domenica 16 dicembre 2012

Donato Salzarulo
Inno di Mameli,
tablet e manganello



In  apparenza queste riflessioni di Salzarulo non hanno molto a che fare con la poesia. Eppure nell' "Inno di Mameli" si insinuano tutti gli equivoci che anche la poesia (un valore) attira su di sé, appena esce dal  luogo riservato (sacro pomerio per alcune élite, circolo  corporativo per altre).  Suggerirei di leggere  questo scritto con un occhio alla discussione in corso sul post riguardante Gian Pietro Lucini (qui). [E.A.]

Soffermati sull’arida sponda
A. Manzoni, Marzo 1821

1. - Nei cinque anni di scuola elementare non ricordo bene se il maestro ci abbia mai fatto cantare in coro l’inno di Mameli. Ricordo che ci fu proposto in prima media dalla prof. di musica. Unii la mia voce a quella dei compagni di classe e la prof., dopo averla ascoltata tre o quattro volte, mi ordinò coram populo di farla tacere. Era stonata. Ne ricavai una ferita superficiale, della glottide, un’umiliazione leggera di Narciso, indimenticabile. Ancora oggi, tutte le volte che provo ad intonare le parole o il ritornello di una canzone, esito. Ho la voce di uno stonato.
A diciannove anni, la direttrice di una colonia estiva, in cui lavoravo come monitore, tentò di convincermi che non esistono voci stonate, tutt’al più diseducate. Ci provò e mi rinfrancò per un mese, il tempo necessario, a sorvegliare il gruppo di ragazzi affidatimi e a intonare con loro qualche marcetta. Fu rimedio temporaneo, cerotto rimovibile.

Nella mia storia personale, inno di Mameli e scoperta della mia scarsa capacità nel cantare rimangono associati. Una stonatura che si fece, col passare degli anni, sintomo di una scelta della mente: poco amante dell’astratta Nazione  e poco portata ad accendersi per i “fratelli d’Italia”. Fratelli coltelli. Perché negarlo? La parola Patria è stata a lungo buco nero della mia psiche e l’amor patrio sentimento, se non assente, debolissimo. Parlante dalla nascita un dialetto irpino, già diventare utente della lingua italiana ha rappresentato per me una conquista. Lasciare il presepe del paesello natio per inurbarmi nella metropoli torinese (inizialmente) e milanese (successivamente) è stata inoltre esperienza particolarmente pungente. Ha significato portare nel mio corpo e scrivere nelle sue pieghe il segnale delle disparità territoriali e sociali, le storture dello sviluppo ineguale. Mercato unico nella penisola (e fuori), sviluppo industriale nel triangolo a Nord-Ovest, disoccupazione a Sud.

