lunedì 21 gennaio 2013

Donato Salzarulo,
Visita al campo di Auschwitz.
Con una riflessione
sulla "Giornata della memoria" .


 

Quando visitammo
il campo di concentramento e sterminio
di Auschwitz-Birkenau,
evitammo alle bambine
la vista di alcune sale.
Troppo crudo mostrare
la massa di capelli
a ciocche, a trecce
tramati come stoffe.
(Non ricordo se frammenti d’ossa
fossero bottoni).
Non tutto
diventava cenere tra betulle
e nel fiume. Spoglie spaventate
prima d’essere infornate andavano
ulteriormente spogliate.
I capelli di donne
potevano diventare parrucche,
morbido tessuto di pantofole,
spago per giunti a tenuta stagna
dei sottomarini e con le pelli
produrre paralumi, grasso per sapone.

Shlomo Venezia ha raccontato
d’aver tagliato sacchi di capelli
ed il fratello d’aver cavato
migliaia di denti d’oro alle bocche
gassate. Insieme agli anelli
venivano fusi in lingotti,
gioielli da rivendere.

Follia?...Basta avere sotto gli occhi
la pianta generale del campo
per capire quanto fosse accurato
il progetto: ingresso dei treni,
torre principale di controllo,
primo, secondo e terzo settore,
campo per le donne, per gli uomini,
rampa ferroviaria per la “selezione
iniziale”, zona delle fosse
di cremazione a cielo aperto,
crematorio II, III, IV, V
con annesse camere a gas.
Comando del campo. Magazzino.

Fu qui dentro che all’arrivo dei russi
furono trovati
293 sacchi di capelli
femminili.
L’Istituto di Medicina legale
di Cracovia
ne analizzò 25 chili e mezzo
e stabilì la presenza indubbia
di acido cianidrico.

Le bambine vedono con noi
la montagna di barattoli vuoti
di Zyklon B in cristalli. Sciolti
sprigionavano il gas che avrebbe
ucciso per asfissia
migliaia di prigionieri.
Soffocamento, dico, soffocamento.

                                   C’è un fatto
che durante la visita m’inquieta.
E’ la temperatura emotiva,
le nostre reazioni.

Ci spostiamo silenziosi
da un punto all’altro,
entriamo-usciamo, ascoltiamo la guida,
guardiamo il cumulo di scarpe,
l’ammasso di protesi ortopediche,
la montagna di valigie, la bambola,
le spazzole, le foto dei giovani
liberati dai russi il 27
gennaio del ’45, i letti
a castello per i prigionieri,
le latrine, il muro per le
fucilazioni, il blocco 11,
gli occhiali, i lavatoi…
                       
Tutto, tutto scorre.
Siamo persone consapevoli,
composte. Persino meste.
Partecipi di un lutto.

Cos’è che non va allora?
Forse è questo consumare
l’abisso in due ore,
l’incapacità dell’immaginazione
di star dietro momento per momento
all’orrore.

                        Zyklon B. Soffocamento.
Ma i nostri occhi, le nostre orecchie,
le narici sanno come muoiono
in dieci-dodici minuti
centinaia di persone
ammucchiate in una stanza?

Ascoltano i pianti dei bambini,
le urla strazianti, l’accalcarsi
dei corpi in cerca d’aria?

Avvertono la vergogna
di restare nudi, l’umiliazione,
il timore, lo spavento di varcare
la soglia dell’annientamento?

Sentono salire in gola il vomito
per l’odore nauseante
dei cadaveri bruciati
e in dissoluzione?... 


Penso di no.

Per quanto s’indossino i poveri
panni dei prigionieri, le tute a strisce,
per quanto ci si finga affamato-assetato,
scheletrito-umiliato,
picchiato-violentato-torturato,
insozzato-infangato,
l’immaginazione è troppo debole
per rendere vivi i quadri del degrado.
Uomo-cosa, uomo-straccio, morto ambulante
da bruciare. Uomo che vale meno
di un cane delle SS. Maiale
da scannare. Vitello da sparare
in fronte o, peggio, alla nuca
da non guardare negli occhi.
Escremento. Concime per i campi,
cenere per il bosco di betulle.

