martedì 10 aprile 2012

Rita Simonitto
Senso, religiosità, chiese e poesia.


Riflessioni sul post * IMoltinpoesia (2). La sporca religione dei poeti.Dialoghetti a puntate tra Samizdat e Poeta Invisibile” del 17 marzo 2012 

Quasi a voler chiudere frettolosamente il post del 17 marzo 2012, Ennio dice: “Sapevo che questo secondo dialoghetto sarebbe stato accolto con gelo o irritazione. Ringrazio comunque i pochi commenti finora ricevuti”.
Credo invece che sia il tema ad essere un po’ ostico in quanto si presta a discorsi troppo carichi emotivamente e ideologicamente per cui si passa con facilità dal registro dell’analisi a quello delle opinioni. Ma, pur riconoscendo questi limiti, potenziati anche da quel particolare mezzo di comunicazione che è il Blog, da qualche parte bisognerà pur incominciare.
Un ulteriore limite, di natura diversa e ben più importante, è anche costituito dagli strumenti interpretativi di cui oggi possiamo disporre: purtroppo non è possibile fermarsi ai soli “illuminismo e marxismo come solida base”, come farebbe intuire Samizdat, in quanto ogni strumento interpretativo muta (o dovrebbe mutare!!) conformemente alla realtà che esso interroga.
Descrittivamente parlando vediamo che la realtà d’oggi si presenta come una società onnivora che incessantemente mangia e sputa senza nemmeno sapere che cosa fa. Fra l’altro, sembra che non sia più necessario saperlo a livello individuale in quanto esistono luoghi collettivi appositamente deputati a illustrare ciò che sta accadendo e come deve essere interpretato: le varie ‘chiese’ mediatico/culturali, ognuna delle quali si accaparra una fetta di ‘fedeli’.
Sembra latitare, se non come esigenza di sparute minoranze, una domanda di senso, più o meno sofferta perché mai saturata, più o meno ambita perché il ‘desiderio non abita più qui’. Tendenzialmente oggidì le risposte vengono subito presentate sul piatto ancora prima che sorgano le domande (e sappiamo, come acutamente sosteneva M. Blanchot, quanto *la réponse est le malheur da la question[1]* , proprio perché non permette nessuna apertura di senso). Si tratterà dunque di risposte rapide, perverse, mutevoli e intercambiabili. E, ovvio a dirsi, cariche di banalità, di luoghi comuni. Ne abbiamo un esempio osservando la melma politica che ci coinvolge  quotidianamente.
La ‘pappa religiosizzante’ (così definita da Samizdat) ha bisogno di essere sostenuta da un  sistema che necessita di ‘fedeli’. Gli omogeneizzati poi, i vari Plasmon, si sa, omogeneizzano e di questo principio di omogeneizzazione anche la Chiesa, certo, si fa portatrice (uomini tutti uguali di fronte a dio).
Però è importante ribadire che la Chiesa è un’istituzione che deve mantenere, al pari di tutte le istituzioni, un certo status quo per protrarre il suo dominio. Il concetto di uguaglianza può diventare allora il credo ideologico attraverso il quale viene legittimata l’espulsione di ogni diversità che verrà vissuta “aprioristicamente” come dissidenza. Non ci sarà posto per un pensiero soggettivo forte, trasformativo. Questo renderà problematico l’essere ‘noi’ se non c’è anche un ‘Io’.
Dalle osservazioni sulla realtà odierna, e dalle numerose voci di studiosi che si confrontano con il problema, si evidenzia anche un altro aspetto e cioè come ci si trovi di fronte ad una società antropologicamente, culturalmente “primitivizzata”, dominata dal principio del ‘tutto e subito’, smarrito il senso di realtà e di responsabilità. Quest’ultimo implica la capacità di discriminare l’Io dall’altro, verso cui, appunto, responsabilizzarsi. Se questa differenziazione viene a mancare si crea una massa in-distinta delle cui sorti sarà qualcun altro a farsi carico.
