venerdì 17 febbraio 2012

Donato Salzarulo
Il gatto di Fortini


Caro Ennio, ho trovato il tempo, oggi pomeriggio, di dare un’occhiata al blog dei Moltinpoesia e ho letto…Incredibile! Ho pensato che il modo migliore di rispondere a certe sciocchezze sia quello di cominciare a pubblicare il materiale dormiente nei file. Ho scritto “Il gatto di Fortini” nel novembre 1997. Servì da base alla conferenza tenuta nello stesso periodo al Centro “Guido Dorso” di Avellino. Insieme a me c’era Graziella Spampinato. Lei parlò di Zanzotto. Confrontammo i due poeti…A distanza di quasi 15 anni, ritengo, senza falsa modestia, che il pezzo regga ottimamente e dica ancora molto al sottoscritto e a tutti noi. Penso che vada molto bene per avviare, dopo l’appello, scioccamente contestato, il “cantiere” su Fortini. Puoi pubblicarlo sia sul blog dei Moltinpoesia che di Poliscritture Ciao Donato 

 Del tuo timido gatto...

Del tuo timido gatto
che scendeva la scala
dell'orto la mattina
con la sua ombra fina
lungo le terrecotte

cosa è rimasto? Nulla
fuor che l'impronta impressa
dalle sue zampe nella
gettata di cemento
dove annusava incerto

fra le tue grida: "Via,
via di lì, stupidino!"
Era luglio, era aperto
il cielo. Pensai: "Certo
rimarrà sempre un segno".

Ora il cemento è pietra
alle piogge d'ottobre.
Ostinate lo coprono
le foglie senza forma.
Toglile e potrai leggere

l'orma di quegli unghioli.


Il testo presentato è tratto da «Paesaggio con serpente»(Einaudi, 1984).
Siamo di fronte a una poesia semplice, piana; ad un componimento che può esser proposto senza incontrare difficoltà anche a ragazzi di scuola media.
La prima impressione è di trovarsi innanzi a qualcosa di familiare, di già ascoltato; ad una trama di parole, frasi, pensieri non nuova, un modo di tradurre in forma le proprie visioni-emozioni che si direbbe 'classico': ventuno versi regolari, tutti settenari, distribuiti in quattro strofe di cinque versi ciascuna, eccetto l'ultimo, solitario, in chiusura. Insomma, un bel gusto dell'ordine, almeno grafico; un'esigenza di costruire e far 'colare' il pensiero poetico entro precise formelle.
Scrutandole, però, più da vicino, si può notare che, uguali per numero di versi e metro, le strofe sono poi tra loro molto dissimili per presenza o meno di rime all'interno, sagomatura dei periodi, corrispondenza fra pausa strofica e unità di significato, ecc.
Così, ad esempio, la prima e la terza strofa hanno i versi 3-4 in rima baciata: mattina-fina, aperto-certo; la seconda, delle quasi rime e un'allitterazione: nulla-nella, cemento-incerto, impronta-impressa; la quarta è compattata musicalmente dalle allitterazioni FOglie-FOrma, pioGGE-leGGEre, fOGLIe-tOGLIle, queGLI e dalle diverse assonanze in O oppure in O-E: piOggE-fOgliE, OttObrE-cOprOnO. Forma rima con l'orma dell'ultimo verso. Cemento è parola ripetuta come il Via-via dei versi 11-12, dando per altro luogo a sineresi nel secondo via.
Suoni prevalentemente dentali e allitterazioni, già presenti in modo significativo nei versi della prima strofa, si prolungano per tutto il componimento: gaTTo, maTTina, TerrecoTTe, rimasTo, impronTa, geTTaTa, cemenTo, incerTo, sTupidino, aperTo, cerTo, pieTra, oTTobre, osTinaTe, Toglile, poTrai.
Settenari per lo più anapestici e giambici costruiscono un movimento ritmico che non ha nulla di monotono. Anzi, si accompagna la gettata sintattica del pensiero e, come succede nella prima strofa, è reso quasi visibile l'incedere dell'animale:

del tuo tìmido gàtto
che scendèva la scàla
dell'òrto là mattìna
con là sua òmbra fìna
lùngo lè terrecòtte

L'impressione d'insieme è quella di un tessuto musicale sapiente, di un'orchestrazione tonale tutt'altro che monocorde: su una invariabilità della lunghezza versale si organizza un'armonica e studiata variazione del ritmo e della figuralità sonora.
Se da questa sommaria ricognizione dell'organizzazione dei significanti si passa alla conformazione sintattica, si può agevolmente rilevare il periodare abbastanza complesso delle due strofe iniziali (oltre alla interrogativa principale, si registrano delle proposizioni subordinate: una relativa, una limitativa ed una locativa) a fronte di una costruzione  più semplice della terza e quarta strofa. Dall'ipotassi alla paratassi. Pure a questo livello, dunque, variazione.
L'impostazione dei periodi è, inoltre, tale da dar luogo a frequenti spezzature fra pause metriche e pause sintattiche. Si segnalano per la loro particolare intensità gli enjambement dei versi 8-9 e 13-14 (nella/gettata...era aperto/il cielo)
Anche le pause strofiche non coincidono con le unità di significato. La sola volta in cui accade, al termine della terza strofa, il fatto assume un significato rilevante. Subito dopo si produce, infatti, una vera e propria frattura nell'intero componimento: da un lato la vicenda passata e il pensiero del futuro, dall'altro il presente. Il cambio di scena e di stagione (da un'estate all'autunno) è indicato in diversi modi: avverbio (ora), variazione dei tempi verbali (imperfetto-passato remoto/presente), sostantivi (luglio/ottobre).
Queste veloci annotazioni consentono una prima conclusione: Fortini ordina il suo pensiero poetico in strofe; tuttavia, rispetto a quello forte della tradizione, il suo è un isostrofismo debole (P.V.Mengaldo, 1991); un modo, cioé, di raggruppare versi senza dare compattezza alle strofe.
Per rendersene conto, basterebbe un confronto con le prime due strofe pentastiche dei seguenti settenari tratti da «Myricae»:

Sogno d'un dì d'estate.

Quanto scampanellare
tremulo di cicale!
Stridule pel filare
moveva il maestrale
le foglie accartocciate.

