martedì 9 ottobre 2012

Luciano Nota
Poesie
da "Tra cielo e volto"



NATURA MORTA

Se da me a te
l'anima è obliqua
se in qualche spazio
tu ti muovi
giulivo
rifugiandoti in contesti
sovrumani.
Se custodisci il tempo
l'assetto d'ogni cosa
consacra
queste pere piene d'ansia
questa mela putrefatta
questo scarto di lattuga.


STANOTTE
Entra nel mio covo
e non strigliare ti prego le suole.
Entra e parlami di te
del tuo lido.
Dimmi se vuoi del tuo credo
degli amanti.
Io ti dirò del diamante
che non ho mai posseduto.
Quanto alla rena
lasciata sull'assito
la coglierò stasera
prima di mezzanotte.
Stanotte sarà vampa
la terra nella mia scarpa.

MIO FRATELLO

Mio fratello
è chi assottiglia gli artigli
dell' impavido falco.
Ha il dorso ad arco
e non scalza il midollo.
Ha un ampio varco
uno scrittoio
un ammasso di faville.
Non s'apposta dentro il fosso.
Appena desto
alloggia come perno
su un accordo di frequenze.
Collana dello sterno.

SIPARIO

Allargata la morsa
con tagli più antropici
ognuno col proprio strato
il suo allegato
si muova tra i vivi.
Se davvero c'è un sogno
un passaggio
ben venga il dosso duro.
Dal più criptico pantano
al supremo dei vivai
il fiore ha sempre un nome.
Ci adocchia
ancora fango
l'Imperituro.

RESTA

Ti seguo seguendo il verso
del merlo e del fagiano.
Mio caro, è un brivido
vedere il tuo capo
riflesso nel canale
non è stabile.
Sul labbro
un vocabolo fermo:
resta.
Avrai pure un soffio
da darmi
un veliero.
Resto:
avrò pure da darti
un'inezia
un pensiero.

AIRONI

Leggero
ma ancor più leggiadro
era il sogno
al quale ci si attaccava
per sperare di essere uccelli.
Io vivace
tu geniale abbastanza
da inventare lo scrigno del volo.
Avevamo vent'anni
e la voglia era tanta
d'ignorare le insidie dell'aria.
Sapevamo che dopo anni
ci saremmo ritrovati
piegati sugli arcioni
a lanciare i nostri palpiti agli aironi.

SUL CARSO

Schiaffi di sera
ovunque poso i miei passi.
E procedo a ritroso
schivando tonfi di moschetto.
Un masso crivellato
non più d’aria
mi porta dritto al fiume.
Devo giungere al greto
prima delle api.
C’è un fiore che mi aspetta.

 LE ANZIANE LUCANE

Le puoi ancora incontrare
con bluse rammendate e scialli neri
poggiate agli usci delle case.
Col santino nel grembiale
parlano ligie dei figli lontani
limano con cura i grani dei rosari.
Sono loro le anziane lucane
abili querce che sfuggono i tempi.
Con gli occhi dipinti d'antico
e la tremola mano
sembrano tutte mia madre.

GIUSEPPE MELFI

Il mio compagno di scuola
mi chiamava compare.
Ricordo
lo aiutavo a capire Pitagora.
Ci siamo trovati una sera
a bere un bicchiere
lui con le braccia possenti
la solita gota rosata.
Ricordava per bene le lezioni di scienze:
i fagioli fioriti in bambagia
il neutrone
la lampada accesa col limone.
Stringendomi con passione la mano
posandomi in tasca una biro
mi disse: " con questa, almeno in una,
riporta il mio nome".


25 AGOSTO
(In memoria di mia madre)

Parlo con te da solo.
Tutto è più ombroso
dal guscio all’interno del pane.
Oso mangiare
uno spicchio di pera
misto a mollica.
Tutto è più grande
più intenso.
Non riesco a vederti lassù
non riesco!
Potrei provare a spazzare le nubi
aprire un varco nell’astro
ma so che qualcuno lo ha fatto
senza alcun risultato.
Madre dammi una mano
a rasciugare dagli occhi la pioggia
un filo di foglia tra noi
almeno oggi.

da Luciano Nota, "Tra cielo e volto", Edizioni del Leone -2012- prefazione di Paolo Ruffilli, postfazione di Giovanni Caserta.




*Luciano Nota è nato ad Accettura in provincia di Matera. E' laureato in Pedagogia ad indirizzo psicologico e in Lettere Moderne. Vive e lavora a Pordenone svolgendo l'attività di Educatore. Sue prime poesie sono state pubblicate su varie riviste letterarie. Nella trasmissione di Rai RadioUno Zapping a cura di Aldo Forbice sono state ospitate molte sue liriche.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Struggente poesia. Vicina ai sentimenti, a loro riverente, senza quasi mai toccarli , reliquie. Questi versi hanno il grande merito di coinvolgere amore e dubbi. Ricordi vissuti oggi con le stesse emozioni di ieri. Un difficile scrivere . Niente di banale . Lo sguardo , chew mi pioace tanto, la fa da padrone.Davvero bravo. Emozionata ringrazio. Emy

antonio spagnuolo ha detto...

