giovedì 19 luglio 2012

PER UNA POESIA ESODANTE
Ennio Abate
La poesia passata a contrappelo.
Sulla ex-piccola borghesia
o ceto medio in poesia. (2)

Tabea Nineo 1990

4. La piccola borghesia ai tempi di Fortini e Montale

 

Provo, facendo un altro passo, a riallacciarmi a un mio commento sul nodo Montale-Fortini-Mengaldo (qui); e in particolare al punto in cui scrivevo «c’è piccola borghesia e piccola borghesia» e mi dichiaravo - ancora una volta e per le stesse ragioni già indicate - contrario ad «un’assolutizzazione della categoria ‘piccola borghesia’»  o di quella affine di «ceto medio».

Può servire un confronto con queste due figure: Fortini e Montale. Fortini  si poteva rapportare ancora a un noi reale e storicamente solido (il movimento operaio, i “paesi allegorici” che per lui furono l’Urss, il Vietnam, poi la Cina). Quel noi ai suoi occhi pareva potesse ereditare una grande tradizione classico-borghese (lucacciana o adorniana) da contrapporre all’invasione dell’industria culturale, a cui Pasolini parve cedere. Poteva anche ricorrere fiduciosamente alla «sublime lingua borghese» come argine ai linguaggi dei mass media. O sentire ancora la “lotta per i comunismo” come un processo di inveramento possibile dei valori della Totalità Umanistica. Proprio quei valori che, forti in passato, il Moderno aveva spezzato o accantonato, promettendo di sostituirli con altri ben più universali. Poteva, infine, pensare alla propria poesia come un omologo anticipato della Forma, che l’umanità, uscendo dalla servitù capitalistica, avrebbe potuto dare alla propria vita.

E, sul versante opposto, un Montale, proprio  rimuovendo quel noi e il conflitto storico, che invece Fortini (o Pasolini) accoglieva come  elemento fondamentale della propria poesia (in modi in realtà non coincidenti nei due autori…), poteva rinchiudersi altero e modesto allo stesso tempo nella  turris eburnea del suo Io esistenziale; e rivolgersi all’Altro, distanziandosi nel contempo dagli altri («ciascuno riconosce i suoi»…). O, dopo Satura, accogliere con suprema ironia la “non poesia” dei linguaggi quotidiani, lui, si,  cooptato per questa sua aderenza piena allo spirito del tempo dei dominanti nell’élite dei privilegiati della Cultura mediatica.

 

6. Foto di gruppo del ceto medio intellettuale e poetico odierno

 

Il ceto medio che opera oggi - qualcuno, seguendo i suoi intrecci crescenti coi processi d’informatizzazione, l’ha definito dei «lavoratori della conoscenza» - ha visto, invece, davvero chiudersi la porta in faccia dagli sviluppi della storia recente; e si trova in una specie di pantano (o di limbo a seconda i gusti), nel quale è quasi impossibile pensare a vere alleanze con gli ignoti che stanno più in basso nella scala sociale o sperare in consistenti cooptazioni nella cerchia di quelli - malnoti o altrettanto ignoti - che stanno in alto.

Una posizione di guida intellettuale (magari non partitica come  nelle sue forme classiche furono la sartriana e la  fortiniana, a me più note) non è più e da tempo alla nostra portata. 

Questo vale anche in poesia. E sarebbe deleterio scimmiottarne il modello.

Quella funzione di guida presupponeva, infatti,  un inserimento, riconosciuto e riconoscibile, in istituzioni allora vivaci (editoria, università, riviste o giornali di partito). Si era comunque più vicini alle condizioni di vita delle élites industriali ed umanistiche (si pensi al ruolo avuto da Adriano Olivetti). Condizioni che oggi si sono disfatte o sono state del tutto subordinate alle regole del capitale (e non solo quello “mediatico”).  Né quelle condizioni di vita né quel tipo di lavoro intellettuale sono, dunque, più accessibili agli intellettuali di massa o periferici.

