mercoledì 31 ottobre 2012

Giorgio Linguaglossa
Ritornare sulla poesia dell'essenzialità
di Tomas Tranströmer



da 17 Poesie (1954)

Sotto il quieto punto volteggiante della poiana
avanza rotolando il mare fragoroso nella luce,
mastica ciecamente il suo morso di alga e soffia
schiuma sulla riva.
La terra è celata dalle tenebre frugate dai pipistrelli.
La poiana si ferma e diventa una stella.
Il mare avanza rotolando fragoroso e soffia
schiuma sulla riva.


*

L’albero della luna è marcito e si sgualcisce la vela.
Il gabbiano volteggia ebbro lontano sulle acque.
È carbonizzato il greve quadrato del ponte. la sterpaglia
soccombe all’oscurità.
Fuori sulla scala. L’alba batte e ribatte sui
cancelli granitici del mare e il sole crepita
vicino al mondo. Semiasfissiate divinità estive
brancolano nei vapori marini.


Storia fantastica

Ci sono giorni d’inverno senza neve quando il mare s’imparenta
con i tratti montuosi, accucciandosi in grigie vesti di piume,
un breve attimo blu, lunghe ore con onde che invano
come pallide linci cercano un appiglio sulla riva ghiaiosa.

In giorni come questo esce il relitto dal mare in cerca dei
suoi armatori, seduti al chiasso delle città, e gli equipaggi
annegati soffiano verso terra, più sottili del fumo di pipa.

(Nel nord vagano le vere linci, con artigli affilati
e occhi sognanti. Nel nord dove il giorno
vive in una caverna giorno e notte.

Dove il solo sopravvissuto può sedere
alla fornace dell’aurora boreale e ascoltare
la musica dei morti assiderati.)


Meditazione agitata

Un temporale fa girare all’impazzata le ali del mulino
nel buio della notte, macinando nulla. – Ti
tengono sveglio le stesse leggi.
Il ventre dello squalo è la tua fioca lampada.

Soffusi ricordi calano sul fondo del mare
e là si irrigidiscono in statue sconosciute. – Verde
di alghe è la tua gruccia. Chi va
al mare torna impietrito.


La finestra aperta (1970)

Una mattina stavo per radermi
davanti alla finestra aperta
al primo piano.
Accesi il rasoio.
Cominciò a ronzare.
Ronzava sempre più forte
finché divenne frastuono.
Divenne un elicottero
e una voce – del pilota –
si fece largo nel rumore gridando:
«Tieni gli occhi aperti!
È l’ultima volta che lo vedi».
Ci sollevammo.
Volammo bassi sull’estate.
Ah, che meraviglia; ha un peso?
Dozzine di dialetti di verde.
E soprattutto il rosso delle pareti delle case.
Gli scarafaggi brillavano nel letame al sole.
Cantine divelte con le radici all’aria.
Attività.
Le presse brulicavano.
Proprio ora erano gli uomini
i soli a stare fermi.
Osservavano un minuto di silenzio.
E soprattutto i morti nel cimitero di campagna
stavano fermi
come quando si stava in posa nell’infanzia della fotografia.
Vola basso!
Non sapevo
dove girare la testa –
con il campo visivo diviso a metà
come un cavallo. *


* trad. a cura di Maria Cristina Lombardi




Elegia (1973)

Apro la prima porta
È una grande stanza soleggiata.
Un’auto pesante passa per la strada
e fa tremare il vasellame.
Apro la porta numero due.
Amici! Avete bevuto il buio
e siete diventati visibili.
Porta numero tre. Una
stretta camera d’albergo.
Vista su una strada secondaria.
Un lampione che scintilla sull’asfalto.
La bella scoria delle esperienze.