E’ facile ipotizzare, anche sulla scorta di esperienze storiche pregresse, che in una struttura cosiffatta si possa creare una situazione paradossale: da un lato il bisogno, la ricerca da parte di pochi, dell’uomo salvifico che porterà “la gente comune a uscire dalle condizioni di vita piatte e insopportabili”. Dall’altro, si manterrà la diffidenza per tutto ciò che è diverso e NON omologabile al sistema esistente, che si continua a percepire come ancora degno di fiducia nonostante le vessazioni e la inaffidabilità. Sappiamo anche come ogni sistema utilizzi, oltre all’espulsione o al silenzio, uno strumento molto raffinato per rendere innocue ed assorbibili le diversità, temibili o meno che siano: promoveatur ut amoveatur.[2]
Non sono dunque le religioni che hanno ridotto la gente “a una massa o di scettici e indifferenti o di creduloni e superstiziosi, tutti pronti a cadere nel panico o ad aggrapparsi a qualsiasi leader populista o tecnico, nouveau philosophe, guru, padre Pio di turno”. Affermando questo si continua a fare confusione tra religione e l’uso che di questa fanno le varie istituzioni, Chiesa compresa.
Il bisogno di dare un senso alle cose del mondo appartiene al nostro genere, qui sta la  ‘sana religiosità’ dell’essere umano che cerca di fare dei ponti (res ligamen) tra ciò che conosce e ciò che non conosce, o non conosce ancora.
Ma oggi siamo di fronte ad un bisogno di credere del tutto particolare. Esso si colloca in un contesto regressivo caratterizzato da sentimenti di ansia e paura (reali ma anche artatamente indotti) e pertanto carico di a-criticità. Se questa condizione è tipica di una situazione di crisi recessiva, una crisi di sistema (a fronte della quale certamente anche la Chiesa, se vogliamo chiamarla in causa, è stata connivente e partecipe), la sistematica distruzione di una memoria storico/politica di riferimento, la violazione ad ogni suo diritto alla rappresentabilità che non sia quella di parte – ossia dei ‘vincitori’ o di chi si allea a questi –, nonché la mancanza di un assetto progettuale politico rivolto al futuro rendono il disorientamento altamente angosciante.
Anche la Poesia - che, similmente al Sogno, rappresenta il luogo espressivo del sé più profondo, dei suoi desideri, delle sue rappresentazioni e delle sue angosce quando entra in relazione con il reale -, viene investita di questo bisogno al pari di tante altre esperienze performative. Basti vedere il proliferare di iniziative, scuole e pubblicazioni legate alla ricerca della conoscenza di sé e del sociale attraverso le più svariate tecniche definite artistiche.
La poesia, dunque, che gode del doppio statuto di strumento interpretativo nonché di ‘ente’ con le sue specifiche connotazioni (e, quindi, Poesia con la maiuscola), giocoforza si carica di ambiguità fintantoché non viene decifrato, definito e differenziato il campo dell’Io (la sua ‘soggettività’) da quello del non-Io (ovvero la realtà esterna), e non ne vengono precisati i registri attraverso i quali essa parla o per chi essa parla o, infine, a chi parla.
Quanto alla “stanza tutta per sé”, magari rappresentasse solo il raggiungimento di un ‘godimento’ (malato o no che sia) personale. No, essa e il suo godimento stanno dilagando e accecando di luce cosmica tutta l’umanità.
Ormai siamo arrivati al “business del pensiero”, come afferma Dal Lago (2007), pronto da offrire in pasto ad un consumatore già pre-educato, addomesticato a tutto questo, e quindi pronto alla dissipazione e non più alla conservazione; aduso alle piccole storie che si fanno cronache, da sorbire in un attimo come si fa con un aperitivo. Offerto ad un fruitore che si sente rassicurato solo nello stare in una nicchia di identificazione gregaria, un gregge dove non si può dire certo che esista un ‘noi’.






