venerdì 2 novembre 2012

Ennio Abate
Oggi ho letto…
tre brevi pezzi di B. Brecht




…e mi sono venute in mente, per contrasto, tante farraginose elucubrazioni che affiorano quando si parla dei rapporti che i  sentimenti intrattengono con la poesia. Toh, mi sono detto, per trovarmi d’accordo con un poeta, devo andarmelo a ripescare tra quelli morti e in un paese che poco conosco e in un’epoca ormai lontana. Quanta saggezza ritrovo, però,  in alcuni passaggi di questi tre scritti! Sia quando leggo: «i sentimenti possono essere sbagliati quanto i pensieri»,  un concetto formidabile contro  sentimentalismi  e intellettualismi, entrambi unilaterali. Sia quando rileggo più volte il passo in cui afferma: « Quando il proposito di scrivere una poesia è autentico, sentimento e ragione lavorano in pieno accordo gridandosi lietamente l'un l'altro: Decidi tu!». E grido quasi 'evviva!' per l’elogio che Brecht fa della critica: «l'atteggiamento critico è l'unico produttivo e degno di un essere umano», uno sberleffo ai  vari falsi amici della poesia, che guardano alla critica come fumo negli occhi. Certo questo Brecht è d’altri tempi. E poi era un comunista; e anche qui parla ancora di una «classe Proletaria» (addirittura con la maiuscola!) che avrebbe dovuto diventare capace di «godimento critico» per «entrare in possesso della cultura borghese». Questa classe, lo so, non c’è più in quella forma desiderata/pensata dal marxista Brecht. E   condividere quella sua fiducia oggi sarebbe un errore. Ma spero che quanti non si contentino di usare la poesia come un’utilitaria o un Suv per portare a spasso il proprio individualismo sapranno apprezzare i suoi inviti  alla ragione e alla critica. E, dopo averle rispolverate, si ripropongano col loro aiuto anche il problema ineludibile dei destinatari delle proprie scritture poetiche. [E.A.]


Il lirico non ha niente da temere dalla ragione

Tra gli autori di cui leggo le poesie ve ne sono alcuni che conosco di persona. Spesso mi stupisco vedendo che più d'uno si dimostra assai meno ragionevole nelle poesie che in tutte le sue altre manifestazioni.
Pensa forse che le poesie siano una pura questione di sentimento? Crede forse che possano esserci delle pure questioni di sentimento? Anche se lo crede, dovrebbe almeno sapere che i sentimenti possono essere sbagliati quanto i pensieri. E ciò dovrebbe renderlo cauto.
Sembra che alcuni lirici, specialmente principianti, quando sentono venire l’ispirazione abbiano paura che tutto ciò che deriva dalla ragione possa mettere in fuga questa ispirazione. A tale riguardo c’è da dire che questa paura è completamente assurda. Come risulta da ciò che alcuni grandi lirici hanno raccontato a proposito del loro modo di lavorare, la loro ispirazione non è affatto tanto superfìciale, labile ed evanescente da poter essere turbata da una riflessione avveduta, anzi addirittura spassionata. Un certo slancio e una certa eccitazione non sono affatto diametralmente opposti all'obbiettività spassionata. Si deve anzi supporre che l'avversione ad accettare la collaborazione di criteri razionali sia indizio che quella tale ispirazione sotto la superficie è sterile. In tal caso bisognerebbe astenersi dallo scrivere una poesia.
Quando il proposito di scrivere una poesia è autentico, sentimento e ragione lavorano in pieno accordo gridandosi lietamente l'un l'altro:
Decidi tu!


Sulla dissezione delle poesie

Di solito il profano che sia appassionato di poesia prova una viva avversione davanti a ciò che si suol chiamare la dissezione di una poesia, l'applicazione della fredda logica e l'estirpazione di parole e immagini da queste creature delicate come fiori. A questo riguardo c'è da dire che neanche i fiori appassiscono se uno li trapassa con uno spillo.
Quando sono vitali, le poesie lo sono in modo del tutto particolare e possono sopravvivere alle operazioni più radicali. Un brutto verso non basta affatto a distruggere completamente una poesia, allo stesso modo  che un bel verso non basta a salvarla. Scoprire i versi brutti costituisce l'altra faccia di quel'abilità in mancanza della quale non si può neanche parlare di vera capacità di gustare la poesia, e cioè dell'abilità di scoprire i versi belli. A volte una poesia richiede pochissimo lavoro e a volte ne comporta moltissimo. Quando ritiene che le poesie siano inavvicinabili, il profano dimentica che, se senza dubbio il poeta desidera condividere con lui le lievi impressioni che egli è in grado di provare, il formularle in poesia rappresenta un processo lavorativo; la poesia consiste appunto nel rendere fisso qualcosa di fugace e si tratta quindi di qualcosa di relativamente solido, di materiale. Chi considera inavvicinabile la poesia, in realtà vuol dire che non è capace di avvicinarlesi. Gran parte del godimento consiste appunto nell'applicare dei criteri di giudizio. Sfoglia una
rosa e ogni petalo rimane bello.

