mercoledì 17 ottobre 2012

Francesco Tarantino
La strage di alberi
del cimitero di Mormanno.
Con una nota di G. Linguaglossa


Mormanno, un piccolo comune della Calabria. Il Cimitero di Mormanno. Un certo giorno il sindaco del comune fa tagliare tutti gli alberi centenari che abbellivano il cimitero di Mormanno. Un atto vandalico. Un poeta calabrese di nome Francesco Tarantino denuncia alla locale Procura della repubblica la strage di alberi. Nulla, non succede nulla. E allora il poeta appone sulla soglia di ogni albero reciso un leggìo con su scritto una poesia di un poeta italiano, ma mani ignote abbattono alcuni leggii e deturpano il luogo. È un affronto sull’affronto, una vergogna alla quale Francesco Tarantino non si arrende, e denuncia e rimette in piedi i leggii abbattuti. È una questione di Memoria. È una questione di barbarie. E la grottesca vicenda diventa una tenzone legale perché il sindaco intima a Francesco Tarantino di ritirare i leggii con le poesie e il poeta risponde tramite un legale che l’apposizione di quei leggii è pienamente legittima.
È una ben triste vicenda dei giorni nostri ma Francesco Tarantino non si arrende e pubblica un libro di versi dove dà la parola agli alberi recisi, dove gli alberi recisi gridano di dolore e di vendetta, e lo gridano in poesia e distribuisce ai cittadini di Mormanno il libro di poesia. Ecco alcune poesie di Francesco Tarantino cittadino di Mormanno con una lirica di Dante Maffìa come prefazione.

Giorgio Linguaglossa


IL CIMITERO DI MORMANNO

Perché avete tolto ai morti
la loro anima che sempre si rinnova
nelle foglie degli alberi?
Quando nei cimiteri svettano i rami
vuol dire che i morti sognano la vita,
s’illudono di stare con i propri figli.
Perché li avete mutilati, i morti, dico,
della voce e degli occhi
che le piante prestavano generosamente?
Perché ?
Adesso il cimitero è un pianto
d’inerzia, un luogo disabitato!

Dante Maffìa



III

Quello che resta son solo radici
Che non fanno alcun ombra e marciranno
Ho dato ristoro e giorni felici
Alle preghiere che ormai finiranno
Ascoltavo i lamenti sotto terra
E con i miei rami li portavo al cielo
Perché le cicatrici della guerra
Fossero lenite da freddo e gelo
Oltre ai patemi raccoglievo gioie
E soddisfazioni per piccole glorie
Dalle pieghe dei rami a feritoie
Sentivo narrare piccole storie
Rancori di donne con le cesoie
Nei rosari di terre e di memorie

VI

Come gemelli vegliavamo i morti
Tra i lamenti e il pianto delle consorti
Con le preghiere le nenie e i rosari
Sfogliando le pagine dei diari
Ho visto morire mio fratello
Scappar via dai suoi rami un uccello
Fui abbattuto non perché malato
Ma una specie di ragione di stato
La scellerataggine fu la norma
E la desolazione ne prese forma
¿che cosa resterà del nostro legno?
Neanche cenere per un uomo indegno
E la caducità di tanta emergenza
Sarà una condanna come sentenza

IX

Iniziarono presto i miei timori
Di essere segato come quegli altri
Ma non avevo colpe né malori
E non offendevo la luna né gli astri
Ero solo un testimone di luce
Un intervallo fra il giorno ed il cielo
Come ombra che l’atmosfera riduce
Ad appoggio di neve che si fa gelo
E vennero un giorno ad imprigionarmi
Con molte funi e legacci irriverenti
E dalla cima iniziarono a tagliarmi
Per ordine di incapaci e delinquenti
Non stettero neanche ad ascoltarmi
Triturandomi in metalli battenti

XI

Spesso ho frenato il vento nella corsa
Vegliando sulle urne dei vostri cari
Ma contro la belva nella rincorsa
ho perso ché non avevo armi pari
Forse la furia del rinoceronte
L’avrei fermata e non sarei caduto
Ma ho dovuto abbassare la fronte
A chi senza ritegno mi ha abbattuto
I santi non poterono difendermi
Contro i demoni di tutto l’inferno
Quale fegato per non offendermi
Quando segato ed esposto allo scherno
Bastardi idioti vennero a prendermi
Segnando il mio prezzo in un quaderno

XVI

Rosseggiava già l’alba quel mattino
Verso un irreversibile destino
Non si poteva invertire il cammino
Di un disegno che non era divino
Mi accorsi che già veniva la fine
E sarei stato portato oltre il confine
Li ebbi addosso con seghe assassine
E caddero pure le tombe vicine
Che brutto spettacolo d’indecenza
Profanare tombe senza indulgenza
Col prete che parla di trascendenza
Scricchiolano davvero adesso le ossa
Aspettando che tu scenda la fossa
E s’alzeranno i morti per la riscossa


XXI

In alto parlavo col cielo e coi santi
E captavo tante onde dall’America
Consegnando un ricordo a tutti quanti
Con l’eco di una musica angelica
Mi trovai coricato nei dirupi
Nell’attesa di essere caricato
Trasportato dalla terra dei lupi
Perché fossi venduto e frantumato
Mio dovere fu la sentinella
fare la guardia al disco della luna
E inseguire ancora l’ultima stella
Risplendente come un portafortuna
Ma quella notte non mi fu sorella

E al mattino la vidi oltre la duna


12 commenti:

Unknown ha detto...