Son cose che avevo cominciato a pensare e a scrivere  fin dagli anni Ottanta, accorgendomi di quanto questo ceto medio allargato è (noi siamo con lui) dentro circuiti di lavoro intellettuale flessibili, fungibili, periferici (davvero un lavoro come un altro) e moltissimi dei suoi rappresentanti finiscono anche nei gironi infernali del lavoro precarizzato e della disoccupazione. Quindi  quella funzione - tipica, riconosciuta e riconoscibile - dell’intellettuale e del poeta, comunque esterna  alle attività strettamente professionali (molti sono stati e sono i poeti impiegati o insegnanti)  o esercitabile in un tempo libero meno coattivo, teleguidato, asfissiante di quello d’oggi - non è più praticabile. Specie per quanti - ripeto - finiscono precari o disoccupati[1] e, dunque, ancor più “ai margini”.

Eppure quella funzione è indispensabile. Perché se manca, se viene meno del tutto, se  chi  più la vede sfuggire non tenta di afferrarla coi denti, non ci sarà più critica,  non ci sarà più cultura che non sia quella imposta dai dominatori e dai loro funzionari attraverso i mass media.

E allora quella funzione critica universale, svolta in passato dagli intellettuali tradizionali in istituzioni  relativamente autonome dai poteri forti (economici e politici), va comunque svolta o perseguita entro queste nuove, degradate condizioni. Dovunque noi ci ritroviamo a vivere e a “lavorare” (finché ce lo permettono)[2].

 

7. Un “cattivo soggetto”

 

Questo ceto medio (in via d’impoverimento) è, dunque,  un “cattivo soggetto”, che poco somiglia all’intellettuale o al poeta di una volta. Ma esso è, però, l’unico serbatoio sociale da cui – non so dopo quanti sforzi e fra quanto tempo – ci si può aspettare l’emergere di singoli e gruppi capaci di  pensare e affrontare i  confusi problemi d’oggi: globalizzazione, trasformazione del lavoro, revanscismi etnici, ritorno del sacro, ecc. E, farci i conti - tanto per non dimenticare l’argomento -  anche in poesia.

Si tratta di  una vasta fascia  scolarizzata, culturalizzata, non più interessata saltuariamente  alla produzione culturale, ma spesso consumatrice  indefessa e ossessiva della vasta gamma di cultura-merce che sotto la spinta del Capitale ha assunto dimensioni  del tutto incontrollabili.

Essa, com’è stato da tempo detto, potenzialmente costituisce anche il blandito o vituperato pubblico della poesia. Che però, pur attivo in proprio e in forme per lo più “selvagge” ( e quindi meno pubblico come quelli che c’erano una volta o pubblico sui generis), resta fuori o alla periferia degli Istituti universitari, delle Fondazioni, delle Case editrici, dei Giornali, dei Clubs, eccetera, nelle pieghe sociali e istituzionali, in cui è possibile una sorta di semiclandestinità del lavoro culturale (e anche poetico) tra l’amicale e il professionale.

Nei confronti degli appartenenti a tale ceto medio pare venga eseguita giorno dopo giorno da invisibili custodi una sadica condanna kafkiana: “Entra, se vuoi, nel mondo della cultura…Ma solo come consumatore! Sii eco (“Hai letto l’ultimo libro di Eco?”) e basta...

Esiste dunque - e se ne discute - una intellettualità di massa periferica anche in poesia, economicamente garantita o fragilmente precaria e che s’aggira alla ricerca di identità e di riconoscimento; e prova tutte le strade per guadagnarsi  sia da vivere (per sostenere la sua “vocazione” alla poesia) sia per esprimersi anche nelle forme più o meno gregarie che  le vengono offerte da Case della poesia, associazioni culturali, premi letterari, festival. E, nel frattempo, si prepara, approfondisce, divora libri, sorbisce  corsi di aggiornamento, seminari, convegni, conferenze, apparizioni fulminee di maitres à penser doc, di cui annota religiosamente anche le sputacchiate. In soldoni: lavora gratis, consumando soprattutto la cultura che passa per il mercato. E poi, quando apre gli occhi e s’accorge che tirare per la giacca il santo protettore prescelto o sgomitare- essendo in centinaia o  migliaia - è vano (per le leggi ferree del mercato si è pubblico e si deve restare pubblico e al massimo si può concedere (o ci si concede) uno slam, un karaoke, un microfono aperto di pochi minuti), delusa, si chiude nel privato, va negli orienti della mistica o riscopre in modi consolatori i miti delle antiche aristocrazie  o riparla (a vanvera) di rivoluzione. Ma non riesce a pensare e a progettare davvero l’esperienza coatta  di cui soffre, a costruire schemi diversi da quelli obbligati della cultura dominante mercantile.