Campo di betulle.
Questo significa Birkenau.
La lingua del Terzo Reich
è piena di eufemismi.
La camera a gas
è quella delle docce.
L’arrestato è un prelevato.
L’assassinato un morto per
insufficienza cardiaca
Lo sterminio di un popolo
è la soluzione finale.

Lingua della menzogna.
Lingua di chi mente
sapendo di mentire.
Oggi è la lingua di chi nega
che ci sia stato Auschwitz
con le camere a gas,
i sacchi di cenere
di milioni di persone
ridotte a non-persone,
schiacciate come insetti,
mineralizzate,
liquidate,
evaporate,
cancellate.

Dei cinque forni crematori attivi,
oltre alle fosse a cielo aperto,
durante la visita vediamo
le bocche di uno soltanto.
Gli altri, spiega la guida,
furono distrutti
prima dell’arrivo
dei soldati russi.
Cancellare le tracce
dei propri crimini.

Avesse dichiarato guerra
al popolo ebraico,
una guerra regolare
per mare, cielo e terra,
ovunque si trovasse
probabilmente il Reich
non avrebbe potuto
trucidare sei milioni
di persone disperse
in vari Stati d’Europa.
Persone che, spesso, erano
olandesi, francesi, polacchi,
ungheresi, prima d’essere ebrei..
O italiani, greci e lituani.

Guardiamo la montagna di valigie,
gli occhiali, le protesi.
Impossibile risalire ai nomi
dei singoli proprietari.
E questo foglio scritto da una bambina?
E questa bella bambola
da quali mani è stata pettinata?

Salmen Gradowski,
ebreo polacco,
nato a Suwalki,
vicino al confino lituano,
nel 1909,
ha temuto così tanto
che nessuno potesse immaginare
quanta barbarie accadesse nel campo
da scrivere e scrivere e seppellire
sotto il terreno del crematorio
i suoi quaderni.
«Caro lettore, troverai in queste righe
il racconto delle sofferenze e dei tormenti
che noi, le più infelici creature di questa terra
abbiamo subito…»
Si augurava
che l’eventuale scopritore
rintracciasse presso i parenti,
di cui forniva l’indirizzo,
la foto sua e quella della moglie
per unirla ai manoscritti
e che, contemplandole,
versasse «almeno una lacrima
per un pianto, un sospiro».
Gli sarebbe stato di grande conforto,
confessa, sapere che lui e la sua famiglia
non erano scomparsi da questo mondo
senza una lacrima.

A Francesca, che allora aveva sette anni,
domando cosa ricorda
della nostra visita ad Auschwitz.
I salici piangenti, risponde.
Tanti salici piangenti all’entrata.


 

Capodanno 2013


***

LA GIORNATA DELLA MEMORIA: IL NOCCIOLO DI QUANTO ABBIAMO DA DIRE.

di Donato Salzarulo

«E’ avvenuto,

quindi può accadere di nuovo:

questo è il nocciolo

di quanto abbiamo da dire.»

(Primo Levi)

 

La Shoah è la sintesi di tutte le violenze del Novecento. Spesso è difficile trovare le parole per raccontare l’orrore consumato, il livello di degrado raggiunto dagli esseri umani. Incontrano questa difficoltà, innanzitutto, i testimoni, i sopravvissuti. Diversi, infatti, traumatizzati, sono rimasti in silenzio per anni. Temevano di non essere creduti. C’è chi, invece, era spinto a scrivere, a seppellire i propri manoscritti da qualche parte, sotto i forni crematori, pur di far conoscere a chi stava fuori le tante crudeltà, sofferenze, violenze patite. Come dice il titolo di un bel libro di Pier Vincenzo Mengaldo, «la vendetta è il racconto».

Chi desidera conoscere, può farlo. Le fonti e gli strumenti a disposizione sono molti: dai libri di vario genere (memorialistica, storia, letteratura) ai film, ai disegni, alle immagini fotografiche. Anno dopo anno, la spietatezza delle morti porta via i sopravvissuti. La memoria viva, individuale, quella di chi ha visto con i propri occhi i campi di concentramento e vissuto sulla propria pelle la struttura sadica dei lager, s’inabissa. Il testimone passa. Tocca a noi, ai nostri figli e nipoti organizzare il ricordo, tramandare la memoria dello sterminio, dell’esperienza-limite al quale milioni di esseri umani sono stati costretti. Fare storia con la consapevolezza che Auschwitz può avere i suoi cloni. L’orrore è ripetibile. Diceva Primo Levi: «E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire.»