Scendea tra gli olmi il sole
in fascie polverose;
erano in ciel due sole
nuvole, tenui, rose:
due bianche spennellate

in tutto il ciel turchino.

Dei tre fattori caratteristici della metrica classica (isostrofismo 'forte', simmetria versale e regolarità delle rime), evidenti nel testo pascoliano, nella poesia di Fortini residuano solamente, come indicatori di un rapporto con la tradizione, la regolarità versale dei settenari e la forma strofica debole. E' un fatto che succede spesso.
Poeta «essenzialmente metrico» (G.Raboni, 1986), costruttivista, egli non si lascia andare alle illusioni 'moderne' e, in special modo, avanguardistiche del nuovo. Non rinnega la tradizione, ma neppure l'accetta nella sua interezza. Piuttosto la rifà, la riusa, la traduce, ingaggiando un rapporto di variazione, sottrazione, modificazione con le forme ereditate dalla classicità.
Le impronte, i segni lasciati nel cemento fattosi pietra della storia vanno letti, interpretati, poetati. La forma è il contenuto. Questa poesia nelle sue modalità, nel suo essere come, è di per sé uno scontro in atto con le foglie ostinate che ricoprono gli unghioli dei classici trapassati. Fortini non dice solo, fa quello che dice. Ma cosa dice?
Non è difficile capirlo. La poesia del gatto non oppone resistenza alla parafrasi. Il suo linguaggio non è 'oscuro', non presenta tassi 'insostenibili' di metaforicità, come capita in certa poesia ermetica e/o simbolista.
La scena è semplice. E' quella di un colloquio fra un Io ed un Tu. L'Io vuole sapere dal Tu, con una di quelle classiche domande retoriche che, di solito, i maestri rivolgono agli allievi, che cosa è rimasto del tuo gatto? La risposta, già nota all'interrogante, è una sola parola, breve e tremenda: nulla.
Nessuna illusione. Dopo la morte, per il gatto, come per ogni altro animale vivente (uomini e donne compresi), c'è solo l'abisso del Nulla. Ma, per fortuna, il nucleo principale della domanda e la drammatica risposta, fondamentali per la vita di ognuno, vengono dopo cinque versi e prima di altri quindici. Si fa in tempo a diventare personaggio (sia pure timido, fino e incerto), a compiere azioni, più o meno abituali, in un luogo familiare (scendere la scala dell'orto, lungo le terrecotte). Si riesce ad avere una storia rivelatrice di una puerile, forse ineliminabile, nostra stupidità piuttosto che di una matura e sicura intelligenza: finire con le zampe in una colata fresca di cemento e star lì dubbioso ad annusare, tra le grida protettive di quel Tu al quale si appartiene; grida tradotte in un'esclamazione, tanto affettuosa quanto materna, con la quale si vorrebbe tenere lontano l'animale dalla situazione in cui scioccamente si è messo.
Non lo sanno, ma lo fanno. Perché le persone dovrebbero essere migliori di un gatto? Il fatto storico, l'episodio che consentirà al grazioso felino di imprimere la sua incancellabile orma sul cemento si realizza in una condizione di annaspamento e incertezza, con la sensibilità ridotta al fiuto. Gli uomini e le donne non posseggono il filo della propria storia. L'esplorazione, l'avventura, la voglia di tradursi in forma ha forse a che vedere con un bisogno fondamentale degli esseri umani.
L'Io che, insieme al Tu, ha assistito alla vicenda del gatto; l'Io poetico che mette in versi questo episodio, nell'occasione, giudicò con certezza che dell'animale, una volta morto, non sarebbe rimasto nulla se non il segno lasciato in luglio, col cielo sgombro di nuvole.
Ora che la storia, come il cemento, si è pietrificata in un passato, ora che il tempo è divenuto altro, che la stagione è mutata nell'autunno presente, nell'ottobre piovoso con le innumerevoli foglie informi, cadute ostinatamente proprio nel luogo dove il gatto aveva compiuto la sua inconsapevole impresa, ora è possibile verificare la fondatezza del pensiero-profezia dell'Io.
La verifica s'impone come dovere morale del Tu, come frutto di un imperativo. Essa richiede il compimento preliminare di alcuni gesti: togliere le foglie nel frattempo accumulatesi e rendere nuovamente visibile la gettata di cemento, mettendosi nella condizione di poter leggere.
E' necessario non lasciarsi sfuggire l'importanza di questo verbo: esso presuppone una pratica cognitiva, un riconoscimento di segni, un'azione di comprensione, un lavoro d'interpretazione da compiere nel presente.

Quale il messaggio di quest'orma fortiniana? Il sentiero è spianato. In ordine, questa poesia dice:
a) Qualcosa sul suo modo di essere poesia; sul modo di lasciare tracce, segni sulla carta da parte di Fortini; in breve: comunica un'idea e una pratica poetica. Alcune cose, riguardanti la lingua, sono state già dette, altre le diremo, più avanti.
b) Qualcosa sul destino ultraterreno di un individuo vivente e morente, sul tempo ciclico della natura, sul trascorrere delle stagioni, dei cieli, delle nascite e morti. Una volta, questi pensieri si sarebbero chiamati concezioni del mondo. Oggi si ha paura di averne una.
La poesia dice qualcosa anche sul tempo storico di un individuo. E' un lampo. Si scompare da una stagione all'altra. Però, la storia di ognuno, per quanto breve, si può raccontare. Può farlo il protagonista o, come capita a questo gatto, un poeta generoso. L'importante è non lasciarsi sfuggire la possibilità. Sulle differenze fra tempo ciclico e tempo storico e su questo bisogno essenziale di formalizzazione, cui si è già accennato, ritorneremo.
c) La poesia suggerisce, inoltre, qualcosa sulle modalità di realizzazione dei cosiddetti fatti storici, di quegli episodi, cioé, che lasciano tracce. Essi capitano come capitano: per caso, per inavvertenza, per stupidità; non certo, comunque, nelle condizioni migliori d'intelligenza e consapevolezza del protagonista. Uomini e donne sono ancora gattini ciechi. Più che alla storia siamo alla preistoria, come sosteneva un vecchio (da qualche decennio diventato innominabile).
La breve storia capitata ad un individuo non si svolge in un laboratorio protetto, al di fuori di un legame necessario ed inevitabile, sociale e culturale, con tutto ciò che accade ad altri individui sopravvissuti o nuovi venuti. Si vive tutti, qualunque sia la propria condizione e capacità di rappresentazione, all'interno di questo tessuto figurale, simbolico: morti, vivi e venturi; trapassati, presenti e futuri. Anzi, la Storia, quella con la maiuscola, è questa totalità di compresenze.
d) Il presente, il qui ed ora, è sempre un tempo carico di storie svolte e da svolgersi. E'un autunno che chiede ai sopravvissuti e ai nuovi nati di compiere il loro dovere morale, di rispondere all'imperativo della lettura, del disseppellimento e del riconoscimento dei segni lasciati dai morti e resi invisibili dal tempo ciclico della natura. Il presente è il tempo della verifica, dell'adempimento ai pensieri profetici del passato.
Più questo non avviene, più si abbandona il tempo della storia, più la comunità dei viventi, l'alleanza di passati-presenti-futuri regredisce all'eterno ritorno del trascorrere delle stagioni e del variare dei cieli.

