lunedì 13 febbraio 2012

SEGNALAZIONE
Stefania Portaccio a Milano
e 5 poesie
da "Brodskij di notte"

giovedì 16 febbraio,  ore 18.30

LIBRERIA LINEA D’OMBRA
via San Calocero 29 - Milano
lettura di poesie e presentazione di
LA MATTINA DOPO
di Stefania Portaccio
Passigli Editori

Sarà presente l'autrice, a dialogo con Stefano Levi Della Torre, saggista e pittore, 
e Giulia Niccolai, fotografa e poetessa
Scompaio da una vita appaio in posa
ammiraglia
sola in coperta – il vento gonfia
la nave solca e i pasti
si preparano soli
e i tasti picchiano
e le frasi s’inseguono
come delfini a prora
muto e solerte è l’equipaggio mentre
scompaio da una vita
d’altrove vivo
di questo
scrivo


“Per la mia poesia e per qualunque testo che si proponga come indagine, occorre che il lettore ripercorra l’indagine, la faccia sua, si faccia interrogare. Questo comporta uno sforzo, un utilizzo di energia, una concentrazione. La facilità non fa davvero compagnia, perché non è mai vera. Come lettrice più ancora che come scrittrice penso che o la lettura è attiva o è in perdita, perché non consolerà, ci lascerà più vuoti e soli di prima. E noi vogliamo essere consolati, non distratti. Perché ci sia mattina, il suo alone speranzoso, non dobbiamo distrarci”.


*
APPENDICE



Caro Ennio,
ti allego una cartellina con le 5 poesie che compongono l'intera sezione del libro intitolata Brodskij di notte e che ha per tema la lettura (aridanghete!). Se sono troppe proponimi tu il taglio, che io ci ho già pensato e non ci riesco. Ho preferito una sequenza piuttosto che pescare qua e là: quando leggo nei blog mi sembra più facile seguire un discorso poetico che si dipana, almeno un po'. I numeri che precedono i nomi dei file indicano la posizione in cui dovrebbero stare.
Un grato abbraccio
Stefania


Esagera, scrittore!


tutta l’estate ho spinto - gli occhi chiusi nel vento
come se dovessi di lì a poco
morire

non sono morta:
ora piccole frasi, passeri, foglie
conversazioni che non vibrano, solo per compagnia

il giorno va via
né amante né tantomeno artista

corro così poi dormo
leggo così poi scrivo
così poi vivo

esagera scrittore!
spiega la lingua cantami la storia
svegliami
ridammi l’estate



 Per conto mio


infine  me ne sto per conto mio
e – sinceramente – non è male

non è male un tono colloquiale
a bilanciare assenze

un tono discorsivo e un tu diatribico
in risposta alla fame  
di colloqui privati e coltivati
 – radici che sfondano, rami che sfidano
o si piegano carichi di frutti
da offrire agli Adami e disputare ai serpenti
intelligenti

– mancando
meglio leggere e borbottare
ridacchiando tra sé

se si può avere nostalgia di strade
percorse solo con la fantasia
(col dito sulla mappa ed una lente
per ingrandire luoghi nomi parole dell’Indagine
occidentale e tutta maschile)
ho nostalgia

poi ho, pure fantasiosa, nostalgia
dei discorsini coniugali:
monchi, chiari e scuri
ammettendo tra i denti fatalità
necessità ingloriose
la fraterna amicizia dei sodali



 Metamorfosi


i piedi divaricati dalla fretta
il busto chino in avanti
la smorfia preoccupata
inconsapevole

arriva la memé
quel me che ha il passo corto
il cuore stretto la bocca curva e geme
e ride pochino, sempre con la tv
e affanna fino alle coltri stanca
all’inverosimile di sé

vi giunge come un naufrago ma
ecco che apre il libro
e il grembo si fa nuvola
l’isola del letto si fa
trono si fa dominazione
regno assoluto della  metamemé
che tiene in pugno a cuccia e alla sordina
il me di prima

eroina, veggente
capiente di dolori senza stizza
soldato che sente il proprio cuore
mentre muore
oppure riluttante delatore
– del tutto impotente – un’arpa
alta fino al soffitto
del tutto vibrante

 muovere guerra ai pesciolini d’argento


muovere vera guerra ai pesciolini:
pulire, ordinare a fondo ogni recesso
sapere sempre
anche se sono via
cosa c’è nella stanza nel cassetto
nella scatola in cuoio sotto il letto

invece corrono a piacimento i pesciolini
pasciuti dall’accidia e dal lascito
delle maree

con la ciabatta rapida ne ammazzo uno
due, il resto di me fuma,
sbriciola il toast e legge
per ore e ore e ore

 Brodskij di notte


gli occhi ormai una fessura
l’io semichiuso – leggo

nel lampo asciutto del tuo punto di vista
indosso i tuoi stivali senza scampo

leggo a svenire – ordino
che niente in me si lagni
niente in me si ripieghi – corro
per cadere nel sonno
inciampando in un verso
saltando sulla mina di una frase

Stefania Portaccio è nata a Lecce nel 1957 e vive a Roma. Nel 1986 ha vinto il Premio Montale per la sezione inediti e un anno dopo una sua silloge di poesie è apparsa nel volume Testarda tregua (Sciascia). Una scelta di sue poesie, presentata da Milo De Angelis, è stata pubblicata sulla rivista “Poesia” di Crocetti (aprile1993). Le altre raccolte sono: Contraria pentecoste (prefazione di Toni Maraini, I Quaderni del Battello Ebbro, 1996) e Continenti (Empiria, 2007). Ha collaborato con diverse riviste sia con poesie che con racconti e ha preso parte alla traduzione delle poesie di Anne Sexton compresa nel volume La doppia immagine (Sciascia, 1989).