Questo ceto medio (in via d’impoverimento), che coltiva  riscatti individualistici immaginari e viene blandito con false promesse, può (mai dire: dovrà) emanciparsi, riconoscere sprechi e dissipazioni della propria intelligenza e dei propri sentimenti e  costruirsi un’idea  meno fantasmatica del Lavoro, della Cultura, della Storia, della Società in cui viviamo? E agire per affermarla?

 

8. Inchiesta e scommessa

 

Per trovare una risposta seria alla domanda appena posta, ci vorrebbe un’inchiesta seria, una conoscenza precisa di cosa ribolle nelle profondità di tale “nebulosa poetante”, che è prima di tutto un variegato e complicato calderone sociale: com’è composto?  da quali tensioni è attraversato? quali sono le partizioni oggettive e soggettive al suo interno? e - per quel che ci riguarda - come i singoli o le varie frange rappresentano in poesia - esplicitamente o implicitamente - questa loro condizione? che consapevolezza ne hanno? come si collocano poi di fronte ai fantasmi degli altri (quelli di sotto e quelli di sopra…) o al fantasma Mondo?

Un’inchiesta del genere non è oggi, così come stanno (caoticamente) le cose, pensabile o praticabile da  isolati, anche se tentativi che muovono in tale direzione non mancano.[3]

 Che fare allora? Piangerci addosso? Continuare a rissare in bicchier d’acqua? Sollevare  le solite polemiche umorali che interessano sì e no un centinaio di addetti ai lavori? A me verrebbe da dire, soprattutto ai più vecchi che una storia alle spalle ce l’hanno, che c’è - prima ancora dell’inchiesta improponibile seriamente per assenza di sostegni veri - da fare una scommessa. E a favore della costruzione di un progetto, che intenda uscire  sia da contrasti   di poetiche  non veramente discriminanti sia dal pluralismo che fa convivere tutto e tutti.


[Continua]



[1] Quante accuse moralistiche sulla “disaffezione” verso la poesia o la scarsità dei lettori di poesia cadrebbero se si tenesse conto di tali impedimenti spesso materialissimi.
[2] In tal senso tutte le critiche che possono essere mosse  (e che io pure muovo) ai “moltinpoesia” andrebbero nettamente distinte:  ci sono quelle intimidatorie, che vorrebbero interdire lo stesso esercizio della scrittura poetica, atto comunque di iniziale emancipazione da una passività sociale e culturale ad un tempo; e ci sono quelle che, proprio tramite la critica alle forme più ingenue o consolatorie  dello scrivere poesie,  intendono  incoraggiare a cogliere la necessaria complessità e  severità dell’esercizio poetico a cui ci si avvia. Come sempre le critiche possono essere paralizzanti o educative.
[3] Tutte le note di letture,  le recensioni,  la crescente ma disordinata catalogazione di testi  su innumerevoli riviste e ora anche  siti o blog del Web potrebbero offrire un quadro d’insieme. Non solo scoraggiante, come molti snob tendono a dire (ma neppure incoraggiante). 

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Ieri una operaio esodato mi ha raccontato la storia della sua vita, soprattutto l'ultima parte. Il risultato è stata una vera poesia, una grande fortuna per me averlo incontrato e conosciuto. Gli ho chiesto se avesse mai provato a scrivere poesie e lui mi ha risposto:-Poesia? E...poesia mi vien da ridere.- Ma io avevo incontrato un poeta. Forse i poeti sono nascosti o non ne sono consapevoli ,perchè la società che ama la poesia non li cerca,o meglio non li trova. La scommessa è persa al suo nascere. Emy

Anonimo ha detto...

