mercoledì 26 settembre 2012

Eugenio Grandinetti
Altre poesie sulla natura



Per conoscere  meglio le ricerche che ciascuno dei poeti che ruotano attorno a questo blog ha condotto o va conducendo, pubblico queste altre poesie di Eugenio Grandinetti. Riprendono il tema ispiratore del Savuto (qui) e ampliano, approfondendolo, il suo discorso poetico sulla natura. [E.A.]

Storia naturale

Il cerambice ha zampe che s'afferrano
salde alle pietre,
e lo si può afferrare per le antenne
e tenerlo sospeso con il peso
di un ciottolo tra le zampe.
E' solo un gioco,come è pure un gioco
ucciderlo,tanto
non gli si toglie nient’altro alla sua vita
che lo spazio di un giorno o forse meno.


                 Il nostro attimo
è il battito del cuore:un tempo minimo
ma misurabile.Fuori
di questa misura non ci sono
esseri riconoscibili e individui,
ma vite collettive ed insensibili.
Uccidere un albero o un cerambice
non è uccidere.Possiamo distruggere
questa ragnatela,schiacciare questo ragno
e,dopo un tempo breve,
nell'identico posto un altro ragno,
diverso ma indistinguibile da questo,
tesserà uguale un'altra tela.
E' solo il tempo - il battito del cuore,
il giro del sole nell'arco
del cielo,nel percorso
dello zodiaco,nel circuito
vasto delle galassie - la misura
con cui si riconoscono gli altri esseri
come individui.

               Anche gli altri uomini
visti una sola volta si dimenticano:
non sono persone,sono gente.Le vite,
che si misurano con tempi diversi
dai nostri,sono di esseri
insignificanti.Siamo soli
col battito dei nostri cuori,col sole
che attraversa l'arco del cielo,
che compie il percorso dello zodiaco
con la nostra vita
che è lunga più di quella delle effimere
ma è più breve di quella degli ulivi
che sono altre vite,
anche se sono incomprensibili,
anche se si misurano
con altri attimi,con un diverso
tempo totale.
                Questo ragno non è forse lo stesso
ragno dell'anno scorso
anche se ha fatto il nido nello stesso
posto dell'altro e se io non so distinguerli.
Tutti gli esseri
hanno esistenze effimere,che ognuno
misura però in base alla durata,
breve o lunga che sia,della sua vita.
Questi alberi - queste querce,questi ulivi -              
vedranno altre generazioni.
Forse si chiederanno se questi uomini
sono gli stessi che li piantarono
o se anch'essi hanno vite provvisorie
come i ragni,gli anellidi,i cerambici.

   Gli alberi hanno attimi lughissimi e pause
in cui stagna la vita e non s'accresce.
Guardano indifferenti,da cime alte,svolgersi
vicende d'altre vite brevi.Portano sui rami
nidi di una stagione che si disfano
alle prossime piogge.Ed è diverso
dal nostro il tempo degli alberi.Ha la misura
del variar delle fronde,dell'accrescersi
lento di anelli al tronco,e del respiro
alterno di notte e giorno.Gli alberi
guardano alla nostra vita con sufficienza,
non ci considerano se non come cerambici,
minimi e indistinguibili
come noi consideriamo i microbi
nel loro rapido morire,benchè pure
possano ucciderci.
                        I cerambici
hanno larve che s'annidano
nelle radici degli alberi.Rodono
con mandibole rapide.L'attimo
è lo scatto,non avvertibile
se non dall'effetto,dalle caverne attorte
che scavano nell'albero,
non però come per voler ferire
un nemico : l'albero
non è un nemico,perchè non è un essere
individuo e vivo : è solo
una cosa che non ha un tempo
misurabile,è il cibo
perchè la larva s'accresca,
perchè si faccia immagine,per seguire
un richiamo lontano ed esaurire
in un amplesso breve tutto il tempo
della vita.

Le presenze del bosco

                     I - Il rigogolo

E' volato il rigogolo nel folto
del bosco,s'è nascosto
tra fronda e fronda ed ora non esiste
più se non al nostro ascolto.
E il bosco pare denso di presenze
invisibili e mute che si perdono
nel verde del fogliame,tra le chiazze
cupe del sottobosco.
Estranea è l'ora e più non ha parole
se non desillabate.E' tempo
di disfarsi degli attimi,d'immergersi
tra gli alberi,per essere
nudi di scorie di pensieri,vivere
indifferenti a tutte le vicende
 se non delle stagioni,farsi estranei
alle parole ambigue che s'articolano
provvisorie,che passano
nell'aria o che s'incidono
su foglie che ingialliscono,su pietre
che copre il muschio,che non dicono
se non di brevi contingenze,d'ore
che presto impallidiscono e si perdono
oltre argini alterni di memorie
dove ha voce indistinta la corrente
rapida della fiumara che trascina
oltre la vista brevi fluitazioni
di presenze mutevoli.Immutabile
è solo il canto occulto del rigogolo
tra il folto degli alberi e la voce
indistinta del vento ed il silenzio
di presenze nascoste.



               II -Pan

Il bosco non ha memoria e vive
senza vicende memorabili.Rinnova
foglie che cadono,alberi che cadono,
si popola d'animali,li nasconde
nel cavo dei tronchi,tra le fronde
opache,nelle buche
scavate nel terreno,tra gli argini
della fiumara.
E il Tutto ha solo un alito ed assimila
ogni essere inconsapevole
di Vita e di Morte.Vivere
è solo metamorfosi.

