martedì 10 gennaio 2012

Giorgio Linguaglossa
Due poesie
da "La Belligeranza del Tramonto"


Giocavano a dadi con i meteci

 Un angelo zoppo ci venne incontro
e disse, senza guardarci: “malediciamo il nome di Dio.”

Eravamo incomprensibili. Stavano tutti al bar
a bere caffè, quando, a mia insaputa, cominciai a zoppicare.

Erano tutti zoppi gli avventori del bar e gobbi.
avevamo la gotta e la gobba ci spuntava dalle spalle.

A quel tempo dall’Albero vennero i bastardi
con le risposte pronte e gonfiarono le vele
e gettarono le ancore.

Io fissavo il loro occhio di vetro…
Giocavano a dadi con i meteci e a morra con gli iloti,
se la spassavano con le troiane,
ma anche quelle presero a zoppicare oscenamente.

A quel tempo facevo l’infiltrato e la spia,
passavo informazioni ai persiani in cambio di talleri d’oro
e poi riferivo ai bastardi le notizie sottratte
alle carovane di spezie e di porpora che attraversavano il deserto.

Io a quel tempo me la spassavo nella Suburra,
tiravo con l’arco al bersaglio e giocavo a morra con i bastardi.

Un angelo gobbo ci venne incontro
e disse, senza guardarci: “dimenticatevi il nome di Dio.”
   
Flamurt, schiavo della trireme romana

 Flamurt, schiavo della trireme romana
ha fatto carriera, ora è sguattero della nave ammiraglia
e barbiere privato del proconsole,
detta gli auspici e scioglie gli indizi. Si dice
che il suo consiglio sia molto apprezzato dal console.

Flamurt, liberaci dal dubbio,
scioglici dal male che ci sovrasta
gli indizi sono sinistri, intona i sistri, i pifferi,
recaci il lenimento dei tuoi frizzi e dei tuoi lazzi,
le ballerine dell’Opera caffè e le mutandine da sexy shop,
dacci oggi la gozzoviglia quotidiana
rimetti a noi i nostri debiti come noi
li rimettiamo ai nostri debitori.
Sbrigati Flamurt, il mostro che verrà
ci libererà dal dubbio
e dalla compulsione della copula.

Ora, Flamurt, schiavo della trireme romana,
abita il piano alto dell’Hotel, una suite di lusso
con tanto di pornostar per le sue delizie,
ed io sono il suo sguattero, il fedele e devoto sguattero
e spio i suoi amplessi come dalle forche caudine
e bramo, impotente, la sua zoccola.

“Non c’è nulla di nuovo sotto il sole.
Io e la mia ombra non parliamo la stessa lingua” – afferma Flamurt.

Deicida ed omicida il suo eloquio lo rivela
per quello che è: un lacché, un sordido lacché.

[Da La Belligeranza del Tramonto , LietoColle, Faloppio (CO) 2006

14 commenti:

Anonimo ha detto...

Anche se un po’ kitsch questa è la verità del parlato criptico. Un po’ di Grecia antica, di Quirinale e Viminale, un po’ di Dio e sue parabole, un po’ di lingua sporca e inventata e il gioco è fatto. È un trucco abbastanza in voga. L’autore vorrà dirci che la storia è sempre la stessa? Anche i padri più antichi sono una ciurma di malfattori travestiti da angeli zoppi. La storia si ripete con l’avvicendarsi degli stessi bastardi sporcaccioni, furboni, criminali, giocatori, copulanti, debitori, sguatteri, etc. Rita Simonitto con questi testi ha pane per il suo cinema. In poche righe c’è una infinità di scenette. Un commento dell’autore. Grazie. g.b.

Anonimo ha detto...

Oracolare e grottesco. Un calderone barocco e atemporale, in cui sono messi in scena zoppi, triremi romane, lenoni e pornostar, anche un po' borgesiano. Il narratore sembra saperla lunga: deve avere "visto cose che voi umani non potreste immaginarvi..."
Mi sembra un altro tono rispetto alla precedente poesia postata su questo blog, estratta però dalla medesima raccolta.
Non so bene come mettere insieme le due cose (non avendo potuto leggere tutta l'opera) ma questa versione mi intriga di più...
Grazie e ciao
Flavio

Anonimo ha detto...