2. Riprendiamo i punti, nell'ordine in cui sono stati enucleati. Fortini, quale idea pratica della poesia? Si è già detto qualcosa del suo classicismo. Proviamo ora a fare un passo avanti.
L'episodio di un gatto che finisce in una gettata di cemento, lasciandovi un'impronta è avvenimento che può capitare a tutti. Fortini decide di trarne dei versi. Non è il primo a farlo. Anche Baudelaire, ad esempio, poetò, a più riprese, su questo animale.
In un componimento vide nel felino la sua donna, il suo sguardo profondo e freddo; in un altro lo sentì passeggiare nel cervello. Avvertì il suo tono tenero e discreto, la sua voce ricca, lenta ed armoniosa. Era quella di un angelo. Misterioso, serafico, bizzarro, il gatto di Baudelaire è un genio familiare, una fata, un dio. E' la sua stessa poesia.
Non si evocano i testi del grande poeta francese per instaurare confronti puntuali ed approfonditi con il nostro poeta. E' solo una suggestione, un ricordo di altre letture, il suggerimento di una pista che si potrebbe seguire.
Il gatto di Fortini è timido, incerto, stupidino. Con lui il poeta non instaura corrispondenze, analogie. Nei suoi occhi non vede misteri. Il suo incedere è grazioso, fine; ma non è quello di un angelo, di una fata o di un dio. Non c'è poesia o voce segreta che si sprigiona dal suo miagolìo. Anzi, decide proprio di non seguirlo e rappresentarlo in questo suo atto. Probabilmente ritiene che nella sua immediatezza, in sé e per sé, il verso di un gatto non significhi molto. L'immediato chiede di essere mediato, l'emozione, la traccia, l'impronta degli unghiòli presuppongono il riconoscimento, la comprensione, l'atto di lettura. Un gesto più o meno piacevole; sempre, però, carico di storia. Linguaggio, metrica, figuralità, gli strumenti e le modalità attraverso cui uomini e donne si esprimono, anch'essi sono, inevitabilmente, storici. Esterno ed interno, esteriorità ed interiorità sono poli di un rapporto, elementi stretti di una relazione da pensare insieme, come fenomeno e parte d'una totalità storico-sociale.
Questo Fortini lo sa. Perciò il suo gatto non ha in sé la verità, che si ridurrebbe al nulla della sua morte. Ne ha solamente una parte, quella rappresentata dall'episodio dell'impronta, dal racconto di una traccia che lo consegna alla storia passata-presente-futura, ad una verità che è fuori dal suo sé.
A differenza del gatto orfico e simbolico di Baudelaire, quello fortiniano è allegorico. Nella sua timidezza ed incertezza è parabola, esempio morale di una verità che gli esseri viventi posseggono in parte, ancora come sogno ed ombra: il loro riconoscimento reciproco, la sopravvivenza della vita del singolo nel ricordo della comunità sociale, l'unità del genere umano, ecc. Il gatto baudelairiano, invece, col suo mistero e la sua bizzarria, è rivelazione in atto di un dio imperscrutabile.
Non è solo in questa occasione che Fortini si vuole e si dimostra poeta allegorico, discorsivo, contrario ad una pratica ermetica, simbolista e post-simbolista della poesia. E' da sempre una caratteristica delle sue scritture.
«Il mistero dell'economia politica, di cui già Marx aveva discorso, è oggi...il mistero stesso della nostra vita, l''essenza' che giace sotto al 'fenomeno'». Questo è quanto sostiene Fortini in «Astuti come colombe», un saggio del 1962, pubblicato in «Verifica dei poteri».
Il rifiuto della "vita apparente" delle società capitalistiche lo porta ad escludere, come ha scritto Guido Mazzoni, «in modo rigoroso alcune delle principali linee della poesia contemporanea:
-la lirica (e in generale la letteratura) che tenta una mimesi diretta dell'alienazione capitalistica, descrivendola così come essa appare nella vita quotidiana, o imitandone il caos attraverso il plurilinguismo e il pluristilismo [...].
-la lirica come voce immediata dell'interiorità e dell'Erlebnis singolare, nelle forme neoromantica, espressionista o surrealista. Le critiche che Fortini rivolge a Pasolini e al movimento di Breton hanno questa origine.
-l'idea della poesia come lingua segreta delle cose, 'explication orphique de la Terre'. Il rifiuto del simbolismo è una costante della poetica fortiniana, dagli anni Trenta fino agli anni Ottanta, dalla polemica contro l'ermetismo a quella contro le nuove teosofie.» (pag.26-27, 1996).
Numerose citazioni dall'opera poetica e saggistica potrebbero dimostrare le tesi qui sostenute. Limitiamoci a riportarne due. La prima è tratta da «L'ospite ingrato» (Marietti, 1985). Sono versi notissimi, indirizzati proprio a Pasolini. Si possono ritenere una specie di «epigrafe araldica o stemma» (R. Pagnanelli, pag. 6, 1988) della poetica fortiniana:

Non imiterò che me stesso, Pasolini.
Più morta di un inno sacro
la sublime lingua borghese è la mia lingua.
Non conoscerò che me stesso
ma tutti in me stesso. La mia prigione
vede più della tua libertà.

