sabato 17 marzo 2012

Ennio Abate
I moltinpoesia (2)


Dialoghetti a puntate tra Samizdat e il Poeta Invisibile
sul ‘noi’ che non c’è e alcuni modi  provvisori per edificarlo
Seconda puntata: la «sporca religione dei poeti»

Poeta invisibile - Dicevi di sentire puzza di sacrestia anche nella poesia d’oggi? Spiegami...

Samizdat - La religione ci stordisce da secoli coi suoi incensi. E in poesia  tuttora la fa da padrona. Faccio un esempio. Malgrado gli studi di Auerbach sul realismo di Dante, te lo presentano come il poeta mistico per eccellenza, il pellegrino cantore di Dio, tutto "trascendenza". Eppure scommetto che se vivesse oggi, quel suo realismo gli farebbe riscrivere la Commedia all’incontrario, dal paradiso all’inferno; e forse ancora più giù; e persino le sue solennissime terzine gli si sconnetterebbero dallo sdegno. Vabbè, nella cultura europea e occidentale alcune radici saranno pure lì, nella religione e nel cristianesimo. Ma tacere sui frutti tossici che hanno prodotto e producono, continuare a innaffiarle pur se diventate di plastica, mescolare religione e Vitelli d’oro capitalistici  è, per credenti e non, indecente.


Poeta invisibile - Ma non sono di plastica e scaduti  anche il tuo illuminismo o il tuo marxismo?

Samizdat - E' vero, ma restano una solida base per interrogarsi; e sempre preferibili alle adunate oceaniche e soporifere dei papi; e, in poesia, alle processioni  dietro i pretini e le suorine della Parola Poetica Ispirata. Questa pappa religiosizzante (più o meno ancora New Age) sta ostruendo tutti i varchi aperti da pensatori, poeti, artisti, politici e anche dalla resistenza sotterranea della gente comune contro condizioni di vita piatte o insopportabili.  Fatte le dovute differenze, trovo attuali i versi  de La ginestra con cui Leopardi bollò l’Ottocento borghese e post rivoluzionario: Qui mira e qui ti specchia,/ Secol superbo e sciocco,/Che il calle insino allora/Dal risorto pensier segnato innanti/Abbandonasti, e volti addietro i passi,/Del ritornar ti vanti,/ E procedere il chiami.

Poeta invisibile - Interrogarsi su cosa?

Samizdat - Ma non vedi che le religioni riducono la gente a una massa o di scettici e indifferenti o di creduloni e superstiziosi, tutti pronti a cadere nel panico o ad aggrapparsi  a qualsiasi leader populista o tecnico, nouveau philosophe, guru, padre Pio di turno? E in questa situazione annaspano anche i tuoi moltinpoesia. Non vedi come corteggiano il fantasma di una Signora Poesia, che non esiste e le chiedono  un salvagente, un farmaco o riducono la poesia a preghiera, a strumento per coltivare un’ambigua trascendenza? Lo sapeva bene Fortini, che  ha sempre delineato “i confini della poesia”, per non confonderla appunto con la religione; e perciò chiamava «sporca» quella di certi poeti. Per lui la poesia era zona di ambivalente conflitto, che alludeva a un promessa di felicità e  non una panacea per tranquillizzarsi o giocherellare in una “stanza tutta per sé” alla Virginia Wolf, mentre attorno impazza il caos sociale e politico. Bisognerebbe fare tabula rasa di questa moda. E perciò ti propongo di  partire appunto dalla polemica di Fortini contro la sporca religione dei poeti, dal Non c’è più religione di Ranchetti (leggitelo!), dall’appello di Brecht al Congresso degli scrittori del 1935; e ai poeti, in particolare, proporrei di studiarsi la vecchia Estetica  di Lukács.

Poeta invisibile - Il vecchio, sorpassato Lukács! Il filosofo fiancheggiatore del «socialismo reale» che sarebbe stato - si è visto! - migliore del capitalismo! Ma sei matto! Altro che invisibile soltanto!  Svanirei del tutto se ti seguissi in quell'Oltretomba di comunisti che litigano tra loro anche dopo morti!

