sabato 7 luglio 2012

Giorgio Linguaglossa
Su "L’appropriato governo del fuoco"
di Alessandra Palmigiano


Alessandra Palmigiano L’appropriato governo del fuoco La Vita Felice, Milano, 2012 

Non siamo proprio alla teatralizzazione dell’io come avviene nel genere di poesia frequentata nell’occidente dell’epoca della stagnazione ma in un sotto-genere che elegge il «tu» quale destinatario dei testi-missiva; Alessandra Palmigiano opta per l’esplicita forma dialogica del «tu» e parla con un misterioso lettore «implicito», una specie di «doppio» (?) della propria coscienza, oppure con il lettore spettatore, etc. Leggo nel risvolto che l’autrice si occupa di «logica»; e non c’è dubbio che è una poesia che riscuote il plauso della sfera razionale del lettore senza penalizzare, direi, neanche l’emisfero deputato alla immaginazione del lettore. Palmigiano racconta sempre un evento preciso (un non-detto, un implicito) con il massimo risparmio di parole e con il massimo di elusività, ecco la ragione della incisività del verso lineare di questa poesia, che termina proprio lì dove deve terminare, ma il significativo è nel verso successivo: si nasconde in una omissione, in un patto tacito, nella elusione, nel non-detto. La traduzione in inglese dei testi ci aiuta a metterci in consonanza con il linguaggio dell’autrice, se non altro per la nota predilezione dell’inglese per le forme attive  e pragmatiche.
 Il lettore viene dunque posto davanti ad un evento-racconto, il non-detto, l’inesplicito, da cui può trarre una indicazione (ma  non di vita e mai di rotta esistenziale). Non c’è un versante «edificante in questa poesia», il lettore non viene disturbato con eccessi enfatici. E questo è un punto a vantaggio dell’autrice che mostra una sicurezza di dizione e una icasticità del lessico di accorta fattura. È una particolare poesia di inazione, di impliciti, di non-detto questa dell’autrice che vive ad Amsterdam. Non si tratta, credo, soltanto di un metodo di composizione ma è anche e soprattutto un metodo di addestramento alla vita, esercizio militare dell’anima, esercizio spirituale:

Last Night Conversation

con un oceano ed un continente in mezzo
attiviamo canali,
sondiamo le reciproche intenzioni:
parlando d’altro, come facciamo sempre
le mie scelte, i miei gradi di libertà –
ma la tua voce diventa più profonda
e mi chiedi se mi puoi chiamare a casa:
ogni cosa al suo posto,
fatta salva un’inezia:
vedi, la notte in cui mi stai parlando
è qui dalla mia parte per intero.

Se prendiamo ad esempio la composizione base della poesia di Alessandra Palmigiano, ci accorgiamo che l’autrice compone come riprendendo il filo di un discorso abbozzato nella pagina precedente, e così via, si può leggere il libro a ritroso, dall’ultima alla prima composizione e nulla cambierebbe del senso complessivo. Perché non c’è un senso né complessivo né dell’attimità, né parziale, né provvisorio. Le composizioni entrano subito nel tema dialogico: c’è l’introibo ad un obiectum esistenziale, per lo più un «negoziato», un «patto» tacito, un sortilegio:

qualcuno, anni fa, ad un dopopranzo
mi parlava di un certo, e alquanto ostile, negoziato:
per spiegare le mosse della sua controparte
fece sul tavolo il gesto di un cerchio con un dito,
su cui la controparte si muoveva, a chiuderlo,
a rendere perfetta la sua incontendibilità.
allora, quel qualcuno la seguì sul cerchio per riaprire:
muovendosi non in verso opposto, ma nello stesso.