Volantini (1989)

La silenziosa rabbia scarabocchia sul muro in dentro.
Alberi da frutto in fiore,
il cuculo chiama.
È la narcosi della primavera. Ma la silenziosa rabbia
dipinge i suoi slogan all’inverso nel garage.
Vediamo tutto e niente,
ma dritti come periscopi
presi da una timida ciurma sotterranea.
È la guerra dei minuti. Il bruciante sole
è sopra l’ospedale, il parcheggio della sofferenza.
Noi chiodi vivi conficcati nella società!
Un giorno ci staccheremo da tutto.
Sentiremo il vento della morte sotto le ali
e saremo più dolci e più selvaggi che qui.*


* trad it. di Enrico Tiozzo in
Poeti svedesi contemporanei a cura di E. Tiozzo, Göteborg, 1992


Gondola a lutto (1996)*

I
Due vecchi, suocero e genero, Liszt e Wagner, abitano sul Canal Grande
assieme all’irrequieta donna sposata con re Mida
colui che muta tutto quel che tocca in Wagner.
Penetra dal pavimento del palazzo il verde freddo del mare.
Wagner è segnato, il noto profilo da Kasper è più stanco di prima
il volto una bandiera bianca.
La gondola è greve, carica delle loro vite, due andate e ritorno e una sola andata.

II
Il vento spalanca una finestra e qualcuno fa smorfie alla corrente improvvisa.
Appare fuori sull’acqua la gondola dei rifiuti guidata da due banditi a un remo.
Liszt ha scritto accordi così pesanti che si dovrebbero spedire
all’istituto mineralogico di Padova per l’analisi.
Meteoriti!
Troppo pesanti per riposare, possono solo sprofondare
e sprofondare nel futuro fin giù
negli anni delle camicie brune.
La gondola è greve, carica di pietre del futuro ammucchiate.


trad. a cura di Maria Cristina Lombardi
poesie tratte dal volume edito da Crocetti Poesia dal silenzio 2011 pp. 200 € 18.00


 * Nota di Giorgio Linguaglossa

È fin troppo chiaro che con il Nobel per la poesia a Tomas Tranströmer, i membri dell’Accademia giudicante hanno  esibito un coraggio insolito, innanzitutto perché Tranströmer è un poeta isolato, pur se tradotto in ben 45 lingue, possiamo dire che non rientra nel concerto dei poeti di rappresentanza o da vetrina mediatico-culturale oggi di moda in Europa. Di fatto, il massimo poeta svedese vivente è uno sconosciuto in Italia, dove gli editori maggiori non lo hanno mai considerato degno di pubblicazione in quanto non rientrante nella ristretta cerchia dei poeti sostenuti dal nostro mondo accademico. Del resto, anche il mondo accademico svedese ha faticato non poco per accorgersi della portata del poeta ma sono ormai decenni che Tranströmer è universalmente considerato in patria come il più grande poeta di lingua svedese. Non può essere un caso se un poeta come Brodskij ha candidamente confessato il suo debito verso numerose «immagini» prese a prestito dal poeta svedese; e che espressioni di stima e ammirazione siano state indirizzate a  Tranströmer da Bei Dao, Seamus Heaney e Derek Walcott.