Ισoτητα…σκοτώνει

‘Uccide…l’uguaglianza’
Slabbrati caratteri
eppure incisi là sul frontone alto
gravido di pietra sopra essa il deserto
oggi ancora più enigma
dentro la vecchia chiesa.
I fedeli non possono leggere la scritta
perché gli sta sempre di spalle
e poi si fidano dell’Uomo
all’altro Uomo uguale.
Sognano la Libertà, che trascina l’Uguaglianza,
e intorno il colorato Popolo come dipinse
Delacroix, Eugène.

Ma l’officiante
quando si rivolge loro e fruga
fra le indistinte sagome i pensieri
ogni tanto getta lo sguardo lassù
a quei segni dall’oscura minaccia.
L’irrisolvibile gelo l’attanaglia
data persa la battaglia contro
l’Homo homini lupus.
A smerigli il sole fa ghirigori
sull’altare, gioca con la pisside dorata
col tremolio delle sue dita
umane ombre
ma non svela misteri.
In controcanto
le uniformi elettriche candele
attestano che la modernità esiste
fissa sui muri gli sguardi attoniti dei santi
come rapidi flash la smorfia del ribelle
l’impotente dolore di sconfitta
alle nuove vecchie regole del mondo:
land grabbing[3].

Rita Simonitto
Settembre 2009









[1] La risposta uccide la domanda" ("kills the curiosity", chiude cioè lo spazio di scoperta senza cui non c’è sviluppo mentale ed emozionale).
[2] Sia promosso affinché sia rimosso [pop.: Diamogli un incarico (onorifico) più importante per togliergli quello che ha dove crea problemi]
[3] Land grabbing: accaparramento di territori vergini in nazioni come l’Africa, il sud-est Asiatico e l’America Latina.

25 commenti:

Anonimo ha detto...

Con una mossa esperta
il sè afferra l'ultimo perchè
il maestro insegna come e quando
aprire le braccia al mondo
un mondo di fame d'amore giusto
ma ecco che all'aprire l'inutile
gesto incappa in un altro sè
che dell'amore si dice esperto
diligente habituè delle chiese
avviene la cerimonia tra vino e pane
ma fuori ancora la lancia aspetta
dietro alla fonte battesimale.

Sarà di sete un cammino e l'altro
ineluttabile destino di paura
più che d'amore sorprende la comunanza
che disinvolta osserva l'incunearsi
del miracoloso nauseante progetto.

Finiamo il cammino insieme increduli
al primo dolore alla sconfitta
finiamo nel centro trangugiamo il fato
impariamo ad essere veri in noi.

Emy

Anonimo ha detto...

Giorgio Mannacio (tramite E.A.]:


Osservazioni sullo scritto di Rita Simonitto.

Nella constatata ( mia ) incapacità tecnica di mandare un commento di una certa lunghezza,scrivo a te seguenti osservazioni a parzialissimo commento di quanto scritto da Rita Simonitto su Poesia, Religione etc. Il suo intervento apparso oggi sul blog Moltinpoesia mi sembra molto interessante e da analizzare con attenzione. Dirò subito che il silenzio che ho conservato sull’argomento trova qualche spiegazione nei motivi giustamente rilevati da R.S. Il primo – che mi sembra abbia valenza generale – riguarda il senso dell’aforisma di Blanchot secondo cui le risposte uccidono le domande. Ciò è vero se lo si intende- come io lo intendo – una sorta di critica alla celerità con la quale si risponde a domande cruciali dell’esistenza e si rileva – giustamente – quante di queste risposte siano preconfezionate “ e da consumare entro una brevissima data di scadenza “ sottraendo ciascuno di noi alla “ responsabilità “ di risposte consapevoli. Non ci aiuta – in questo – il sistema delle comunicazioni di massa che soddisfa altre esigenze e si muove secondo logiche diverse. Ciò non significa essere contro la modernità. Ciascuno è moderno rispetto a ciò che vive “qui ed oggi” ma è proprio il qui ed oggi che ci pone interrogazioni e non risposte. In particolare e per quanto riguarda il rapporto tra Religioni ( non Chiese ) e Poesia. non saprei dire se esista una Poesia Religiosa in senso proprio e forse neppure mi interessa saperlo.E’ più importante,forse,chiedersi se si può parlare di anima ( e farne il “ fuoco” di una poesia ) e non credervi. L’interrogativo si presenta anche rispetto ad alcune nozioni scientifiche ormai superate. Sarei propenso a dare risposta affermativa attribuendo alle nozioni religiose e scientifiche il carattere di “ materiali di esperienza” sui quali si può sempre costruire “ una casa in cui ha senso abitare “. Le une e le altre si collocano in un quadro storico di tradizioni e memorie sulle quali abbiamo posto e riproposto – a diversi livelli – la domanda che dà nome ad un celebre quadro di Gauguin: Chi siamo, dove andiamo?
Giorgio Mannacio.