La seconda, più recente, s'intitola «Da un'arte poetica». Di squisito sapore oraziano, la si può leggere nella raccolta di «Poesie inedite» (Einaudi, 1995 e 1997), pubblicate, dopo la morte del poeta, a cura di Pier Vincenzo Mengaldo:

I.

...farai bene a evitare che troppo sia breve
la tua poesia; non fidarti che un giorno
i piccoli scatti di umore, i veloci epigrammi
se letti in fila un universo aprano.
Chiunque fa trenta versi; ma cento o duecento
non li farai con accorte giunture. Ci vuole
sprezzo e coraggio; e molta debolezza.
Bisogna saper cominciare, durare e finire.
Non puoi confidare nell'istinto. Ci vuole chiarezza,
un piano, un disegno. Così Pasolini, se riesce.
E invece un Bertolucci divaga e il suo zirlo
è quello gentile del grillo, lo ascolti ma poi ti distrai.
Dagli atonali poi, guardati! Un tritacarne
è utile, bello perfino; per pochi minuti però.
Non sanno che sempre fu rotto, che sempre
fu inafferrabile il mondo; che il primo dolore
è dall'inestinguibile incoerenza
degli oggetti, dei volti e delle parole; ma sempre
chi poetò vinse quel primo disordine, salvo
un altro, più fondo, scrutare e anche quello
vincere e ancora un altro, precipitando
verso più inflessibile ordine, organizzando
sempre più indicibile caos, che è al primo com'è
Milano dal Duomo alla terra che ha scorto Gagàrin...