2. - Come molti altri sono stato costretto a ripensare a questa storia in anni più recenti e a ripormi il problema dell’Unità d’Italia per l’affermazione elettorale, politica e sociale della Lega Nord. Secessione e/o indipendenza della Padania mi apparivano parole d’ordine indigeribili e deliranti. Dalla questione meridionale a quella settentrionale. In epoca di globalizzazione, temevo una balcanizzazione politico-amministrativa e culturale delle Tre Italie economiche già esistenti (avevo studiato il libro di Bagnasco). Tra l’altro, come assessore all’istruzione e alla biblioteca civica, ero stato delegato ad organizzare le iniziative per il 150° dell’Unità. Quindi, ho dovuto riflettere sul “bisogno di patria” e fare i conti con l’esigenza di una sorta di “religione civile” finalizzata a rinsaldare il vincolo costituzionale e il patto sociale tra i cittadini. Una religione piuttosto assente (non solo per via della tradizione guicciardiniana, “particolaristica” degli italiani, ma per la corruzione diffusa, l’evasione fiscale, la presenza e penetrazione estesa e invadente delle mafie) e che non può essere praticata e vissuta intonando e rintonando a squarciagola, in ogni occasione pubblica, «Fraaateelliii d’Iitaaalia…»
Per questo forse mi ha lasciato piuttosto freddo la notizia che, a partire dal prossimo anno scolastico, l’inno nazionale dovrà essere insegnato obbligatoriamente nelle scuole di ogni ordine e grado (infanzia, inclusa) e che, nell’ambito delle attività volte all’acquisizione delle competenze e delle conoscenze relative a “Cittadinanza e Costituzione”, ogni scuola dovrà organizzare «percorsi didattici, iniziative e incontri celebrativi finalizzati ad informare e a suscitare riflessione sugli eventi e sul significato del Risorgimento nonché sulle vicende che hanno condotto all'Unità nazionale, alla scelta dell'inno di Mameli, alla bandiera nazionale e all'approvazione della Costituzione, anche alla luce dell'evoluzione della storia europea» (art. 1 Disegno di legge n.3366)
E’ chiaro. Il legislatore vuole che si parli e si rifletta sulla nostra storia. Intento encomiabile. Vuole che si suscitino sentimenti di appartenenza a una comunità nazionale e si faccia leva su di essi. Perché farlo obbligatoriamente? Forse perché si pensa che i buoi siano già scappati e che sia profondo il disincanto nei confronti di un simile discorso pubblico, sempre a rischio di gonfiarsi di toni bolsi e retorici. Le domande da porsi sono facili; non altrettanto le risposte. Che significa oggi essere italiano? Quanto è diffuso ed intenso l’amor patrio? Qual è lo stato della nostra “casa comune” e quanto è unita?...

3. - Oltre all’inno di Mameli, durante gli anni di scuola media, imparai a memoria i versi manzoniani di “Marzo 1821”, quelli che ad un certo punto recitano: «Una d’arme, di lingua, d’altare, / Di memorie, di sangue e di cor.» A quasi due secoli di distanza, si possono usare come rudimentale griglia di verifica.

“Una d’arme”. Nel nostro Paese posseggono legittimamente armi soldati, carabinieri, poliziotti, finanzieri, vigili…e (illegittimamente) le mafie, che presidiano e controllano interi quartieri e territori. Le nostre Forze armate  sono distribuite in vari corpi. In barba all’art. 11 della Costituzione, alcuni sono impegnate su fronti di guerra per missioni dette ipocritamente umanitarie. Ogni tanto qualche soldato torna a casa morto. Parlamenti, Consigli Comunali, Provinciali, Regionali, Scuole e altre istituzioni osservano il rituale minuto di silenzio. Poi...la guerra continua. Essendo lontana dalle nostre case, è notizia astratta. Sembra che non ci riguardi. Bambini ed adolescenti devono imparare a memoria l’inno nazionale per non dimenticare di cingersi, all’occorrenza, la testa “dell’elmo di Scipio”? Ci saranno sempre dei Cartaginesi su cui sparare addosso?... 

Carabinieri e poliziotti lavorano a ritmo continuo, impegnati come sono in mille interventi. Tra questi spiccano la lotta alla criminalità  e la difesa dell’ordine pubblico. Per la prima, tanto di cappello. Molti carabinieri  sono morti in servizio, uccisi dalla mafia, dalla camorra o dalla ‘ndrangheta. Dovendo camminare per le strade di certe città, vedere le divise infonde senza dubbio un maggior sentimento di sicurezza. Esempi di "buon impiego" delle forze dell'ordine, quindi, non mancano. Anche di cattivo, purtroppo. Penso ad alcune recenti manifestazioni studentesche.
Non sempre è facile tenere a bada studenti che, oltre ad imparare per obbligo Fratelli d’Italia, vorrebbero poter esercitare il loro diritto allo studio in aule non sovraffollate, in edifici scolastici adeguati (magari con laboratori attrezzati e qualche biblioteca scolastica); vorrebbero che il “governo tecnico” mettesse in pratica la fraternità repubblicana, assicurando qualche risorsa in più alle scuole pubbliche. A settembre, tanto per inaugurare l’anno scolastico, sembrava che ogni classe da lì a pochi giorni avrebbe ricevuto i soldi per comperare un computer; ogni scuola avrebbe avuto software telematico per pagelle, registro delle assenze, giustificazioni, ecc; i docenti di Puglia, Campania, Calabria e Sicilia sarebbero stati dotati di un tablet... Insomma, ammesso che sia educativamente efficace, una bella boccata di “modernizzazione” tecnologica. Ma poi i tablet non arrivano. E non arrivano gli insegnanti di sostegno in numero sufficiente, non arrivano quelli d’inglese, si tagliano le assunzioni dei precari e gli orari delle discipline. Si propone un prolungamento dell’orario d’insegnamento dei prof., portandolo da 18 a 24 ore settimanali,  si cacciano dai Consigli d’istituto le rappresentanze studentesche. Inno di Mameli, tablet e manganello. Il bastone e la carota. Che patria è questa? Che patria rappresenta il ministro Profumo? Quella parolaia del diritto allo studio soltanto proclamato?...

