venerdì 21 settembre 2012

Rita Simonitto
Perdite


Galleria di Francesco I, Perdita della gioventù perpetua


Tentasti di fiorire
ma venne la neve a primavera.
Poi ci fu maggio, e il sole roteava
come non mai travolgendo la terra
nei sui baci. Non portò frutti giugno.

Capitasti certo male, ragazzo,
e negli occhi che ti guardano guardi
invelenito e perso quel mucchio d’altri
che godette di primavere e estati.

E ti chiedi a che serve che sai
che loro mai sapranno
ciò che tu sai.

15.10.2011

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Cara Rita,
le tue metafore portano contenuti là dove io so soltanto indicare.
Questa tua poesia mi pare risponda alla mia, anche se i ragazzi di cui parlo io son pescatori che preparano le loro reti malgrado la bufera duri ormai da secoli. E' da parecchio che il dialogo generazionale si è interrotto, il fatto è che a nessuno interessa riprenderlo, ne' ai ragazzi ne' a quegli altri. Non possono contrapporsi tra loro due civiltà, che lo si sappia o meno una prenderà il posto dell'altra.
mayoor

Unknown ha detto...

Spero che Rita S. perdoni il mio delirio che non può ripagarla della grandissima intensità ricevuta leggendo questa sua di "cinque",e poi "quattro", e alla fine "tre" ..tre dita rimaste visto la per-dita delle altre, di cui una senz'altro è quella rubata alle stagioni, che possono far funzionare il tempo,lo spazio e chi dovrebbe abitarlo senza che nemmeno una manchi. Invece ne rimangono solo tre, come i tre "sonetti" che a loro volta "perdono" un pezzo...e se nel primo tempo, in cinque righe dalla neve al sole, c'era la tensione addirittura ad una quinta stagione, nel secondo sonetto, dove sembrebbe esserci una stagione per solco della quattro righe, già si intravede la truffa e il furto di una delle quattro (per me l'autunno) quella che infatti riduce a tre solchi la terza parte. Ma la potenza assoluta, almeno per me, di quest'ultima parte è quanto e come si sposi, alla massima capacità espressiva, l'ambivalenza di inverno/estate (tanto come primavera/autunno) con il conflitto secolare vecchi e giovani coinvolto in quelle mutazioni tutte(della vita degli abitanti del "villaggio")volute per aumentare ogni tipo di dicotomia, compresa questa. Non esiste più tanto il vecchio quanto il giovane(e persino da bambino) di un certo tipo di villaggio, così è per l'estate e l'inverno etc etc . Scardinati i rapporti di affetto e fatica, di apprendimento e di conflitto distruttivo e costruttivo, è rimasto, come per altri conflitti, l'essere ridotti entrambi a rivendicazioni che girano a vuoto perché per ora non hanno potuto trovare strade di ricostruzione della stagione rubata (ha importanza distinguere chi ha rubato, da chi non aveva strumenti per conoscere chi cosa e perché di questa trama nera di espropriazione violenta, ma sorvolo).

Quella terza parte di Rita che apre così "E ti chiedi a che serve che sai", al contrario delle prime due chiaramente rivolte dal "vecchio" al " ragazzo", è possbile leggerla almeno in due versi, sia come domanda del "vecchio" al "bambino", sia del " vecchio" a se stesso...ciò che tanto in un caso quanto nell'altro non cambia, è il senso della "trappola" che in una ruota infinita di stagioni, di ragazzi e di ex-ragazzi o di futuri ex( tutti cmq senza exit), prima a quattro e poi a tre, hanno generato, "per-dita" su "per-dita", l'amputazione progressiva di uno stesso corpo che ad ognuna delle due parti contrapposte sembra dell'altro o, peggio, sembra che l'altro(il vecchio) abbia amputato al prossimo(il giovane) ma avendo goduto di un tempo e uno spazio in cui il suo giovane corpo era ancora privo di tagli e mutilazioni ..l'amputazione invece si riflette su tutto, la stagione mancante continua a mancare, per cui il corpo rimasto delle altre tre s'intrappola il riposo,il germoglio e il frutto; "saperlo" e "non saperlo", è come il vecchio e il giovane del nuovo villaggio..ed è più tragico di Hamlet, rafforza il blocco, fa il gioco perfetto dei guardiani del mondo.. rubare una ad una le tre stagioni spellacchiate rimaste, uno scherzetto " da ragazzi".

Anonimo ha detto...