Nato a Stoccolma nel 1931, dopo studi di psicologia nell’Università della capitale svedese, è entrato nell’amministrazione pubblica della cittadina industriale di Vasteras. Nulla di più estraneo al mondo degli studi accademici svedesi, Tranströmer è rimasto per lunghi decenni appartato e in solitudine fino al ritratto autobiografico che il poeta ha dato di se stesso nel libro Minnena ser mig  nel 1993, tradotto tre anni dopo in  italiano con il titolo I ricordi mi vedono.
Traströmer parte sempre da esperienze personali (la casa nel popolare quartiere di Söder a Stoccolma, la figura del vecchio nonno pilota di rimorchiatori etc.) con un dettato essenziale, diretto alle cose, senza giri di parole e/o filtri letterari. Dal dato biografico Traströmer arriva a tratteggiare  la cornice di un quadro di angoscia esistenziale e di disagio della società svedese moderna, l’incomunicabilità dei suoi personaggi, la enigmaticità della condizione esistenziale degli uomini concreti posti in una determinata stazione storica: quella della Svezia del Dopo il Moderno, la violenza e la sopraffazione nascoste dietro il velo dell’ipocrisia e della doppiezza. Si può affermare che tutta l’opera del poeta svedese non è altro che un tentativo di squarciare il velo di perbenismo e di edulcorato ottimismo che si nasconde dietro il fondale di ottimismo di un assetto sociale configurato secondo la finalità del benessere dei cittadini. Traströomer dimostra che c’è una ipocrisia di fondo dietro la soglia dell’efficienza dell’Amministrazione totale volta al benessere dei suoi cittadini.
Tradotto splendidamente da Enrico Tiozzo, sono apparse in italiano Sorgengondolen – La gondola a lutto pubblicata da Crocetti nel 1996; opera dettata alla moglie per via dell’ictus che colpì il poeta negli anni ’90 che lo ha ridotto all’afasia ma non alla interruzione della sua attività poetica. Così la moglie ha commentato la notizia del conferimento del Nobel al marito: «Non pensava più di sentire questa gioia un giorno».
Le poesie dell’esordio, con la raccolta 17 dikter – 17 poesie  del 1954, gli valsero da parte della critica il nomignolo ironico di «re delle metafore» ma ciò non scalfì la collocazione di tutto rispetto tra i poeti degli anni Cinquanta per l’inconfondibile sobrietà del suo stile.
Le poesie sono sempre delle occasioni per una riflessione del poeta, il quale come un minatore, scende nella profondità che sta celata appena dietro il velo dell’apparenza delle cose. Con uno stile classico e modernista, al di là del vestito metaforico della sua poesia, Tranströmer può essere qualificato, oggi, come uno dei maestri in ombra della poesia europea. Il poeta svedese offre al lettore una esperienza, solida e concreta, ed il lettore è chiamato in causa direttamente, è chiamato a prendere posizione dinanzi alla ambiguità delle «cose» viste da un preciso e determinato angolo visuale. Contrario ad ogni ipotesi di poesia sperimentale Tranströmer ha sempre tenuto ben dritto il timone della sua investigazione poetica mantenendosi a cautelosa distanza da ogni ipotesi di poesia civile, poesia impegnata o poesia sperimentale, concetti da sempre ripudiati dal poeta svedese. C’è una certa distanza tra il gelido apparato reticolare delle metafore di Tranströmer e le «cose» del reale messe bene in luce in un saggio del critico Kjell Espmark che ha identificato i modelli del poeta in Hölderlin, Dante, Rilke. Alla fine degli anni Ottanta è arrivata per Tranströmer la definitiva consacrazione con la silloge För levande och döda – Per vivi e morti  del 1989, concentrata sul tema della presenza della morte nel quotidiano. Tranströmer «fonda» il quotidiano, lo rimette in piedi da dove quel «quotidiano» era stato fatto ruzzolare dalle scaffalature impolverate dei «quotidianisti».
In Italia l’opera di Traströmer è stata pubblicata da Crocetti, che nel 1996 ha dato alle stampe alcune poesie nella Antologia della poesia svedese contemporanea e, nel 2008, il volume Poesia dal silenzio.  Il medesimo editore ha annunciato l’uscita, a giorni, de Il grande mistero l’ultima opera del poeta svedese, una raccolta di 45 haiku per 45 punti di vista di un oggetto semplice-complesso.



13 commenti:

Francesca Diano ha detto...

Molto grata a Linguaglossa per aver scelto le belle traduzioni di due bravissimi traduttori, che hanno lavorato sul testo svedese e non sulle traduzioni in inglese, come altri hanno fatto senza per altro ammetterlo, nemmeno se scoperto il trucchetto. Tranströmer è davvero un maestro, proprio per il suo isolamento, che lo ha guidato lungo vie ad altri invisibili o abbandonate perché ritenute obsolete, senza vederne il bagliore davvero boreale. Eppure continuatore, seppure in forme diverse, di quel filone che André Gide definì di "una corda tesa nelle tenebre", di quella "bellezza ferita" di cui Pär Lagerkvist, l'altro grande poeta e narratore svedese, premio Nobel nel 1951 è stato padre e maestro.

Anonimo ha detto...