Samizdat - E ti sbagli. I morti non sono mai morti del tutto, specie se hanno scritto grandi libri. Lukács difendeva l'«individualità personale», che per lui era «la base di vita cui si attingono le forze essenziali per il suo autosuperamento». E aveva capito bene che il cristianesimo questa individualità la bloccava, la voleva soltanto conservare. E criticava anche il buddismo, per il quale «l’annullamento completo di tutte le determinazioni che costituiscono la personalità umana è addirittura il fine della redenzione, il vero al di là». È un buon antidoto alle religioni e parareligioni odierne.

Poeta invisibile -   Ma il tuo Lukács non sapeva che il bisogno religioso è spontaneo, che la religione non è riducibile a «oppio dei popoli», che poeti e poetesse, che tu presenti come pretini e suorine della poesia, sono una maggioranza e producono buona, spesso ottima poesia?

Samizdat - Altrochè! Lui era il primo a dire che gli uomini (e quindi anche i poeti) si formano  una «concezione del mondo» religiosa spontaneamente, nella stessa vita quotidiana, e non solo per imbeccate dall’alto. Homo religiosus e homo cotidianus si somigliano, sono parenti stretti. Entrambi - dice - vorrebbero escludere il caso  dalla vita reale. Quando un lutto, un disastro ci colpisce, è raro che non ci facciamo domande del tipo «Perché mi è dovuto capitare questo?», «Perché devo soffrire così?», «Perché egli è dovuto morire così presto?». L’uomo religioso (alias l’uomo  immerso nella vita quotidiana per Lukács), a differenza dell’uomo scientifico, non vuole accettare «un mondo che  non è né sensato né insensato ma indifferente rispetto al senso».

Poeta invisibile - E che c’è di male in questo sforzo della religione di dare un senso alla vita? Vorresti  che gli uomini restassero dei bruti in preda a terrore e angoscia o che i poeti balbettassero come bambini impauriti?

Samizdat - E infatti Lukács riconosce i meriti della religione. Per lui il passaggio dalla magia alla religione ha permesso agli uomini di provare i primi sentimenti morali ed ha ispirato tensioni eroiche e atti di abnegazione. Ricorda il Foscolo de I sepolcri: Dal dí che nozze e tribunali ed are/diero alle umane belve esser pietose/di se stesse e d'altrui. Ma tra magia e religione s’è inserito un terzo incomodo: la scienza. Ed essa ci ha svelato che la fede in una visione del mondo rivelata dalla divinità, pur placando per i credenti l’angoscia di fronte alla morte o  dando un senso persino al dolore, non ha una base nella realtà.

Poeta invisibile - La realtà, la realtà! Ma perché dovremmo essere schiavi della realtà? 

Samizdat - Schiavi no, ma se l’ignorassimo, non vivremmo un giorno. Del resto, anche gli uomini religiosi, per quanto svalutino la vita terrena e si preparino  a quella “vera” dell’aldilà,  hanno accettato un compromesso: «nel mondo, non del mondo». E poi la realtà cambia e gli uomini - religiosi e non - l’hanno in effetti cambiata. In meglio o in peggio è un altro paio di maniche. Pensa a quei credenti (albigesi, hussiti, Müntzer, i puritani) che, con motivazioni tutte religiose e cioè per realizzare il «Regno di Dio» lottarono contro la visione conservatrice  della religione dei sacerdoti o della Chiesa cattolica. Furono sconfitti, ma dopo di loro la realtà non fu più quella di prima. E ciò vale anche per le lotte socialiste e comuniste dell'Otto-Novecento.

Poeta invisibile - Beh, ammetterai che le cose non sono andate per il verso giusto né con le rivoluzioni religiose né con quelle ispirate dall’illuminismo o del marxismo. Non t’accorgi che abbiamo una grandiosa Restaurazione e un ritorno potente  delle religioni in tutto il mondo?

