sabato 13 ottobre 2012

Giorgio Linguaglossa
Su "Parlano e volano.
Poesie scelte (1980-2011)
di Mari Vallisoo



Mari Vallisoo, Parlano e volano. Poesie scelte (1980-2011) LietoColle, Faloppio, 2012

Riflettevo su questo libro della poetessa estone Mari Vallisoo e mi interrogavo su quel suo modo di porre le cose sulla carta con una sicurezza e una ingenuità che a un letterato colto e snob dell’occidente parrebbe eccessivo e azzardato, e più mi interrogavo più mi convincevo che non è Mari Valllisoo ad essere nell’errore ma è una certa poesia italiana (colta e snob) che ha inseguito le orme del Moderno senza peraltro riuscire a prendere le misure al Moderno. Ma questo sarebbe un lungo discorso forse troppo lungo per essere affrontato in questa sede. Leggere la poetessa estone da questo punto di vista dà un’impressione di forte estraniazione, è leggere ad un tempo un poeta modernissimo e antichissimo, una poesia fuori-storia, fuori-contesto, o almeno nel senso che la parola «contesto» richiama alla nostra memoria quella situazione (sociale e culturale) che ha visto nei paesi occidentali a sviluppo economico evoluto il progressivo trionfo della piccola borghesia in via di progressiva mediatizzazione.
L’Estonia, invece, nel bene e nel male, non è stata protagonista di alcun inseguimento al feticcio del Moderno e alla sua correlativa religione del Progresso; in tal senso l’Estonia rappresenta una insignificante porzione dell’impero economico-mediatico dell’Occidente e la sua poesia ne fa le spese, appunto, attingendo alla deflazione stilistica ciò che qui da noi abbiamo invece attinto alla inflazione e super produzione stilistica. Questa la differenza storico-ontologica. Ed è da qui che partirà la mia breve riflessione sui fondamenti che rendono diversa la poesia italiana del secondo Novecento da quella estone di Mari Vallisoo.
 Il problema della poesia italiana del secondo Novecento va così inquadrato e collegato con il problema dell'emergenza della piccola borghesia in Italia e con il suo riflesso/effetto nel linguaggio poetico, in particolare nella costruzione di un paradigma stilistico che fosse consono e adatto al predominio culturale della piccola borghesia con i corrispettivi ceti intellettuali e partiti che dal dopoguerra erano in via di consolidamento: la Democrazia Cristiana, il partito dei cattolici, e il Partito Comunista. Detto questo è indubbio che la vittoria sia arrisa a Montale come quel poeta che ha saputo trarre vantaggio da questa situazione di incontro/scontro con una mossa da scacco matto: Montale si toglie dal campo del contendere della piccola borghesia adottando, da Satura (1971) in poi il punto di vista (anche stilistico) alto scettico-borghese. Sta di fatto che la soluzione stilistica di Montale poteva valere per lui solo e non per la poesia a lui coeva e successiva le quali si incammineranno, anzi, si affretteranno a correre dietro il veicolo in accelerazione della modernizzazione del paese nella speranza di apparire moderni e attendibili. Il problema stilistico è quindi nient'altro che la indicizzazione di un problema politico-estetico. In questa corsa sfrenata verso la piccola borghesia, in questa discesa in picchiata chi più ne aveva più ne ha messa di benzina sul fuoco.
Rileggere oggi la poesia di Mari Vallisoo in tempi di crisi di STAGNAZIONE e RECESSIONE stilistica è utile, anzi, direi necessario: c'è un diverso paradigma del fare poetico che non si rivolge alla piccola borghesia del Ceto Medio Mediatico come è avvenuto in Italia nel secondo Novecento ma a un pubblico indifferenziato non sociologicamente selezionato e prefabbricato.