C’è una componente «sacrale» in questo metodo ma è un «sacro» nutrito di falso e inautenticità «Non si dà vera vita nella falsa» scriveva Adorno in tempi non sospetti in Dialettica dell’illuminismo. Nel frattempo, il mondo è diventato integralmente falso, immagine fasulla, e l’«io» è una forma di questa immagine, il «tu» è immagine (falsa), il tempo e lo spazio sono immagini (false non soltanto in quanto relative). E così via. Il segreto è nell’assenza. E sarà compito del lettore proseguire l’indagine nell’atto della lettura, nell’atto dell’investigazione. In questo genere di poesia è prioritario l’atto della investigazione. La poesia si costruisce come descrizione e interpretazione del non-detto, del non-accaduto. Il  momento dell’analisi precede appena d’un soffio il momento della deduzione; l’analisi è, insieme, retrospezione e prospezione, osservazione del dettaglio e visione dell’insieme, visione panoramica dell’io e del tu. Di qui l’abbondanza di deittici.
Una procedura rigidamente sottoposta alla struttura, alla logica della sintassi. Il metodo di scrittura della Palmigiano consente lo scorrimento delle proposizioni, è una procedura che rimanda ai rapporti di inferenza e inerenza tra l’io e il tu, ovvero, un percorso duale, relazionale dal quale ciò che si è definitivamente assottigliato sembra essere la «sostanza», le stoffa delle relazioni umane. La stessa abbondanza di deittici, dicevo, cioè di quelle unità pronominali e avverbiali che si possono rintracciare in questa poesia, sono una spia delle relazioni spaziali e temporali che si organizzano intorno al «soggetto», che costituisce il principale punto di riferimento, il semaforo «significazionista (?)» e relazionale delle composizioni.

osserva bene questo posto, fattene
un’immagine: guarda
e ricorda i miei libri, il tavolo
il vino che ti verso, ciò che vedo
dalla finestra.
non è importante ciò che ti dico
o come ti intrattengo:
guarda gli spigoli in mezzo a cui vivo,
come non ho
ancora niente da perdere qui,
tocca il mio catastrofico vantaggio.
la mia vita è l’uovo che mi cova
e qui ti aspetto.

*

se tu fossi per me nella mia vita come uno di quegli strumenti
al fondo della cui perfezione non si riesce ad arrivare:
un cesello, oppure un coltello dal bilanciamento infinitesimo
che inducono la mano alla sua presa, come ad un miracolo;
se così fosse, potrei accettare allora la rinuncia,
in cambio del miracolo, ad arrivare al fondo della comprensione tua.

13 commenti:

Anonimo ha detto...

"in cambio del miracolo, ad arrivare al fondo della comprensione tua."

Lo chiama miracolo. Lo dice come fosse un fatto ordinario, o almeno il tono è quello. Quindi due sono per me le spiegazioni possibili: o siamo di fronte ad un caso di abbassamento forzato del tono emotivo, oppure e al contrario siamo nello straordinario incessante di un universo parallelo, che si manifesta in altra ordinarietà.
Faccio un esempio sicuramente non pertinente: un conto è leggere le poesie della Merini e un altro è sentirgliele leggere. La sua lettura è colloquiale, confidenziale, quasi atona, ma la scrittura sembra avere altri accenti. Per quanto ho potuto cogliere in questi pochi versi della Palmigiano siamo all'opposto: è la scrittura ad avere una micidiale compostezza.
mayoor

Anonimo ha detto...

Ringrazio Giorgio Linguaglossa per la sua lettura, ed il commentatore anonimo per il suo intervento. Ci sono moltissimi spunti riguardo cui vorrei commentare; purtroppo sono in viaggio, ma tornero' online stasera. Ringrazio in anticipo chi vorra' nel frattempo lasciare un commento.
Alessandra Palmigiano

Anonimo ha detto...