Avevamo già discusso del poeta Tomas Tranströmer, qualche tempo fa. Da allora mi è rimasta l'impressione che i termini che si sono adottati per definire e meglio comprendere la sua poesia siano insufficienti. Anche quando si fa ricorso al surrealismo, o quando si cerca di richiamare nell'ordine delle metafore il particolare linguaggio delle sue visioni. A me sembra che Tomas Tranströmer interpreti il reale utilizzando le parole allo stesso modo con cui un cinese usa le bacchette per cibarsi. Inutile tentare linguaggi d'altra provenienza, le sue non sono normali posate, e anche il cibo sembra cucinato diversamente. Entra ed esce dall'inconscio come non esistessero confini, e non vi ci sofferma neanche per un istante perché non lo definisce (è la parte conscia della mente che definisce l'inconscio, l'inconscio è continuità e non de-finisce nulla). Eppure il reale non ne risente, non si trasforma, non cambia per l'interpretazione, ma si evidenzia meglio che nella più spietata delle analisi. Capisco che non gliene importi dello sperimentalismo, lo sperimentalismo in fondo ha radici razionali, e spesso insegue rivalse estetiche. Tantomeno la poesia civile che in qualche modo è premeditata e si prefigge uno scopo. Secondo me è puro talento generato da una particolare postura mentale, che non è sconosciuta ai poeti (e forse nemmeno ai non poeti) e sta tra la veglia e il sonno, in quel breve istante in cui la mente lascia aperte tutte le sue possibilità.
mayoor

Anonimo ha detto...

A Linguaglossa:

Riempie lo sguardo e poi l'animo, è ciò che preferisco in poesia, ma devo leggerlo molto ancora per capire, forse lei o altri potranno spiegarmi meglio di quanto io abbia capito, per esempio la poesia -Meditazione agitata- . Grazie e complimenti per la scelta. Per quanto riguarda il Nobel ho sempre avuto dei dubbi su questa scelta , ma sono sicuramente miseri dubbi di una che per la poesia ha solo una grande passione. Emy

Anonimo ha detto...

... non conoscendo il norvegese non posso dire nulla sulla traduzione, ma qualcuno mi sa spiegare il senso della ricostruzione italiana del verso "La silenziosa rabbia scarabocchia sul muro in dentro"?
mayoor

Anonimo ha detto...

Mayoor, io ci provo: forse dal dentro non andava bene perchè il muro non ha interno ma è posto all'esterno , nel dentro neanche, perchè nulla si vedrebbe , in dentro mi fa pensare ad una curva, un punto seminascosto a qualcosa da scoprire di una superficie non lineare... una scritta di rabbia, una protesta,una bestemmia, un grido. Mah, comunque è molto bello pensarci, al traduttore spetta un gran compito ma anche una gran piacere , quasi un enigma da risolvere. Ciao Poeta .Emy

Francesca Diano ha detto...

In effetti quel verso ha l'aria di essere stato tradotto in modo poco chiaro. Anche a me verrebbe da pensare a un muro concavo, ma lo stesso rimane poco elegante. Ho cercato di trovare sul web la traduzione inglese di questo testo per vedere come era stato reso, ma non l'ho trovato.
Il problema, nel dover valutare un testo poetico tradotto da una lingua che non si conosce, in questo caso lo svedese, sta tutto nel filtro che è il traduttore. Per la poesia poi è davvero enorme il problema.
Un mio amico svedese mi ha detto che la lingua poetica di Tranströmer ha una musicalità intensissima e questo, ovviamente, nella traduzione, soprattutto se chi traduce non ha la capacità di trovare nella propria lingua una diversa, ma presente musicalità, è una grande perdita.
Il discorso sulla forte musicalità della lingua di Tranströmer è anche legato al fatto che lui è musicista.
Ma un altro aspetto che penso sia importante considerare è che Tranströmer è anche uno psicologo che ha esercitato con passione e questi tre aspetti, della poesia, della musica e dell'analisi del profondo, sono strettamente legati nella sua vita.
In una sua intervista ha detto che per lui le immagini sono molto importanti. "La mia è una memoria molto visiva. Ho immagini anche astratte."