Rita Simonitto
@ Mayoor
*E' da parecchio che il dialogo generazionale si è interrotto, il fatto è che a nessuno interessa riprenderlo, ne' ai ragazzi ne' a quegli altri. Non possono contrapporsi tra loro due civiltà, che lo si sappia o meno una prenderà il posto dell'altra*.
Non si ‘occupa’ un posto come nel gioco dei quattro cantoni. Nel processo evolutivo ci dovrebbe essere una integrazione che deriva dalla ‘comprensione’ (conprehendere) di quanto si è superato.
A meno che non si voglia ‘tagliare tutto’ nella illusione di poter creare tutto ex novo.
Marx, nei Grundrisse, scrisse “L’anatomia dell’uomo fornisce una chiave per l’anatomia della scimmia”. Ciò che una volta era necessario oggi diventa ‘opzionale’, farebbe parte di una possibilità in più, un specie di ‘scelta’ inconsapevole o consapevole che sia. Un bambino non può che fare il bambino, mentre l’adulto ha due ‘opzioni’: fare l’adulto o continuare a fare il bambino.
@ In soffitta
Un grazie di cuore a Ro': le tue osservazioni mi hanno messa in contatto con alcuni aspetti impliciti in questa 'veloce' poesia e ai quali, da sola, non ci sarei mai arrivata.
Quando si scrive, il dialogo, il più delle volte, avviene con un interlocutore interno, anche se costui comunque è 'altro' rispetto al soggetto stesso. Non è la stessa cosa quando ci si confronta con un lettore esterno la cui sensibilità permette di guardare oltre.
Credo che questo ampliamento dell'esperienza sia anche una delle funzioni importanti che il Laboratorio di Moltinpoesia permette.
Ancora grazie.
Rita

Anonimo ha detto...

Correggo: i ragazzi non rappresentano alcuna civiltà. Stanno tra le persone in difficoltà, che poi, come sappiamo, sarebbero la maggioranza (tra consapevoli e non). Non c'è un ex novo da creare, per me c'è solo da riconsiderare il significato della ricchezza (che è un bene collettivo perché deriva dal lavoro di tutti) e l'uso che se ne fa. E non sto dicendo niente di nuovo. Non discuto il marxismo, ma è un fatto che processi rivoluzionari che conosciamo sono anacronistici. Non si tratta nemmeno di cercare nuovi contenuti, basterà la condizione oggettiva creata dal declino di quel "benessere" ad-ogni-costo, proprio per il costo che comporta a tutti i livelli. E bisognerà cominciare a fare le cose con intelligenza, facendo cose ben fatte, non distruttive e finalmente davvero utili. Per queste ragioni non parlo di rivoluzione ma di cambio di civiltà. Di cambio perché non può esserci compatibilità tra due modi di essere e di operare. Per ragioni generazionali i ragazzi non si trovano nella condizione di dover scegliere, se così non fosse negli anni 60 anche i miei nonni si sarebbero fatti crescere i capelli e oggi anche mia zia che ha 80 anni avrebbe il piercing. Ma così non è. Cosa mi fa dire che le cose stiano proprio così? Per cominciare il fatto che quelli che stan bene mancano di giorno in giorno di ricchezza reale, perché chi gliela forniva non ne ha più. Poi perché si scopre che ci son tanti modi davvero alternativi per non buttare al vento la propria e l'altrui fatica-denaro. E per adesso mi fermo qui.
Quindi non cambierebbe sostanzialmente nulla, solo la sostanza del capitalismo.
Scusa se prima son stato sbrigativo, dipende da come mi sento. Le tue poesie mi piacciono sempre molto, anche quando ci sento dei nodi irrisolti, anche quando ci sento del pessimismo. Ciao
mayoor

Anonimo ha detto...

a Rita:

Si inizia spesso o sempre con un fiore con un bacio tutto viene travolto dal calore, dal colore. La memoria solo la memoria ci frega ,sempre. Voler ricordare o voler che gli altri conoscano il nostro andare, il nostro avere, il nostro essere, ah! Se tutti lo capissero e se noi capissimo tutto di tutti. Accettare l'ieri e non sapere del futuro solo perchè non lo si può vivere, ma solo un giorno quel piccolo giorno che sorge ad illuminare la polvere delle nostre strade o l'erba della campagna è già futuro ed io lo aspetto perchè verrà...domani. Grazie Rita sempre dolcemente ed instancabilmente mi fai riflettere. Emy

Unknown ha detto...

Ciao Rita, mi tengo stretto alle mie arterie o strade questo tuo dire dal tuo cuore vino rubino...spero di saperlo custodire, vista la mia capoccia dura di comprendonio quando a proposito di "altro" , esterno a se stessi, non capivo quanto potesse essere un'altra parte di me. Mi riferisco in particolar modo a quanto e come dici di questo multi-laboratorio a più strumenti,dove dalla poltroncina all'ultimo triangolo, dal loggione al primo violino, tutto diventa " altro", tutto diventa d'io multipolare, quella stessa multipolarità che libera di un soffio dalle sbarre millenarie, di ogni tipo da quelle esistenziali a quelle politiche e geopolitiche.
Quella " funzione" quindi che dici di questi molti, qui e ora, in questo spazio e tempo, mi sarebbe rimasta estranea se non avessi seguito quella voce di me, cantata da Emy, quando insistentemente e fastidiosamente ripeteva come un mantra senza perché al limiti del non senso, quanto e come fosse ricco l'"oltre" di quest'altrove dei moltinpoesia.
Ancora grazie a te in multiabbraccio