Slam, microfono aperto di pochi minuti ( unitamente a karaoke che non si sa cosa sia, ma vi si legge l'intenzione dispregiativa), rientrano nelle esperienze life che non riguardano esclusivamente la scrittura (intesa come atto solitario), ma possono influenzarla in quanto offrono al poeta delle occasioni di dialogo reale col pubblico. Se ne fanno in tutto il mondo, qui da noi basti pensare alle iniziative promosse da Lello Voce, per capirci.
A fronte di un libro acquisto, i "cattivi soggetti" solitamente leggono centinaia di poesie dai vari blog. Per questo è difficile stabilire la misura reale e partecipativa di questi soggetti. Sfuggono al mercato e sfuggono alle classificazioni. Ma questo fa capire che l'utilizzo della poesia ha una dimensione frammentaria che spesso non viene considerata. La poesia come intercalare, come partecipativa in ambiti che non sono i suoi soliti andrebbe maggiormente presa in considerazione. Inoltre, se vista all'interno del panorama della comunicazione, la poesia ha un "peso specifico" notevole, che richiede particolare attenzione, e che quindi andrebbe data con senso della misura. Mi sorprende che questa non sia l'epoca del trionfo del frammento (scritto).
Per giungere a maturazione basterebbe che il "cattivo soggetto" capisca di essere responsabile di come si evolve la società, l’umanità, e il mondo intero. Questa consapevolezza può essere interpretata come l'anticamera del "noi", ma non è necessario e non è obbligo l'attraversarla perché le stanze del noi a me sembrano oggi ancor più frammentate, ed entrandoci si diventa inevitabilmente degli elementi di disturbo. Una soluzione a buon mercato sembra essere quella di far complimenti a tutti.
In quest'epoca molti schematismi, appartenenti alle logiche del mercato del secolo scorso, sono caduti stanno per essere rivisti radicalmente. Le comunicazioni s'accorciano sempre più, s'impara ad andare al sodo altrimenti si è saltati senza ritegno. E' nella brevità che ci si esprime creativamente. Quindi nel poco da dire.
mayoor (cattivo soggetto)

Anonimo ha detto...

Caro Abate, credo che a questo punto lei dovrebbe citare i versi che predilige e quali autori ritiene si debbano seguire, sia dal passato secondo Novecento che nel tempo attuale. Mi pare infatti che, come quasi tutti siamo allenatori di calcio seduti sulla nostra poltrona (e probabilmente non faremmo peggio degli omologhi realmente in carica), quasi tutti siamo piu' o meno consapevoli degli orizzonti e dei limiti della situazione attuale. Dunque, cosa propone a livello di testi? Quali sono gli esempi da seguire? Piu' rimaniamo aderenti ai testi letterari, piu' applichiamo fattivamente il compito statutario della critica. Saluti. Giuseppe Cornacchia

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate a Mayoor e a G. Cornacchia:

Pazientate. Ho ancora 2 o 3 puntate ( o "frammenti"!).
Poi tenterò di riepilogarmi e rispondere degnamente (se ci riesco) alle obiezioni che mi state facendo.

giorgio linguaglossa ha detto...

