martedì 12 giugno 2012

Adriano Accattino
Da "Poesia dell’impoetico"
con una nota di Giorgio Linguaglossa



Adriano Accattino Poesia dell’impoetico Mimesis, Milano, 2012

Molti corrono lungo la superficie
dell’esterno,altri al suo interno:
pochi all’interno dell’interno
e pochissimi si buttano fuori
dall’interno nel cavo sfondato.

Ma veramente speciali sono quelli
che spaziano su tutto e dall’esterno
dell’interno,e poi risalgono
nello spessore fra le due facce.

*

Se sloghi
le sue giunture
se smonti quella scatola
evi pratichi aperture,
puoi trovarti fra le mani
un resto lucido e bello
o anche uno sterco
ributtante: cento volte
questo e una quello.

Sarebbe facile
consegnarti la ricetta;
ma esiste solo
quando riesce; la seconda
volta che la applichi
non funziona più.
Ogni voltati tocca
cambiare: questo rende
la faccenda divertente.

*

Una parola non resta
la stessa: ogni volta che è profferita
si differenzia dalle mille
apparentemente uguali
pronunciate prima.

Per un granello di diversità
modifica la muraglia
del linguaggio:
toglie qualcosa e aggiunge
qualcos’altro.

Così il linguaggio risulta
un corpo variabile,
in continua avanzata su un lato
e in continua ritirata su un altro;
in tal modo si sposta. 


*

Poesia è quanto mai lontana
da ogni stabile fondamento;
ciò che viene fermato per forza
di parola è perduto alla poesia.
La mobile parole, invece, non lotta contro
il travolgimento ma lo seconda;
non fissa il limite all’illimitato,
non riduce a misura lo smisurato,
non impone blocchi all’agitato.

La parola poetica consiste
in altre condizioni: così
essa resta all’aperto e nomina.
Se non possiede la facoltà
diretta di dare nome ed esistenza,
di donare senza mediazioni, non serve;
tra mondo e parola è riuscito
a infilarsi quel solito terzo incomodo
che fa da padrone nella storia.

*

Poesia è un colloquio impossibile.
Non costituisce certo
il fondamento su cui
ci troviamo uniti. Assolutamente
non fa nulla per sorreggerci.

Non facilita gli incontri
che presuppongono l’appartenenza
a uno stesso piano: qui
le lingue sono quanto mai distanti.

Ci si può ridurre in comune a prezzo
d’altezza; ci si mette
a comunicare diminuendo
la velocità. Ma qui altezza
e velocità sono sempre al massimo.