Da un'intervista a Maria Cristina Lombardi come risposta alla domanda su cosa possiamo imparare da lui: "Una grande onestà intellettuale e una grande modestia. La pregnanza della parola detta e l’importanza del silenzio fra le parole; addirittura i silenzi nella musica: la nostra attenzione deve andare a ciò che non si vede. In un momento come questo in cui la parola spesso è abusata, nella pubblicità e nella politica, invece ci chiama a una maggiore attenzione a ciò che veramente è importante. Non parole vuote, ma piene di significato, come spesso avviene."

Mi viene da fare una riflessione su quello che avevo detto della poesia, che tra tutte le arti è quella che più si avvicina al silenzio. Dopo l'ictus Tranströmer non può più parlare, ma ancora riesce a suonare e a scrivere con la sinistra. Ecco, questo silenzio è essenziale.

giorgio linguaglossa ha detto...

gent.mi lettori,

...la metafora in Tranströmer è un prisma con tante facce che si riflettono l'una con l'altra, ma un prisma del tutto particolare perché l'interno e l'esterno del prisma sono entità confinanti con l'ignoto. Voglio dire che nel poeta svedese non si trova la costruzione tipo metafora ingenua o primitiva (ad es. "gamba del tavolo") ma abbondano invece le metafore che io chiamo «complesse», dove l'interno e l'esterno, il prima e il dopo sono inestricabilmente connesse. Ecco la difficoltà che si presenta al traduttore che voglia tradurre la poesia di Tranströmer in un'altra lingua! - Voglio dire, in altri termini, che quello che fa la differenza tra un poeta e l'altro è proprio il quantum di metafore impiegato, e lo sviluppo direzionale adottato. Ecco, direi che la procedura metaforica di Tranströmer gli consente una vastissima gamma di direzioni significative del tutto impreviste e imprevedibili, per cui la ricostruzione ermeneutica che il lettore fa quando legge la sua poesia è qualcosa di molto simile alla riscrittura della poesia, che viene riscritta nella mente del lettore e rivissuta proprio attraverso la inusitata tecnologia della «metafora cineticamente complessa». Si può anche capire adesso il perché poeti di livello mondiale come Brodskij, Bei Dao, Seamus Heaney e Derek Walcott abbiano ammesso i reciproci debiti rispetto al poeta svedese. Di fatto Tranströmer usa il linguaggio come un ricercatore di chimica usa gli elementi di base con cui fabbrica un nuovo tipo di plastica; il poeta svedese dimostra che è possibile fare una poesia che ha al centro della propria procedura la «metafora complessa» legata al tempo e allo sviluppo dello spazio; le metafore sono impiegate come i vagoni di un treno: stanno una di seguito all'altra e, molto spesso, una dentro l'altra, si illuminano a vicenda e si oscurano a vicenda, perché l'atto della comprensione è come un lampo che esiste per un attimo e poi si spegne nel mare oscuro dell'inconscio. Una mappatura base delle immagini preferite e più ricorrenti nella poesia del Nobel svedese dimostrerebbe che esse provengono al 50% dal mondo ctonio (dell'inconscio) e per il restante 50% dal mondo solare (della sfera della coscienza), entrambe inestricabilmente correlate e intrecciate.
Leggendo questa poesia si può capire fino a quale punto invece la poesia it. del secondo Novecento sia lontana da questo tipo di procedura (con la sua preferenza per il discorso analitico-razionale e la disposizione lineare del discorso), e quindi quanto essa sia arretrata rispetto alle esperienze più evolute della poesia di livello europeo. Sono almeno due decenni che con la mia analisi critica tento di rivalutare una poesia che ristabilisca al centro della propria procedura la metafora complessa e l'immagine, ma mi sono dovuto scontrare con una generale ottusità e impermeabilità... Eppure il discorso è da riprendere: perché non ripartire dalla poesia di un Ripellino anziché partire dalla poesia razionale analitica di un Sereni o di un Giudici in versione piccolo-borghese? Perché in Italia è accaduto questo fenomeno? Perché in Italia parlare di una poesia metaforica e di immagini è diventato una eresia?