Ma perché questa possibilità non si ripeta, occorre non limitarsi a descrivere l’inferno, a presentarne i gironi: la designazione della vittima, la ghettizzazione, la deportazione, l’arrivo al campo, la selezione iniziale, la camera a gas, il forno crematorio, il fumo e la cenere…Dalla descrizione è necessario passare all’interpretazione. Occorre capire il perché e il percome. Le condizioni che hanno reso possibile la barbarie. Le tribù umane non hanno ucciso i loro simili soltanto ad Auschwitz. La storia è piena di orrori.Vampira gigantesca, si nutre del sangue di milioni di persone. Le stragi sono il suo forte, gli omicidi di massa, gli stermini. Più progresso, più male. Vuoi mettere ammazzarsi con frecce, spade, catapulte e distruggersi con un missile a testata nucleare, con una bomba atomica capace di togliere il respiro in un sol colpo a tutto ciò che è vivo in vaste aree terrestri?

I campi di concentramento non sono stati inventati dai tedeschi e allestiti soltanto da loro. Non hanno l’esclusiva. Pare che i primi siano stati creati nel 1896 dagli spagnoli a Cuba. E poi gli inglesi, tra il 1900 e il 1902, durante la seconda guerra contro i Boeri, rinchiusero in recinti simili intere famiglie. Morirono di fame e d’inedia non meno di 26.000 donne e bambini. Certo, i campi di concentramento sono diversi da quelli di sterminio. A Treblinka si passava direttamente dalla piattaforma di arrivo alla camera a gas. Ma c’è qualche tratto comune a tutti? Lager nazisti e gulag stalinisti sono equivalenti? Che cosa ha di specifico, di unico Auschwitz? Il suo essere, allo stesso tempo, campo di concentramento e di sterminio? E’ importante per noi fare paragoni, cogliere analogie e differenze. Proprio per stare in guardia, per vigilare, riconoscere, denunciare e combattere gli eventuali cloni dell’orrore. In fondo, è questo il compito che ci affidano i sommersi e i salvati di Levi: ricordare per rendere omaggio alle vittime, per “vendicarle” col racconto, per elaborare un lutto ma, soprattutto, per evitare che inferni simili si ripetano.

Ebbene, come è stato possibile Auschwitz? Ad una domanda simile cercò di rispondere Hannah Arendt con un libro pubblicato nel 1963 e diventato giustamente famoso: «La banalità del male». È il reportage del processo ad Adolf Eichmann che, in quanto responsabile della sezione IV-B-4 dell’Ufficio centrale per la sicurezza del Reich, aveva coordinato e organizzato i trasferimenti degli ebrei nei campi di concentramento e di sterminio. Agli occhi della filosofa, Eichmann appariva un uomo comune, mediocre, superficiale. Le azioni erano state mostruose, ma chi le aveva compiute era una persona normale, banale. Non aveva nulla di mostruoso o demoniaco. Egli sosteneva di aver obbedito agli ordini ricevuti e di essersi mosso sempre all’interno dei limiti previsti dalla legge. Sembrava una persona incapace di pensare autonomamente, di giudicare e valutare i contenuti e gli effetti dei propri atti. Un burocrate del male. Lo sterminio, quindi, appariva perpetrato da uno stuolo di obbedienti burocrati, resi tali dalle circostanze e dalle condizioni di lavoro. Il fenomeno scioccò la filosofa. Il male non nasceva da patologie schizofreniche o paranoiche, da malvagi interessi egoistici e personali, da avidità, bramosia, particolari aggressività, sete di potere. Era tutto più banale. Più legato alla rimozione della facoltà di pensare, di giudicare norme prima di applicarle, di valutarne i contenuti morali. 