Caro Ennio Abate e Cornacchia,
sul diagramma tracciato da Ennio sul "cattivo soggetto" rappresentato dal Ceto Medio Mediatico (CMM), nulla quaestio, la diagnosi è perfetta. E veniamo alla prognosi sollecitata da Cornacchia. Se Cornacchia va a rileggersi la mia nota di lettura al "Quadernario blu. Antologia di 25 poeti contemporanei" recentemetne edito da LietoColle a cura di Giampiero Neri e Vincenzo Mascolo (pubblicato su questo blog) troverà alcune riflessioni intorno al «paradigma magrelliano e aneddiano» imperante tra le ultime generazioni di quella «nebulosa poetante» (dizione di Ennio Abate) che possiamo indicare Ceto Medio Mediatico (CMM) che corrisponderebbe al "pubblico della poesia". Il fatto lo possiamo indicare grosso modo così: tutto ciò che tocca il CMM diventa suo proprio prodotto culturale; ogni prodotto culturale (la poesia di Magrelli e Anedda), viene sottoposto a imitazione, contraffazione, edulcorazione; ogni prodotto culturale (di livello medio-alto) che voglia avere un qualche successo deve per forza di cose solleticare la pancia e lo stomaco di questo piccolo cetaceo che ha nome CMM; ma il fatto più eclatante è questo: che il livello medio della critica tende ad abbassarsi per non inimicarsi il gradimento del CMM. Di questo passo, è accaduto il fatto che anche Cornacchia stigmatizza: l'allargarsi a macchia d'olio della «critica di sponda», diciamo così, con messa al bando di tutti coloro che non stanno al gioco (cioè i critici liberi, cioè indipendenti). E questa situazione di degrado, di cultural lag, la sa perfettametne sia Cornacchia che Marco Merlin, il quale negli ultimi tempi, se non sbaglio, si è ben guardato di andarsi ad impastoiare e sporcare in mezzo a questo guazzabuglio! (e lo capisco ma non posso giustificarlo).
E veniamo al problema dei «nomi» che Cornacchia richiede a Ennio. è giusto, condivisibile, augurabile fare dei nomi ma se non erro moltinpoesia è l'unico blog nel quale sono stati fatti i nomi e i cognomi e anche sono state spiegate il perché certe opere di alcuni autori siano di ottima fattura ma non sono state recepite né dal CMM né dalle Istituzioni Letterarie Editoriali. Perché è accaduto (e accade) questo? Perché, per esempio, critici importanti come quelli che hanno lavorato sulle pagine di "Atelier" non prendono la parola, non si espongono? Non fanno i nomi?

Anonimo ha detto...

Cari Abate e Linguaglossa,

Merlin potrebbe essere sollecitato ad intervenire qui lasciandogli un messaggio sul suo blog http://www.atelierpoesia.blogspot.co.uk/ . Non so tuttavia cosa vi aspettate, anche lui mi pare in disarmo o almeno in una fase di riordino delle idee e delle volonta'.

Sui "nomi", ovviamente intendiamo i testi. Se lei, Linguaglossa, prende a cardine la poesia di Madonna, condurra' una battaglia solitaria anche stavolta. Non si capisce infatti, comparativamente, perche' Madonna sarebbe piu' rilevante di Lucetta Frisa o, a grado ancor piu' elevato, di Claudia Ruggeri.

Credo peraltro che contributi a questa discussione potrebbero arrivare da Francesco Marotta, che su "la dimora del tempo sospeso" (http://rebstein.wordpress.com) sta portando avanti un discorso di livello molto alto e da parecchio tempo, per cui avra' chiaro il quadro almeno quanto voi. Anche Gianmario Lucini potrebbe ben dire la sua.

Lietocolle, con tutto il rispetto per la buona volonta' e lo spirito divulgativo, mi sembra un gradino indietro, piu' attento alla quantita' che alla qualita'. E' un modo di procedere accettabile anche quello, sulla scia de "la poesia salva la vita di tutti", ma non credo possa essere preso a paradigma di discorsi "sul senso" come quelli che stiamo cercando di impostare in questi ultimi giorni.

Saluti. Giuseppe Cornacchia

Anonimo ha detto...

Sussurro.

Siamo sul bordo
ognuno a un passo
come la voglia di finire
sappiamo del vuoto
e non vogliamo morire

S'affaccia allora quella
dal viso stanco bella ancora
di gioia pianto e canto
- Non cercate nell'altrui persona
ciò che per voi e già nel giusto
fate del giorno il vostro giorno
e non badate al sole che cambia
in quanto la notte arriva
sempre e non sarà un incanto.


EMY

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate a Giuseppe Cornacchia:

Negli spazio commento di Atelier e rebstein ho lasciato questo messaggio:

All’attenzione di...:

Sul blog Moltinpoesia ( a questo link:http://moltinpoesia.blogspot.it/2012/07/per-una-poesia-esodante-ennio-abate-la_19.html?showComment=1342870105211#comment-c4426137304341338491) è in corso un confronto
su crisi della poesia e annessi.
Su consiglio di Giuseppe Cornacchia lascio qui un messaggio per sapere se pensi di poter intervenire.
Un caro saluto
Ennio Abate

Anonimo ha detto...

Grazie per l'invito.

Ho scaricato il saggio, che leggerò con attenzione appena possibie. Purtroppo in questi giorni ho problemi che mi impediscono di stare al computer per più di pochi minuti.

Buona discussione e buone cose.

fm