E' un testo che richiederebbe un lungo commento. La poetica 'classicista' di Fortini è ribadita con sufficiente chiarezza. Non si tratta, naturalmente, di negare l'umore o l'istinto. Il nostro poeta è noto per aver scritto, proprio ne «L'ospite ingrato», epigrammi memorabili, confezionati con accorte giunture. E' che non bastano da soli a dischiudere un universo. Necessitano altre 'virtù': quelle di chi non teme il pericolo, di chi non ha paura di mostrare il proprio disdegno e disgusto; se necessario, il proprio odio e la propria ira. Ci vuole ardimento, forza d'animo, voglia d'osare ma anche capacità di sopportare. La poesia necessita pure di molta debolezza, qualità e condizione esattamente opposte a quelle indicate prima. Gli esseri umani sono attraversati dalla contraddizione, sono scissi in opposti, rotti, lacerati dalle antinomie. Con un po' di sagacia, articolando e congiungendo attentamente parole ed umori, chiunque può scrivere trenta versi, ma bisogna saper portare dentro e mostrare il primo dolore di questa contrapposizione e universale frattura degli esseri, dell'interminabile incoerenza/degli oggetti, dei volti e delle parole per scriverne cento o duecento. Hegel è indubbiamente uno degli autori di Fortini.
Sempre/chi poetò vinse quel primo disordine. Ossia, mise in atto un movimento di riconciliazione, mostrò un intento di superamento delle scissioni, aiutato in questo dalla volontà di chiarezza, dalla progettazione e realizzazione di un piano, dalla elaborazione di un disegno. La poesia è passione per la forma, sforzo d'ordine, desiderio di armonia, voglia di superare il dolore del disordine. Proposito tanto inevitabile, quanto illusorio, perché l'ordine momentaneamente raggiunto cela un disordine più profondo. Quando lo si scopre e lo si osserva attentamente, s'origina una nuova battaglia per l'ordine, e poi ancora disordine, finché, quasi arrendendosi a questo moto dialettico, verso l'ordine più inflessibile si precipita e il caos più indicibile si organizza. In questo caso, il doppio ossimoro, tipica figura retorica della poesia fortiniana, segnala con le sue antitesi la direzione finale di tutti i nostri conflitti: purtroppo, più inflessibile della morte non c'è nessun ordine e più indicibile del suo caos neppure.
Siamo tornati alla domanda sul Gatto.
La sua poesia è quella di una creatura attraversata da contraddizioni.
Come si è detto all'inizio, ad un passo metrico sempre uguale si oppone un ritmo vario; l'ordine pentastico delle strofe è contraddetto dalla frequenza delle spezzature sintattiche; l'ipotassi delle prime due trova un contraltare nella paratassi delle altre due strofe; una fenditura profonda, un'antitesi si manifesta tra la situazione estiva, di movimento e di apertura del passato rispetto a quella bloccata del presente attuale di pietra, al cielo chiuso dell'autunno di piogge e all'ininterrotta caduta delle foglie informi.
La poesia del Gatto è dunque totalità, ordine in sé concluso; non privo, però, di 'disordine', di scissioni ed opposizioni.
Nessuna pacificata armonia, ma neppure il belligerante caos. Piuttosto una forma che difende ed illustra una possibile vita-forma; qualcosa piuttosto di analogo, di somigliante alla vita di ciascuno di noi: totalità uniche ed irripetibili, individui unitari eppure incoerenti, contraddittori, rotti, lacerati.
La poesia indica l'orizzonte tragico, l'abisso di nulla sperimentato e da sperimentare, e mostra contemporaneamente la 'redenzione' possibile: non la felicità del genere umano, ma la sua unità, la possibilità del reciproco riconoscimento. Una scommessa da realizzare nel tempo della storia, un imperativo di superiore civiltà e cultura, l'esigenza di un salto di qualità.
«La magica e vitale delusione della forma, il disinganno dei significati contraddittori, il mobile rinviarsi dei piani e dei segni-significati all'interno dei confini formali, tutto questo che la poesia è, quando sia inteso sospende la vita ad una forma effimera. Ulisse deve farsi legare all'albero, i rematori devono farsi impedire l'udito o mai raggiungeranno la meta. Ma per coloro che non hanno meta da raggiungere perché credono di averla già, quei medesimi canti vengono uditi come un brivido delizioso, un annuncio di morte che accresce il piacere di essere. Pagano le sirene perché cantino ai loro banchetti. C'è all'incontro un alto insegnamento che la poesia può dare alla classe della negazione e a coloro che la guidano: essa può introdurre il benefico sospetto che la lotta di classe combattuta per estinguere le classi conduca ad una più alta ed inestinguibile contraddizione: quella che si è già detta, fra l'illimitata capacità di gestire la vita e la sua illimitata infermità. Ed è qualcosa di eccezionalmente importante, di essenziale anzi, che può aiutare a liberare il movimento rivoluzionario dal suo ottimismo infantile, dal suo progressismo primario sempre risorgente. Forse la maggiore cosa che la poesia può insegnargli oggi è l'attitudine a valutare l'ampiezza del nulla che accompagna l'azione positiva». («Verifica dei poteri», pp.186-87).
Scrivere poesie, tradursi in forma, è volontà e desiderio di sfuggire alla routine quotidiana, alla noia dei giorni sempre uguali, all'alienazione di un tempo di lavoro imprigionato in una fabbrica o in un ufficio o di un tempo di vita caratterizzato da un uso esclusivamente pratico di sé e degli altri: curare figli o obbedire a genitori, studiare per strappare un diploma, 'sbattersi' per trovare un lavoro, ecc. L'utile, insomma.
Scrivere poesie è formalizzare l'intento di scoprirsi una 'seconda natura', restituirsi a se stessi, disalienarsi per autodeterminarsi, per 'salvarsi la vita'.
Ogni religione dell'arte, ogni estetismo trova in questo nocciolo il fondamento. Un'illusione, naturalmente. Come tutte le religioni. La poesia, ricorda Fortini, «sospende la vita ad una forma effimera». La 'formalizzazione' che si raggiunge sulla carta non coincide con quella della vita.
Un generoso poeta 'salva' l'orma di un gatto. Ma quale società è disposta a leggerla? Quale comunità a comprenderla e a riconoscerla? Come l'Ulisse d'ogni tempo, chi ritiene di avere una meta da raggiungere s'impedisce - deve impedirsi - l'ascolto e la visione del 'sogno di una cosa'; chi, invece, pensa d'averla già raggiunta invita le Sirene poetiche al banchetto e le paga perché il loro «annuncio di morte...accresce il piacere d'essere». Per il conservatore la poesia è ornamento e diletto, per l'inquieto esploratore ('rivoluzionario' è parola impronunciabile in questo paese da quando a incarnarla sono figure di magistrati o di volti leghisti) è pericolosa seduzione, pratica che distoglie dal vero compito.
«La luce metaforica d'una formalità integrale» che si sprigiona dall'opera d'arte e di poesia, il suo contenuto profetico, la sua organizzazione di «ambigua menzogna per dire una verità ambigua» non possono, dunque, ricevere accoglienza in questa società se non nei modi conservatori dell'industria culturale, restando bigiotteria della vita, assolvendo a una funzione di 'supplenza religiosa', surrogando con «magia e superstizione, forti come droghe, la sete di irrealtà e di vuoto senza la quale non c'è per i proprietari gusto di potere e di dominio».(«Verifica dei poteri», pag. 188).
Fortini era consapevole di tutto ciò. Per questo fra timidezze, incertezze, finezze represse accentuava il tratto graffiante, quello aggressivo degli unghioli.
Il riconoscimento, la comprensione, la 'lettura' di ciò che siamo come coaguli di forme, corpi svaniti o in via di svanire, possono risultare solo da una volontà politica determinata, sono frutto di un ordine storico e morale forte, disposto a non abbandonarsi al 'tempo ciclico' della natura, a non cedere all'ostinazione delle 'foglie senza forma'.
«La poesia - scrisse Fortini -  come i frammenti di ferro meteoritico che pur sempre ferro sono, e stanno sulla terra ma 'significano' una diversa origine, si manifesta come frazioni di 'tempo orientato'» («Verifica dei poteri», pag. 184)
Chi organizza quotidianamente la distruzione della storia-memoria per consegnarci un presente 'insensato' o un passato lobotomizzato, chi elegge a luogo di culto il supermercato (delle merci, delle idee, delle immagini, delle vite e delle morti) e propaganda come naturale ciò che, invece, è storico e sociale è in contraddizione stridente con l'ordine di valori cui la poesia necessariamente appartiene.
In quanto frazione di tempo orientato, facoltà che dà forma (e senso) alla vita o agli 'intervalli' sfuggiti al mare di quotidiana alienazione, la poesia 'significa' per un uomo e una donna 'ferro meteoritico', desiderio e sogno di un'altra origine, proposito e scelta di un destino diverso da quello di una pietra.
Anche quando si sostiene di voler essere «lasciati come una cosa posata / in un angolo e dimenticata», si scrivono poesie per non ridursi a cose tra cose. Tempo orientato, ossia, tempo ordinato a partire da una meta, tempo di qualità altro da quello vegetale di un albero che, proprio per questo, ha foglie 'prive di forma', o da quello sereno o pluviale di un cielo, registrato nei bollettini meteorologici.
Bisogna «restituire alla poesia la sua delimitata e perciò tragica dignità: quella che - per chi, ovviamente, presupponga un fine alla storia - ne fa il punto d'intersezione del tempo degli orologi e di quello storico (il religioso direbbe: dell'ordine profano e di quello sacro)». («Verifica dei poteri», pag. 184).
L'ordine profano è quello capitalistico, quello di una società che conosce e apprezza in modo esclusivo il 'tempo degli orologi' (il capitalismo è notoriamente 'economia di tempo'); l'ordine sacro è quello dell''avvento', della 'redenzione', del passaggio dalla preistoria alla storia.
Per Fortini è il comunismo, «un luogo di contraddizione più alto e visibile», una zona di frontiera mentale e sociale in cui si possa esprimere «l'illimitata capacità di gestire la vita», ma anche di gestirne «l'illimitata infermità».
Una società liberata dall'ottimismo infantile del Prodotto Interno Lordo (il famoso PIL) che non contempla e non calcola quanto dolore e sofferenza, quanta mancanza di dignità e sfruttamento d'umanità, quanto servilismo siano necessari alla sua produzione. Una società liberata dal «progressismo primario sempre risorgente», dal mito delle «magnifiche sorti e progressive» contro cui ci aveva messi in guardia già Leopardi.
Coloro che scrivendo poesie hanno imparato a coltivare la propria voce di libertà, a dare parole al proprio desiderio d'identità, di senso, d'uso non alienato del brevissimo tempo di vita concessoci, togliendo le foglie informi cadute e fatte cadere ostinatamente sulle pagine fortiniane, potranno leggervi il riconoscimento dei loro ineliminabili bisogni, comprenderanno che le loro espressioni sono prese sul serio ed apprezzate in ciò che hanno di più profondo. Dovranno, però, imparare da Fortini che la soddisfazione poetica dei bisogni equivale al "sogno di una cosa". Dopo Freud, ma anche prima di lui, nessuno riterrà irreale o nullo un sogno. D'altra parte come negare il pugno di mosche tra le mani evidente ad ogni risveglio? I bisogni di formalizzazione possono essere soddisfatti effettivamente solo nella realtà. Da qui la necessità di partecipare alla negazione dell'ordine profano.
Coloro che, invece, non scrivono poesie, fanno 'politica' e ritengono di appartenere alla "classe della negazione" dello "stato di cose presenti", classe resa e resasi dalle nostre parti pressocché invisibile, continuino pure ad «echeggiare le più coerenti formule della borghesia combattente del secolo XVIII ("meglio un paio di stivali che Shakespeare")» («Verifica dei poteri», pag. 180), facciano, però, tesoro del suggerimento di Fortini: leggendo opere d'arte e poesie, imparino a coltivare «l'attitudine a valutare l'ampiezza del nulla che accompagna l'azione positiva».
Il gatto di Fortini non ha, ovviamente, molto da dire a coloro che, ritenendo inesistente lo spazio fra parere ed essere, pensano che sotto le visibili foglie d'autunno non si conservi nessun'orma temporaneamente invisibile. Per costoro l'essere è assente, scomparso, inabissato in chissà quali stellari profondità. Per costoro è rimasto solo il parere o l'apparire. Società dello spettacolo e delle immagini, dei sondaggi di volatili opinioni e dell'Auditel. Anche se scrivono poesie, costoro sono consegnati alla droga della superficie, alla quotidiana sonnolenza d'un sociale disponibile ad inventarsi identità inesistenti, ad alleggerirsi come trucioli o piume, a vendersi per quattro soldi, a limitare la ricognizione d'un opera o di un luogo al turismo di massa o ai fazzoletti usa e getta degli articoli d'un giornale.
Che senso dare alla propria vita? Nessuno. E alla propria morte? Meno che meno. Insensibilità, indifferenza o al massimo 'allarme' per le altrui vite e altrui morti; rimozione, ansia ed angoscia per l'assurdità e l'insignificanza del proprio dileguante orizzonte.
Possano costoro incontrare un giorno l'orma del Gatto di Fortini.