[L'atteggiamento critico]

È completamente sbagliato considerare la critica come qualcosa di morto, di improduttivo, per cosi dire di barboso. È il signor Hitler che desidera diffondere una tale concezione della critica. In realtà l'atteggiamento critico è l'unico produttivo e degno di un essere umano. Esso significa collaborazione, progresso, vita. Senza un atteggiamento critico il vero godimento artistico è impossibile.
Oggi che il fatto nudo e crudo di esistere già da gran tempo è divenuto una questione politica, la poesia avrebbe addirittura cessato di esistere se la produzione e il consumo della lirica dipendessero dalla possibilità di eliminare i criteri fissati dalla ragione. I nostri sentimenti (istinti, emozioni) sono finiti in un vero pantano; sono in perpetuo conflitto con i nostri nudi interessi.
La critica non distrugge affatto il godimento, a meno che non si riduca a un malevolo cavillare. Senza capacità di godimento critico la classe Proletaria non potrà in nessun caso entrare in possesso della cultura borghese. Il senso storico, in mancanza del quale la classe proletaria non sarà in grado di gustare tale cultura, è senso critico, ciò deve essere ben chiaro. Bisogna essere capaci di cogliere la passata perfezione di un qualcosa che nel frattempo si è mutato in peggio, che in nessun luogo è dato ormai ritrovare in quella sua perfezione, qualche cosa che è diventato ormai indigeribile nel senso più letale della parola.

(Bertolt Brecht, Scritti sulla letteratura e sull’arte, Nota introduttiva di Cesare Cases. Traduzione di Bianca Zagari, pp. 253-255 Einaudi, Torino 1973


6 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi sento commosso e grato per questi insegnamenti, all'apparenza così semplici... e che diamine, ci vuol tanto a dire le cose come stanno in maniera stringata e comprensibile? Faccio copia-incolla e me lo tengo, si sa mai me ne dimenticassi. Credo che ai migliori insegnamenti si debba risponde con la pratica. Grazie Ennio. Pensare che Brecht l'avevo accantonato per via dei versi, così densi di prosa estenuante, quel tono candido che però non m'ingannava...
mayoor

Anonimo ha detto...

Soprattutto necessari. Grazie . Emy

Francesca Diano ha detto...

I grandi hanno sempre il dono della chiarezza. E dell' (apparente) semplicità.

Annamaria ha detto...

...o sì, quanto mi piace B.Brecht, nel mio piccolo piccolo é stato per me un maestro.Quanto ho amato il suo teatro, la sua poesia e anche queste riflessioni sulla poesia e la letteratura mi sembrano straordinarie, di lucida semplicità. Volevo portare avanti una considerazione ma anche un quesito che pongo a me e a voi critici e poeti di Moltinpoesia. B. Brecht é vissuto in un periodo terribile, di violenza e di costrizione psicologica ma grazie ai suoi valori, al suo valore e al coraggio é riuscito a rappresentare nei suoi testi un mondo calpestato, ferito, ma in movimento. Sentimento e pensiero andavano da braccetto e si cedevano volentieri il passo. Nonostante tutto c'era la speranza che attraverso la presa di coscienza qualcosa potesse cambiare. Oggi siamo davvero caduti in quel pantano di sentimenti e di emozioni di cui parla B. Brecht e che io chiamo follia: la follia del potere (mi sembra l'argomento della poesia di Mayor)ma anche quella di chi si é semplicemente smarrito. Infine é questa la mia domanda: la poesia oggi può parlare di follia, all'interno della follia? ...Oppure la follia é "un sentimanto sbagliato" e non costruttivo?
Annamaria

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate a Annamaria:

Follia è l'etichetta (comoda per chi ha abbastanza potere, terrificante per chi ne è senza o ne ha poco e se la vede appiccicare addosso) in uso per delimitare una zona oscura dell'esperienza umana.
Questa zona però è stata anche indagata ( si pensi in generale alla psichiatria e alla psicanalisi di vario orientamento, ma anche alla etnopsichiatria e, da noi, all'opera di M. Foucault e anche di Basaglia; per chi fosse interessato segnalo il blog di Giacomo Conserva che continua da specialista la riflessione su questi filoni: http://gconse.blogspot.it/) e ne è venuto fuori un quadro più mosso di quello delineato - per intenderci - da un Cesare Lombroso o da una visione quasi mistica del fenomeno stesso.
A me pare interessante che certe correnti di pensiero abbiano sottolineato l'importanza dello scontro che avviene anche in questo campo apparentemente separato da quello che avviene più in generale nelle società moderne e contemporanee.
La poesia secondo me è, come tutte le pratiche umane, implicata in questo scontro (che poi viene rappresentato come contrapposizione tra ragione e sentimento, razionale e irrazionale, normale e anormale, sano e malato, ecc.).
E accanto ai due estremi - l'elogio, oggi tornato frequente, della quasi identità tra follia e poesia (si pensi a certe mitologie intorno a Campana o più di recente alla Merini) e quello dell'apollineo puro contro il dionisiaco - Brecht, per tornare in questione, mi pare un esempio sommo di uno che sa tenerli in dinamico equilibrio.
Con una giusta (per me) accentuazione della simpatia verso quelli che vivono lo scontro "dal basso" e una buona antipatia poltica per quelli che manovrano dall'alto e ti riducono anche l'avversario politico a "folle" per liquidarlo ( pratica comune nell' Urss stalinista, ma anche in Israele e credo in moltissimi altri paesi appena lo scontro sociale si fa più acuto. Qualcuno ricorda i titoli dei giornali su Valpreda dopo la strage di Piazza Fontana?).

Annamaria ha detto...

Annamaria a Ennio Abate,
grazie davvero per la risposta...sì Brecht sapeva tenere in dinamico equilibrio ragione e sentimento, forse perchè aveva scelto da che parte stare senza tentennamenti. Madre coraggio, per quel che conosco, é il suo personaggio più folle, in quanto si illude di trarre vantaggio per se stessa e per i figli dalla guerra, cioè dal gioco deciso dai potenti.
Ecco, penso che la follia più diffusa oggi sia di quel tipo. Si tratta di vittime "follemente felici".