l’appropriato governo del fuoco racconta – dalla fine all’inizio – la storia di un corteggiamento non andato a buon fine. L’inazione, il non-detto, l’inesplicito, giustamente rilevati da Giorgio Linguaglossa (cui io aggiungerei: l’inespresso) sono il portato di una situazione in cui gli spazi dell’iniziativa, del riuscire a far succedere le cose, vengono progressivamente ridotti fino a scomparire. In questo contesto, la scelta del «tu» è stata quasi una non-scelta, nel senso che, tra le tante possibilità di strutturare questa raccolta che ho preso in considerazione, non ho mai considerato un’ipotesi diversa da un «io» rivolto ad un «tu», che, molto semplicemente, è la controparte nel corteggiamento. Ma l’osservazione di Giorgio Linguaglossa mi ha aiutato a capire che in realtà una scelta, anche se non perfettamente consapevole, c’è stata, che una decisione è stata presa; ed è stata presa nel senso del massimo contrasto – a livello formale – all’inazione, al non-detto, all’inespresso che invece dominano il livello tematico. Questa raccolta contiene – tra le altre cose – la mia parte di un dialogo frontale ed esplicito con il «tu» che non ha mai avuto luogo, e rispetto al quale il lettore può scegliere di prendere le distanze, considerandosi spettatore, o piuttosto di farsi coinvolgere, identificandosi con l’«io» o col «tu».
Ho trovato bellissima poi l’osservazione che il lettore possa trarre indicazioni dai dati del livello tematico, «ma non di vita e mai di rotta esistenziale», e che «non c’è un versante edificante in questa poesia»; come anche l’osservazione, che condivido in pieno, sulla centralità del metodo – anche per questo, nelle intenzioni, la raccolta potrebbe essere letta come un manuale.
Ringrazio, infine, l’anonimo commentatore per aver attribuito «micidiale compostezza» alla mia scrittura, e vorrei aggiungere che invece trovo molto calzante il suo paragone con il contrasto tra la scrittura e la lettura delle poesie di Alda Merini. Nel mio caso, il contrasto è interno alla scrittura e si gioca – nelle intenzioni – tra contenuto e forma.
Alessandra Palmigiano

giorgio linguaglossa ha detto...

RICEVO E TRASMETTO IL SEGUENTE COMMENTO:

ho avuto modo di leggere il libro di Alessandra Palmigiano. Libro di qualità, tenuto su un registro basso, sul binario della "Commedia" tanto per intenderci tra un "io" e un "tu", un fitto tessuto di sottintesi e di dichiarazioni esplicite. Ma c'è una domanda fondamentale che muove il libro, la sua necessità: la richiesta di autenticità che gli "attori" della Commedia pronunciano, è questo, credo, il merito del libro, merito notevole che l'autrice porta avanti con grande rigore formale ed esattezza di dizione, senza fare alcuna concessione ai facili effetti e ai timbri rétro. la dizione è sempre oggettiva, scandita in linea retta. Ottimo lavoro.
Laura Canciani

Anonimo ha detto...

Ringrazio moltissimo Laura Canciani per l'apprezzamento (e Giorgio per aver inoltrato)!
Alessandra Palmigiano

Anonimo ha detto...

Si sa che gli interessi dei lettori sono inimmaginabili, e non sempre coincidono con quelli del villaggio letterario. M'aveva incuriosito il titolo "L’appropriato governo del fuoco", per il quale mi complimento. Resta da scoprire il piacere estetico della lettura.
Grazie, tutto molto interessante.
mayoor

Anonimo ha detto...