----------------giacciono i morti

-------------& tengono le fini della radici in bocca

**************Lutz Seiler


"... Bastardi idioti vennero a prendermi
Segnando il mio prezzo in un quaderno..."

ringrazio molto per questa segnalazione,ieri sera ho potuto ordinarmi il libro.. mi è molto piaciuto questo Tarantino che non conoscevo , rende la denuncia poetica politica in un tuttuno fra i due mondi visibili e invisibili e la sua mappa, la geografia degli alberi uccisi tanto ai vivi quanto ai morti. Rende l'epoca senza vita e senza morte, il vuoto come quello ricevuto da chi, nella mafia mentale congenita ad ogni latitudine, "semplicmente" ha riaffermato il vuoto stesso con la negazione della sua azione poetica sugli scheletri di entrambi. Se la vita non vale nulla tantomeno vale la morte (tranne quando serve per lucrarci sù), ma questo unisce e l'"azione" poetica scelta da Tarantino è così fortemente politica che infatti la sua ingegneria poetica, è l'essenza di una termodinamica applicata per cui il poeta è stato, è, e sarà sempre "cacciato". Gli verrà data la caccia ogni volta perché la sua presenza ha ricordato, evocato, narrato, rappresentato la forza della vita e della morte. Inoltre questi fatti di Mormanno che non conoscevo, si ripetono in ogni angolo, piccolissimo o grandissimo, di tutti i giorni..nel mio piccolo, con poesie anche mie, ma soprattutto di altri, lascio "alla strada" la forza delle parole, ma non sono i media che danno al poeta la fonte di amplificazione del disturbo..è di per sé un pezzetto di carta, su altra carta uccisa, che accarezza un padre e un madre di quegli stessi fogli e che creando acqua di acqua di lacrime, amplifica la bestia di chi ha ucciso e che ha fatto di tutto per essere scambiato per quel padre e per quella madre.

Anche ultimamente sotto casa, dove abito, in un cimitero sui generis expò di cemento allegro, hanno tagliato tigli di almeno due secoli..parlano della lombardia come della calabria, ma la pseudoforza della società civile arriva al massimo dei massimi solo sotto un grattacielo.Appena t'azzardi a dar voce a un albero ucciso fuori dai recinti protetti e predigeriti dell'istituzione totale civile o legalitaria, sei persona male-detta.

Anonimo ha detto...

Non siamo gli unici abitanti della Terra, questa è una comprensione che arriva con forte anticipo alla nostra epoca. E sicuramente molte altre volte ne siamo stati sfiorati, ciascuno, sicuramente ogni volta che abbiamo abbandonato noi stessi magari anche solo per osservare silenziosamente ( nei pensieri) una formica. Figuriamoci gli alberi! se non sono vivi. E figuriamoci se non lo sono i morti di un cimitero, se son vivi per sempre per qualcuno. Dice bene Dante Maffia, adulto e saggio com'è. Tanto valeva farci passare l'autostrada. Bravo Tarantino, bravo e coraggioso! E bravo per queste sue rime che sono rami, così affastellate, così non subito ma poi così necessarie... bisogna avere dentro un lungo istante di magia, così lungo che gli assemblatori di versi stenterebbero. Per questo va bene una metrica semplice, perché è nenia, lamento e disperazione, canzone.
mayoor

Anonimo ha detto...

... non canzone, canto!
m.

Francesca Diano ha detto...

Quanto c'è in questi dialoghi arborei, che sono dei monologhi solo in apparenza, perché sono in realtà voci di un canto polifonico. La consapevolezza della non separazione non solo di un albero dall'altro, ma degli alberi e dunque della natura, dall'uomo e dalla terra. Sono i versi di una lamentazione funebre - il lamento e il canto, come dice Mayoor - per la morte dell'uomo e della natura e per la morte dell'uomo che uccide la natura, dunque se stesso.
Le devastazioni della nostra bella Calabria hanno storia lunga. Molti anni fa un'azione criminale abbatté i meravigliosi antichissimi ulivi della Piana di Goia Tauro per costruire un'inutile cattedrale nel deserto, che nutriva non l'uomo e la terra, come gli antichi ulivi, ma i luridi interessi criminosi e politici. Anche allora qualcuno espresse in poesia il dolore per questo scempio.
La voce di Tarantino non servirà ad evitare altri scempi né riporterà in vita gli alberi, ma è un baluardo alla barbarie. Perché non tutti uccidono.