Samizdat - Non lo nego. Ma tu sembri non vedere i danni che tale ritorno produce e produrrà  alimentando fondamentalismi e “guerre di civiltà”.

Poeta invisibile - Non puoi incolpare di questo soltanto le religioni però…

Samizdat - Su questo ti do ragione. Anche l’illuminismo e il marxismo si sono fossilizzati. Lukács stesso ricordava che, dopo una prima fase di vittoriosa critica alla religione, la scienza accettò un compromesso paralizzante. Moltissimi scienziati si sono accontentate di amministrare le pratiche della “vita terrena” (una bella fetta di potere)  e a teologi e religiosi resta la secolare amministrazione del sacro, l’esclusiva sull’aldilà (la «realtà in sé»). E  questa pure è una consistente fetta di potere.

Poeta invisibile - Insomma siamo all’amaro requiem manzoniano: Il forte si mesce col vinto nemico,/Col novo signore rimane l’antico;/ L’un popolo e l’altro sul collo vi sta./ Dividono i servi, dividon gli armenti;/ Si posano insieme sui campi cruenti/ D’un volgo disperso che nome non ha.

Samizdat - All’incirca e per ora è andata così. Oggi il «volgo», dal punto di vista di Lukács, potrebbe essere il singolo imprigionato nella sua «individualità privata personale», con minime e falsate relazioni con gli altri e spesso solo di fronte alle «pure potenze astratte» che ci dominano. Pensa ai disoccupati, ai poveretti che se ne stanno chiusi in casa al computer a spedire curriculum a tutto spiano.

Poeta invisibile - Beh, ci resta la Poesia. Lei non ha  fette di potere e non si è compromessa con nessuno…

Samizdat - Sei di bocca buona tu! Anche in poesia ha funzionato quel compromesso. Pensa alla brutta fine che hanno sempre fatto in Italia i sussulti “immanentistici”: dai romanticismi (alla Foscolo e Leopardi) ai verismi (alla Verga), agli esistenzialismi (alla Montale de La bufera), giù giù  fino ai neorealismi del dopoguerra e ai neoavanguardismi degli anni Sessanta. Ha ragione Linguaglossa: da noi il «paradigma moderato» ha sempre imperato anche in poesia. Ad ogni venticello di libertà, eccoti addosso i sacerdoti della Parola (ora Ermetica, ora Innamorata, ora Orfica, ora Minimalista) che invitano a  convertirsi, a pentirsi o  invitano tutti da  vecchi e nuovi pulpiti (ultimo quello televisivo) a pentirsi. E tutti i dì ci sono autodafé spontanei e non coatti come ai tempi dell'inquisizione. Caro mio, anche in poesia siamo messi male!

Poeta invisibile - Come sfuggire al pretume poetico allora? Hai una soluzione?

Samizdat - Io no. La stiamo cercando insieme, come vedi…

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Lasciatemi parlare o vigliacchi
che il mio incenso vanifichi
i vostri sogni le vostre lusinghe
fate di me la vostra giubba
il vostro pugnale seguitemi
nascondete la forma del teschio
dietro i vostri gonfi cuori
pulite le vostre mani nel lino
dei miracoli giacchè sarà la mitra
o l'abito nero a rendervi poeti
a Dio manderò i vostri nomi
farò di voi il mio clone
al galoppo del cavallo lo stendardo
brillerà di sete e d'oro RELIGIONE.

emy

Anonimo ha detto...

E a questo punto , per non farci passare la voglia di scrivere , il buon Saba e la sua poesia "onesta " non sarebbero da buttar via .
E mettiamoci pure Scotellaro , Matacotta , Pizzuto , Calogero . Credo che ci abbiano insegnato più di qualcosa . Coraggio di vivere e coraggio di scrivere nonostante tutto .

leopoldo attolico -

annamaria ha detto...