Nella crisi che imperversa, assicurare il mantenimento dell’ordine pubblico è diventato un imperativo. Come affrontare la questione sociale sembra non sia problema che riguardi la nostra classe dirigente. La disoccupazione è drammaticamente in aumento. Migliaia di giovani il lavoro neanche più lo sognano. I nostri studenti, se non vorranno aumentare l’esercito industriale di riserva, dovranno probabilmente emigrare e cercare un’occupazione in Europa, in Cina, in India o Oltreatlantico.  Impareranno l’inno di Mameli per non dimenticare quanto è matrigna la storia patria? Se lo porteranno nel cuore per difendere lo stivale nel mondo?

I finanzieri li abbiamo visti impegnati in operazioni di lotta all’evasione. Se n’è parlato molto alla Tivù. I risultati?... I lavoratori della scuola, come tutti gli altri, continuano a vedersi le tasse aumentate. Riducono il loro tenore di vita e continuano a subire minacce: chissà se si riuscirà a pagarvi la tredicesima, chissà se vi potremo garantire ancora lo stipendio intero, chissà cosa?!...Se la patria diventa un inferno, cantando l’inno di Mameli si sta meglio?...
   
A parte tutto, l’Italia è “una d’arme”. Peccato che le forze che le posseggono vengono spesso impiegate per reprimere legittime esigenze dei cittadini. Assicurano indubbiamente l’unità, ma lo fanno a favore di alcuni gruppi sociali contro altri. L’ineguaglianza regna sovrana. Taglio con l’accetta, si capisce. Ma forse un po’ di storia delle nostre Forze armate e del modo in cui sono state impiegate dai ceti dirigenti del nostro Paese non sarebbe male: dagli eccidi di Bava Beccaris ai pestaggi di Genova nella scuola Diaz. L’attenzione al “nemico interno” ha prevalso spesso sul “nemico esterno”. Anche perché, sia detto fra parentesi, a partire dal secondo dopoguerra,  il “nemico esterno”(chiunque esso fosse e ammesso che lo fosse), è stato combattuto con il nostro esercito bene inquadrato nei ranghi della Nato. Sovranità limitata. Siamo un Paese a sovranità limitata da sempre. L’ultimo nostro governo, quello che ci sta ridando “credibilità e dignità” nel mondo, è stato voluto (e imposto) dalla troika (BCE, FMI, UE). Pur di toglierci dai piedi il Grande Comunicatore e l’Amante di barzellette, abbiamo ingoiato un rospo che più rospo non si può. Domanda ineludibile: come stiamo a democrazia e a sovranità popolare? Male, molto male.