Anonimo ha detto...

Tristezza,forza,grido,da accompagnare con un dolce suono di chitarra. Già la sento e già vedo emozioni. Bisognerebbe provarci... . La poesia che torna , la musica l'accoglie. Grazie Emy

Anonimo ha detto...

Se ciò che accade non appare , non esiste . Mi viene in mente IL Fatto Quotidiano , l'unico organo di informazione che sicuramente avrebbe dato rilievo a quanto è accaduto .
Probabilmente si è ancora in tempo . L'opinione pubblica , la Società Civile deve sapere . La sola poesia purtroppo non muove paglia .

leopoldo attolico -

Anonimo ha detto...

sembra un po’ ridicola la poesia, la mia
quella d’altri)

mi chiude il cuore una fatica
vedere l’innocenza derisa l’intelletto svillaneggiato
la bellezza violata e senza futuro la natura. Odio chiunque
derida violi o rapini futuri e l’amore che porto
a quanto sa lievemente vivere soffre ogni volta
che un albero viene tagliato per far posto a nulla
che lo valga – il nespolo di un giardino urbano
che l’aria faceva buona in quotidiano duello –
se guardo il tronco grande segreto e forte e
vivido d’arancio e sanguinante di linfe interrotte e
triste dei frutti disprezzati le foglie vive a seccare, io
davvero io
non so più immaginare


A testimoniare quanto leggere di questa notizia mi tocchi profondamente, una poesia scritta un paio d'anni fa.
Spero che Leopoldo riesca a muovere Il fatto quotidiano.
un abbraccio

Marcella

enzo ha detto...

Quando penso alla religione dei Jainisti del Gujarat che camminano per strada scalzi e con lo scopino in mano per spazzare la strada per evitare di uccidere il ben più piccolo insetto, anche se nutro sospetti per certe regole rigide, mi vengono i brividi se paragono questo fare allo strafare irrazionale dei nostri connazionali dai quali non riesco a prendere le distanze perché mi sento colpevole “nella misura in cui” non reagisco agli scempi, alle scelleratezze o eventualmente alle sottrazioni violente di ricchezza. E se fosse scomparsa la biodiversità mentale? Se veramente l’unica cosa che conta fossero oramai solo i soldi E’ se la mutazione e l’appiattimento antropologico ci avesse messo tutti nel sacco? Forse quello che dico è scontato è leggermente in ritardo rispetto a, diciamo… Pasolini, ma il taglio forsennato di alberi non riesce a smuovermi, anche se mutuato dalla poesia e anche se la performance di Tarantino, che a tratti mi piace accostare al rap, è di grande spessore ed assume un grande significato.
Potrei forse datare questo mio nuovo modo di sentire e lo farei coincidere con il crollo delle Torri Gemelle. Ho l’impressione che ancora nel triennio1998-2001 c’era un senso in quello che facevamo a livello politico poi è giunta la paura indotta, la criminalizzazione.
La performance dei leggii è certo il prodotto di una mente raffinata e sarei pronto a qualsiasi confronto scontro contro chi ha commesso la barbarie anche domani mattina o subito ma è come se mi sentissi imprigionato dalla mutazione antropologica del tempo dei subprime.
Sembra comunque che la barbarie stia nel fatto che gli abeti mettino a repentaglio le tombe e quindi sicuramente viene intaccato un interesse economico. Ci siamo già chiesti perché edifichiamo monumenti funebri senza rispettare le radici degli alberi? Perché pretendiamo che gli alberi debbano adattarsi alle nostre esigenze e ci meravigliamo quando i celtis australis sollevano eroicamente il bitume e gli strati di cemento anche mentale che ci caratterizzano? Eppure siamo capaci di dormire sonni tranquilli sapendo che abbiamo costruito case sui tetti della fiumare e cattedrali nel deserto. Non basta più biasimare l’ingordigia........

enzo ha detto...

mettano

Anonimo ha detto...

Pur pensando agli alberi con amore e sentendo di aver di loro un disperato bisogno, non di meno penso al fatto che i cimiteri inquinano le falde acquifere e che sarebbe meglio avere verso la morte un comportamento meno farlocco.
mayoor

Anonimo ha detto...

certo, per rimanere terra terra si potrebbe intanto sostituire all'inumazione l'incinerazione e per onorare... un pò di creatività di taglio ecologista
marcella

Anonimo ha detto...

Purtroppo il giornalista che avevo interessato non lavora più presso Il Fatto Quotidiano . Peccato . Non ho altri punti di riferimento .

leopoldo attolico -