venerdì 28 settembre 2012

Giorgia Stecher
Poesie
introdotte da Giorgio Linguaglossa



Di Giorgia Stecher scomparsa nel 1996 di cui ricordiamo Quale Nobel Bettina (Palermo, 1986), Album (Palermo, 1991), Altre foto per album (Roma, 1996) presento qui alcune poesie tratte dall’ultimo libro. Ho scritto della sua poesia in Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana 1945-2010:

«abbiamo tutti gli elementi di disinteressata autenticità che fanno di un poeta un piccolo classico. Una poesia che interpreta la memoria attraverso la lettura di alcune vecchie fotografie di famiglia.
Libro compiuto, adulto, opera di un poeta giunto alla piena maturità, documento artistico e spirituale tipico di quella sensibilità di fine Novecento che ha trovato nel Manifesto della Nuova Poesia Metafisica (n. 7 «Poiesis», 1995) una significativa esemplificazione. Poesie nate da fotografie perdute e poi ritrovate; si badi, non poesie di “derivazione” ma recherche di un “tempo perduto”, ricostruito con la sensibilità postuma di un poeta che alla poesia chiede la ricostruzione di un mondo tramontato sotto l’obblivione dell’epoca tecnico-scientifica. Nella deriva del Tempo, Giorgia Stecher arresta e ricostruisce l’attimo e la temporalità, i destini individuali e collettivi. La verità si staglia non alla luce del sole ma alla luce del flash. Nell’epoca del telecomando e del televisore, è la foto ingiallita dal tempo che rivela il  mondo». Con le parole della Stecher: «È accaduto che, dopo la pubblicazione del mio Album nel 1991, siano venute alla luce altre foto dimenticate nei cassetti e negli angoli più riposti della casa e della mente. È pure accaduto nel frattempo, che altri personaggi ed eventi abbiano richiesto, anzi reclamato, un flash per entrare a far parte della raccolta, accanto agli attori che avevano avuto la ventura di precederli. Questo nell’illusione di guadagnarsi così un diritto di sopravvivenza peraltro arduo se non improbabile ma ben consapevoli che in ogni caso ciò che non è scritto (o in qualche modo registrato) non esiste. Sono stati, come si vede, accontentati. Anche perché nell’Album c’erano, e ci sono ancora, numerose pagine vuote».



Sono sempre con me


Sono sempre con me
quelli che se ne andarono
inghiottiti dal gelo della notte!
Alcuni sedevano miti sulla soglia
guardando il dispiegarsi degli eventi
in recondite stanze architettati
Altri solcavano la vita
col passo trionfante distribuendo
fulmini e blandizie tutti
però credendo di avere nel forziere
una fetta cospicua di minieternità.
Un turbine li spazzò via uno ad uno
nel volgere di un giorno! Di loro
ben poco è rimasto
oltre la cineteca del ricordo
a cui ho accesso io sola
ed all’antologia delle canzoni
che zufolo nell’intento di evocarli.


Il bisnonno

Accorso al molo tu
chiamavi le barche: Teresa
Carmelina dove siete?
Sornione il mare ti lambiva
i piedi come il mostro placato
dopo il pasto tra i resti
del banchetto e tu
a strapparti i capelli disperato.
Di te questa l’immagine
che m’hanno consegnato e a nulla
vale guardare il mezzobusto
che ti immortala grave ma quietato
sopra l’emblema inutile dell’àncora.



La bisnonna

In un cassetto serbo ancora
i tuoi denti che non ho avuto
il coraggio di buttare da quando
una tua figlia me li diede quale
macabro dono a tuo ricordo.
Il diabete pare te li avesse
giocati e l’insistenza tua
nel non curarlo. Ti chiamavi Natala
(pensa che nome!) portavi una mantella
ricamata la tua saggezza dicevano
(ora chi più ne parla?) era nota.
Alla mia nonna a lei così sedentaria
pungesti i piedi con un ago sottile
la volta che si scostò dalla tua gonna!


Zia Carmela

Dunque Carmela amava Salvatore e Salvatore
Carmela ma i genitori opposero un diniego
grande quanto la palizzata alla marina.
Ma questa poi crollò col terremoto giammai
il diniego che li vide persi, persi e dispersi
in divergenti strade sepolti sotto le pietre
del rimpianto. Storie datate novecentosette
da noi lontane anni luce come del resto tu
nella tua posa la testa reclinata sulla spalla
gli occhi sgranati a chiedere ragione.

