i capelli a posto
di una nuance forse
un po’ troppo simile al golfino
in lana d’angora violetto
che sua figlia
(bella donna sovrappeso
sempre un po’ nervosa forse
per via di un principio di emorroidi
piuttosto fastidiose
effetto di gravidanze ripetute
ma suo marito proprio
questo non capisce
quando i porci comodi fa con il suo culo)
le ha regalato per i settant’anni
che al primo lavaggio s’è subito infeltrito
anche se c’è stata proprio attenta 
nell’attesa di unirsi di domenica
alla comunità in preghiera
per i soldati lontani
lontani
spediti in tutta fretta
in territori d’oltremare
che come dicono in TV rischiano
la loro pelle
giovane
giovane
per la libertà
la libertà di tutti noi
e per la democrazia
la democrazia di chi comanda.

tutti costoro subiscono l’assedio
l’assedio alla città
alla perla
alla città perfetta
alla città sognata
alla città giusta per morire

e
mentre i soldati dell’Armata del Sud
Vietnam in rotta
si liberano
sul lungofiume di uniformi e armi
e ragazzetti senza casa
definibili monelli di strada
o più realisticamente
orfani di guerra
s’appropriano degli M16 abbandonati
e se ne vanno a zonzo
trionfanti
sparando colpi in aria
che di tanto in tanto qualcuno
lo fanno pure secco

pressati dai carri armati fuggono
fuggono per sempre
da  
Saigon che stretta sotto assedio
si deforma
s’allunga
s’allarga a dismisura
secondo i suoi assi principali
assume sembianze sconosciute
diventa altro
altro da sé

diventa
altro luogo in altro tempo

e le nere colonne di fumo
che pigramente s’innalzano
sulla verticale della città
sono allucinazione
o sogno
o inganno ultimo dei sensi
perché tutto questo non può
non può avvenire veramente.

diranno: la più maestosa
evacuazione della storia
e non c’è nulla da ridire
su tale orgogliosa affermazione 

(oh ma com’è esteticamente ineccepibile
il potente ridotto a niente!)

Caos
White Christmas
in sottofondo fuori stagione
elicotteri carichi di boia
o d’ignavi
o di poco raccomandabili persone
ministri lenoni e altri ancora
e un tipo
uno sconosciuto fotografo olandese dell’UPI
(tal Van Es) scatta una foto memorabile
il pomeriggio del ventinove
di tutta quella gente che s’arrampica
in fila indiana verso la mano tesa
di un altro tizio
che di nome fa Mr. Harnage
– a quanto dicono
una spia
che certo per questo passerà alla storia –
sul tetto del palazzo della CIA
in Gia Long al ventidue
d’angolo con la Tu Do
per tentare di ficcarsi
in qualche modo nell’elicottero
di Air America in attesa
sul tetto di quel palazzo a Saigon
motore al minimo
pronto al decollo in ogni istante
carica di valige
qualcuno carico di dollari
o di lingotti d’oro
o di oggetti di valore
qualunque essi siano
rubati per lo più
o acquistati con i soldi sporchi
del traffico dell’eroina
o delle puttane
o di qualsiasi altro traffico
che possa passare per la mente
perché tutto è trafficabile
e un acquirente
un estimatore forse
lo si trova sempre e ovunque
ed è così che si fa a sopravvivere
e poi ad aprire pizzerie
o altre attività
commerciali per lo più
a Buffalo
nello Stato di New York
dove l’inverno è freddo becco
e gli abitanti di laggiù il mondo
e i morti
li hanno visti solo  
nei ventitre pollici e i colori innaturali
di un televisore marca Admiral
inserito in elegante console di legno vero
prodotto nel sessantotto
da qualche parte nel Midwest
e acquistato al dettaglio
presso rivenditore autorizzato
al prezzo non scontato
di
trecentoquarantanove
dollari
e novantanove.

perché il mondo è rettangolare.

perché il mondo è rettangolare
ed è inframmezzato da avvisi
pubblicitari
ogni dieci minuti

ogni dieci minuti.

e perché tutto considerato
il mondo è quello che è.

il mondo è quello che è.

che vi piaccia o no.
che ci piaccia o no.   

……………………………………………

In Vietnam è l’alba del primo maggio
quando il sole inizia a tramontare su Milano.