Solo alcune suggestioni, a caldo, e relative solamente ai due testi qui proposti:

che l'ambientazione storica non debba trarre in inganno è palese, com'è palese (ma s'è già detto) che il sonoro è cinematografico, tanto che pare d'essere in un cinema all'aperto.
Mi sorprende l'uso dell'aneddoto, così frequente nella poesia contemporanea d'oltre oceano. Solo che qui è in chiave europea, e uno penserebbe che la differenza culturale tra i due continenti dovrebbe risiedere principalmente nelle diverse capacità espressive, estroverse quelle d'oltre oceano e introverse quelle europee. Invece no, per Linguaglossa le differenze, ammesso che ci abbia mai pensato perché in effetti mi par di dire una stranezza, le differenze e le profondità sono tutte naturalmente storiche (da qui l'uso del verbo passato). Va da se' che a Hollyvood sarebbero d'accordo.
Magari Linguaglossa, se lo vorrà, spiegherà per filo e per segno ogni accadimento, ma non mi sembra poi così importante, siamo abituati a credere che le poesie si sappiano bastare.
L'aneddoto di "giocavamo a scacchi con i meteci" mi arriva chiaro nei suoi significati e volendo lo si potrebbe ambientare anche in altre epoche. Però non si tratta di metafora, è visionarietà… e in qualche modo anche divertimento ( seppure incazzoso).
Non è metaforico l'ambiente zoppicante, è reale e contaggioso.

Occorre distinguere la fantasia dal linguaggio inconscio, dai sogni. La prima può essere pilotata, l'altro normalmente no. E in poesia molto arriva dall'inconscio ( di solito subito ricondotto all'ordine), mentre… ma no, non è fantasia e non è metafora. Uno strano surrealismo…. storico.

Lo stesso dicasi per Flamurt. Con in più un marcato accento di denuncia sociale.

Pare che l'autore ( ma poi scriverò anche delle poesie di Dante Maffia, se mi riesce, perché trovo che abbiano parecchio in comune) scelga volutamente di scendere ad un linguaggio povero, di strada. Naturalmente lo fa come può, da persona colta qual'è, ma per scendere in strada la poesia a cui siamo affezionati può anche essere d'impiccio. Quindi mi pare che l'autore stia parecchio attento a che non gli scappi un verso di poesia bastevole in se', perché in se' non basta più.

mayoor

Anonimo ha detto...

contagioso :(
m.

Anonimo ha detto...

leggo con stupore questa poesia, non sono in grado di giudicarla,la comprensione mi riesce molto difficile ma mi chiedo: cosa mi spinge continuamente al leggerla? Emilia Banfi

giorgio linguaglossa ha detto...

... purtroppo Linguaglossa parla un'altra lingua poetica, lui abbassa e di tanto il linguaggio poetico, e lo alza di così tanto che l'scillazione tra le due estremità è davvero grande, e poi capovolge e mischia i generi: la preghiera qui diventa una esortazione (e un esorcismo) infingarda e atroce, quel "malediciamo il nome di Dio" è più di quanto una preghiera possa dire e più, molto di più di quanto una bestemmia possa dire. È qui il linguaggio postribolare che va insieme al raffinatissimo linguaggio dell'intellettuale che ha visto gli obbrobri del Novecento. Il suo marxismo è diventato un sano satanismo: meglio stare dalla parte dell'intellettuale che gioca a morra con gli iloti e a dadi con i meteci? È la situazione di viltà del poeta che è costretto a coabitare con una razza inferma e infetta a cui sta spuntando la gobba sulle spalle e non se ne accorge?... mentre tutti gli avventori stanno al bar non si accorgono che gli sta spuntando la gobba?... È questa forse la peggiore bestemmia per questi uomini privi ormai di speranza (loro, gli ultimi che hanno coltivato l'utopia e che adesso si ritrovano nelle acque immobili della società liquida e stantia) e che se la spassano tra pornostar e donnine del varietà con compagnie sordide e faziose... anche gli angeli sono stati contagiati da questa epidemia: ora anche a loro sta spuntando la gobba. È una atmosfera infernale quella che Linguaglossa annuncia nel mentre che la denuncia, una condizione di mera normalità, protocollare e burocretica e di normale squallore... è questa l'epoca dei cavalli vincenti, dei Flamurt, degli schiavi della trireme romana che sono diventati i consiglieri del Proconsole mediante menzogne e raggiri e buffonate.
Qui credo che la lezione del surrealismo è stata digerita ma, anche ribaltata, non più discorso dell'inconscio (troppo compromesso dopo Lacan con la questione del linguaggio simbolico e dell'immaginario); ormai la questione è andata ben oltre... e qui si fa strada di aprire il discorso poetico italiano alla lezione europea... con l'utilizzazione della parabola, dell'allegoria, del traslato del mixage dei generi. con il rovesciamento dei generi...
mentre il linguaggio poetico italiano sta impegnato a distinguere le pagliuzze delle paroline dei minimalisti romani e milanesi.
Beh, trovo che la cosa sia singolare, non ci potrà mai essere isomorfismo e comunicazione tra costoro e Linguaglossa. Non credete?