Il titolo della raccolta è tratto da un brano de Il libro sulla composizione dell'alchimia di K. ben Jesid, che appare anche in epigrafe alla raccolta stessa. Il brano in epigrafe è tratto a sua volta da una sezione più ampia, che comincia definendo il procedimento alchemico della sublimazione come «l'innalzamento di una cosa secca, con aderenza al proprio vaso, tramite il fuoco», e prosegue: «la sublimazione si diversifica a seconda della diversità degli spiriti da sublimare: una avviene con forte ignizione, un'altra con fuoco moderato e un'altra con fuoco lento e dolce. Se si sublimano Zolfo e Arsenico, bisogna sublimarli a fuoco lento e blando: siccome possiedono parti sottilissime congiunte in modo uniforme a [parti] molto grossolane, se fossero sublimati con grande incalzare del fuoco, la loro sostanza si innalzerebbe tutta quanta, senza alcuna divisione o purificazione, bruciata e annerita fin nel profondo. Per separare la terrosa sostanza immonda è necessario trovare due generi di accorgimenti, cioè la proporzione del fuoco e la purificazione con la mescolanza delle fecce: perché la mescolanza degli spiriti da sublimare con le fecce trattiene le parti spesse e le mantiene schiacciate con sé nel fondo dell'Aludel, non permettendo loro di salire. È quindi necessario che l'artista amministri un triplice grado di fuoco proporzionato a ciò che va sublimato. Uno [deve essere] tale che per suo mezzo si innalzino soltanto [le parti] alterate, più pure e brillanti, finché da ciò si veda in modo manifesto che sono state purificate dalla fecciosità della terra mescolata. Va amministrato l'altro grado del fuoco, tale che quanto della loro pura essenza era rimasto nelle fecce dopo la prima sublimazione, sia sublimato con maggiore intensità di fuoco [...]. Il terzo grado consiste nell'amministrare un fuoco debolissimo, senza fecce, a ciò che è stato sublimato dalle fecce e che è stato già reso puro, così che se ne elevi pochissimo; ciò che ne salirà con un tale calore è una cosa sottilissima che non serve a niente in quest'opera perché in questi spiriti, zolfo e arsenico, quella cosa sottilissima è facile causa di infiammazione e bruciamento. Dunque, tutta quanta la loro intenzione nella sublimazione consiste nel fatto che, tolta la sua terrosità immonda con l'appropriato governo del fuoco, e similmente toltane la sua parte più sottile e fumosa che porta la combustione insieme alla corruzione, ci rimanga quella parte che consiste in eguaglianza, la quale faccia sul fuoco una semplice fusione senza bruciare, o che fugga dal fuoco senza infiammarsi».

Chiaramente la tradizione lirica, a partire in Italia dalla scuola siciliana, è piena di riferimenti all'alchimia, al punto che la terminologia alchemica è stata importata a mani basse nel gergo della psicologia e della psicanalisi.

Di questo brano mi ha affascinato l’esattezza dell’osservazione, sia in ambito chimico sia in ambito psicologico, che la natura delle scorie che la sublimazione mira a separare è duplice ed è data non solo dall'«immonda sostanza terrosa», ma anche dalla «parte sottile e fumosa che porta la combustione insieme alla corruzione». In entrambi gli ambiti, il successo del metodo si misurerà allora dalle successive esposizioni al fuoco, per le quali conterà quanto si sia riusciti a fare dell'equilibrio (eguaglianza) la propria forza, così che si «faccia sul fuoco una semplice fusione senza bruciare, o che [si] fugga dal fuoco senza infiammarsi».
Alessandra Palmigiano

Anonimo ha detto...

L'interesse cresce via via che l'arcano vien svelato. Su questo blog s'è discusso da poco delle poesie di Kamala Das, qui presentate da Francesca Diano, e in passato di Maram Al-Masri (che ho potuto apprezzare anche in un reading). Senza dubbio maestre d'amore (come lo sono tutte le donne. Parere personale s'intende), ma con accenti emotivi e forse alle prese con questioni di dipendenza irrisolte. L'approccio occidentale sembra diverso, va tenuto conto che ha importanza il mentale ( non necessariamente l'intellettuale). Trovo che il titolo "L'appropriato governo del fuoco" possa essere condiviso anche da chi abbia interesse per le discipline tantriche, infatti sono molti i punti di contatto tra il cosiddetto esoterismo e la psicanalisi. Ma qui mi fermo perché la questione, così posta, può essere fuorviante. Comunque a me appare chiaro quanto il cerchio femminile si vada completando, ne sono contento. Grazie, spero di aver modo di poter leggere il libro.
mayoor

Anonimo ha detto...

Ringrazio mayoor per l'interesse! Anche se non sono per niente d'accordo con l'idea che le donne siano tutte maestre d'amore; la mia raccolta fornisce un controesempio tombale sulla questione, direi.