Anonimo ha detto...

In fondo la grande differenza, tra credenti e non credenti, sta in un "chi" messo al posto di un "cosa".
"Chi tiene insieme tutta 'sta roba, chi fa cantare gli uccellini? C'è questo essere cosmico e tu per un attimo hai la folgorazione di appartenergli, non hai più bisogno d'altro, dopo." (Terzani)

Il non credente potrebbe dire "cosa" tiene insieme tutta 'sta roba, "cosa" fa cantare gli uccellini?
E' una semplice differenza, ma quel "cosa" potrebbe togliere chiunque dalla dipendenza verso chiunque, almeno in linea di principio. Ma forse non credendo sarai condannato ad avere sempre bisogno d'altro? E' impossibile, quando abbiamo dei bisogni sappiamo perfettamente di cosa si tratta. Non si può avere bisogno di qualcosa che non si sa cosa sia, ce lo dovremmo inventare altrimenti lo sapremmo cos'è.

Dal "chi" al bisogno di dio il passo mi sembra breve, non facile ma breve. Servono menti scaltre, capaci di non trascurare ogni dettaglio, capaci di avvertire l'errore… o almeno questo è il pensiero del non credente, o del dubbioso. In fondo, a parte lo stato di timorata sudditanza, non fa gran differenza. In fondo le religioni sono scuole di pensiero e di esistenza, differenti per menti differenti tra loro. Differenti come lo sono stati i loro maestri, o quel che ne è stato di quanto hanno predicato. Pertanto i cattolici hanno l'amore, gli ebrei si interrogano la loro intelligenza, i musulmani conoscono il fuoco della preghiera… e così via continuando per stereotipi.

Si ha la sensazione che anche l'ateo più rispettoso della vita in fondo mantenga le distanze con essa… mentre il religioso può dire di farne parte. Ecco perché serve distinguere tra religiosità e religioni. Le religioni hanno dogmi a cui attenersi, offrono verità alle quali si può solo credere; ma finché si crede si ha bisogno di ciò in cui si crede. Sentire di far parte della vita, non è esattamente come credere di far parte di un'azienda, è un'esperienza che appartiene sia ai credenti che ai non credenti.

E' un po' questo che intendevo quando, nei vecchi interventi su questo tema, tentavo di restituire il senso di religiosità all'ateismo, a partire dalle cose più ordinarie per finire ai temi più lontani, sul senso della vita e sulla sua conoscenza. Ne deriverebbe la rottura di molti ostacoli verso il benessere, ma soprattutto levando di torno ogni senso di colpa, porterebbe a gioire. Non fosse che sembra tardi o che non ci sono evidenti ragioni per poter gioire, ma di questo i sembra ne siano convinti sia gli uni che gli altri.

Rita Simonitto si pone anche il problema del noi incapace di trovare accordi con l'io, non potendo definire quest'ultimo ne va che viene smarrito il senso del noi. Ne consegue che risvegliando quell'io potremmo giungere ad una nuova definizione del noi che, se religioso in senso lato, riguarderebbe qualsiasi altra cosa o animale e non solo l'umanità. E la poesia ci starebbe a meraviglia. Non fosse che stenta ad essere socialmente di tendenza (so quel che dico), forse per il fatto che i poeti non riescono più a vedere i temi di fondo, un po' perché guardano molto al passato e un po' perché guardano troppo a loro stessi. Chissà. Che abbiano bisogno di quell'altro che non si sa cosa sia?

mayoor

Anonimo ha detto...