Anonimo ha detto...

Ormai non si può più, ma il perché lo chiederei a Raboni, e a qualcun altro magari meno importante di lui, come Antonio Porta. Non certo il Raboni-critico, ma il Raboni -"poeta di inezie" (così lo definì Carmelo Bene), e al Raboni-potente che, come sempre succede, si portava appresso schiere di poeti affamati di gloria, ben contenti di seppellire lo sperimentalismo per tornare in fretta a quelle inezie, appunto, che oggi vengon dette minimalismo. Comunque, siccome Raboni non lo si tocca nemmeno oggi, non c'è ragione di sorprendersi per la mancanza di linguaggio metaforico e altro. L'appiattimento è ancora in corso ( sono le 13,07 di sabato 3 nov).
Comunque mi fa piacere che condividiate quanto ho scritto sul rapporto conscio-inconscio in tema di Tomas Tranströmer, si vede che comincio a capirne. E ringrazio Francesca Diano per aver fatto cenno alla sua attività di psicologo, dettaglio per niente secondario. Inoltre vorrei dire che in poesia non tutto è metafora, che chiamiamo in questo modo ciò che altrimenti non potremmo definire, che se anche fossero metafore non andrebbero comunque lette come fossero mattoni che volendo si possono comporre e scomporre. Se scomposte non sono più niente, se ricomposte diversamente diocenescapi. L'esempio scellerato ce lo offrono proprio le mappature a cui fa cenno Linguaglossa, quel 50 e 50% trattano i versi come se davvero per Tranströmer avesse qualche valore la separazione tra un universo e l'altro ( fatto di cui era pienamente consapevole). Mentre qui servirebbe un ripasso di geometria iperbolica.
mayoor

Anonimo ha detto...


Millenovecentocinquanta anni
il sole salì all'orizzonte
ma un febbraio luminoso
accecò una madre.

Emy

giorgio linguaglossa ha detto...

Caro Ennio Abate,

io dico semplicemente che il discorso poetico che si è configurato in Italia nel secondo Novecento ci ha lasciati ciechi e orbi rispetto ad altre tradizioni di poesia, rispetto ad altri modi di intendere la poesia; il fatto che Tranströmer non venga inteso in Italia ne è la riprova, è la conferma che la poesia it. da Sereni Giudici e Sanguineti in giù è una poesia di derivazione minoritaria. Tutta la poesia degli ultimi decenni del Novecento è epigonica e minoritaria (se vista nel quadro europeo). Tranströmer rispetto a Sereni o un Giudici è come paragonare un gigante ad un pigmeo. Bisogna quindi ripartire da una poesia che punta sul coefficiente altissimo di una poesia metaforica. Ecco il consiglio che mi sento di dare a chi voglia fare poesia di livello europeo in Italia; bisogna tornare alle nostre radici, ripartire da Ripellino, Ennio Flaiano fino a Maria Rosaria Madonna. So di dire cose difficili da digerire e accettare. La poesia da enigmistica e da soffio cardiaco che va oggi di moda in Italia (in specie delle donne Mariangela Gualtieri, Anedda etc.), la poesia da doping sentimentale, è, letteralmetne, qualcosa che non posso che rigettare al mittente: sono fatti privati che interessano soltanto un guardone, un voyer... non possono interessare alcun pubblico esigente ed evoluto. Sono modi di poesia minoritari se li consideriamo, ripeto, nel quadro europeo.
Una precisazione: la poesia va interrogata, alla poesia non bisogna chiedere Nulla... ma non per una sua presunta "superiorità" ma proprio perché essa rimane muta e sorda di fronte alle richieste di chi vuole applicarLe la stampigliatura del prezzo, del sublime, del desublimato etc. Ma il fatto è che per INTERROGARE la poesia occorre possedere una DOMANDA da porle; è la DOMANDA che fa squillare la RISPOSTA della poesia, non la richiesta. E anche la richiesta di voler sapere a che cosa serva la poesia è piuttosto indice di una mentalità borghese e impiegatizia, come se noi dicessimo a un matematico a che cosa servano queglle strane equazioni con otto incognite. A tali richieste non c'è risposta plausibile e possibile, tranne uno squillante silenzio. Se ci chiediamo a che cosa serva una immagine della poesia di Transtromer, l'unica risposta possibile è il silenzio.