In parziale riferimento a questo, altri commenti alla lettura critica, a seguito di uno scambio di email con Giorgio: condivido molto l'osservazione che il metodo di composizione è anche in un certo senso metodo di addestramento alla vita, e soprattutto in connessione con il fatto che questa non vuole essere poesia edificante. In vari punti della raccolta l'io dice o fa capire che non ascolta il tu quando il tu parla; per molti motivi grandi e piccoli, ma soprattutto perché la verità non sta in ciò che il tu dice, ma sta altrove, sta nei gesti, nella postura, nelle espressioni e più in generale nella vita. Ora, l'equivalente in poesia di questo cercare la verità dove essa sta, per me, consiste non nell'enunciare a parole la verità, ma nel metterla in atto attraverso scelte formali. Quando aderisco all'ídea che questa non è poesia edificante non è perché voglia mostrare più cinismo di quello che mi è proprio, e non mi faccio un vanto di aver poco di edificante da offrire al lettore. Ma quel poco che c'è, andrebbe cercato nella forma, credo.

Poi mi ritrovo molto nell'osservazione che l'analisi è insieme retrospezione e prospezione, e in quella sulla preponderanza della componente relazionale di questa poesia, di cui ho cercato di parlare più o meno intelligentemente tempo fa su quest'altro blog:
http://www.criticaletteraria.org/2011/08/lappropriato-governo-del-fuoco-dialogo.html

Mi ha sorpreso ed intrigato l'idea di una componente sacrale, assieme all'ímmagine del sortilegio, che Giorgio ha rintracciato nella poesia "qualcuno, anni fa, ad un dopopranzo" (mi ha sorpreso perché l'immagine prosaicissima del dopopranzo blocca in me qualsiasi aura mistica! :-) ). In questa poesia, che è una delle poche in cui il tu non è presente in modo esplicito, mi affascinava cercare di rendere un episodio in cui un amico di famiglia, che non ha nessun legame con la storia raccontata nella raccolta, raccontando una sua storia molto concreta e prosaica di affari, la rappresentasse vividamente e con estrema efficacia in astratto, attraverso il gesto del cerchio, chiuso e riaperto rispettivamente da due punti che si muovono nello stesso verso. In genere si pensa che si gesticoli mentre si parla per aiutare la comprensione di chi ascolta dando concretezza ad idee astratte, ma in questo caso la comprensione è stata aiutata altrettanto efficacemente attraverso la rappresentazione astratta di una vicenda molto concreta. Non so esattamente perché questo episodio, precedente di anni alla storia raccontata nella raccolta, mi ha colpito ed è rimasto con me tutto questo tempo, per poi emergere in un momento in cui avevo bisogno di una chiave interpretativa alla situazione che stavo vivendo. In questo, per me, c'è una molto privata componente di sortilegio che quel cerchio ha esercitato su di me, e certamente anche casalinga, come il sale che si butta sull'olio caduto a terra per annullare la sfortuna, o qualcosa del genere..!

Infine, è vero che non si dà vera vita nella falsa, ed è vero che alla fine quello che resta è un panorama di inautenticità, dove la stoffa delle relazioni umane si è assottigliata. Ma questa è la storia di un rifiuto, di un disconoscimento, che, se e quando accade, diventa pur sempre parte autentica della vita, e che per quanto non si voglia abitare, in certi casi conviene guardare nella sua realtà e nella sua verità; investigando, come dice bene Giorgio (o anche demistificando, se non fosse un termine forse troppo politico per questa storia).

Alessandra Palmigiano

Anonimo ha detto...

"Cosa si può imparare dal suo “manuale” in versi?
La mia risposta, al netto dell’esperienza che la raccolta descrive, ha molto a che vedere con la cura. Cura di un sentimento, proprio ed altrui, cura nel rendere giustizia ad una storia raccontata necessariamente da una sola parte, cura nel capire e nell’interpretare le ragioni che muovono le decisioni, cura e rispetto della vita propria ed altrui, cura del linguaggio e della forma...." (tratto da interv. su Criticaletteraria)
Non son queste le parole di una maestra d'amore? ( si tranquillizzi, anch'io non amo i complimenti, e questo non lo è). Un maestro è colui/lei che sa come far capire, anche nel caso insegni creativamente, cioè nell'istante. Possibilmente governando, per l'appunto, in modo appropriato.
mayoor

Anonimo ha detto...