A Mayooor

L'altro esiste solamente nel momento in cui riconosciamo il nostro sè e riconoscerlo, tu ben sai, non è facile. Certo è uno sforzo che va fatto .Anche nel nemico troveremo un po' di noi. Nelle religioni, nelle chiese, ho trovato comunanza , ho cercato di capire mi sembrava d'aver capito, ma poi ho sentito il limite, l'ubbedienza a tutti i costi, l'indifferenza per certi errori... . Ora guardo tutti cercando di non perdere me stessa e Dio lo sento in tutta la sua grandezza anche quando scopro esseri viventi che non siano persone. Parlo per me certo, ma tanti tantissimi ho trovato che la pensano così e spero di trovarne ancora. La giustizia la cerco nella gente ognuno di noi ha bisogno dell'altro. Ciao Emy

Moltinpoesia ha detto...

Ennio a Mayoor e Emy e per adesso velocemente:

Dio a me pare il punto di vista (immaginario) in cui ci mettiamo per guardare noi, le cose e il mondo, quando siamo stufi dei punti di vista parziali, coatti, insufficienti, sgradevoli con cui guardiamo di solito noi, le cose e il mondo.
Quando non sappiamo più cosa dire di sensato ed efficace sul governo Monti, la morte di un amico, i No TAV, la Shoa, ecc. la tentazione è quella.
Per i poeti poi...

Anonimo ha detto...

a Ennio:

che brutto quadro!

Anonimo ha detto...

Ho dimenticato la firma sopra: Emy

Anonimo ha detto...

All'attualità si preferisce la modernità, meglio se con un post qui e un post là. intanto le cose stanno come stanno, tutto è evidente eppure non se ne capisce nulla. Solo tentativi alla cieca.
In quanto ateo religioso non posso essere che d'accodo, ma vedo anche quant'è difficile uscire da schemi e ideologie.
mayoor

Anonimo ha detto...

... meglio dire "in quanto religioso non credente". Essere atei sa di sentenza.
mayoor

Anonimo ha detto...

Rita Simonitto

Vorrei rubare a Mayoor questo splendido ‘incipit’:
“Tutto è evidente, eppur non si capisce nulla.//Solo tentativi alla cieca”.
Credo che questi versi lapidari e densi (perché, per me ovviamente, di versi si tratta), esprimano il senso profondo di quanto stiamo discutendo in questo post.
E anche il senso profondo del poetare: esplorare il ‘reale’, ovvero ciò che appare, per andare alla ricerca di ciò che lo sottende; ma non nel senso di andare alla ricerca della ‘verità ultima’, perché in tal modo usciremmo da quel “qui e oggi” che segnala G. Mannacio e che si deve indagare. E’ il qui ed oggi che ci pone interrogazioni, anche se a queste purtroppo non sappiamo ancora dare delle soluzioni dato che ci mancano parecchi dati del problema. Il citato aforisma di Blanchot intendeva mettere in guardia dalle facili e repentine risposte; dai saccheggi del passato al fine di dare una parvenza di ‘nobile discendenza’ a ‘trovate penose’; dallo spacciare per 'novità' mummificate teorie come la 'dottrina sociale di mercato',tirata in ballo da Prodi; ad una nullità di pensiero che, nel devastato panorama attuale, dove sembra che tutti siano ciechi, adorna il ‘monocolo’ di un manto regale.
Le domande poste dal pittore Gauguin nel suo celebre quadro, aprono appunto al mistero; mistero – e qui veniamo al dunque – che i linguaggi religioso-filosofico-scientifico hanno cercato di sviscerare, ognuno di essi secondo le proprie specificità. Poi, come dice Ennio, *quando siamo stufi dei punti di vista parziali, coatti, insufficienti, sgradevoli…* chiamiamo in causa Dio e il suo apparato di servizio espropriandoci in tal modo della nostra capacità mentale così duramente e soffertamente acquisita. Il nostro fragile Io, che certamente ha bisogno dell’altro (come dice Emy), ma che non può perdersi totalmente nell’altro nell’illusoria tentazione mistica di riunire il molteplice in uno, ha anche bisogno di trovare altre strade.
Che ci fa la poesia in tutto questo bailamme?
G. Mannacio, nel suo commento, dice *…non saprei dire se esiste una Poesia Religiosa in senso proprio e forse neppure mi interessa saperlo*.
Sì, c’è una Poesia Religiosa quando essa è diventata in un certo qual modo l’espressione istituzionalizzata dell’esperienza mistica relativa al rapporto dell’essere umano con la divinità (intesa anche come mistero). E, se detta Poesia viene letta in tal senso, diventa sacra, intoccabile e perde ogni sua valenza come tentativo di esprimere l’indicibile.
Prendiamo il testo lirico delle Sacre Scritture, il Cantico dei Cantici, dove parla dell’amore tra uomo e donna in tutte le sue dimensioni. Questa composizione poetica è molto bella. Però è come se risentisse del fatto di essere portatrice di un messaggio obbligato, di un credo. Per capire la differenza emotiva, oltreché di linguaggio, si confronti il passo di Tamar e Amnon nel Cantico dei Cantici con il Tamar e Amnon di F.G. Lorca.