Quasi certamente, pensando a questi impiegati obbedienti, disposti a parteggiare sempre per il potere costituito e a sottoporsi a ciò che è più forte come norma, Theodor W. Adorno, in una conferenza sull’educazione dopo Auschwitz, trasmessa alla radio dell’Assia il 18 aprile del 1966 (si può leggere in «Parole chiave. Modelli critici», Sugarco, 1974) , insiste sul promuovere l’auto-riflessione critica, la conoscenza dei meccanismi anche psicologici (cita ripetutamente Freud) che possono produrre tali comportamenti, la necessità di spingere gli educanti verso l’autodeterminazione, il non fare ciò che fanno gli altri, la capacità di liberarsi positivamente dal contesto, dalla “gabbia d’acciaio” che preme invisibile su ognuno di noi. Questo perché Adorno è convinto che fino a quando persistono le condizioni economiche, sociali, politiche, culturali che produssero le fabbriche dello sterminio, la possibilità che Auschwitz si ripeta c’è tutta. È la stessa civilizzazione a produrre, dal canto suo,  il principio anti-civilizzatore e a  rafforzarlo sempre più.

Proprio su questa ambivalenza, su questa moneta a doppia faccia della civilizzazione moderna indaga uno studioso come Zygmunt Bauman in un libro ormai classico del 1989 «Modernità e Olocausto»  (Il Mulino, 1992).     

Il sociologo polacco è d’accordo con Adorno. Il campo di sterminio è una possibilità sempre latente delle nostre società moderne. Nessuno di noi può liquidare Auschwitz come un fenomeno superficiale, un’aberrazione, un errore, un incidente di percorso, un drammatico episodio di follia del popolo tedesco o della sua élite dirigente. Il razzismo biologico, l’antisemitismo sono importanti. C’entrano. Conta pure l’ideologia, l’utopia di una “società pura e perfetta”, di un giardino abitato esclusivamente da ariani purosangue, vigorosi, sani e non affetti da patologie varie: malati di mente, disabili, omosessuali, nomadi…Queste sono gramigne, erbe cattive, che un buon giardiniere deve distruggere, sterminare coi disinfestanti (lo Zyclon B). Tutti fattori indubbiamente importanti.  Ma non bastano a produrre le fabbriche della morte. E’ necessario il “monopolio legittimo” della violenza diretta, la  sua centralizzazione e istituzionalizzazione nelle mani dell’amministrazione statale. Serve un complesso apparato burocratico e la diffusione di quella forma di razionalità che è stata giustamente definita “strumentale”, applicata secondo i ben noti criteri dell’economicità (rapporto costi/benefici), dell’efficienza e dell’efficacia. Ridurre in cenere milioni di persone fu problema risolto a tappe, con approssimazioni successive, secondo la metodologia del problem solving e avvalendosi del contributo di vari esperti e tecnici (ingegneri, chimici, architetti, avvocati, industriali, ecc.). «Sezione amministrativa ed economica» così si chiamava ufficialmente il reparto incaricato, presso il quartiere generale delle SS, della soppressione degli ebrei europei.

 

Se Bauman spinge la sociologia a confrontarsi con l’imperativo disciplinare e morale di “spiegare Auschwitz”, un filosofo come Giorgio Agamben  è impegnato da anni in una ricerca che mira, tra l’altro, ad una sorta di “ontologia della politica”. L’intento è definirne i concetti-chiave: stato, sovranità, potere e bio-potere, nuda vita, potenza, gloria, ecc. I frutti delle sue riflessioni si possono cogliere in libri come: «Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita» (Einaudi, [1995], 2005), «Mezzi senza fine. Note sulla politica» (Bollati Boringhieri, 1996), «Quel che resta di Auschwitz. L’archivio e il testimone» (Bollati Boringhieri, 1998). 

Per Agamben, Auschwitz è il paradigma esemplare, la “matrice nascosta”, il Nómos dello spazio politico in cui ancora viviamo. Che cos'è un campo?,  si domanda in un capitolo di «Mezzi senza fine. Note sulla politica». Invece, di ricavare la definizione dalla quantità di barbarie perpetrata, propone di invertire l'orientamento prevalente e cerca di ricavarla dalla struttura giuridico-politica che l’ha reso possibile. Tale struttura è quella dello «stato di eccezione e della legge marziale» sulla cui decisione si fonda il potere sovrano. Sovrano, infatti, -  e qui Agamben segue il teorico del decisionismo Carl Schmitt, -  è colui che può  dichiarare lo “stato d’eccezione”, decidere la temporanea sospensione del normale ordinamento (che sia diritto civile, penale o carcerario) e mettersi, per così dire, al di “fuori della legge”. E’ un tale stato che ha consentito la disumanizzazione delle persone, la loro riduzione a nuda vita: corpi, nient’altro che corpi, o “pezzi” come venivano chiamati dai guardiani deportati nei lager. La definizione, a questo punto, proposta è la seguente: «Il campo è lo spazio che si apre quando lo stato di eccezione comincia a diventare la regola.» (pag. 36). Trattandosi di una zona posta fuori dal normale ordinamento giuridico, diventa uno spazio di eccezione in cui «tutto è possibile». Secondo Hannah Arendt è questo il principio del dominio totalitario.