Oggi direi che va di moda porre un referenzialismo che poggia sullo zoccolo duro del linguaggio quotidiano e/o scientifico, con in più l'idea che le frasi-proposizioni esistano isolatamente e siano intellegibili in sé sulla base di una interpretazione «interna» al contesto letterario; dall'altro, un anti-referenzialismo che parte dal discorso, (anche da quello di finzione come il discorso poetico), dal figurato invece che dal letterale. Così è nato il mito che il senso estetico dipendesse da un massimo di referenzialismo del quotidiano. Ma anche questo mito, come tutti i miti, è da rileggere nel senso di una sua progressiva smitizzazione. La poesia di Mari Vallisoo ci può aiutare a capire la «distanza» che separa la poesia estone da quella italiana. Dopo Satura, l'opposizione fra il letterale e quotidiano (Montale) e il figurato (Fortini) sarebbe stata una falsa opposizione, nel senso che tutta la poesia italiana si è avviata nel piano inclinato e nel collo di bottiglia di un quotidiano inteso in modo acritico e acrilico. Da ciò ne è risultato che dalla poesia italiana è stato espulsa la metaforizzazione di base, il metaforico e il simbolico. Nella poesia di Mari Vallisoo abbiamo un equilibrio dinamico tra il simbolico e il metaforico. Un esempio? Leggiamo la poesia «Un cartello stradale»:

Andando a destra sarei colpito dalla siccità,
ti si seccherà la gola
e per gran sete morirai.

Andando a sinistra piogge e piogge
inonderanno te
e la tua casa.

Andando dritto finirai tra tormenta neve
tempesta gelo ghiaccio e grandine.
Non importa dove non importa dove vai –
in ogni caso arriverai da me.

dove la costruzione simbolica è posata interamente su un atto quotidiano, quello di fermarsi a un incrocio e decidere da quale parte andare. Il quotidiano in Vallisoo è interamente fuso e trasfuso nel simbolico e nel metaforico senza soluzione di continuità.

Riguardo alla affermazione di Mengaldo secondo il quale Montale si avvicina «alla teologia esistenziale negativa, in particolare protestante» e che smarrimento e mancanza sarebbero una metafora di Dio, mi permetto di prendere le distanze. «Dio» non c'entra affatto con la poesia di Montale, per fortuna. Il problema è un altro, e precisamente, quello della Metafisica negativa. Il ripiegamento su di sé della metafisica (del primo Montale e della lettura della poesia che ne aveva dato Heidegger) è l'ammissione (indiretta) di uno scacco discorsivo che condurrà, alla lunga, alla rinuncia e allo scetticismo. Metafisica negativa, dunque nichilismo. Sarà questa appunto l'altra via assunta dalla riflessione filosofica e poetica del secondo Novecento che è confluita nel positivismo. Il positivismo sarà stato anche un pensiero della «crisi», crisi interna alla filosofia e crisi interna alla poesia. Di qui la positivizzazione del filosofico e del poetico. Di qui la difficoltà del filosofare e del fare «poesia». La poesia del secondo Montale si muoverà in questa orbita: sarà una modalizzazione del «vuoto» e della rinuncia a parlare, la «balbuzie», il «balbutire» e il «mezzo parlare» saranno gli stilemi di base della poesia da «Satura» in poi. Montale prende atto della fine dei Fondamenti (in questo segna un vantaggio rispetto a Fortini il quale invece ai Fondamenti ci crede eccome!) e prosegue attraverso una poesia «debole», prosaica, diaristica, cronachistica, occasionale, incidentale. Montale è anche lui corresponsabile della parabola discendente in chiave epigonica della poesia italiana del secondo Novecento, si ferma ad un agnosticismo-scetticismo mediante i quali vuole porsi al riparo dalle intemperie della Storia e dei suoi conflitti (anche stilistici), adotta una «positivizzazione stilistica» che lo porterà ad una poesia sempre più «debole» e scettica, a quel mezzo parlare dell'età tarda. Montale non apre, chiude. E chi non l'ha capito continuerà a fare una poesia «debole», a, come dice Mengaldo, continuare a «de-metaforizzare» il linguaggio poetico.