Laura Canciani

Anonimo ha detto...

T.S. Eliot- Giorgio Linguaglossa
Mentre leggevo Flamurt mi sono ricordato degli ultimi versi de "La Terra Desolata" il poema che avevo cercato di decifrare poco tempo fa.
"Riuscirò almeno a mettere ordine nelle mie terre?
"London Bridge is falling down, falling down....."(1)
Cosi Eliot declama.
Sono consapevole che trarre un parallelo tra due poeti, Eliot e Lingualossa, è impresa difficile, leggendo però Flamur, schiavo della trireme romana, mi si è affacciata nella mente la figura di Phlebas, il fenicio. Si può dire che pur nella diversità dei personaggi siamo di fronte a due immagini che hanno fascino da vendere grazie al ritratto che ne fanno rispettivamente Eliot e Linguaglossa. So di avventurarmi in un terreno forse sterile ma una forza mi spinge a cercare tra le macerie, nella carne spappolata, nelle ossa, nei resti di silicone, nei sordidi lacchè viventi, in questi reperti umani redivivi che paradossalmente trasmettono grande forza. I due personaggi diventano più che mai presenti, riprendono vita e spiazzano il lettore abituato solo a fruire di immagini artefatte dalle macchine mediatiche. Phlebas, sebbene morto, riprende vita nel verso di Eliot e trova assetto nell'immaginario del lettore: la sua morte drammatica assume diversi significati che vanno da una necessità di rigenerarsi fino alla catastrofe senza ritorno. Flamur, del quale affiorano i lati biechi, schiavo "in carriera" abitante una suite di lusso, sprizza fascino e fa nascere desiderio di emulazione grazie alle allitterazioni alle onomatopee e alle richieste ilari sarcastiche provocatorie di Linguaglossa. Certo non conosciamo ancora la conclusione , la via d'uscita o forse la salvezza. Si possono fare previsioni e le premesse non deludono......
(1) Eliot inserisce la strofa di una canzone popolare inglese per bambini.

Anonimo ha detto...

Forse condizionato da atti di banditismo ho dimenticato di apporre il mio nome al post appena inviato "T.S.Eliot-Linguaglossa". Ciao Enzo Giarmoleo

Anonimo ha detto...

A Laura Canciani

Credere non basta. Ci devono pur essere ragioni ben precise se poeti validi non vengono apprezzati come meriterebbero, vedi com'è stato per Calogero e per certi ambiti anche la Merini (per citarne solo alcuni tra i recenti).
Questo inferno si può evitare cambiando mentalità e procedure, ad esempio:
1 - perforando e precedendo le opinioni avverse mettendo in campo una critica appropriata.
2 - rivolgendosi ad un pubblico eterogeneo, meno esigente, meno diffidente e meno arroccato su posizioni acquisite di privilegio.
3 - Cambiando le regole delle procedure artistiche per quanto attiene alla creatività. Ad esempio mettendo il proprio talento al servizio di un progetto, di un'idea.
Quest'ultimo aspetto sarebbe da intendersi come attinente alle recenti pratiche dell'arte Concettuale.

Il poeta non si limiterebbe quindi al ciò-che-viene, seppure e per quanto possibile in funzione di un principio di unità stilistica, ma guarderebbe alla complessità del progetto.
Ne deriverebbe un fare poetico assai selettivo e per certi versi in controtendenza rispetto ai Molti che si dilettano di poesia. Dietro tutto ciò potrebbe anche esserci una volontà restaurativa e conservatrice volta a ridefinire e incoraggiare, ma nei fatti, un diverso pubblico della poesia. Più colto e meno improvvisato. Vero però, come lei dice, che l'oscillazione del linguaggio è tale da poter coinvolgere potenzialmente l'eterogeneità di un'intera area culturale. Ma questo è ancor tutto da dimostrare.
Di fatto, e per ora, osservo che la misura dei versi asseconda il parlato e il senso di ciò che viene scritto. Chiama le cose col loro nome vero, e sta attento a non fare voli che non si possano argomentare.
Mi sembra sia poesia figlia della ragione (concettuale, per chi amasse ancora aver cassetti per classificare) alla quale estro ed emozioni vanno subordinate, senza per questo venir meno.

mayoor

giorgio linguaglossa ha detto...