Per una realtà , positiva o negativa che sia , il sussulto della poesia qui si distingue fra numerose e luminose metafore, tutte concepite nella più pura analisi culturale , per la “parola” incisa e ripetuta. Il caro amico e pungente critico Linguaglossa tocca vari punti di questo volumetto che potrebbero vacillare per un ingenua stesura licealista, per una delicata sorta di sospensione che rende il testo avvolto da una illusione classicheggiante – Ma questo cromatico abbandono è voluto ? Numerose le figurazioni gradualmente inserite, come toni pacati di una stagione tiepida e carezzevole, ed allora anche liberarsi dal sogno potrebbe essere una richiesta, che il poeta rincorre per assaporare quei passi che alternano l’illusione alla speranza , il non detto alla frequenza dell’imprevisto. Qualcosa che la memoria avvolge per ripetere le fantasie dell’amore , tra le audacie del subconscio e le accensioni dei ritrovamenti, in versi rapidi e lievemente incisi.
In un ritmo quasi sempre pacato e coinvolgente le percezioni anticipano le misure assolute di quei tratti cromatici che rendono cangiante le tensioni , in quanto l’apparenza trova un immediato riscontro in variopinti orizzonti, in inusuali testimonianze, fra accensioni e riprese, che nei tempi della poesia sono gli aspetti quotidiani dell’immagine soggettiva. Luciano Nota attende le sue occasioni in un tessuto sublimato, per non essere confuso con frange e strappi , ma per risolvere quel labirinto inesauribile che è la invisibilità di qualche destino. ANTONIO SPAGNUOLO

Anonimo ha detto...

Leggendo queste poesie di Luciano Nota avevo colto una nota sentimentale, quasi una posa intenzionalmente seduttiva rivolta al lettore. Sarà la sua indole, mi sono detto, dopotutto le immagini, i ricordi, arrivano chiari e precisi... poi ho letto questo commento di Spagnulo e riflettendo sul "tessuto sublimato", su quel "non detto", i "tratti cromatici che cangianti le tensioni"... nonché il mirabile "lievemente incisi", e ho pensato con simpatia ad una compagnia di veri romantici ai quali non sfugge che l'appiattimento del reale, di fatto la sua (temporanea) mancanza, possa aprire le porte a qualsiasi genere di conforto.
mayoor

nazariopardini ha detto...

La nota recensiva di Linguaglossa sulle poesie di Luciano Nota allarga lo sguardo sui minimi e i massimni di una poetica che coinvolge i travagli linguistico-sociali del nostro Novecento. E in questo quadro viene inserita la considerazione sul Nostro riducendo il discorso a un solo aspetto, secondo me: il lirismo idillico-elegiaco. Troppo sarebbe da dire sulla linguistica, sugli sperimentalismi avventurati e avventurieri, sulla poesia vista tale solo se in un contesto sociale. Ma i grandi hanno, anche, e bene dimostrato che si può fare poesia, e bella, affidando alla Natura il compito di guidare, con tutto il suo potere, il poeta nell'arduo suo tentativo di scavare nell'anima. E la poesia di Nota fa questo. La Natura non è trattata come oggetto a se stante, ma le viene affidato il compito di rivelare, con tutte le sue sfumature, quelli che sono gli azzardi dell'essere e dell'esistere oltre il limnen dello spazio ristretto in cui viviamo. Il linguaggio, pur tendendo al lirismo, nota peraltro non negativa, è duttile, ora dolce, ora anche novativo e, secondo me, accompgna con le sue varianti le varianti esistenziali del nostro esistere hic et nunc. Non si può dire di certo che si tratta di un lirismo lasciato a se stesso, ma di una ricerca semantica verso una parola che sforza la sua entità per ritrattare un sentire troppo vasto, semmai, sempre troppo vasto per i mezzi linguistici umani. E io vorrei sapere se esiste un poeta in opossesso dei lemmi che combacino con l'ampiezza dello spirito. L'etimo è umano. lo spirito è ultra/umano. Per questo la poesia è quella parte di noi che più si avvicina all'inarrivabile. Perché nessun poetta arriverà mai a poter dire tutto di sé e del mondo. E la poesia di Nota, con tutti i suoi limiti, sa trattare la realtà riducendola ad ancella del suo sentire. Riducendola a corpo, a involucro della sua interiorità. D'altronde Zanzotto stesso affermava che il poeta deve parlare tramite la lavoce degli alberi, tramita il fruscio del silenzio.