Quello che apprezzo della poesia di Mari Vallisoo è proprio ciò che sta agli antipodi rispetto a «il processo di de-metaforizzazione, di razionalizzazione e scioglimento analitico della metafora» (dizione di Mengaldo) che ha attinto la poesia italiana da Montale in poi; è il motivo della mia presa di distanza dalla poesia post-montaliana. Montale, diversamente dal Pasolini di Trasumanar e organizzar, da Giovanni Giudici con La vita in versi e da Vittorio Sereni con Gli strumenti umani, è il più rappresentativo poeta del tardo Novecento ma non avrà mai la caratura del teorico. Critico raffinatissimo privo però di copertura filosofica. Montale, insomma, apre le porte della poesia italiana alla de-fondamentalizzazione del discorso poetico. Con questo atto compie una legittimazione dell'impero mediatico che era alle porte, legittima (indirettamente) la «ciarla», la «chiacchiera», lo «scetticismo» in poesia, autorizza il rompete le righe e il si salvi chi può. Non è per ventura che gli esiti ultimi di questo comportamento agnostico
sono ormai sotto i nostri occhi.
Il problema principale che Montale si guardò bene dall'affrontare era quello della positivizzazione del discorso poetico e della sua modellizzazione in chiave diaristica e occasionale. La poesia come elettrodomestico. Qui sì che Montale ha fatto scuola! Ma la interminabile schiera di epigoni creata da quell'atto di lavarsi le mani era (ed è) un prodotto culturale, quella resa alla «rivoluzione» del Ceto Medio Mediatico come poi si è configurata in Italia.

Questo racconto
fu letto su un vecchio giornale.
Io all’epoca ero solo una bambina.
Non conoscevo le lettere.
I capelli biondi spazzolati.
Avevo già sentito dei lupi
e d’altro ancora
nel mondo vasto lontano maligno.

Là nella cascina del bosco distante dalla strada grande.

Un vecchio giornale.
Sulla soffitta
venne messo al riparo dallo scorrere del tempo.
È ingiallito,
le foto strappate.
Prendi la scala, Sali, cerca,
riportalo giù.

Non dico niente.
Io ero allora una bambina.
La quarta pagina.
È là che ritroverai la storia.

*

Nella grigia tenue luce mattutina
arriva uno stormo di uccelli neri.
In coro
gridano. Cosa? Troppo forte
mi batte il sangue
nelle vene.
Non sento. Non sento, vedo solo
come l’opaco profilo del cielo si staglia
verso levante. Con tale rapidità che si scioglie
la penna tra le giovani dita
ancor prima del tempo.

Verso la grigia tenue luce del mattino
uno a uno, due a due, tre a tre
si disperde lo stormo degli uccelli neri.
C’è chi mi sfiora
la fronte.
Poi sarò stupita anch’io,
da dove sarebbero venute – le rughe
sul mio viso?
Ormai sarà l’ora indifferente del mezzodì.
È giorno in ogni caso.

*

Che fine hanno fatto i vestiti grigi
lasciati in eredità dalla mia bisavola?
Prima di morire li tolse dall’armadio.
Rammendava arieggiava sistemava.

Li ho conservati per tutta la vita.
Da bambina non li toccavo.
Da giovane sposa non li indossavo.
Ora i tempi sono cambiati –
i venti soffiano attorno a casa.
Vorrei qualcosa di caldo addosso.

Frugo negli armadi, tiro fuori dalla camera
anche l’ultimo straccio, getto tutto nel cortile.
Quei grigi non ci sono, non ci sono
tra quel mucchio di colori.

Ecco che avverto delle voci flebili.
Stanno partendo gli uccelli migratori.


*

Ho sempre amato le cifre
Ma la verità, si sa, sta
In un numero, ecco la domanda

Una stella piccina
Vestita di color ceruleo
Già, c’è della frivolezza e della vanità
Nella retrocamera degli spaziotempo

(Traduzione dall’estone di Mailis Pold)

*Mari Vallisoo è nata il 12 novembre 1950 da una famiglia di contadini nell’Estonia centrale. Studia programmazione economica. La prima raccolta «Amici cani» è del 1979; seguono «Parlo con te in un mese di primavera» (1980), «Uccelli migratori nella stanza accanto» (1983), «Parlano e volano» (1986), «Parole della Nascita e Notizie della Morte» (1991), «Il Presente del Singolare» (2000, «Le parole della serpe» (2000) e «La stella mattutina in un quaderno di scuola».

22 commenti:

Antonio Di Gennaro ha detto...

"Che fine hanno fatto i vestiti grigi
lasciati in eredità dalla mia bisavola?
Prima di morire li tolse dall’armadio.
Rammendava arieggiava sistemava".

