lunedì 2 luglio 2012

Giorgio Linguaglossa
Su "L'equilibrista dell'oblio"
di Zingonia Zingone

De Chirico, Ritorno di Ulisse

Zingonia Zingone L’equilibrista dell’oblio Equilibrista del olvido Raffaelli, Rimini, 2012


Ho assistito di recente alla presentazione del  volume di poesie di Zingonia Zingone (poeta e scrittrice bilingue: italiano spagnolo) al Santuario delle Tre  Fontane in Roma e ne ho tratto una impressione positiva. Il libro l'ho trovato vivo, intenso, a tratti anche struggente, ingenuo e sentimentale se diamo a tali termini il senso che gli dava Schiller nel suo famoso saggio sulla poesia ingenua e sentimentale. In una certa misura, direi che quella  di Zingonia Zingone è una poesia che rientra nel parametro schilleriano, e questo grazie anche alla sua cultura e alla lingua spagnola con cui Zingonia si esprime, il che le facilita il compito, evitandole così le congiunture nelle quali si è andata a cacciare la poesia italiana del secondo Novecento, con le sue idiosincrasie per tutto ciò che attiene all’«ingenuo» e al «sentimentale».
Zingonia Zingone, con questo nome che sembra la perifrasi di un nome occulto, eredita la tradizione americana di lingua spagnola al meglio e la resa in italiano mi sembra che possa soddisfare anche i palati più evoluti. Zingonia è, indubitabilmente, anche poeta in italiano, al pari della lingua spagnola. E poi mi piace quella sfrontatezza (se così si può chiamare) con cui l’autrice nella poesia «Senza titolo» si presenta al lettore (mi chiamo Zingonia Zingone...), così senza preamboli e senza inutili orpelli (purtroppo oggi pratica molto diffusa in Italia), senza pose stentoree e senza infingimenti; apprezzo inoltre l'economia stilistica e lessicale con cui l’autrice si esprime, ed anche certe scelte lessicali che sono il frutto di meditazione e di sincerità di dizione, grazie forse alla madre lingua spagnola, appunto, che le conferisce quella morbidità e quella esattezza di dettato che nella tradizione italiana del Novecento è stata una conquista faticosa. Un libro non gratuito quindi.
Direi che l’aspetto che va messo in maggior evidenza del lavoro poetico di Zingonia Zingone, quello a mio avviso più convincente,  è la ricerca all’interno dell’«io» in una investigazione che si svolge nella dimensione intermedia tra allucinazione e realtà.


Basta Don Giovanni


Non c'entra la fortuna, amore

di chi si è comportato male
e ha vissuto nella lussuria
per comodità o per paura

non c'entra niente la fortuna con la vita.

È avere la forza di alzare gli occhi 
verso la verità

dove non c'è smarrimento.

La fortuna è di essere te stesso
senza maschera
nudo nello scenario del tuo cuore.

Nulla ebbe a che vedere la fortuna
con Gesù nella sua Via Crucis:
la nuda verità dell’uomo.


Antigone Duemilaotto

Antecedente: Edipo, re di Tebe, è stato esiliato da Tebe. Suo figlio più giovane, Eteocle, briga per avere il potere ed esilia il fratello maggiore Polinice, ma questi attacca la città. Cadono entrambi in battaglia e Creonte, fratello di Edipo, diviene re di Tebe. Dichiara che Eteocle sarà sepolto e onorato come eroe, mentre il corpo di Polinice resterà insepolto a decomporsi, preda dei cani, nel disonore.
Antigone: Antigone, sorella di Polinice, pretende che il corpo del fratello venga  sepolto al fine che il suo spirito possa riposare in pace. Sua sorella Ismene timorosa delle conseguenze, cerca di scoraggiarla, ma Antigone seppellisce il fratello e dunque infrange la legge. Viene condannata a morte. Emone, figlio di Creonte e fidanzato di Antigone, che cerca di intervenire, ma Creonte non cede. L'indovino Tiresia, avverte Creonte che gli dèi sono molto adirati per aver egli rifiutato la sepoltura a Polinice, e che per castigo, suo figlio morirà. Il re è diffidente ma combattuto; decide però di far prevalere la sua legge su quella della coscienza (degli dèi). Antigone muore. Emone si conficca un coltello nel petto e sua madre, Euridice, si uccide per il dolore. Creonte è devastato dalle conseguenze delle sue stesse azioni.


Tiresia:
… ricorda bene
non trascorreranno
molti rapidi giri di sole
senza che tu
dia in cambio di un altro cadavere
un morto sorto dalle tue viscere...

Sofocle (Antigone)



I

È febbraio dell’anno duemilaotto,
ci troviamo a Tebe:
il mondo è diventato un fazzoletto.

Antigone sa che morirà

e che i notiziari annunceranno la sua cospirazione
sdegnati condanneranno il giorno

(il suicida schianta un’autobomba
contro un posto di controllo in Waziristan,

i gendarmi sparano contro
l’Ambasciata d’Israele in Mauritania,

due matte fanno ingresso nel mercato di Baghdad
cinte di esplosivi; l’esplosione uccide
novantotto persone
e ne ferisce oltre duecento),

e verrà accusata di estremismo
come papa Benedetto XVI
e la chiamata alle armi di Osama Bin Laden.


II

Antigone sa che morirà
veste di pianto e forza;
non si ferma: infrange la legge
e abbraccia il cadavere del fratello.