Nonna Teresa

Che dignitoso commiato il tuo
nonna Teresa, in pieno consapevole,
recitando preghiere tanto ch’ebbi
il coraggio di dirti: Quando
sarai lassù… (che ci salissi
non esisteva dubbio) “Sì pregherò
per te”. Eppure avevi trascorso
la vita senza muovere un dito
senza mai una battaglia; quell’unica
che affrontasti, la più dura, senza
battere ciglio la vincesti.

L’Altra Nonna

Di te ricordo i capelli
suddivisi in due bande da una riga
e la trappola per topi che inventasti
servendoti di un ditale e di una pentola.
Dicevano di te ch’eri una gran signora
che avevi il mestolo d’oro e molto argento,
prima della sterzata della stella.
Mi è rimasto il tuo nome soltanto
ed un ventaglio che col vento
che tira qui da noi, è superfluo
agitare, per soffiarsi.


Nonno Franz

Mi chiedo spesso quale nodo di vento
abbia portato qui mio nonno
da Zurigo. Eppure trovò bene
in questa terra: intraprese commerci
sposò una del luogo visse ricco e ossequiato
con carrozze e livree fin quando
una sterzata della stella
lo mandò bruscamente ruzzoloni.
Da bravo zurighese affrontò con decoro
la caduta. A ricordo dei vecchi fasti
osservò fino in fondo l’etichetta
mantenne sempre a pranzo l’antipasto
mai domenica trascorse senza il dolce.


Foto di Parente Sconosciuta

En souvenir de ta soeur c’è scritto giù
nell’angolo data due maggio novecentotredici
e tu stupenda contro una finestra un profilo
perfetto da cammeo, le braccia abbandonate
perfettissime, collo vestito perle
acconciatura talmente belli da sembrare
finti. Eppure sei esistita, col tuo francese
spedito ineccepibile e gli squisiti modi
da gran dama, lo diceva la Gina che sapeva
tutte le vecchie storie di famiglia,





Zia Angelina

Portavi sette calze una sull’altra,
a scopo mimetizzante pare
di inaccettate magrezze.
Inverosimili cose cucinavi
come i baccelli di fave
e altre delizie. Ma questi
e altri ancora furono i vezzi
di una vecchiaia triste (a cosa
mai non ci conducono gli anni!)
inimmaginabile, quanto diafana
dama al belvedere, sotto un cappello
di rose ti nascondevi dal sole.


Foto di mia Madre


Nella foto con sulla testa
un secchio capovolto (che moda
fu mai quella dei tuoi tempi!)
hai scritto: Qui sono scappata dal serraglio.
Ma intorno non si sospettano leoni
né tracce d’altre fiere. Da un’altra
gabbia invece poi fuggisti e fu
una gara tra galline e galli
per gridare allo scandalo inaudito.
La tua incuranza fu la loro pena
perché non c’è di peggio per i polli
che di veder fuggire un prigioniero.


Foto di Nonno Peppino con Orologio

Accanto al letto tengo
ancora il tuo Roskopf che
settant’anni fa comprasti
a Boston. Certo non posso dire
che adesso segni il mio tempo
(fa un baccano d’inferno, la sua
giornata a me sembra più corta)
ma se gli do la corda lui
riparte spedito come in quel
giorno del quarantanove in cui
lo raccolsi sopra la consolle,
da te dimenticato per altro
appuntamento ormai partito.


Foto di gruppo con zia Nata

Questa mi pare sia del trentanove:
Aldo bambino ha una smorfia
sul viso per il sole, io sono gongolante
per avere trovato non so dove l’involucro
luccicante di un cioccolatino;
Dietro tu e le altre zie – le adulte –
col vento che vi corre tra i capelli
e sullo sfondo naturalmente il mare
con una grande nave che pazienti aspettammo
si disponesse dentro l’obiettivo.


Con Luciana al Mare


Abbiamo costumi uguali di cretonne
a bolle bianche sopra un fondo rosso
però i colori li sappiamo noi
perché la foto mica li rivela. Io
magra come un chiodo tu opulenta
strizziamo gli occhi, siamo contro sole.
S’intravedono appena dietro di noi
le baracchette bianche che ospitarono
i nostri giorni da favola quelli che
a ricordarli ci riportano in mente
la bicicletta i balli le canzoni
gli sguardi dei ragazzi per te sola.