Mamma mia. Un'altra esperta di infanzia e patetismo familiare. Un'altra che fa i raccontini domestici. Quasi peggio di Giorgia Stecher. Linguaglossa, lei ama troppo i crepuscolari!

Antonio Di Gennaro




Anonimo ha detto...

Non sempre è facile liberarsi del tempo passato, dei ricordi,ma qui è una presa di coscienza di un oggi che vuol essere vissuto, i pensieri vanno e tornano, è la loro natura, si spostano a destra, a sinistra, ma tu sei quella che sei con i tuoi ricordi nelle ossa e davanti i fatti di oggi che fra poco occuperanno lo stesso spazio di quelli di ieri. Un'autrice d'apprezzare, la poesia della vita sta nel trovarla anche dentro ad un armadio, se sei poeta. Emy

Anonimo ha detto...

Linguaglossa a volte riesce a far emergere le sue preferenze di lettore (con atteggiamento aperto e di ricezione) su quelle del critico militante (classificatore funzionale ad una idea da portare avanti) e in questo senso, le arie "crepuscolari" di Stecher, Madonna, Busacca sono piu' comprensibili a chi guarda dall'esterno.

Tuttavia, trovo i rilievi di Antonio De Gennaro troppo secchi e, per quanto letto in altro topic circa le sue preferenze letterarie (Calandrone, Alziati, Testa), non giustificabili criticamente se non come richiamo all'ordine, cioe' ad occuparsi di robe piu' mainstream e modaiole. Richiamo dunque irricevibile.

Saluti. Giuseppe Cornacchia

Antonio Di Gennaro ha detto...

Italo Testa, per esempio, è un poeta modaiolo? Esprimere una preferenza è "irricevibile"?

Antonio

Roberto Russo ha detto...

Ma che brutti libri pubblica Lietocolle! Chi è costui? Un editore mercantile, uno che si fa pagare, un editore di sottobosco? Comunque sembra uno disposto a pubblicare tutto, anche il peggio del peggio.

Roberto Russo

Maria Greco ha detto...

Scusi Giuseppe Cornacchia, io la stimo e condivido molte sue opinioni. Condivido anche l'ultima sua su Linguaglossa, che ogni tanto, per fortuna, esce dai suoi schemi e propone una poetessa onesta, pur nel suo minimalismo. Ma devo dire che quell' aggettivo - "irricevibile"- è proprio un aggettivo infelice. Un aggettivo dei politici televisivi e insomma un aggettivo (gravemente) sbagliato.

Maria Greco

Antonio Di Gennaro ha detto...

@ Russo

A proposito di peggio del peggio. Lietocolle è un editore a pagamento, di modesto livello. Ed è anche l'editore che pubblica Linguaglossa!

Antonio Di Gennaro

Anonimo ha detto...

Maria Greco: "irricevibile" e' brutto, ma a me preme che gli spiragli meno ideologici di Linguaglossa, come nel caso di questa interessante poetessa estone, non vengano soffocati dai richiami all'ordine di chi lo avversa fortemente per spingerlo a nuovi arrocamenti di posizione.

Saluti. Giuseppe Cornacchia

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate a Antonio Di Gennaro:

Oltre alle battute ci aspettiamo dei ragionamenti. Ce li ha?
Li esponga, si sporchi un po' le mani anche lei. Non spinga la discussione verso il litigio.

Anonimo ha detto...

Quanto è triste sapere che la poesia , che nasce dal poeta e solo dal poeta e che nessun'altro potrà darle vita nè morte , possa essere oggetto di guadagno , di imbroglio, di discussioni vuote e tendenti alle offese. La mia tristezza non trova e non vuole consolazione, perchè penso che non interessi a nessuno. Chiedo rispetto, quel rispetto che spesso finisce nel momento in cui la poesia finisce nelle tasche anzichè nell'animo o nelle coscienze. Se vogliamo leggerle è giusto pubblicarle ma Il libro che raccoglierà le più belle o le più vere sarà la mia vita e con essa spariranno.
Emy

Roberto Bertoldo ha detto...