 * Nota di Giorgio Linguaglossa

Questo libro di Adriano Accattino, un mix di componimenti riflessivi sull’essenza del «poetico» e di considerazioni sull’«impoetico», è una singolare riflessione sulla riconoscibilità del «poetico» nel suo rapporto fenomenologico con l’«impoetico». È una riflessione sull’essenza ontologica della poesia come di un ente che si situa all’interno e all’esterno di un altro ente che l’autore chiama l’«impoetico». Che cos’è l’«impoetico»? Accattino lo rivela subito: il «poetico» è «l’impoetico non ancora rivelato». E continua la sua interrogazione, si chiede: che cos’è il «poetico»?, «è agevole individuare una composizione poetica: ci soccorrono la letteratura, la scuola, l’orecchio; ma di fronte all’impoetico ci troviamo del tutto impreparati. Esso… è un poetico altro, lontano ancora dal diventare universalmente noto e accolto. Non è un valore affermato, ma qualcosa che si deve andare a cercare e si deve imparare a riconoscere… L’impoetico è dunque una questione di scoperta precoce… Per scovare l’impoetico e cioè il poetico non ancora rivelato, il cercatore s’indirizza a un segnale, a un richiamo che l’impoetico stesso alza: l’affermazione… della sua poeticità, mentre tutti sono convinti del contrario. (…) Il problema sta dunque nel riuscire a captare l’impoetico nel momento in cui appare…». (p. 114)
Dunque, tra il «poetico» e l’«impoetico» si instaura una sorta di nemicizia, di estraneità e di oppositività. Il discorso di Accattino è dunque una riflessione sulla riconoscibilità di un demanio (il poetico) che esclude sempre l’altro (l’impoetico); una oppositività non dialettica né dialogica ma, che definirei ontologica. Ovviamente, con questa impostazione del discorso non resta spazio alcuno alla interpretazione del testo intesa come attività critica in quanto essa resterebbe sempre dipendente dal concetto di poeticità prevalente o maggioritaria. Una sorta di bocciatura in toto del pensiero critico che proviene dalla stessa percezione dicotomica entro la quale Accattino vede la questione della poesia. Il risultato di questa impostazione concettuale è la convinzione secondo cui il poetico apparterrebbe alla sfera del «miracolo»: «la miracolosa transustanziazione dell’impoetico nel poetico»; «ma quale senso può mediarsi da ciò che è immediato o non è? (…) La poesia non tollera intermediari né intromissioni; resta inspiegabile e non sopporta spiegazioni, che in effetti la impoveriscono. È una lingua speciale che non può essere interrotta dai nostri grugniti di commento» (p. 87).
Dove è evidente che dichiarare «l’inspiegabile» della poesia equivale a dichiarare la bancarotta del pensiero.
«La poesia… tende a trasformarsi nel proprio opposto, l’impoesia, mentre questa, a sua volta tende alla poesia» (p. 118) «la poesia si nutre del suo contrario e verso il luogo del contrario si muove e si sviluppa (…) Continuamente insoddisfatta di sé, si spinge verso qualcosa che le sta fuori e oltre: dilaga verso l’esterno (…)mentre la poesia si allarga a coprire e incorporare nuovi spazi, insieme si ritira dai vecchi ambiti ed espelle le vecchie sostanze» (p. 121).
Molto brillanti e acute sono alcune riflessioni sparse, ad esempio: «spiegare il senso della poesia è come alitare su uno specchio e disegnare col dito ciò che si vede dal riflesso»; (p. 87) ma altrettanto indubbio è che l’adozione di un impianto concettuale dicotomico preclude all’autore un maggiore approfondimento della questione, questa sì ontologica, della esistenza della poesia nel nostro tempo.


  

3 commenti:

Anonimo ha detto...

"tra mondo e parola è riuscito / a infilarsi quel solito terzo incomodo
..."
avesse scritto tra critica e poesia e sarebbe forse lo stesso, senonché "veramente speciali sono quelli / che spaziano su tutto e dall’esterno / dell’interno,e poi risalgono / nello spessore fra le due facce."

A me sembra pura (e divertente) enigmistica, se ne accorge anche Linguaglossa che quasi ci stava cascando. Dico quasi perché, in conclusione del suo commento, finisce con un generico invito a svolgere un "maggiore approfondimento della questione"... touché.

Uno orizzontale:
... ogni volta che è profferita
si differenzia dalle mille
apparentemente uguali
pronunciate prima.

Un degno competitor a cui si potrebbe rispondere facendo una sola scelta di campo: l'intercapedine che sta tra poetico e impoetico, dove è possibile guardare in entrambi a patto che si resti fedeli all'unicità e alla non ripetitività dell'affermazione.
Mi piace.
mayoor

giorgio linguaglossa ha detto...

una persona che conosco mi ha dato il suo libro di poesia, poi quando le ho mandato uno scritto critico mi ha detto che non ha capito nulla della mia nota critica. Indirettametne recrimina contro i critici che scrivono in modo impervio e ostile... ma il linguaggio della critica deve essere impervio, almeno quanto quello della poesia, altrimenti tutto diventa pianura, anzi, discesa. La poesia di qualità richiede al critico una strada in salita, richiede di andare, come dice Accattino, verso l'impoetico, deve sondare l'impoetico. In una parola il poetico non nasce dal poetico. È vero il contrario: che il peotico nasca dall'impoetico. Il rapporto è dialettico e conflittuale.
Per questo motivo ritengo molto importanti le argomentazioni di Adriano Accattino: proprio perché ci consentono di allontanare da noi il poetico...

Anonimo ha detto...

L'impoetico prevale sul poetico e forma un quadro di assoluta grandezza nel momento in cui Accattino scrive:
"Se sloghi le sue giunture
se smonti quella scatola
e vi pratichi aperture,
puoi trovarti fra le mani
un resto lucido e bello
o anche uno sterco
ributtante: cento volte
questo e una quello"

Nel resto ho trovato però un po' troppo "io", che non passa resta fermo nelle righe a vantaggio forse solo dello stile.
Sto cercando di imparare a considerare la poesia in tutti i suoi aspetti e so di avere davanti un lungo cammino. Emy