Novembre 1997

BIBLIOGRAFIA

FRANCO FORTINI Paesaggio con serpente, Einaudi, Torino 1984
FRANCO FORTINI Verifica dei poteri, Garzanti, Milano 1974
FRANCO FORTINI L'ospite ingrato, Marietti, 1986
FRANCO FORTINI, a cura di P.V.Mengaldo, Poesie inedite, Einaudi, Torino 1995 e 1997
PIER VINCENZO MENGALDO La tradizione del Novecento. Terza serie, Einaudi, Torino 1991
PIER VINCENZO MENGALDO Un aspetto della metrica di Fortini, in «Allegoria» n° 21-22, anno VIII, nuova serie, 1996
GUIDO MAZZONI La legittimazione della poesia in «Allegoria» n° 21-22
REMO PAGNANELLI Fortini, Transeuropa, 1988
GIOVANNI RABONI, in Aa.Vv., Seminario in onore del prof. Franco Fortini, in Annali della facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Siena, vol. VII, Olschki, Firenze 1986

26 commenti:

Anonimo ha detto...

Un grazie sentito a Salzarulo per questo suo contributo. Sia per il materiale che gentilmente ha messo a disposizione e su cui c'è molto da riflettere e da argomentare - bisognerà farlo eventualmente per tranches, tanto è ricco - e sia per il tentativo di ricondurre la navigazione di Moltinpoesia fuori dalle secche insidiose della sterile polemica.
Rita S.

Anonimo ha detto...

Grazie Donato , come sempre le tue parole sono un unguento soprattutto in questo momento. Questo gatto e le sue orme che aprono un cammino dove Fortini passa , comprensibile, vero , chiaro senza perdere la sua incredibile forza. Che dirti grazie per la critica e la spiegazione dei versi, sempre utilissima...se ne facesse di più...grazie per avermi per l'ennesima volta anche commossa. C'è sempre nella tua scrittura una dose di allegria che a me piace tanto e tu sai che leggo soprattutto per piacere...Ennio non me ne voglia! Ciao Emy

Anonimo ha detto...

La poesia come libertà, che bella immagine. Navigavo in internet e ho scoperto queste pagine che mi hanno permesso di approfondire Fortini, un autore che ammiro da molto tempo a dire il vero. Ad essere proprio del tutto sincera seguo, ma sarebbe meglio dire inseguo, Salzarulo nei vari blog mi piace il suo stile leggero e profondo al tempo stesso, mi piace la sua vena di malinconia che di tanto in tanto, si avverte fra le righe. La sua scrittura è agile e scattante, l’analisi del testo è profonda e ti permette di entrare dentro i versi, andando a fondo per capire bene, si spalanca una porta piena di meraviglie. Ecco cosa vuol dire fare un’analisi poetica. Si possono imparare molte cose seguendo Salzarulo che come un gatto salta da un verso all’altro…
Ancora una volta grazie Donato, nel tuo nome è scritto il tuo stile, mentre scrivi ti doni al lettore con generosità.
Giulia

Anonimo ha detto...

Caro Donato, tu hai incontrato l'orma del gatto...La tua vita ha un senso meraviglioso, come la tua scrittura.
Grazie per queste pagine.
Angela

Anonimo ha detto...

Sto scrivendo la mia tesi: Fortini fra politica e poesia. Posso citarla? I diritti sono riservati?
Ottimo materiale. Grazie
Valentina

Anonimo ha detto...

Caro Donato,anche da me un grazie per averci proposto questa significativa poesia.L'analisi che ne hai fatto ,così ricca e stimolante ha suscitato in me,come penso in altri, la voglia di approfondire i temi proposti.
L'esposione poi così chiara e scorrevole è un grande dono.
Trova ancora il tempo per noi.
Maria Maddalena

Anonimo ha detto...