@ Enzo Giarmoleo

beh, davanti a un gigante come Eliot il mio nome (e la mia poesia) è più piccolo di una formica. Grazie comunque per le Vs considerazioni, molto utili, che mi danno il polso della situazione. È molto utile anche scorrere i commenti alle 5 poesie di Dante Maffìa pubblicate; anche Maffìa è un autore di statura non indifferente che le Istituzioni poetiche hanno fatto di tutto per farlo retrocedere nell'invisibilità.
Ecco, io è da molto tempo che mi sono reso conto che la mia peosia andava in una direzione molto divergente da quella oggi prevalente (ovverossia il minimalismo romano-milanese con le sue propaggini nell'esistenzialismo milanese), ed è da almeno due decenni che ho capito che tra la mia poesia e quella di moda (dei Magrelli e degli Zeichen per intenderci) qui a Roma non c'era nulla ma proprio nulla in comune e che siamo su pianeti di distinti sistemi solari. Il fatto è che siamo diversi nel DNA; solo che mentre Loro sono incapaci di fare una lettura della poesia del contemporaneo (sono scrittori da vetrina e da rotocalco mediatico) io sono un critico militante perché non potrei non esserlo, perché l'unico modo di far emergere la poesia verametne significativa di questi ultimi decenni è soltanto quello che sto perseguendo, cioè la critica radicale delle poetiche dei minimalisti nostrani.
Ma io non mi rammarico di ciò, perché riconosco che dare in lettura a un, mettiamo Zeichen o Magrelli, una o più mie poesie è come dare in pasto a un cannibale un farcito di paté de foies, loro non hanno gli strumenti culturali che gli possano consentire di uscire dall'asfittico sguardo del minimalismo e del cronachismo. Non è colpa loro. È una loro insufficienza costitutiva.
Racconto un aneddoto. Quando inviai "La Belligeranza del Tramonto" a Mondadori per una (eventuale) pubblicazione, ricevetti una lettera di risposta di Riccardi, molto gentile, di cortese rifiuto con le parole di circostanza che si usano in questi casi ma tra le righe Riccardi parlava di "volontarismo" della mia poesia. Ora, l'appunto lo ritengo significativo di una incapacità di Riccardi a leggere una poesia così sideralmetne diversa da quella che si costruisce nelle officine e negli opifici minimalisti di Roma e di Milano.
Il fatto è questo, credo, che né Riccardi né Cucchi né Magrelli... e così via hanno oggi gli strumenti culturali per comprendere il "nuovo" della poesia contemporanea. Quello che loro hanno ce l'hanno in quanto ereditato da una situazione ereditaria ben nota, e perché mai dovrebbero avallare una poesia così in contro tendenza come, mettiamo, la mia? E quella di altri poeti non-allineati?
Avrebbero tutto da rimetterci, non vi pare?
E così, c'è il pericolo che la migliore poesia italiana contemporanea (almeno quella più diversa) passi del tutto inosservata e invisibile...
E questo però lo ritengo un danno incalcolabile.

Giorgio Linguaglossa

Anonimo ha detto...

Si consoli signor Linguaglossa, lei è in buona compagnia. Io che ho bazzicato in ambiti marginali dove chi iniziasse a leggere una poesia in pubblico, una di quelle poesie ben scritte che magari avrebbero le credenziali per essere accolte senza disturbare nel minimalismo imperante di cui lei parla, beh, se ne accorgerebbe da se' fin dalle prime battute che nessuno sta ascoltando e che lo lasceranno finire ma solo per gentilezza. Quando poi un poeta che sia riuscito a restare in piedi davanti al gentile pubblico di un locale, si proponesse all'ascolto di gente più preparata gli può andare anche peggio, perché nella migliore delle ipotesi l'accoglierebbe l'indifferenza. Poco male, ma sempre male è.
Esiste quindi una zona intermedia dove viene a mancare il referente e si rischia l'isolamento forzato. Nulla di nuovo a ben vedere. Spiace per le sue poesie, che non siano state accolte dalla Mondadori, l'obiezione che le è stata rivolta mi sembra insufficiente, contengono linfa per riflettere ed essendo per molti versi innovative potrebbero incoraggiare anche chi volesse avventurarsi verso nuove strade da percorrere.

mayoor

Anonimo ha detto...

a giorgio linguaglossa
perchè la lettera di riccardi non la fa leggere anche a noi?sono curiosa di leggere le righe sul " volontarismo "della sua poesia.
elena monferrato

Anonimo ha detto...

Quando mancano pochi anni alla fine della propria vita, si fa l'impossibile, pur di rimanere nella memoria di quei tre o quattro, che ci seguono, e che ci ricorderanno...(stavo pensando a Linguaglossa...) Ma , a ben vedere, non è certa e non è contata, tale memoria. Pertanto, perché sbattersi tanto, Giorgio? Non faresti meglio a darti alla pesca con cannuccia?

Stefano

Anonimo ha detto...

Io non ho detto nulla di malevolo....ho solo tradotto in parole povere il senso del titolo delle poesie di Linguaglossa, "Belligeranza del tramonto." Ciò!!!