sabato 12 maggio 2012

Paolo Pezzaglia
Quattro variazioni sulla rosa


A proposito di rose e ricordando ovviamente le rose di Ronsard (Comme on voit sur la branche, au mois de mai, la rose,/ En sa belle jeunesse, en sa première fleur,/  Rendre le ciel jaloux de sa vive couleur...) ecco le mie “rose” tra naturale sboccio di primavera e l’inevitabile entropia (che mi ossessiona). [P. Pezzaglia]

L’APPRENDISTA E LA ROSA

Legato alla ruota degli eventi
nel doloroso smuoversi
dell’eterno orologio,
spingendo anch’io la magìa
che tutto svolge,
si rivela la mia stessa
morte abbagliante e certa.

In una sola realtà, in una sola lusinga
rosa di donna  e fama.
Poi sgretolamento e ritorno…
……………………………..


LA MALIA E LA ROSA

Se nel parlare
il gioco dei ruoli
s’intrìca
e la dolcezza si gonfia
come splendida goccia
e, sotto i capelli neri,
la pelle
è irresistibilmente bianca,
è luna crescente.
Se guardi invece
la mezzaluna nera
è Lilith che ti attira
nella sua corrente oscura,
e improvvisamente
tutto è assenza:
lontane e offuscate
non afferri le parole
che pure hanno inciso
i petali della rosa nascosta
O profumata prigioniera
nel mio chiostro di Ninive,
tra tormentati contrasti
breve sollievo ricorrente,
ti riconosco mia rosa...
………………………

SATURNO E LA ROSA

Polvere,
grigia concrezione
dell’ippogrifo,
gloria della tua età, Saturno.

Continuo, progressivo franare
senza capovolgimento
possibile…
………………….
Senza la poesia,
che trae dalla terra
e dall’acqua vischiosa
il loto e la rosa?

ROSE DI SABBIA
Secerne la mia anima
una resina strana.
Cristalliza,
nel mio deserto,
in rose di pietra.

Più facile sarebbe
l’incoerenza
dei granelli di sabbia.





6 commenti:

Anonimo ha detto...

Giungono come le corrispondenze private di un poeta, di un amico, che abbia scelto l'eremitaggio. Solo nel suo deserto e libero di meravigliarsi senza contaminazioni sociali. Tanto solo e indipendente da trasferire la visione urbana, e se stesso, in luoghi sabbiosi, primitivi e popolati da misteriose divinità. Testimonia di un vissuto onirico, privato, dove l'io è protagonista perché non sembra esserci altro. Tra i Molti, ma con distacco estremo, quasi cercando l'assoluta indipendenza che inevitabilmente lo porterà all'ascetismo.
Arriveranno le parole di grande saggezza che è legittimo attendersi da un eremita? " Sgretolamento e ritorno", sgretolamento dell'io infelice e ritorno... all'eremitaggio, alla vita che facciamo un po' tutti?
mayoor

Anonimo ha detto...

Traggo dall'altro post di Ennio Abate:
Pedota lo dice a chiare lettere: per sfuggire al linguaggio massmediale imperante, l’unica soluzione è addentrarsi «nella terra di nessuno dell’ignoto del Dopo il moderno» (p. 53). Perciò «la poesia se vuole recuperare il sostrato umano universale non può non tornare alla fase magico-numinosa per aprirsi all’inintellegibile»
Ammettendo d'essere d'accordo ci saremmo, ma Pedota parla di "umano universale". Dunque mi chiedo: in cosa consiste l'universalità?
mayoor

Anonimo ha detto...

Ah la rosa! Questo fiore così forte,carnoso, bello anche quando sfiorisce. La donna è stata spesso paragonata alla rosa. La rosa nella poesia di Paolo è simbolo femminile di morte e di vita, pensate se morte e vita fossero state al maschile... . Ritornare al mondo con queste belle rose sarà sempre una magnifica sorpresa! Bravo Paolo. Emy

Anonimo ha detto...

Caro Paolo,molto belle le tue poesie.
Il tema della rosa è stato trattato da te con originalità e novità di contenuti. I riferimenti culturali e filosofici ci illuminano non solamente sul tuo percorso intimo e personale,ma sollecitano una ricerca anche al lettore.
Le poesie, secondo me, sono riuscite anche da un punto di vista stilistico,composte e raffinate.
Maria Maddalena Monti

Anonimo ha detto...

è un dire troppo piano, stentato, filosofico. Non sento il profumo, non vedo il colore, forse non sono fiori le rose.

Anonimo ha detto...

Usiamo ancora
una ferma umiltà
contro l'arroganza.
Che cada su se stessa
come l'onda
col suo tonfo
sulla compatta spiaggia.
Paolo Pezzaglia