3 commenti:

Anonimo ha detto...

Marcella Corsi:



Per Stefania Portaccio parlano i suoi versi. Quelli sopra riportati compongono una delle sezioni del volume che si presenta. La prosa riportata tra virgolette ne motiva il titolo.
Ho proposto questo volume circa due mesi fa nella rubrica on line Poesia condivisa [sotto] (a cui rimando nel caso qualcuno volesse leggere il mio commento a "Il mattino dopo").
Quello con questa raccolta di poesie e con la sua autrice è un incontro che consiglierei a chiunque dei molti. Chi sceglierà di andarci poi mi dirà se non avevo ragione.
ciao
Marcella

*[http://www.poesia2punto0.com/2012/01/04/poesia-condivisa-la-mattina-dopo-di-stefania-portaccio/#.Tzlq7rEaMmA]

L’ultima raccolta di poesie di Stefania Portaccio – s’intitola La mattina dopo – mi è sembrato un libro ben costruito e molto bello, non solo sul versante formale. Anche la materia di cui è forma fa riflettere: due morti vicinissime diversamente elaborate, amori, odori e quotidianità, letture capaci di dar luogo a comunicazioni significative, una sensibilità femminile pervicacemente intera e consapevole.

I versi mostrano uno sguardo acuto, autoironico, talora impietoso. E forza, lucidità, capacità di rapportarsi al reale con la durezza e la complicità che merita, tenerezza, asciugato lirismo, qualche lieve impertinenza. La spavalda fragrante ironia di Continenti (Empiria 2007) si è fatta più amara, più riflessiva e aperta al mondo.

L’attitudine ad una sperimentazione formale contenuta ed elegante ma decisa appare naturale: si esprime senza forzature e accompagna in modo coerente l’espressione di contenuti sempre onesti.

Una sapiente scelta del fine-verso fa sì che talora questo indichi una direzione di significato che l’inizio del verso successivo contraddice, dando luogo ad una serie di sorprese, o se vogliamo ‘inganni’, poeticamente felici (come nei sei versi finali della seconda poesia qui presentata).

L’unica prosa iniziale introduce uno dei temi più sentiti: la coesistenza di una (femminile?) “sapienza e capienza di farsi alveo e risposta alle minime necessità della vita” con la parte di sé “che è spada, spacca il pensiero come un’anguria e sputa i semi”. Coesistenza spesso contraddittoria, che in Stefania si sana nella scrittura: “è facendo la scrivana che in me il concavo guarisce il convesso e il convesso nutre il concavo”.

Dichiaro di voler acquistare eventuali successive raccolte pubblicate dall’autrice per seguirne nel tempo la scrittura, riferendone in questa rubrica.



Marcella Corsi / 19 dicembre 2011

Anonimo ha detto...

Ecco le poesie a cui si riferisce il commento di Marcella Corsi [inserimento a cura di E.A]


da Stefania Portaccio, La mattina dopo, Passigli 2011




certo ostico è farsi convesso
arco e freccia acuminata
e al tempo stesso – o appena a ridosso
culla germinante
pozza immota
antro dove risuona il fragore
della vita, lo stupefacente suo vigore

ma cos’altro fare?

*



un dolore pervasivo e magnifico
stinge di rosa ogni andito
orla gli angoli infiora
le pareti

un dolore magnifico curvato
dal calore del tuo
ancora non morire e il mio
poggiarti il capo sui ginocchi

più si rastrema il tempo più s'allarga
il tuo dominio


maggio

*



stava protervo, torvo, a non morire


il nostro scontento urtava ai trespoli
della flebo
ai davanzali caldi dell’estate
rimbalzava chiudendoci

stava protervo, torvo, a non morire
e le parole zitte
toglievano la vista
tanto erano fitte
tanto scure

«muori,
io ti prometto un lungo lutto,
amiamo di te tutto, anche il torvo
restare – a posteriori – ora però
non ci invidiare, muori»


settembre

*



Gretel


gli anni in cui non fiuto il tuo odore
la vita puzza
la luce taglia i volti di netto

anni a guardarti da fuori – da dentro
la bolla del lutto

ma anche è una dura osservanza
il tuo culto

ma è anche da matti resistere
nel tuo vero odore squisito

da matti abitare
nel tuo marzapane celeste

Anonimo ha detto...

Che belle tutte queste poesie, davvero il "che belle!" mi sembra il commento più adatto. Una personalità grande. Che bello "più si rastrema il tempo/più s'allarga il tuo dominio. Così ben costruite da far pensare alla genialità. Grazie Emy