Noi saremo Creonte. Noi, i ciechi
abitanti del villaggio globale andiamo
per la storia vigliacchi come Ismene;
ci rifugiamo nella rete, gli occhi bassi
come se tutto e niente stesse accadendo.

Ma Antigone sa
che è l’ora di morire
al disopra di Bush,
Chávez e l’ONU; del petrolio,
l’immigrazione e il fondamentalismo;
la manipolazione, le sette e il consumismo.


III

E Tiresia? Di santoni ce n’è troppi:
penetrano l’occhio della nostra cecità
emettendo profezie atroci
in toga, mascherati da umili
e semplici mortali.
Noi stolti seppelliamo denaro
nelle loro fosse di ambizione
per fermare
il buco dell’ozono, la fame,
la perdita imminente dei nostri privilegi.

Qualcuno ha pensato alle spoglie di Polinice?


IV

È già tardi.
Antigone è morta.
Polinice giace nel girone che gli spetta.
Emone si lascia cadere sulla lama del giudizio
trascinando nello strazio
l’esistenza dei suoi padri. Così morirà Creonte,
tanto rigoroso e tanto cieco; tanto prevedibile.

E da una stella
Madre Teresa e il Che Guevara si domandano:

cosa sarebbe di noi
se Antigone avesse deposto
la sua coscienza.


V

Dirà il coro:
E il passato e il presente
e il futuro reggerà
questa legge: nulla accade
nella vita dei mortali senza disgrazia.
 

Senza titolo


Mi chiamo Zingonia Zingone
sono poeta e non uso pseudonimo.

Negli anni sessanta mio padre
costruì una città nel nord Italia
Alessandro fondò Alessandria
Zingone crea Zingonia.

Il suo cuore di fabbriche
palpitava
euforia  ricostruzione
l’economia della nazione
rastrellava i frutti guasti della guerra.

Infrastruttura d’avanguardia
cavi interrati
edifici moderni
per cinquantamila abitanti
operai   capi cantiere  imprenditori
un centro sportivo polivalente
scuole  chiese
e un ospedale con camera iperbarica. 

La città del capitale.
La città degli operai.
La città del futuro?

Annichilita dalla fame
di cinque municipi
Zingonia, la città vivente
mai fu. 

Sottile è l’ironia
della vendetta.

Il fallito compimento
di un sogno
lasciò edifici vuoti
in balìa dello sconforto.  

Africani arabi asiatici indiani
puttane ladri spacciatori travestiti
e gente onesta
vivono in palazzi fatiscenti
pavimenti di marmo
e ascensori immobili
di acciaio inossidabile.
Mi dormono
nelle arterie  dormono avvolti
dal mormorio delle storie
                                      condivise
si abbracciano nella penombra.

Una sirena annuncia la retata
li riporterà all’inferno.
Gendarmi tagliano l’acqua
l’elettricità   svegliano
le famiglie all’alba.
Ahmed imparò a scrivere in italiano:
Odio Zingonia perché la notte
non posso dormire, arriva spesso
la polizia e ci sveglia tutti.

I media divulgano il trionfo.
Ogni maledetto rimandato alla sua patria
è un passo verso il progresso.

Bombe di gas mostarda
nelle strade d’Etiopia (*)
che cosa esploderà oggi
nelle mie vene?

Mi chiamo Zingonia
come il nuovo Bronx
non uso pseudonimo.

(*) Dal dicembre 1935 al maggio 1936 le forze aeree italiane sganciarono circa 85 tonnellate di iprite (conosciuto anche come gas mostarda) sull’Etiopia.


*Zingonia Zingone nasce Londra nel 1971ma trascorre la prima infanzia tra Milano e Firenze per poi seguire i genitori in Costa Rica nel 1975. Studia all'estero e si laurea all'Università La Sapienza di Roma in scienze economiche. Lavora per un decennio nel mondo della finanza milanese e si trasferisce in Nicaragua sino al 2005, anno in cui ritorna a Roma dove ora risiede.Ha pubblicato in spagnolo due raccolte: Máscara del delirio - Ediciones Perro Azul, 2006;Cosmo-agonía - Ediciones Perro Azul, 2007.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho trovato la poesia "Senza titolo" toccante, nel suo basculare fra ideale, realtà, corpo (/che cosa esploderà oggi/nelle mie vene?//). Una questione che ha a che fare con il destino di un nome attribuito ad un'utopia, ma anche ad un essere umano (/mi chiamo Zingonia/come il nuovo Bronx/), un poeta, nella fattispecie. Una parabola umana che riconosce i limiti di tale utopia, ma, nello stesso tempo, ne accetta il peso fino in fondo (/non uso pseudonimo/). Il calice si beve tutto intero. Bella.
Flavio

Anonimo ha detto...

Nel mio samgue
ritrovo virus letali
passati con garbo
da chi aveva letto
troppi giornali.

Non scorre più acqua
fra me e il sapere
niente più niente da bere
solo il reale bisogno
mi fa cercare la mi valle
la storia come quella
di Zingone Zingonia.

Emy

Anonimo ha detto...

Mi piace, va spedita con un fare narrativo dove non serve stare a contare gli accenti e basta il verso breve. Intanto mischia le carte della tragedia con quelle dell'attualità senza trascurare se stessa. Ed è tutt'uno.
Vien da dire che prosa e narrativa siano cose diverse tra loro, che la prosa in poesia abbia fatto il suo corso e che ora la poesia abbia voglia di pareggiare i conti con la narrativa, quella che tanto piace al cinema e a chi viaggia in treno... senza approfondire, che non è il mio mestiere, a me sembra un buon segno.
mayoor