Caro Giorgio Linguaglossa, rischio di non capirci di nuovo più niente. La tua posizione critica si è chiarita molto bene nella mia testa in questi ultimi mesi grazie anche ai dibattiti che hai affrontato con piglio e dedizione su siti come Moltinpoesia e Poesia 2.0 (la riprova di quanto siano utili i dibattiti sui blog e importanti gli interventi diretti degli autori) e devo dire che mi sembra, per impostazione, la posizione critica più intelligente presente oggi. Tuttavia mi raccapezzo sempre meno quando passi dalla teoria alla pratica. Per esempio, come puoi opporre a Milo De Angelis poeti come Vallisoo? Nonostante la benevolenza apprezzabile di Giuseppe Cornacchia, penso che tu ci stia prendendo in giro, divertendoti “alla pazza scena” (Boito). Se seguo il tuo discorso io giungo, per esempio, a Siktanc e Napravnik, loro si che sono all’altezza di essere opposti a De Angelis, con loro non hai bisogno di nutrire con la tua intelligenza i versi di certi poeti. Inoltre rappresentano perfettamente il tuo ideale poetico, anche se la loro poesia è sorta primariamente (!) da esigenze politiche e non estetiche. E le loro poesie sono molto diverse da quelle che Di Gennaro chiama, a mio avviso giustamente, “raccontini domestici” (Italo Testa sembra anche a me molto più interessante della Vallisoo).
Aggiungo – non mi rivolgo qui a Linguaglossa – che mi sembra risibile la critica agli editori a pagamento, loro facciano quello che vogliono, tanto più che mi risulta che anche gli editori di nome si facciano pagare, o dagli autori stessi o dalle università o dalle fondazioni o dalle province, ecc. E chi usufruisce del pagamento altrui è solo perché ha qualche santo (chiamiamolo così) in Parlamento, quello dei poeti (si anche i poeti hanno un loro Parlamento, con parlamentari onesti tanto quanto quelli della politica). Inoltre pagavano anche Proust e Baudelaire ed erano dei geni.
Infine mi dispiace che ci sia disprezzo, lo colgo dall’ultimo intervento (magari sbaglio, se è così mi scusi) di Di Gennaro, verso Linguaglossa. Io sono il primo a sostenere che Linguaglossa a volte sbagli, anche se spesso solo per troppa generosità, ma noi abbiamo bisogno di persone come Linguaglossa e non perché parlino di noi, non siamo noi la questione importante e forse non lo è nemmeno la poesia, importante è l’erpicamento dell’orto poetico (e ciò che di culturale, politico, sociale, economico, ecc., vi è connesso), ma questo erpicamento, che Linguaglossa da tempo attua, richiede critici e poeti che abbiano una personalità forte, solo da questi può sorgere una poesia più integra. Penso che uno scrittore non debba vivere per compiacere il mondo che lo circonda e per trarne giovamento; vadano a quel paese i critici e vadano a quel paese i lettori se ci portano a sottostare ai loro tribunali.
Credo che uno scrittore debba essere disprezzato solo se il suo comportamento non è deontologico (scambio di favori, di premi, ecc.), non per ciò che scrive o per ciò che dice, per questo basta la critica. E Linguaglossa critico ha, da quel che mi risulta, un comportamento ineccepibile: mandategli un vostro libro, lui lo legge e ve ne parla. Provate a mandarlo a critici blasonati che non conoscete di persona e poi ditemi.
Il mondo letterario ha bisogno del confronto continuo. C’è chi il confronto lo delega tutto ai testi, chi ad altre forme di dialogo, ma l’importante è la ricostituzione di un mondo letterario nel quale gli scrittori non siano costretti a subire l’ostracismo, o da parte delle holding o delle varie massonerie o anche solo del parlamento dei poeti. Soltanto una simile democrazia culturale può ostacolare, almeno in parte, la costituente aristocrazia classista, della quale sono alabardieri molti intellettuali ‘figli di papà’.

PS. Ottima Emy, che rispetta sempre tutti, perché sa che dietro e dentro a tutti c'è sofferenza.

Roberto Bertoldo

giorgio linguaglossa ha detto...