“Una di lingua”. Sotto questo profilo l’unità merita una bella sufficienza. Tutto sommato oggi un siciliano o un sardo riescono a parlare e a capirsi con un piemontese o un valdostano. La generalizzazione della scuola dell’obbligo è servita. Un po’ gli italiani linguisticamente sono stati fatti.  All’alfabetizzazione e istruzione scolastica, bisognerebbe aggiungere il ruolo prezioso svolto della Rai Televisione italiana. Che italiano parliamo oggi? Il divario tra la lingua letteraria (quella dell’alma e della beltà, del core e della speme…la lingua, voglio dire, dell’Inno) e quella d’uso quotidiano si è indubbiamente ridotto. Costringendoli ad imparare a memoria l’Inno cosa  vogliamo ottenere dai nostri studenti? Che ricordino quale fosse la lingua dei trisavoli letterari?...Sia pure. E allora come la mettiamo con quelle Università italiane che hanno deliberato l’uso obbligatorio della lingua inglese per lezioni, corsi, esami, seminari?  Da un lato la lingua dell’Inno per conservare l’identità italiana, dall’altro quella delle attuali élite. E’ vero che siamo una “provincia dell’impero”, ma tutto ciò non ci rende più servi? Ha scritto Claudio Magris: «La proposta di rendere obbligatorio l'insegnamento universitario in inglese rivela una mentalità servile, un complesso di servi che considerano degno di stima solo lo stile dei padroni, simile a quella smania di “sbiancamento” (blanchissement) che grandi scrittori neri quali Glissant e Fanon hanno denunciato in molti discendenti di schiavi nei loro Paesi, le Antille francesi» (Corriere della Sera, 25 luglio 2012)
Forse questo “complesso di servi” è attivo anche nell’obbligatorietà dell’insegnamento dell’inno nazionale: invidiamo il patriottismo americano, inglese, francese, tedesco…

“Una d’altare”. La nostra “fabbrica dell’obbedienza” ha lavorato notoriamente contro l’Unità del Paese. Anche nelle frazioni più sperdute d’Italia un campanile non manca. E l’unità che avrebbe preferito è quella sua. Coi rappresentanti del nostro Stato ha concordato un po’ di privilegi.  Ma quante volte la Chiesa cattolica continua a farsi portatrice di contrasti e divisioni? I politici cattolici, anche quelli più maturi, quelli che rispettano la sovranità e indipendenza delle due sfere, non si esimono dalle genuflessioni e dal versare l’obolo. L’ultima era sui giornali di domenica 25 novembre: “Il governo aiuta la Chiesa. Mini Imu per scuole e cliniche”. Il tutto, disattendendo le richieste UE e il doppio parere del Consiglio di Stato. Commenta Gianluigi Pellegrino: «Il rigore economico si scioglie come neve al sole se a chiedere sono le gerarchie cattoliche. La credibilità europea può pure andare in cantina se a pretendere favori è quel mondo ben visibile che proprio alla convention per il Monti bis della settimana scorsa non ha lesinato partecipazione entusiasta» (La Repubblica, 25 novembre 2012).
La situazione religiosa del nostro Paese si è fatta, comunque, più complicata. Quella cattolica non ha più l’esclusività. E, tuttavia, ogni volta che un’amministrazione e un Sindaco autorizzano la costruzione di una moschea, l’islamofobia prende quota. Possiamo dire che non siamo ancora maturi per rispettare realmente l’articolo 19 della Costituzione e la “libertà religiosa” di tutti? «Ché schiaaaava di Roooma / Iiiddio la creò.» Non è la Roma dei papi, lo so.
 

Sulle memorie, il sangue e il cor, lasciamo stare. Le memorie sono divise. Sono divise quelle risorgimentali e quelle post-risorgimentali, quelle resistenziali e quelle post-resistenziali. La guerra civile ancora infuria tra unitari e neoborbonici, anticlericali e sanfedisti, fascisti e antifascisti…Ogni tanto qualcuno conciona sulla necessità di una memoria condivisa. Per questo forse si ritiene opportuno l’insegnamento obbligatorio dell’inno. Ma per quanto ci si dica fratelli, se uno è vittima e l’altro carnefice, difficile credere ad una simile fraternità.