Poeta invisibile da piccola suorina risponde...
Samizdat, sfondi una porta aperta quando dici che, come ci insegna la scienza, le esistenze non sono governate dalla provvidenza o dal fato, ma dal caso..lo credo assolutamente, ma non inveirei contro chi cerca delle risposte di conforto al dolore e all'angoscia nella religione o anche nella fantasia. Certo si tratta di fughe, di evasioni da una realtà a volte insostenibile...ma al momento giusto queste stesse persone potrebbero trovare la forza e il coraggio di affrontare le situazioni, lottando se necessario. Insomma, secondo me, non tutte ma molte strade portano a Roma, a volte i percorsi possono essere molto personali e persino tortutosi. Nel tuo discorso emerge una forte contenuto di Utopia (no la maiuscola? accetto critiche perchè sono davvero ignorante)che apprezzo molto e condivido il discorso sulla religione (Religione?)che ha sempre diviso i popoli e essunto posizioni di potere...Qualche volta, se mai sono tradita dalla fantasia, un po' di genere infantile..Ognuno attinge al suo mulino...Sempre in cammino Annamaria

Anonimo ha detto...

In tutti i casi anche il pretume poetico dovrebbe sfornare poetica. E' nel chiarimento della poetica che ogni artista riesce a dire la sua con dignità e spessore, ponendosi con voce diversa e autonoma tra le varie discipline, come la filosofia, la sociologia, la religione, e volendo anche la politica o perfino la psicanalisi. Non ultime le speculazioni scientifiche. E' nella poetica che l'intento comunicativo del poeta si afferma con indipendenza, pur nell'astrusità di suoni e significati. Laddove la poetica si riduce alle sole questioni espressive va da se' i contenuti si impoveriscono. Le parole, anche quando avrebbero valore di testimonianza, potrebbero non bastare. Uno sforzo in più non guasterebbe: dall'individuale al collettivo o all'universale, perché no. Altrimenti la poesia è da ritenersi come forma pura d'altra espressività, ma fine a se stessa.
E visto che Samizdat insiste tanto sulla religione, che fa leva sul mistero (per altro quasi sempre indotto, cioè s'inventa misteri dove a ben vedere non ce ne sarebbero), chi meglio di un poeta può tentare l'inesprimibile, data la facilità con cui sa porsi di fronte ad ogni indefinito?
La poetica dicevo, ma chiarendo che non si tratta di pensiero congelato, deducibile cioè dal porsi con sufficiente distanza dal testo, quanto piuttosto di pensiero vivo che si manifesta nel suo farsi. La poetica quindi da intendersi non come riassuntiva ma come azione viva del pensiero, sempre ammesso che i pensieri si possano ascrivere nel campo dell'azione. E non una poetica soltanto, ma l'aggiustarsi della stessa strada facendo.
mayoor

Annamaria ha detto...

...poi zittisco, ma l'essere spedita in convento, proprio l'ultimo posto dove vorrei finire, mi induce a scrivere ancora una volta..

La religione

Un mantello che ci protegge e ci soffoca...
Nei momenti critici, quale scudo protettivo,
consapevoli o meno,lo usiamo
per esorcizzare gli abissi della sofferenza
ma c'é anche chi consciamente ne fa strumento di potere
sugli animi umani deboli e afflitti...
Quando la Storia ci presenta il conto di tante malefatte
persecuzioni torture guerre
disfiamo velocemente la tela del mantello religione
divenuto scomodo ed ingombrante
sentendo con orgoglio del corpo l'essenziale nudità
non un santo in cielo che ci protegga
e neanche in terra quando siamo soli...
Spesso nella dimensione di un gruppo solidale
andiamo scoprendo una condivisa identità

Annamaria

..c'é tuttavia un seguito: quella tela che disfo di giorno la tesso in altra guisa di notte: al contrario della brava Penelope. Salta fuori la mia tendenza a personificare le cose, attribuendo loro un'anima con la quale intrecciare un colloquio, può essere una Fontana di città, la Luna, la Poesia, persino la Morte..E' un ritorno alla magia? Al panteismo? Una regressione irrazionale e "sporca"? Non mi sono mai sentita tanto sotto accusa...In effetti non perdo il senso della realtà e di bastonate ne ho ricevute abbastanza per vedere quello che mi succede attorno...Annamaria

Anonimo ha detto...