Anonimo ha detto...

A Linguaglossa:

tutto cio' che è interpretazione di difficile comprensione in poesia, o comunque nell'arte in genere, ha sempre interessato i critici e tutti coloro che ricercano la validià di un'opera. L'essere comprensibili dunque,potrebbe fa scadere unn'opera o addirittura annullare il suo valore?.Mi sembra d'aver capito che l' estetica, mi pare sia il valore fondamentale della poesia di Transtromer che è imparagonabile a quella di altri poeti del tardo novecento, il momento storico , pare influisca anche sull'estetica e mi pare giusto, ma se il momento storico che stiamo vivendo influisce negativamente sulla nostra poesia (italiana), mi vuole spiegare perchè anche sulla miseria storica , un poeta non dovrebbe riuscire a dare poesia di alto valore? Solo perchè sarebbe schiavo del momento politico, oppure per lo svuotamento delle sue capacità dovuto ad una pigrizia mentale e spirituale riguardo la ricerca? Stento a crederci. Forse è più onesto dire che secondo questo punto di vista, i poeti non sono più poeti, ma qualcos'altro che non oso definire per rispetto verso tutti coloro che s'impegano seriamente in poesia. Vorrei sentire il suo od altri pareri. La ringrazio . Emy

Anonimo ha detto...

Ma prima parlate di STORIA e poi cadete nella pozzanghera degli elogi degli altri? Ha ragione Emy, noi apparteniamo al BRUTTO della nostra storia. I poeti italiano esprimono il momento attuale che non è peggiore dell’ ipocrisia svedese. Là si salvano le apparenze un po’ meglio perchè ci sono stagioni buie più lunghe e l’inconscio balza fuori più facilmente con le sue METAFORE.
Laura

giorgio linguaglossa ha detto...

la logica è la grammatica profonda del linguaggio, al di là della sua grammatica concettuale che ne è la sintassi. È Essa che pone in evidenza le relazioni di senso (che non si dicono in quel che si dice ma che si mostrano, e che ciascuno è in grado di comprendere in quanto semplice utilizzatore di lingua naturale).
Il linguaggio poetico è la tematizzazione esplicita di ciò che è contenuto nel linguaggio naturale; per cui il secondo viene prima del primo. È un linguaggio in quanto scritto, decontestualizzato, in cui tutto è chiaro, univoco, intelligibile da subito perché costruito per questo scopo. Esso è il prodotto della riflessione del linguaggio su se stesso, l'esplicitazione delle sue strutture di senso soggiacenti alle relazioni dei parlanti immersi nel linguaggio naturale.
Dal linguaggio relazionale del linguaggio naturale al linguaggio poetico c'è una frattura e un passo, un salto e un ponte.
La problematizzazione del linguaggio poetico si esprime (quale suo luogo naturale) in metafore e immagini. Tutto il resto appartiene al discorsivo-assertorio che serve ad unire una immagine all'altra, una metafora all'altra. A rigore, si può sostenere che un linguaggio poetico privo di metafore e immagini non è un linguaggio poetico. e con questo scopriamo l'acqua calda, ma è indispensabile ripeterlo adesso in tempi di semplicismo filosofico-poetico.
Lo scetticismo - che data da "Satura" (1971) - in giù nella poesia it. e non solo, ha dato i suoi frutti avvelenati: ha ridotto la poesia it. ad ancella dei mezzi di comunicazione di massa, ad un surrogato di essi; l'ha resa sostanzialmetne un linguaggio non differenziato da quello della comunicazione.
Che nessun poeta it. da "Satura" in giù sia degno di stare allo stesso livello di un Tranströmer deriva da questo nodo non sciolto dell'Istituzione poesia così come si è solidificata oggi in Italia. La poesia che si fa oggi in It. è un linguaggio ingessato (nel migliore dei casi) e un linguaggio comunicazionale (nel peggiore).