Campo e stato d’eccezione risultano costitutivamente connessi. Il prigioniero, il catturato, l’internato che lo abita è una persona spogliata di ogni statuto politico, è un custodito ridotto a nuda vita. Secondo la terminologia di Agamben è “homo sacer”, una persona, cioè ritenuta responsabile di un “delitto” (nel caso degli ebrei, il solo fatto di essere ebrei…), che non può essere offerta in sacrificio a qualche divinità, uccidibile da chiunque, senza che il suo assassino venga condannato per omicidio. Il “musulmano” è la figura limite che incarna nel campo l’homo sacer. E’ il prigioniero che ha perso ogni speranza, privo ormai di consapevolezza, “cadavere ambulante” ridotto al solo fascio di funzioni fisiche in agonia. Lo scheletro in piedi, il sommerso. Per Levi è il “testimone integrale”, colui che ha vissuto fino all’ultimo grado il processo di disumanizzazione. Cogliere quella che Agamben chiama “l’essenza” del campo, isolare ed evidenziare la presenza giuridico-politica di una relazione (campo-stato d’eccezione) non significa ovviamente che tutti i campi siano stati uguali. Si rischia così di non tener conto delle ricerche degli storici. E’ vero che lager nazisti e gulag stalinisti possono essere il risultato di uno stato d’eccezione diventato la regola. Ma ci sono differenze? E, se sì quali? L’unicità, la specificità, l’esperienza-limite dei campi di sterminio nazisti è sostenuta, a ragion veduta, da molti autori, a cominciare da Primo Levi. Questo non significa dimenticare le sofferenze, le violenze, le torture patite nei gulag, né dimenticarne i morti. Da qui il limite della riflessione filosofica di Agamben. Molto utile e stimolante per cogliere l’attualità di certi fenomeni, a rischio di eccessive semplificazioni quando si tratta di entrare nel merito delle differenze storiche.

In conclusione, sono d’accordo con uno storico come Enzo Traverso. Se proprio vogliamo trovare un tratto comune tra i molti orrori e le diverse violenze di quel “secolo armato” che è stato il Novecento, possiamo individuarlo nell’agente principale di queste violenze: lo Stato. Mi permetto, a questo punto, una lunga citazione: «È questo il legame che unisce vicende così eterogenee come il massacro di Verdun, la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, le camere a gas di Auschwitz, il gulag siberiano, le risaie cambogiane e le epurazioni etniche compiute in Bosnia o nel Kossovo. Studiare queste violenze significa inevitabilmente prendere in esame le aporie di un processo di civilizzazione che le scienze sociali, da Weber a Elias, hanno sempre identificato con la costruzione del monopolio statale dei mezzi di coercizione. In tempi normali, questo monopolio libera la società dalla violenza, ma in tempo di crisi crea le premesse dell’eruzione di una violenza di stato ben più mortifera dei conflitti delle società arcaiche. Le macchine statali che permettono il buon funzionamento delle società fondate sulla regolazione razionale e legale dei conflitti si rivelano spesso perfettamente compatibili con la violenza estrema che cancella le conquiste del processo di civilizzazione.» (Enzo Traverso, «Il secolo armato. Interpretare le violenze del Novecento», Feltrinelli, 2012, pag. 140).

Si torna così alle riflessioni di Bauman, al suo mettere in relazione la Shoah con la razionalità strumentale e la dimensione burocratica e industriale della modernità.

Dopo Auschwitz, aveva detto Adorno, nel 1949, scrivere una poesia «è un atto di barbarie». Il filosofo, è noto, in «Dialettica negativa» nel 1966 corresse tale affermazione e la precisò meglio: «Il dolore incessante ha tanto diritto di esprimersi quanto il martirizzato di urlare. Perciò forse è falso aver detto che dopo Auschwitz non si può più scrivere una poesia... È però certo che dopo Auschwitz, poiché esso è stato e resta possibile per un tempo imprevedibile, non ci si può più immaginare un'arte serena.»