Nicola Lagioia parlando della narrativa di Aldo Busi ha scritto recentemente:
«Il più squillante e splendido what if che sorge dalle pagine migliori di Aldo Busi è infatti: cosa sarebbe accaduto alla lingua italiana (cioè a tutti noi) se a un certo punto avesse imboccato la via di Boccaccio anziché quella del Petrarca, se avesse conservato la sua forza materica e la sua viva complessità, libera dalla padronalità curiale, poi leguleia, poi accademica, poi ministeriale, infine televisiva e dunque non più la biografia del popolo che avrebbe potuto essere ma il guaito delle plebi di ogni censo e condominio sociale? Non è un caso che Busi consideri una grande occasione mancata la messa al bando della Bibbia di Diodati nel Seicento. Se Lutero, con la sua traduzione, fondava la lingua tedesca, agli italiani toccherà per molto ancora il latino amministrato dalla Chiesa (la Controriforma senza Riforma), cioè una lingua padrona. L’italiano giungerà irrimediabilmente borbonico o savoiardo, fascista o democristiano, poco gramsciano e molto togliattiano di stanza all’hotel Lux. Sempre servo di qualcuno».

Riguardo a poeti come Siktanc e Napravnik, di cui mi chiede conto Roberto Bertoldo, non nego che essi possano essere più interessanti di Mari Vallisoo dal nostro punto di vista di lettori della poesia italiana; del resto, il grande sforzo fatto dal loro traduttore Antonio Parente è degno di encomio perché ha portato nella lingua italiana la poesia di autori post-surrealisti come i citati. Tenterò di cimentarmi nella loro rilettura e magari postarla a moltinpoesia nel prossimo futuro.
Il problema della partita doppia che si gioca in Italia tra gli autori portati dagli uffici stampa degli editori maggiori e quelli che ne sono invece esclusi, è un problema reale che va affrontato non con gli altoparlanti delle parole d'ordine ma in re attraverso il confronto quotidiano con gli autori del tardo Novecento e la loro opera. In tal senso mi sono occupato di un poeta come Mari Vallisoo non perché si tratti di una nuova Anna Achmatova ma perché indica a noi lettori italiani un diverso modo di intendere e fare poesia. Per questo sono importanti le traduzioni di poeti stranieri, perché le traduzioni «forzano» la lingua poetica indigena e la obbligano a uscire fuori da se stessa. Una buona traduzione è come una evasione forzata da un penitenziario di massima sicurezza: mette in crisi le convinzioni sulle quali abbiamo eretto le nostre gerarchie, ci spinge ad uscire da noi stessi, a guardarci dal di fuori. Eppoi, oggi siamo in un contesto internazionale, la poesia it. è una piccola porzione della poesia europea, e chi non se n'è accorto è uno sciocco; non dobbiamo darci arie di supponenza e di superiorità che non ci meritiamo. Contrapporre questo nome o quello come fa qualcuno che vorrebbe tirarmi per la giacca è un gioco stucchevole e noioso, oltre ché metodologicametne erroneo e fuorviante.

giorgio linguaglossa ha detto...

Io, nella mia veste di contemporaneista, non contrappongo nessuno a nessuno, tento solo di fare un «discorso» sulla poesia it. tento di creare una griglia di discorso. Chi ha idee diverse sia il benvenuto, le metta in campo risparmiandoci contumelie e provocazioni.
In qualità di critico poi io mi comporto come un ufficiale che nel campo di battaglia dice al suo battaglione di raccogliere le armi che il nemico lascia sul campo: ovvero, utilizzo quello che trovo e le opportunità che gli interlocutori mi offrono (buone o brutte che siano). Gli errori di valutazione e di interpretazione sono sempre all'angolo, possono accadere in ogni momento, in specie a chi fa critica militante. L'importante è, come dice Bertoldo, il confronto continuo, lo scambio di idee e posizioni: personalmetne non considero affatto una vergogna rivedere mie precedenti valutazioni su un autore: la poesia è in costante mutamento, in costante evoluzione...


Per quanto riguarda Lietocolle editore a pagamento, posso solo dire che mi ha pubblicato un libretto senza chiedermi nulla in cambio. Non posso che dirne bene ma se anche avesse chiesto a qualcuno di comprare un tot di copie del proprio libretto, non vedo cosa ci sia di strano, forse che Einaudi o Mondadori regalano copie dei loro libri? Non mi risulta. E quindi facciamola finta cone queste banalità. Per quanto mi riguarda Lietocolle è un editore meritorio, ha pubblicato molti autori di indubbio rilievo (insieme a una nutrita congerie di amatori della propria poesia).