Molto carina la poesiola sul gatto di Fortini, ma incredibilmente il signor Salzaruolo ritiene che la sua poesiola sia il rimedio a tutti i mali del discorrere tra umani: forse sì, tuttavia non avendo postato una poesia di autore noto a tutti, ma una sua...direi quanta poca modestia in questa proposta di lettura contro quelle che offendendo chiama sciocchezze, e quanto sciocchezza (non me ne vorrà, visto che ha introdotto egli il termine) questa sua presunzione.

Stefano

Anonimo ha detto...

Errata: tuttavia non avendo postato (un saggio) su una poesia di autore noto a tutti, ma una sua lettura, direi quanta poca modestia in questa proposta di lettura contro quelle che offendendo chiama sciocchezze, e quanto sciocchezza (non me ne vorrà, visto che ha introdotto egli il termine) questa sua presunzione.

Stefano

Anonimo ha detto...

"L'impressione d'insieme è quella di un tessuto musicale sapiente, di un'orchestrazione tonale tutt'altro che monocorde"

(questo è il commento più generale e banale che possa mai essere fatto su una poesia qualsiasi. Non me ne voglia ancora il signore Salzarulo, ma questo scritto non dice nulla che non sia stato già mille volte detto ("Dopo Freud, ma anche prima di lui, nessuno riterrà irreale o nullo un sogno. ")e dice pochissimo sia su Fortini sia sulla poesiola al suo gatto.

Poi ri-citandolo, il commento alla poesiola di Fortini:
"Che senso dare alla propria vita? Nessuno. E alla propria morte? Meno che meno. Insensibilità, indifferenza o al massimo 'allarme' per le altrui vite e altrui morti; rimozione, ansia ed angoscia per l'assurdità e l'insignificanza del proprio dileguante orizzonte.
Possano costoro incontrare un giorno l'orma del Gatto di Fortini."

ecco appunto....in uno scritto che non vede, non dà senso, e suggerisce non dovere darci senso alla vita e alla morte, come si può mai sperare esserci un qualche minimo senso in quello che viene detto su Fortini, la sua poesia,il suo gatto? "Men che meno"....

Nella vita e nella morte infatti ci si troverà ben più da commentare che nelle vuote ragioni dietro a queste riflessioni nichiliste e disfattiste che pensano di risolvere le sciocchezze altrui con altrettante sciocchezze.


Stefano

Anonimo ha detto...

Il commentatore Stefano così si esprime:
“questo è il commento più generale e banale che possa mai essere fatto su una poesia qualsiasi. Non me ne voglia ancora il signore Salzarulo, ma questo scritto non dice nulla che non sia stato già mille volte detto ("Dopo Freud, ma anche prima di lui, nessuno riterrà irreale o nullo un sogno. ")e dice pochissimo sia su Fortini sia sulla poesiola al suo gatto”.

Beh, anche questo commento su un commento non è che dica granchè. Poteva anche scrivere “A basso – sì, a basso – il maestro” e, forse, sarebbe stato più significativo.
Quanto al fatto che le cose sono state dette mille volte, non è una novità.
Dacchè l’essere umano ha cercato di esprimersi, e credo che ciò dati da molto, molto tempo, gira e rigira ci siamo sempre in mezzo alle solite dannate cose.
Il mio ‘amico’ Freud, aprendo la strada al sogno aprì il mondo alle innumerevoli possibilità di rappresentazione delle dinamiche umane. Noi, più modestamente, molto più modestamente, da bravi funamboli cerchiamo di fare del nostro meglio, a volte riuscendovi e a volte no, come ben diceva, nel suo Tonio Kroeger, Thomas Mann che di tutto ciò un pochino se ne intendeva. La ricerca quindi prosegue. E la forma poetico/poietica prosegue con essa.
Non ci resta che aspettare il commento del Signor MAGGI per avere più lumi rispetto a quelli che ci ha fornito il Signor Stefano.
Rita S.

Anonimo ha detto...

Ciao Rita, ho riletto il saggio per scrupolo e devo dire che a me non interessa tanto se ha detto cose nuove su Fortini o se ha ripetuto quello che è stato detto già da tutti quelli che se ne occupano, che qua sembrano molti. Nemmeno voglio disprezzare il merito dell'evidente amore verso questa poesiola tenera di Fortini che gli ha fatto scrivere a Salzarulo il suo saggio.
Commentavo il senso generico di questo scritto critico. Insomma mi irrita vedere non solo espressioni come "perfetta orchestrazione", ma altre frasi vuote del tipo:

"Coloro che scrivendo poesie hanno imparato a coltivare la propria voce di libertà, a dare parole al proprio desiderio d'identità, di senso, d'uso non alienato del brevissimo tempo di vita concessoci, togliendo le foglie informi cadute e fatte cadere ostinatamente sulle pagine fortiniane, potranno leggervi il riconoscimento dei loro ineliminabili bisogni, comprenderanno che le loro espressioni sono prese sul serio ed apprezzate in ciò che hanno di più profondo."

Ma che significa!? Questo è un esempio di frase vuota e concetti altrettanto in scatola sottovuoto spinto.
La logica imporrebbe che io me ne uscissi con qualche mia originale interpretazione...della poesia del gattino.

Io a parte tutte queste parole sprecate direi solo una cosa e che riassumo in breve. Quà il poeta cerca di dire alla persona che lo ascolta quello che deve fare per riscoprire la lettura di un testo che in apparenza è semplice e realistico e allora glielo indica tramite l'allegoria attraverso i segni lasciati dalla bestiola ignara, come ignaro potrebbe essere anche lo scrittore di un testo mentre meno ignaro il lettore. Troppo elementare? Argomentando a pane e acqua, io la cosa la leggo così.
Stefano G.

Anonimo ha detto...

Qua si scrive senza accento

Anonimo ha detto...

oddio, hai ragione, è sul li e là che l'accento va...non ho fatto bene le scuole, era il ragioneria, la mia.
s.