Gentile mayoor, devo dire che il brano da Lei riportato mi ha inizialmente spiazzato: touché! In realtà, anche nel mio lavoro, in logica, preferisco imparare piuttosto che insegnare; così la mia risposta intendeva piuttosto descrivere cosa ho imparato *io* nello scrivere questa raccolta... e nemmeno sospettavo di una possibile seconda interpretazione, secondo la quale salirei in cattedra!

In realtà mi incuriosisce moltissimo sapere se e cosa possano imparare i lettori dalla raccolta: per la mia esperienza, ciò che ho trovato più utile, nelle varie occasioni più o meno formali di imparare qualcosa, aveva molto spesso qualcosa di sghembo, di involontario o non deliberato: un'apertura, un riferimento secondario, un'osservazione fatta come sovrappensiero. Sarei molto felice di sapere di analoghe aperture generate dalla lettura di questa raccolta!
Alessandra Palmigiano

Unknown ha detto...

Nella sua raccolta Alessandra Palmigiano sembra adottare l’archetipo narrativo dell’assedio per descrivere un romanzo amoroso (ma per niente sentimentale o confessionale, come è stato osservato). È un assedio però in cui i ruoli di assediante e assediato non sono fissi, ma vengono costantemente scambiati tra i due protagonisti. Altra variante rispetto allo schema classico: la storia non finisce con l’espugnazione della città assediata, ma con lo scacco e la rinuncia dell’assediante. E come spesso succede nelle guerre di posizione, alla fine del conflitto i due avversari ne vengono fuori per sempre cambiati, sempre più simili tra loro.
Non è un caso che le immagini belliche (le bombe, per esempio) ricorrano spesso nei versi (questo è un elemento di continuità tra questa nuova raccolta e la precedente, La seconda natura). Ma l’aspetto marziale non si trova solo a livello delle immagini. C’è qualcosa a livello della composizione che mi fa pensare a una strategia bellica, a manovre di accerchiamento per arrivare a vincere la materia, a piegarla alla forma espressiva (controllare il fuoco significa anche saper maneggiare l’incandescente materia della poesia). In questo senso il manuale d’amore è anche un manuale poetico. Il discorso su pulsioni irrazionali e soluzioni razionali, su intenzioni e comunicazione è molto interessante e può riferirsi allo stesso tempo alla comunicazione amorosa e a quella poetica. Forse l’amore è da sempre un argomento congeniale alla poesia perché questi due ambiti dell’esperienza umana presentano profonde analogie “strutturali”, analogie che emergono chiaramente da L’appropriato governo del fuoco.
Pierluigi Lanfranchi

Anonimo ha detto...

Grazie, Pierluigi, per il passaggio! Molto bella e vera la tua osservazione che alla fine la guerra porta i contendenti ad assomigliarsi. E anche in relazione a questo, sono d'accordo sugli elementi di continuità tra la prima raccolta e la seconda, anche se, nello scrivere la seconda raccolta, ho deliberatamente ricercato il massimo distacco dalla prima: la prima raccolta è incentrata su un concetto al tempo stesso astratto e articolato (quello della seconda natura), e certamente fuori da ogni mainstream poetico, che viene sviluppato all'interno della raccolta per salti logici, collegamenti analogici, immagini, intuizioni e bagliori (stavo per dire: shinings); la seconda invece affronta un tema (l'amore non ricambiato) concreto e semplice, irriducibile direi, che incarna il mainstream poetico, con un linguaggio che "non facit saltus". I linguaggi delle due raccolte si sono per molto tempo fatti la guerra; spero e confido che l'esito di questa guerra sia una sintesi che si possa apprezzare in ciò che scriverò in futuro.

Alessandra Palmigiano