[segue]

Anonimo ha detto...

Rita Simonitto
[segue]

Oppure prendiamo il mistico Giovanni della Croce (1542-1591). Così lui illustra il suo pensiero nel suo poema *Salita al Monte della Perfezione*, esprimendo in quei versi la sofferta ricerca di mettere in contatto il Tutto e il Nulla:
= Per giungere a gustare il tutto, non cercare il gusto in niente.
Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente.
Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente.
Per giungere alla conoscenza del tutto, non cercare di sapere qualche cosa in niente.
Per venire a ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi.
Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai.
Per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove ora niente hai.
Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove ora non sei.=

Vediamo la parafrasi fatta da T.S.Eliot in East-Coker, con tutt’altra idealità:

=In order to arrive there,
to arrive where you are, to get from where you are not,
you must go by a way wherein there is no ecstasy.
In order to arrive at what you do not know
you must go by the way which is the way of ignorance.
In order to possess what you do not possess
you must go by the way of dispossession.
In order to arrive at what you are not
you must go through the way in which you are not.
And what you do not know is the only thing you know
and what you own is what you do not own
and where you are is where you are not. =

(mi scuso ma non ho sottomano la traduzione)

Possiamo comunque vedere come cambi la tipologia del linguaggio: il primo molto concreto e l’altro più evocativo.
La "trascendenza" di tipo plotiniano dell'"abbandona tutto" significa lasciare ogni possesso, ogni identità. Rappresenta l'incoraggiamento a perdere tutto per trovare in questo vuoto, spinto alle estreme conseguenze, il vero fondamento dell'identità.
Ma non c'è soltanto quella via.
Come sottolinea G. Mazzoni, *le persone possono trascendere se stesse attraverso la fantasia, l’immaginazione simbolica; possono attribuire significati alle cose e costruire ciò che Stevens chiamava “finzioni supreme”, riuscendo in questo modo a significare più di ciò che sono*.
Ma, per l’appunto, devono percepirsi come ‘personae’ , capaci di assumersi singolarmente la responsabilità del loro sentire PUR appoggiandosi ad una rete *di convenzioni, progetti, illusioni, desideri, sogni condivisi…*
Vorrei chiudere con questa citazione di Brecht da Santa Giovanna dei Macelli:
*Uomo, due sono le anime
che nel petto chiuse alberghi!
Non voler sceglierne una,
tutt'e due portarle devi!
Resta in lotta con te stesso!
Sdoppia in te le forze tue!
L'anima alta,
l'anima bassa,
l'anima pura,
l'anima impura,
tientele tutt'e due!*

[fine]

Anonimo ha detto...

Interessante la descrizione delle due vie, l"abbandona tutto" e la trascendenza immaginativa. Pare non ci sia gran differenza tra le parole dei mistici e quelle dei poeti, se differenza c'è sta nelle persone: incontrando il mistico non noteremmo discrepanze tra il dire e l'essere, incontrando il poeta qualche delusione ce la dovremmo aspettare. Ma è solo una constatazione che non invalida la qualità del volo. E va notato che non c'è astrattezza nelle parole scritte che hai riportato, ne' in quelle dei mistici ne' in quelle dei poeti. Questo lo dico perché è opinione diffusa che la religiosità non sappia tener conto del reale, che invece sta al centro di ogni riflessione. Inoltre i versi religiosi non si limitano ad essere descrittivi, ma come nella logica interpretano evitando emotività. Cosa non facile perché il terreno è minato già da lungo tempo.
mayoor

Anonimo ha detto...