Foto di Maria Nicosia con altre Amiche

Siamo venute bene in questa luce
tra gli angeli scolpiti e le colombe
sulla coppa d’opale che comprammo
ad Assisi un’estate. Rosa che canta
Mimma che dipinge Ida che sta in Duetto
dentro un libro io che declamo Prenditi
la casa. Tu la regista che con occhio
amorevole ci assembla ci suona al pianoforte
The Man I Love ci porge il liquorino
della sosta tra un viaggio e l’altro
tra una fuga e un ritorno alla sua riva.


Foto della poetessa Maria Costa sulla Riviera Paradiso

Vieni fuori da un’acqua turbinosa
mentre soffia il grecale alla marina.
Porti ricci di mare nei capelli
e attorno alle tue vesti guizzano pesci.
Che fantastiche storie ci racconti
di trombe d’aria, di lontri, di feluche,
di mastri calafati, pesci spada, di naufragi
e ritorni fortunosi. Così anche noi smemorati
d’incanti torniamo alle magie di questa riva
che ci riporti intatta ripopolata di barche
e di sirene. Non dev’essere scherzo del destino
se il luogo privilegiato che t’accoglie
è chiamato da sempre Paradiso.

14 commenti:

Antonio Di Gennaro ha detto...

Non mi hanno persuaso, queste poesie della Stecher. Sarà la passerella dei parenti, che suona sentimentale di per sè (e che andrebbe sempre asiugata da uno sguardo di pietra e non così "partecipe"). Sarà l'andatura prosastica. Sembrano brevi racconti di famiglia, con poca concentrazione lirica: "dunque Carmela amava Salvatore e Salvatore Carmela, ma i genitori opposero un diniego...". Non vi pare semplice narrativa?

Antonio

Anonimo ha detto...

Quanto mi piacciono ! Questi racconti pieni di sguardi e di poesia! Mi piacerebbe tanto (ma io non sono in grado ) leggerli tradotti nel dialetto della sua terra , sarebbero fantastici, qualcuno lo saprebbe fare?
Non dico tutte, qualcuna... . Sono certa che non accontestereste solo me. Emy

Anonimo ha detto...

Una poesia autentica e ispirata, grazie per la segnalazione
Flavio Almerighi

giorgio linguaglossa ha detto...


TRASMETTO QUESTE NOTE DI LIDIA ARE CAVERNI:

Carissimo Giorgio,

ho letto le quattordici poesie di Giorgia Stecher e ho scritto due righe di commento che però non sono state registrate. Vuoi metterle tu?
Avevo apprezzato il primo "Album" ed ora apprezzo il secondo.
Sono poesie avvincenti, avvolgenti in un gioco di immagini che scaturite dal passato, balzano vive dense di vivacità ai nostri occhi. E' un albero genealogico di personaggi che fanno parte della cerchia familiare dell'autrice, ma che parlano ai lettori con tutti i colori che la patina del tempo ravviva attraverso la poesia rendendoli immortali.
Lidia Are Caverni

Un abbraccio.
Lidia

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Enzo G. ha detto...

L'ironia soprattutto! Temi apparentemente banali, sono come le mini storie che anche i giovani antropologi vanno raccogliendo perché c'è un terreno che frana sotto i piedi. Non per digerire l'ago sottile a guardia della tradizione ma per puntellare identità frammentate che necessariamente si confrontano anche con il passato anche per rifiutarlo. L'ironia nel punto più alto si allinea all'essenza del "limerick senza senso"come in "Nonno Franz". La poesia è pervasa da una leggerezza che aiuta la respirazione come in "Foto di parente sconosciuta", "Zia Angelina", "Foto di mia madre". Lontani da una poesia sfollagente, c'è solo l'imbarazzo della scelta !

Anonimo ha detto...

Sfogliando l'album delle fotografie, nel clima affettuoso dei ricordi. Cordialmente, con ironia e leggerezza. Mah, sarà perché non amo conservare fotografie, infine mi chiedo: che me ne importa?
mayoor

Enzo G. ha detto...