Anonimo ha detto...

peccato che non ci vada l'accento...perchè lo si sente..qua, wuà, quà... ma...siamo sicuri che non ci và? chi l'ha detto? la crusca? non ho mai capito come mai la crusca, questa schifezza di alimento per galline e maiale, debba avere una sua autorità sulla lingua italiana! cazzo. anzi, io voglio dire quà: sono contento così-

Anonimo ha detto...

Bravo

Anonimo ha detto...

Ma diciamola tutta; si può dire postare,si può dire googolare, si può dire editare, e non si può mettere l'accento su qua?
le altre lingue sono più flessibili. Se si sente l'accento, perchè non bisogna mettercelo, sul quà?

Anonimo ha detto...

Seriamente scrivo sulla poesia in questione del Gatto. Essa è poesia ispirata perchè immette un'empatia tra uomo e animale.
In Cina il gatto è un animale nobile. Fortini, che era stato in Cina, lo sapeva.

Rossano Trevi

Anonimo ha detto...

Gradita questa precisazione di Stefano G. in questo suo ultimo commento, che, impostato così,
diventa più produttivo rispetto allo ‘stupidino’ del primo.
Avevo ringraziato Salzarulo perché il suo materiale permetteva, a fortiniani e no, di riflettere e di argomentare esprimendo punti di vista concordi e discordi.

Quanto a me, al pari della “poesia semplice, piana: un componimento che può essere proposto senza incontrare difficoltà anche a ragazzi di scuola media”, avevo letto il lavoro propostomi con lo stesso stato d’animo. Non mi disturba stare sui banchi. E, come quando si è sui banchi, possono dare fastidio quelli che non permettono di ascoltare la lezione o quelli che vogliono fare i primi della classe.
A me personalmente, ad altri non so, sono state molto utili le rivisitazioni legate alla tecnica poetica (prescindendo dalle interpretazioni ‘soggettive’ sulla sapienza del tessuto musicale e anche dalle aggettivazioni che fanno da ‘giusto’, secondo me, accompagnamento al tutto. Ognuno fa il gatto come meglio crede).
Altrettanto utili le specificazioni sul tipo di linguaggio utilizzato da Fortini, non oscuro e ‘antiermetico e/o simbolista’. Che poi sia stato davvero così non lo posso dire: ma il dibattito a seguire sarà utile se qualcuno fosse interessato a queste precisazioni.
Quanto ai contenuti e alla loro modalità di presentazione, mi sento abbastanza refrattaria alle frasi retoriche, vuote di senso, oppure piene di quel senso univoco, che viene presentato come IL senso in sé e per sé. Ma, non basta affermare questo: bisogna confrontarsi.
Per cui ci sarebbero molte cose da dire rispetto a ciò che la poesia chiede al poeta e il poeta chiede ad essa. Davvero la poesia ci può mostrare la ‘redenzione’ possibile nella direzione, come afferma Salzarulo, del raggiungimento, da parte del genere umano, della “sua unità, la possibilità del reciproco riconoscimento”? Ne dubito.
Sarebbe questo il compito/destino della poesia intesa “come lingua segreta delle cose”? Temo di no.
Il senso che diamo alla nostra vita sarebbe sufficiente a evitare l’insensatezza, e l’indifferenza, “l’assurdità e l’insignificanza del proprio dileguante orizzonte”? Mah!
Mi sembrano temi su cui riflettere al di là degli osanna e/o delle stroncature.
Aspettiamo lumi. La fiaccola sotto il MAGGI? (Scusate. Ma quando è sera e sono stanca gli sfrizzichi spiritelli fanno festa. Senza offesa a nessuno.)

Rita S.

Anonimo ha detto...

perchè qua non serve per altre funzioni. il là (luogo) lo devi distinguere dal la articolo. Un'impiegata che si domanda e si risponde . Emy

Anonimo ha detto...

Grazie a tutti gli intervenuti sia per gli apprezzamenti e i giudizi lusinghieri, sia per le integrazioni, le annotazioni e le osservazioni critiche. Farò tesoro di tutto per le prossime scritture. Volevo, intanto, dire a Valentina che l’argomento della sua tesi “Fortini fra politica e poesia” mi affascina molto. Citando autore e fonte, può utilizzare questo mio esercizio di lettura. In rete, può trovare altri due miei scritti: “I lampi della magnolia” e “La fede opaca di Fortini”. Siccome, però, ho altro materiale inedito, dormiente nella memoria del computer, se vuole può prendere direttamente contatto col sottoscritto.
Mi piacerebbe risolvere i dubbi dell’ultimo post di Rita S. o rispondere alle sue domande. Ma francamente non ne sono capace. Anzi, quei dubbi (irrisolti) e quelle domande (inevase) mi accompagnano da una vita. “La fede opaca di che vivo / è solo mia”, diceva Fortini.
Ancora grazie a tutti.
Donato

Anonimo ha detto...

Oh, finalmente una persona aperta allo scambio anche con la critica dura. Caro Salsarulo, nessuno dei sue altri suoi saggi che vorrei leggere, che lei ha pubblicato su Poliscritture, è accessibile. Le pagine non esistono e il PDF non si apre. Forse va detto al gestore di Poliscritture?
Grazie, Stefano

Anonimo ha detto...

Ho una gran facilità nel riconoscere le mascherine...

Anonimo ha detto...

E che c'è di male: non è carnevale?

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

Il link per accedere a "I lampi della magnolia" di Salzarulo è:
http://www.backupoli.altervista.org/article.php3?id_article=327

"La fede opaca di Fortini" è nel PDF del n. 6 di Poliscritture al link:

http://www.backupoli.altervista.org/IMG/Polis_6_def.pdf

Anonimo ha detto...

A Donato Salzarulo: vorrei fare i miei complimenti: è molto bello questo esperimento in giro per le classi con "I lampi della magnolia". Davvero un saggio-lezione di spirito fortiniano.
Grazie del link. L'ho molto apprezzato- erminia passannanti

Anonimo ha detto...

Grazie a lei, cara Passannanti, che ha avuto la pazienza di leggere. Ha ragione, "I lampi della magnolia" è il risultato di un esperimento molto bello. E' un esercizio di lettura, devo dirle, che ha avuto anche abbastanza fortuna. E' stato, infatti, ripreso da riviste scolastiche coon l'obiettivo di stimolare la lettura di poesie a scuola. Ancora grazie per l'apprezzamento.
Donato