Anche un ateo potrebbe scrivere una poesia religiosa, basterebbe sentirne il bisogno di farlo, perchè no? Ecco la poesia può dare la possibilità, come tutta l'arte di vivere anche situazioni fuori da noi. La religiosità che nella pratica è un insieme di regole, per arrivare a capire il soprannaturale, ecco che nell'arte le regole le stabilisce l'artista spesso in maniera eccellente, quasi divina. Sono sempre sensazioni le mie, ma l'arte è anche questo (per me soprattutto) ma ognuno può godere di ciò che da egli stesso arriva e può trasmetterlo agli altri in varie modalità, la più bella è l'arte. Emy

Anonimo ha detto...

Ciao Emy, dissento solo sulla definizione che dai della religiosità, che per me è un particolare atteggiamento verso la vita, più rivolto al sacro (ciò che è importante ) e alla conoscenza in se' che al soprannaturale. E' solo nelle religioni che nella pratica diviene un insieme di regole.
mayoor

Anonimo ha detto...

Un cappello in festa
scorre nel torrente in piena
era di quel pazzo di Giuseppe
che lo fece volare
guardando il cielo
diceva di aver trovato Dio.

Emy

Anonimo ha detto...

Hai ragione Mayoor il mio potrebbe essere un errore, ma anche la religiosità è molto vicina alla religione,almeno filosoficamente. Ciao Emy

Anonimo ha detto...

Indubbiamente, ma può starsene fuori ed è un atteggiamento possibile anche per i non credenti. Ad esempio potrebbe ridare linfa e significato a parole magnifiche come devozione e celebrazione, che nelle religioni son canonizzate. Ma forse sto andando fuori tema.
mayoor

Anonimo ha detto...

a Mayoor
non stai andando fuori tema , stai parlando una stupenda lingua. Ciao Emy

Anonimo ha detto...

Sono abituato a cercare la precisione dei concetti.A volte ci risco, pià spesso no.Quando ho posto in dubbio l'esistenza di una poesia religiosa intendevo porre il problema dells sua corretta definizione.Se, come sembra, religiose allude ad un legame i miei dubbi si rinforzano.Per me - non esito a confessarlo - la poesia non nasce da una unione con qualche cosa ma da una condizione di separatezza da questa cosa.Ha a che fare con la finitezza e l'abbandono. Ha senso " cantare in eterno in paradiso"? Ha senso il parlare con qualcuno che alal fine è me stesso? Giorgio Mannacio

Anonimo ha detto...

Alla fine del mio commento precedente ho messo, dopo la citazione del mistico Giovanni Della Croce, la poesia di Brecht.
Non si può dire certo che si tratti di una poesia ‘religiosa’, eppure tratta dell’invito a non tenere separate le due anime, la pura e l’impura ecc. ecc. In fondo potrebbe essere letto come una spinta a trovare l’unità dei ‘contrari’ che, secondo un’ottica religiosa, potrebbe anche essere tradotto con una ricerca dell’Assoluto, ovvero Dio. Quell’Uno che si divide in due, e che poi porta alla ricerca mistica della ri-unione (o mitologica, come nel mito dell’Androgino, nel Simposio platonico). Ma, lo sappiamo bene, che è ben altro l’intendimento di Brecht, il quale è lungi dall’aver fatto una poesia religiosa!
Potremmo supporre che la poesia si possa chiamare ‘religiosa’ quanto al suo oggetto, o al suo fine. La ricerca appunto della divinità, o nella divinità; oppure l’espressione del lamento per il fatto che a essa divinità non ci si arriva, o perché l’essere umano è separato dalla sua Fonte e si dispera in quanto abbandonato a se stesso.
Tra le tante definizioni di che cos’è la Poesia ci metterei: “è l’arte della domanda”. E, se c’è la domanda, significa che c’è qualche cosa che manca, qualche cosa che ci fa sentire ‘separati’, non pienamente interi.
Ma, diversamente dalla poesia 'religiosa', dove, alla fin fine, la ricongiunzione va, o andrà, sempre a finire in quel luogo, nella divinità (o nelle varie forme di manifestazione del divino, natura compresa), nell’arte della domanda, invece, non c’è ‘aprioristicamente’ necessitata la ricongiunzione. Diventa fondamentale lo stimolo alle esplorazioni che la domanda suscita più che la risposta (questo anche il senso dell’aforisma di Blanchot).
Quando Leopardi, nel Canto Notturno di un Pastore Errante, chiede alla luna: “Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, silenziosa luna?” non si aspetta la risposta dalla luna, ma utilizza la sua domanda per sviluppare, in un susseguirsi infinito e sfinente, altre domande: le sofferenze della vita hanno una spiegazione che la luna conosce o invece così non è in quanto l’essere umano è tragicamente e indiscutibilmente dentro la negatività del destino? E avanti.
Posso sentirmi legato alla luna in quanto 'attrice' che ho messo in scena nel mio teatro per rappresentare un mio dubbio, una mia sofferenza e vedere come poi procede la recita, ma non posso pensarla come 'messaggera' reale (e quindi, non metaforica) di una divinità.
Rita S.