E adesso che all'interno di Lietocolle c'è un poeta come Maurizio Cucchi che dirige la collana più importante, mi sembra che i dubbi in proposito non possano che essere dissipati, no?

Anonimo ha detto...

Mi sono sempre detto che la poesia fa ciò che vuole e non è mai ( quasi mai ) quello che avevamo pensato un attimo fa .Bisognerebbe accostarvisi dimenticando il proprio DNA e di conseguenza la radicalità della propria "oggettività" di giudizio ( impresa sovrumana ).
Si può ( credo ) fare minimalismo riscattandolo con il linguaggio o fare il filo a Milo De Angelis magari introducendovi il senso del paradosso per il quale è negato da sempre ...Sta di fatto che quello che di "valido" leggiamo in giro è commistione di echeggiamenti / ammiccamenti che la sensibilità - e il talento , se c'è - rivisita e piega a poesia rarissimamente introducendovi qualcosa di assolutamente personale , riconoscibile . Siamo tutti degli epigoni più o meno decorosi e l'esserne consapevoli è un optional .
Solo la "modernità" metamorfica slogata straniante e spesso tragicomica con i suoi ineffabili gadget ci può dare una mano con qualche sintagma di nuovo conio non apparentato con minimalismi vitalismi e passatismi vari , fermo restando l'invasività della convivenza condominiale con le nostre radici , che non credo vada demonizzata quando trova espressione più o meno esplicita in quello che scriviamo .

Poscritto -
Se poi il nostro interlocutore De Gennaro ci dice se fa il tifo per la Dickinson o per Gregory Corso ( o chi per loro ) riusciremo a capire dove va a parare il suo DNA e le sue ( eventuali ) aperture di credito .

leopoldo attolico -

Anonimo ha detto...

Trovo davvero belle queste poesie, per la compostezza delle immagini e per il linguaggio semplice , lontano dal patetico, con il quale l’autrice sa esprimere in maniera egregia il proprio sentire.
Gli uccelli, gli stracci, gli oggetti di uso quotidiano appaiono come segni di un alfabeto che soltanto Vallisoo conosce e che interpreta (o rilegge?) alla luce di un vissuto intimamente sofferto. Ma tutto con il tocco leggero dell’ironia.
Vi si scorge un’abitudine all’attesa, un’idea del tempo che è attesa del tempo stesso, come un partire restando immobili, “Nella retrocamera degli spaziotempo”.
Giuseppina Di Leo

Anonimo ha detto...

Mi sono piaciute molto queste poesie, apparentemente semplici e che prendono spunto dal quotidiano ,che però l'autrice utilizza,servendosi di simboli,colori-non colori,suoni-non suoni per creare un'atmosfera piena di echi e di suggestioni
Si sente il vento freddo che sibila,si osserva il volo degli uccelli migratori;il senso della storia scaturisce da un giornale, recuperato in soffitta.Tutto è scritto senza compiacimenti e sentimentalismi, in un linguaggio semplice,che è però il risultato,penso ,di una ricerca.
Grazie a Giorgio Linguaglossa di avercela fatta conoscere e soprattutto di averci offerto attraverso l'analisi critica di qualche testo degli utili suggerimenti.
Maria Maddalena Monti

Vestiti

Si stringono i miei vestiti
personaggi in cerca d'amore
e nell'armadio parlano fra loro.

La sciarpa del primo appuntamento
col segno di quel bacio
il rosso della minigonna
un rigido tailleur.

Dal'organza dell'abito da sposa
di Mendelsoohn le note.
Finita la danza immaginata
ancora ombre nella stanza.

Sono tutti da buttare
quei vestiti?

Anonimo ha detto...
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Unknown ha detto...