A Milano naturalmente è ancora il trenta aprile.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Flavio, personalmente non vedo conflitti tra poesia (inventiva) e prosa (prosieguo) in questa tua L'assedio di Saigon. Non è da oggi che la prosa s'è accomodata, benvenuta, nella poesia. Il dialogo tra le due è stretto, questo perché di poesia in questo tuo dramma ce n'è e come. Nei luoghi abitativi della quotidianità, come sul fronte orribile della guerra, scorre lo stesso pathos. Scrittura incalzante, lucida e visionaria allo stesso tempo. Sarà il tema, ma mi hai riportato alle istanze libertarie di quegli anni e, a tratti, anche a certa poesia che leggevo allora.
Testo lungo e immagino impegnativo da scrivere, che unisce assiomi originali come questo:
A Milano il trenta aprile il sole sorge / quindici alle cinque ma poiché la terra ruota / da est a ovest / (velocità 460 metri/secondo o giù di lì) / in Vietnam / in quello stesso istante / lo stesso sole raggiunge l’apice / e inizia la sua lenta discesa verso / occidente.
ad altri di diversa fattura che sanno umanizzare il linguaggio giornalistico portandolo a dramma. Dramma che ha perfino note esistenziali, per me amarissime, ma come dici tu "il mondo è quello che è / che vi piaccia o no / che ci piaccia o no".
Difficile da governare un insieme tanto eterogeneo.
I miei complimenti.

mayoor

giorgio linguaglossa ha detto...

... è un esempio perfetto di come il linguaggio narrativo, la scansione narrativa, la velocità del mezzo narrativo può velocizzare il proposizionalismo poetico adeguandolo alla mutata percezione dei linguaggi che la nostra contemporaneità induce. Un eccellente risultato in termini di velocità, leggibilità e icasticità del linguaggio poetico ma sarei curioso di leggere il medesimo testo (magari con qualche piccolissima modifica qua e là) in forma narrativa, senza gli a-capo, per verificare la sua leggibilità e le eventuali perdite in termini di icasticità.
Fatto sta che il testo mi sembra di ottima fattura... l'autore dimostra di possedere notevoli capacità "narranti" e sa sincopare i versi con l'abilità degli a-capo; sa anche intervallare e sovraccaricare le proposizioni, intrecciandole le une alle altre per poi partire in divagazioni...

Anonimo ha detto...

Come tacere dopo aver letto l'Assedio di Saigon di Villani? La guerra del Vietnam era l'argomento coagulante fra i giovani che negli anni 60 riempivano le strade di tutta Europa dal casello di Reggio Cal. a quello di Stoccolma passando per Parigi e Amsterdam. L’odore del Naplam ci arrivava attraverso le immagini e insieme ai conflitti locali esistenziali ci bruciava dentro. Assedio come sceneggiatura di un film : sequenze e fotogrammi in due parti estreme del mondo.
Un livello macro della storia e tanti livelli micro
sicuramente non minimalisti ma inquietanti esistenziali si intersecano continuamente e contribuiscono a “complicare” il racconto che raggiunge esiti poetici diffusi per tutta la narrazione. Le immagini sono essenziali in quella guerra : “Saigon 75”, un gruppo di vietnamiti che cerca di salire su un elicottero, una piccola guerrigliera vietnamita cattura un marine, una bambina vietnamita nuda in fuga da un bombardamento al naplam del suo villaggio.
La disposizione dei versi vede una impronta personale che dà una scansione precisa ai concetti e ricorda in parte, il modo creativo di disporre i versi dei poeti americani degli anni ‘50. Disposizione che era la disperazione degli editori americani: poesie non più costituite da strofe ma da gruppi di parole sistemati sulla pagina secondo l’importanza, il significato, l’umore dell’immagine o del concetto espresso.
Non era più la poesia della tecnica, la poesia per i poeti, per i professori cioè la poesia sulla poesia ma una poesia come messaggio orale, poesia di strada fuori dalle classi, fuori dalle facoltà e fuori dalla pagina stampata.
“L’Assedio di Saigon”” è poesia specialmente orale con due tempi uno più lento che gradualmente ci fa entrare nella materia ed un altro più incalzante che esprime la rabbia per una sporca guerra, i suoi sporchi loschi traffici e per le guerre di ogni tempo. Enzo

Anonimo ha detto...

Grande Flavio grande lavoro. Sofferenza sbattuta in faccia a tutti proprio a tutti anche a quel ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones. Già, ricordi tormenti che pare non interessino più neanche per la giornata della memoria. Anche la memoria è stata capitalizzata, va dove c'è l'interesse al ricordo. Emy