Anonimo ha detto...

Si ha per interesse verso il mistero, e non solo per ciò che si riesce a comprendere. Data una qualsiasi verità, l'interesse si rivolge all'indefinito. Questo era anche il modo di procedere di Leonardo Da Vinci, che non era un mistico: ritrarre personaggi per poi immetterli nel contesto di luoghi indefiniti e sfumati, perché questa era per lui la raffigurazione della scienza. La scienza era per Leonardo la verità simbolica. Ecco il punto: intendere la realtà come la vediamo come un riflesso della realtà simbolica. L'assenza di simboli è assenza di religiosità.
mayoor

Anonimo ha detto...

... qualsiasi cosa, oltre a dio, può essere assunta a simbolo. Dal marxismo all'astrologia. C'è differenza ovviamente, ma non per quanto concerne l'uso del simbolo. Il simbolo è in conflitto con la razionalità perché l'attrae a se', sia sottilmente che in modo palese. Ma questo ne sottolinea la forza e, mi verrebbe da dire, anche l'ampiezza.
Mayoor

Anonimo ha detto...

Il simbolo più interessante siamo noi quando pensiamo a Dio. Emy

Anonimo ha detto...

Vero. Infatti, ad esempio, il Buddismo e il Jainismo non credono in dio perché mettono l'uomo al centro. Per queste religioni l'uomo è in viaggio verso la propria divinità.
mayoor

Francesca Diano ha detto...

Mayoor, il buddismo e il jaininsmo non sono religioni, ma dottrine o filosofie di vita. Sarebbe come dire che il pitagorismo o l'epicureismo erano delle religioni. Entrambe queste dottrine non è che "non credono in dio", ma è che semplicemente non lo contemplano, perché, come giustamente dici, considerano centrale il percorso dell'uomo e il suo tendere al Sacro. Non c'è dio, ma il Tutto che diviene Nulla.
Tutto questo dibattito è interessantissimo. Aggiungerei però il concetto di 'Sacro' che, più del concetto di 'religioso' anima la poesia dei mistici. Dalla Bhagavad Gita a Santa Teresa, dai poeti sufi a Tagore, da Suor Juana de la Cruz a Giovanni della Croce ecc. Compreso lo stesso Leopardi, come bene indica Simonitto.
Rispondo anche al tuo concetto di "separatezza". Per poesia religiosa io intendo una poesia che ponga al centro dio e non l'uomo. Dio come ricerca o, come negli Inni Omerici o negli Inni Vedici, la celebrazione della grandezza e della 'potenza' di dio. Qui la separatezza esiste, perché dio non è desiderio, o oggetto del desiderio, ma soggetto. Per poesia mistica invece intendo la ricerca della fusione col Sacro, della trascendenza dell'io perché si annulli, il desiderio assetato dell'anima che trascende il corpo, perché la sua individualità si annulli completamente.
Solo piccole note che non intendono essere certo né esaurienti né definitive.
Davvero un post ricchissimo questo di Rita. Grazie