Potresti anche guardare le foto con ironia. Anch'io potrei dire "Che me ne importa" specie se penso “alle coppe d'opale che comprammo ad Assisi” o “i costumi uguali di cretonne” a bolle bianche". L’interno è piccolo borghese; devi aver molto tempo per produrre pensieri così leggeri ma “quei denti che serbo ancora in un cassetto e che non ho avuto il coraggio di buttare" mi fanno pensare alla differenza antropologica con un mondo che non c'è più. Sono certo che molti passerebbero settimane a studiare quelle fotografie color sepia. Da quando è finita “la narrazione” la lettura delle foto è rimasto uno dei pochi mezzi di cui disponiamo per rileggere frammenti del passato.Trovo molto tenera e di straordinaria bellezza la foto che hai inserito in un tuo libretto "Poesie di Lucio Mayor Tosi" più vicina al dagherrotipo che alle false immagini odierne che riflettono del resto un mondo virtuale di cui vorremmo liberarci.


Unknown ha detto...

questi "scatti" poetici, non so se mi piacciono..sento prevalere, e capisco che è una mia percezione, un retrogusto "snob" tipico di un certo tipo di sinistra cn la puzza sotto il naso...per dirla cinematograficamente e facendone una comparazione con gli "oggetti" della memoria, non ha nulla di Tarkovskij e, per l'aspetto "ironia" nemmeno nulla de lnostro ottimo Gianni di Gregorio.

Ripeto non è una critica, solo questione di gusti attraverso cui sentire "il vero", che vale per "l'obiettivo" di uno sguardo attraverso il tempo perduto e rimasto.

Però , detto questo, mi piacerebbe fare con le parole, una parodia a proposito di ironia, delle parole di Luciana Sanguigni visto che anche questa raccolta, come tutte le altre, non può avere due pesi( e oramai anche di piu) e due misure( e anche qui purtroppo anche id piu) nella valutazione rigorosa( che non puo esistere..paradosso) , visto che in altro post( la fisica del senso) scrive fra le altre cose :
"prendiamo atto che la poesia delle effrazioni dell'anima si è così definitivamente modellizzata sui linguaggi mediatici delle rubriche del cuore dei rotocalchi femminilizzati; si è così verificata una vera e propria femminilizzazione (e metallizzazione) del linguaggio poetico che oggi si presenta come un fenomeno di larghissima diffusione, un fenomeno che ha del magico e dell'empatico. E anche del ridicolo."

non si rischia del ridicolo tutti quanti( i critici di ruolo solo critici e/o letterati o poeti) , dicendo quando e come qualcuno o qualcosa sa parlare del cuore o dell'anima delle cose e quando no?

perché alcuni non lo correrebbero? perché c'è un canone e solo uno per saper cantare questo o quel cassetto, con questi denti o quella dentiera?

io non devo pensare al mio senso di vero, perché se adottassi solo il mio metro, non in quanto sepolta per lo piu da cose finte date dall'epoca, diventerei a mia volta finzione e virtuale.

giorgio linguaglossa ha detto...