A Annamaria - Belle le tue parole che condivido pienamente, personificare le cose, parlare con un nostro Dio,che si spera di tutti, è magnificamente umano ma la religione di cui parla Ennio mi pare un'altra cosa. Comunque sia tutti i sogni hanno diritto d'esistere soprattutto quelli dei poeti che dei sogni spesso ne fanno una grande realtà. Chi ce lo può impedire??? Spesso ,purtroppo è la religione che ci allontana dall'idea di Dio e Dio certe cose dovrebbe saperle . Ciao Emy

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

Sapevo che questo secondo dialoghetto sarebbe stato accolto con gelo o irritazione. Ringrazio comunque i pochi commenti finora ricevuti.
Vorrei rassicurare Leopoldo: scopo del dialoghetto non è far passare la voglia di scrivere, semmai di spingere appunto a una scrittura onesta.
E anche Annamaria. Se rilegge bene le invettive non sono contro «chi cerca delle risposte di conforto al dolore e all'angoscia nella religione o anche nella fantasia» (o potrei aggiungere nelle droghe, nelle lotterie, ecc.). I naufraghi, i disperati s’aggrappano a quel che gli capita sperando di trarsi in salvo. E non sono così sadico da schernirli. So però che spesso i salvagenti sono fasulli. L’invettiva, allora, si rivolge a quanti (religiosi, politici, intellettuali e anche poeti) da posizioni di vantaggio amministrano il ciclo artigianale o industrializzato del «conforto al dolore e all’angoscia». E nel rispetto delle regole stabilite dai dominatori. (Come tu dici: « ma c'é anche chi consciamente ne fa strumento di potere/ sugli animi umani deboli e afflitti..). Il che delimita entro confini preordinati dall'alto sia il contenimento dell'angoscia sia la lotta per liberarsene e costruire altri rapporti sociali, in cui angoscia e sofferenza non scompariranno, ma non avranno le forme umilianti che hanno per milioni di persone. E non PER LEGGE DI NATURA, ma per conservare certe posizioni di forza ad élites dominatrici.
Quanto a « personificare le cose, attribuendo loro un'anima con la quale intrecciare un colloquio», sì, a me pare un’incursione in zone inconsce, ma anche nei sogni vi sprofondiamo e non mi pare che si possa impedirlo o vietarlo o colpevolizzarsene. Direi che è quello che si elabora (in immagini, in parole) dopo che si è venuti fuori da tali zone, da svegli insomma, che va confrontato con la “realtà”: vi aggiunge qualcosa? la demolisce? La impoverisce?
In tal senso avrei dei dubbi a sottoscrivere l’affermazione di Emy. Davvero « tutti i sogni hanno diritto d'esistere soprattutto quelli dei poeti che dei sogni spesso ne fanno una grande realtà»?
Tutti i sogni? Anche quelli di un Hitler? Soprattutto quelli dei poeti? Ancora concedergli un privilegio?

Annamaria ha detto...

Grazie Emy..No certo, non tutti i sogni vanno coltivati, solo quelli che non tradiscono i nostri giusti valori intorno alla realtà, solo quelli che li potenziano..Il sogno può anche avere in sè un valore consolatorio, costituire una pausa rigeneratrice nel bel mezzo di una battaglia..può ricaricarci di speranza quando la mera realtà ci devasta. Se il sogno offre il pretesto per girare la testa dall'altra parte, per non prendere posizione allora si tratta di fuga e basta, se invece permette di venire in contatto con la realtà interiore globale e con gli archetipi collettivi, allora può addirittura essere preveggente e offrire delle soluzioni ai problemi reali, là dove qualche volta la ragione fallisce
Annamaria