                      III - Il tempo del bosco

Il bosco non ha tempo e non ha attese :
è saturnio e continuo.Vive
senza consapevolezza d'attimi,
di catastrofi.Non assomma
a questa sofferenza di ora la memoria
e il timore.Non si chiede
il perchè della vita.Vive
nel respiro dell'aria,nella linfa
d'acque uranie e d'umori sotterranei.



IV - L'acqua
            
La nostra vita sgocciola per attimi
dalla parete di una grotta,al chiuso,
dove non giunge il sole e non evaporano
le gocce passate e sempre restano
in basso macchia scura e in alto segno
viscido di nuove gocce che s'addensano.
Vivere
era fuori dal chiuso,era percorrere
greti scabri di ciottoli,pareti
di rocce pensili,argini di carici,
era sentire a volo la libellula
come un fremito breve,era risplendere
al sole e non avere
memoria della notte,era riflettere
ombre di ontani e salici per acque
sempre nuove ed immemori.O era farsi
bosco,avere mormorii da fronda a fronda
come una sola voce,non caotico
sovrapporsi di voci estranee e dissone
nel chiuso di un solo essere.




                   V- Il limite ultimo

Ha mille voci l'anima,che portano
parole di mille vite
vissute insieme o forse non vissute
se non nell'antro della mente,dove
gli attimi che sono stati ora ristagnano,
e il senso che si cerca offusca questo
torbido raddensamento di vapori.
Fuori il vento che s'agita disperde
le nebbie rade del mattino e l'aria
ha trasparenze liquide che portano
gli sguardi ad appagarsi e a farsi esausti
a un limite ultimo.


         Il bosco e il sole

                         I

Il sole elude gli argini discontinui
degli alberi,penetra
nel bosco,a chiazze,e porta
indizi mutevoli che il vento
altera di continuo.Gli occhi vanno
nel sottobosco,incerti,ove s'occultano
tra le ombre i fiori stenti,le esili
tracce d'altre presenze,le vite
fragili che si tendono a una luce decidua.
I passi incespicano
per roveti nascosti,per streppaie
d'altri alberi che furono,che ora restano
memorie cave e ostacoli
di formiche e nidi di necrofori
dorati e dita
di cortinari cinerei,d'agarici
dai gambi esili,di polipori
squamosi e informi : anamorfosi
di marcescenze opache ove germogliano
attese di farsi alberi ed ostacoli
al sole e cortine diafane,per escludere
gli occhi dal cielo.

                    II

Passa d'anima ad anima una pena
diversa,
di disgregarsi informe oppure accrescersi
a fatica,entro limiti
di membrane che escludono,perchè siano
l'una dall'altra estranea
tutte le forme della vita,ed isolate
e ostili,in lotta
reciproca,per avere
rami più alti verso il sole,
radici più profonde per accrescersi
di marcescenze sommerse,per essere
uniche ed indiscusse e sole.

                 III

Ma l'ombra è dubbia che figura immagini
nuove d'inganni antichi in cui s'impigliano
pensieri vaghi. Gli occhi
non sanno più leggere gli indizi
della luce: Vanno
vaghi per ombre vaghe a cui modella
contorni ambigui il vento.E non sappiamo
cosa sia vero : se l'ombra
sempre mutevole o le foglie
decidue ad ogni autunno o il bosco ceduo
oppure l'insistenza dello sguardo
fino a che il sole duri e non si chiudano
stanche le palpebre.



             Addentrarsi nel bosco
  margini del bosco,dove le ombre
hanno immagini ambigue e hanno parole
di fronde d’aria,alterne si richiamano
voci per ritrovarsi.Ci allontanano
i labirinti d’alberi,e speranze
di funghi nascosti sotto i cespi
del cisto o in mezzo all’erica.
I funghi vivono nel silenzio
di cose morte ed è possibile
trovarli solo in solitudine,ma occorre
rivisitare luoghi da tempo noti
con occhi attenti a indizi lievi e mani
che sappiano frugare

tra foglie d’altri autunni e magari
scomporre equilibri precari e affrontare
pericoli di pungersi coi ricci
delle castagne,coi rovi
striscianti che s’occultano
e poi magari non trovarne.
Ed inoltrarsi allora dove il bosco
è più folto e non c’è traccia
di sentieri che guidino al ritorno
ed impaniarsi per alberi ed ombre
uniformi e non trovare immagini
se non forse soltanto di memorie
saprofite e non sentire
se non parole d’eco che ritornano
da fondi oscuri,oscure,
e più non ritrovare la radura
da dove forse voci ci richiamano
per ritrovarci.

1 commento:

Anonimo ha detto...

La dolcezza infinita della natura in cui solo l'occhio umano con le sue caducità, vede una crudeltà imperniata di limiti che sfuggono alla natura stessa. Tutto procede senza intoppi o deviazioni, solo la nostra vita, il nostro sguardo, il nostro esistere abituato ai condizionamenti fa si che tutti gli altri esseri esistenti , governati da leggi proprie , diventino simili a noi che mai riusciremo ad essere come loro. Capirli, amarli, seguirli sarà parte indispensabile della nostra e della loro vita. Grandinetti oltre che averci regalato grande poesia , ci ha costretti a pensare alla vita di tutto e di tutti per ritrovarci, sempre. L'ha fatto grande maestria. Grazie Emy