@ in soffitta e Luciana Sanguigni

si è parlato tanto e a dismisura del «parlato» e del «quotidiano» in questi ultimi 30 40 anni che si è finito col perdere il significato di quei vocaboli. Da un punto di vista generale tutto è «parlato», e ci si è dimenticati del «chi parla» e per «che cosa» si parla e «per chi?». Così è passato in secondo piano che il poeta parla sempre a qualcuno (altrimenti lo si dovrebbe prendere per matto); anche quando non parla con nessuno, questo è sempre un qualcosa di oggettivo: dico il «nessuno», un qualcosa che esclude gli altri. Che la poesia it. da Giovanni Giudici in giù si sia incamminata verso una strada sempre più stretta e asfittica è una tesi sulla quale io insisto da tempo; che occorresse un correttivo a questo cinetismo della poesia it. è un fatto che i più accorti e acuti lo hanno notato da tempo... in questa accezione la rivalutazione di poeti che hanno operato («referenziali e realisti») negli anni Ottanta Novanta come Giorgia Stecher è una operazione assolutamente necessaria per tentare di contro bilanciare il cedimento ai linguaggi poetici «metallizzati» da sentimentalismi spurii e incongrui, con tutto un eccesso di esternazioni e singulti dell'anima offesa e violata (giustamente la Sanguisni cita Mariangela Gualtieri e compagne di strada ma io ci metto anche il secondo Milo De Angelis) e di «patetico» messo in vetrina. Nulla di più estraneo della vetrina del cuore delle autrici al femminile pubblicate in particolare nella collana bianca della Einaudi. Si è verificata in questi anni una «femminilizzazione» dei linguaggi poetici e non solo delle donne, e giustamente la Sanguigni annota l «ridicolo» che tali scelte sottintendono e sostengono. Almeno gli ultimi libri della Valduga sanno mescidare con astuzia sentimentalismo ed erotismo ma con uno stile ormai telefonato e progettato che non stupisce più nessuno.
Per tornare alla Stecher, a distanza di quasi 20 anni dalla pubblicazione degli ultimi suoi due libri "Album" (1991) e "Altre foto per album" (1996), non possiamo non notare la perfetta corrispondenza nello stile tra tasso di referenzialità (le fotografie ingiallite dal tempo) e indice di utilizzazione del «parlato» tutto innervato nel e sul referente. Non vedo traccia di sinistrismo in questa operazione della Stecher, è un linguaggio poetico che evita il facile e scontato riferimento ai linguaggi della piccola borghesia in via di definitiva mediatizzazione; anzi, la scelta del tema e la tematizzazione stilistica dei suoi due ultimi libri indirizzano questa poesia in direzione di una poesia senza interlocutore, priva cioè di agganci col sociale e col politico e tantomeno con l'attualità, o quello che si considerava (e si considera oggi) negli anni Novanta «attualità». Definirei felicemente anacronistica la poesia della Stecher, un po' come quella di Ripellino o di Helle Busacca o di M.R. Madonna o Maria Marchesi, tutte un po' inattuali e anacronistiche. Per questo oggi tanto più essenziali per ricostruire e capire che cosa è stata la poesia importante degli anni Novanta del Novecento.

Antonio Di Gennaro ha detto...

Ma la Stecher è il colmo del sentimentalismo! Altro che Mariangela Gualtieri!Già l'espressione "foto ingiallite dal tempo" la dice lunga su questa vena patetica. E poi l'andamento orizzontale e senza guizzo la conduce sempre di più in luoghi crepuscolari. Non tanto Gozzano, ma Marino Moretti: la celebrazione della reliquia domestica.

Antonio

Anonimo ha detto...

Quanto all'annosa questione della scrittura "femminile", si può dire che effettivamente c'è una posizione femminile che è come la posizione del portiere prima del calcio di rigore . La sua reazione dipende da molti fattori : la psicologia , la statura , la muscolatura . Poi , al momento della parata , viene fuori lo stile , che è personalissimo e che non ha nulla a che vedere con la femminilità . Quando una scrittrice rivela uno stile "femminile" c'è sicuramente qualcosa che non funziona . Lamarque insegna , Valduga docet . Ammesso che quanto sopra abbia una ragion d'essere , le rare apparizioni di "femminile" nella Stecher mi sembrano più una risorsa che una digressione vana ed effimera nella coloritura ghiotta del "sentimentalismo" che va per la maggiore .

leopoldo attolico -

Anonimo ha detto...

Oh! Poveri sentimenti
sentimenti poveri
stracciati, evitati,
inquinati, frantumati,
buttati, seppelliti.

Accendo una fiamma
alla loro memoria
come fosse una fede
che ancora impetuosa
irrompe.

Emy

Anonimo ha detto...

C'è molto cinismo in giro , quindi è normale che la Stecher venga liquidata come borghesuccia che si trastulla con quattro foto ingiallite .Oggi l'indice di gradimento è decisamente orientato verso il nevrotico rendiconto di malesseri e veleni in salsa autoreferenziale , il male di vivere e dintorni di buona memoria . Vent'anni di degrado ( onnicomprensivo) hanno lasciato il segno e si vede : desertificazione del gusto , della percezione , appiattimento su formule espressive da referto medico assimilabili a una telefonata o a un messaggio cifrato ; in ogni caso celebrazione dei propri esaurimenti nervosi . Contenti loro , ad maiora .
Mai ( mai ) che gli passasse dall'anticamera del cervello che la scrittura può ( grazie a dio ) essere altro dalla propria - fisiologica - modalità di rapportarvisi .
Il lavoro della Stecher è la cattiva coscienza di sensibilità complessate , euforicamente radicate nel proprio orticello di angustia intellettuale ed umana .

leopoldo attolico -