Il sangue è da molti decenni meticcio. E “nuovi italiani” provenienti da ogni parte del mondo ci chiedono l’applicazione di quei diritti di cittadinanza che finora abbiamo loro negato. Che facciamo? Seguiamo le parole dell’Inno? «Uniamoci, amiamoci, / l'Unione, e l'amore / Rivelano ai Popoli /Le vie del Signore…». Capisco. Le vie del Signore sono infinite. Mameli invitava i giovani italiani di allora ad unirsi per “far libero / il suolo natìo”; ma , dal momento che oggi non ci sono suoli da liberare, ci potremmo unire coi “nuovi italiani” per liberare il mondo dall’oppressione finanziaria e dallo sfruttamento che ci intossicano la vita.
  
Il cuore è debole, ferito, scompensato. Quale amor patrio può suscitare nei giovani una classe dirigente che sta togliendo futuro al nostro Paese? Che toglie dignità ed umilia? Incertezza, inquietudine, precarietà, paura, smarrimento…Ecco, il  pane quotidiano. Forse per questo si intende far cantare obbligatoriamente l’inno nazionale. Chi  sta consapevolmente distruggendo la “coesione sociale”, introducendo continuamente elementi di divisione e di discordia piuttosto che connettivi ed inclusivi, spera che la si possa riconquistare, almeno a livello simbolico, con una marcetta. I simboli sono importanti. Ma non assicurano il lavoro, l’istruzione, la salute. 
 
Una patria è una casa comune, un luogo familiare, un territorio conosciuto. E’ un insieme di risorse climatiche, naturali (monti, pianure, fiumi, laghi, mare), paesaggistiche, culturali, relazionali. L’Italia oggi, se non fosse quel paese mal diretto che è, potrebbe fermare il suo declino. Ci aiuterà questo insegnamento obbligatorio?...

4. – Ho tre nipoti. Il più piccolo frequenta l’ultimo anno di scuola dell’infanzia. Conosce a memoria quasi tutta la prima strofa dell’inno e la canta (abbastanza bene, devo dire). Non gliel’hanno insegnata le maestre. L’ha sentita alla televisione in occasione dei mondiali e del 150°. La canta volentieri, perché “gli piace cantare”. Non so quanto conosca il significato del testo. Il livello è sicuramente molto superficiale. E’ attratto dal ritmo, dalla musica, dal canto…E va bene così. A cinque anni i bambini seguono le marcette. Le seguono in sé, intendo, come materiale sonoro. Il testo lo capiranno dopo. Certo, quando lo capirà, magari, si farà una bella risata. Chissà. O, magari, penserà al giovane che l’ha scritto, al suo romanticismo patriottico.
La seconda, invece, è più grande ed è in seconda media. Lei è andata un po’ oltre la prima strofa, che imparò in quinta elementare da una maestra. Gliela insegnò per il 150°. Molto recentemente, invece, lunedì scorso, la prof. di educazione motoria ha fatto una vera e propria lezione sull’Inno: il testo, chi l’ha scritto, chi l’ha musicato…
«Cosa vuol dire “stringiamoci a coorte”?»
«Mettiamoci insieme»
«Risposta generica. La coorte era una unità militare dell’esercito romano. Inventata, tra l’altro, da Scipione l’Africano, quello “dell’elmo”…»
La fanciulla annuisce. Non ricorda se la prof. glielo abbia spiegato. Comunque, non se ne fa un cruccio.
La terza è la più grande. Frequenta il secondo anno del liceo scientifico. Conosce il testo e lo sa cantare.
«Che ne pensi dell’obbligo di doverlo imparare?»
Esita e fa spallucce: «Ma sì, tanto…»
Poi ci ripensa e aggiunge: «Le persone non possono essere unite soltanto da un canto. Non basta sventolare coccarde e bandiere come fanno gli americani. L’unione vera nasce dalla condivisione e realizzazione di certi valori: la fraternità, l’eguaglianza, il rispetto delle persone, la costruzione di un futuro comune…»

27 Novembre 2012 


2 commenti:

Anonimo ha detto...

C'è molta poesia in queste pagine. Suggerimenti di buona vita. Di cittadinanza attiva.
Una scrittura completa.
Grazie Donato
Un saluto da Giulia

Anonimo ha detto...

Grande Donato! Un post intelligente nel quale trovo anche, permettimelo, tenerezza. Grazie . Emy