Grande!!!
Ciao Luciana!
Con stima , simpatia e affetto.. Grande Luciana !

giorgio linguaglossa ha detto...

gent.ma Luciana Sanguigni

C'è, come Lei sa, CRISI, ed è più grave di quanto si possa immaginare. È in atto ormai da quattro e più decenni una sorta di «positivizzazione del linguaggio poetico» di cui il capostipite, il primo e più grande responsabile è senz'altro il più grande poeta del Novecento it: il Montale che da da «Satura» in giù. Montale del dopo «Satura» non solleva più alcuna Domanda fondamentale, non Interroga, si limita a bordeggiare il quotidiano, il diario, l'accidente, l'incidente, il lapsus, la mancanza... punta una torcia tascabile sulle piccole cose di commercio quotidiano, presta ascolto alle «cose» e questo ascolto si storializza attraverso le forma del Diario, dell'Appunto, del Contrappunto, della Nota in margine etc. Fin qui non ci piove, è cosa nota. Tutto il Novecento it. viene accompagnato nella sua marcia (funebre) da intrattenimento in questo sentiero del disinganno, del disimpegno e del cinismo lungo una pendenza sempre più ripida e in discesa. Rifacciamo un passo indietro a quel pensatore che nel Novecento dà origine a questa discesa: dal domandare alla cancellazione di ogni traccia del domandare, Heidegger.

Scrive Heidegger: «Non è il domandare il carattere proprio del pensiero, ma: prestare orecchio alla parola in cui si promette ciò che dovrà porsi come problema (...) L'insieme che attualmente ci rivolge la parola - il dispiegarsi della parola... non è né titolo, né risposta a una domanda (...) Siamo entrati nel raccoglimento di ascoltare e parlare in comune (...) Ogni domandare che domanda a proposito della posta che è in gioco nel pensiero, ogni domandare che domanda... è in anticipo portato da un dire confidante o fidato in ciò che si porrà come problema. Ecco perché prestare orecchio alla confidenza è il gesto giustamente detto del pensiero oggi urgente, e non domandare (...) Nella misura in cui il pensiero è prima di tutto un ascolto, cioè un lasciarsi dire, e non una interrogazione, è necessario cancellare a loro volta tutti i punti interrogativi».

giorgio linguaglossa ha detto...

È qui che Heidegger ha fatto un gioco di prestigio, ha cambiato le carte in taqvola, ha finito col confondere la predisposizione alla preghiera con la predisposizione alla rappresentazione artistica. L'«ascolto» della preghiera è la posizione estatica di chi attende un segnale numinoso dall'Alto; la poesia e la narrativa non hanno nulla in comune con la posizione estatica di attesa dell'Evento. La poesia è ricerca, è domanda, interrogazione radicale (con gli strumenti della poesia ovviamente). Così, una interpretazione debole del pensiero di Heidegger ha finito per contribuire alla demolizione, qui da noi in Italia, del concetto stesso di poesia. Heidegger giunge al termine del discorso impossibile, al corteggiamento del silenzio, e la poesia del tardo Novecento (negli esiti più consapevoli) giunge al bordeggiamento del rumore e all'illusionismo del «silenzio» tra le parole e dentro la stessa parola, con tutto quel che ne consegue in termini di smaccato epigonismo e di poesia acritica. In questo piano inclinato sopra il quale sta tutta la poesia del tardo Novecento it. ci sta molto bene anche un poeta iperletterato 8ma privo di zoccolo filosofico) come Zanzotto, il quale non si sogna nemmeno e né sospetta che sta sopra un piano inclinato con la superficie lucidata con la cera Lux... e che si scivola, tutti insieme, verso il buco dell'insignificanza del discorso poetico devitalizzato di peso specifico e di gravità.
Ecco perché io sostengo da tempo la tesi che per uscire dalla «porta stretta» entro la quale s'è andata a ficcare la poesia it. occorre sfondare la porta e dire chiaro e tondo che la poesia deve tornare a Interrogare, a porre le Domande fondamentali, pena l'insignificanza del piccolo cabotaggio del diario, del quotidiano, della ciarla, dell'Empireo di chi gioca col misticismo etc.
Per questo obiettivo sarebbe utile una rilettura di poeti significativi del Novecento come Milosz, Herbert, Transtromer, W. Stevens, W.C. Williams, Mandel'stam per cercare di capire quali domande essi hanno sollevato.

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate a G. Linguaglossa:

Bene, chi conosce o intende leggere Milosz, Herbert, Transtromer, Stevens, Williams, Mandel'stam si faccia avanti con proposte e riflessioni.

Anonimo ha detto...

Ho segnalato a Gianluca D'Andrea, attento lettore di Wallace Stevens. Saluti. Giuseppe Cornacchia