Credo che meriti di essere ricordata anche la replica di Primo Levi alla prima affermazione di Adorno: «La mia esperienza è stata opposta. Dopo Auschwitz non si può più fare poesia se non su Auschwitz.»

 

18 gennaio 2013      

 

 


9 commenti:

Mayoor ha detto...

Grazie al cielo, si fa per dire, le cose sono cambiate. Secoli fa i gladiatori si ammazzavano tra di loro, o con i leoni, per fare spettacolo, mentre i gladiatori di oggi rincorrono la palla. Fino a qualche decennio fa c'erano guerre, ma oggi le conquiste le fa la globalizzazione quasi senza colpo ferire. Mi rendo conto che l'ironia è fuori luogo, ma la tragedia a me sembra la stessa. Se la Germania volesse prendersi la Grecia gli basterebbe attivare le banche. E' un altro nazismo, se qualche morto ci scappa è per suicidio oppure perché senza tetto, per il gelo. Quanto alla cultura e all'arte: se i nazisti bruciavano i libri, oggi rimpinziamo la nostra memoria con fotografie, scartabellando internet, che non hanno odore ne' architettura di piazze, né fiumi ne' luna. Se scrivere è ricordare, allora è un bel guaio.

Anonimo ha detto...

Si era salvata.

Capelli.

Da qualche parte c'è ancora
quel materasso di capelli?
E mi guarda come una bambina
in cerca di un gioco, di una bambola
la stessa della foto.

Il padre ha mani da pianista,
i capelli neri della madre
scendono, toccano le spalle
sull'abito rosso una forcina.

Ma lei non ha voglia d'immagini
rivuole quelle teste, la bambola,
il pianoforte.

Muove tre dita sul cuscino.

Dorme sul divano da allora
il letto in camera freddo, intatto.

Fuori un uomo di colore
le sistema il prato.

Si alza, c'è odore d'erba.

Emilia.



Anonimo ha detto...

Sembra la stessa cosa, ma non lo è. Il male è male sempre e non è mai lo stesso. Chi lo subisce lo sa. La più grande cattiveria è quella di pensare di poter riscattare qualcosa attraverso la memoria senza sentire le urla del presente che diventerà vergognosa MEMORIA. Torture in Siria, andate a vedere in internet, su andiamo a leggere , ma no...non vogliamo rovinarci la giornata... oppure sì... la morbosità prende il sopravvento, la ricerca per la scuola da presentare magari accompagnata da un disegno fatto bene evia così per una settimana! Ricordare per non sentirci in colpa per non rifare ciò che in tante parti del mondo avviene ogni giorno, ma questa è un'altra storia, un'altra memoria. Emilia

Unknown ha detto...

Non me ne voglia Salzarulo ma questo suo, insieme ad altri milioni di questi scritti nel corso del vecchio secolo e anche del nuovo, contribuisce , con o senza intenzione, alla deformazione della SStoria, peraltro contro le stesse vittime da lui presi in esame. Anche un bambino, come ce ne sono in questo suo scritto, può porsi la domanda a proposito di "Stato"/"Stati" del vero orrore, che peraltro vediamo ogni giorno nel nostro nazismo 2.0 che non ha piu nemmeno bisogno di certi "visibili" camini. Non mi riferisco solo al fatto che l'uomo massa è sempre pronto ad acclamare il primo Führer che capita ai loro occhi, qualunque propaganda lanci all'uomo massa stesso. Il vero problema sono i vari Hitler, con o senza "camini" e " campi", o coloro che dal basso li legittimano? Ma il bambino può anche chiedersi qualcosa in più , qualcosa di piu pratico e concreto: quale è stato l'iter in tutti gli altri "stati" rispetto a quello normalmente preso in esame entro il quale l'orrore? Né più né meno che quello tenuto con l'argentina o il cile et simili negli anni 70. "Hitler", i suoi e il loro Stato è convenuto al grande capitale di tutti gli altri(ergo soprattutto uno su tutti gli altri), ergo all'ascesa del nuovo impero, che come si sa è tutto tranne che democratico e che a sua volta nasce da tanti stermini. Non c'è infatti bisogno di arrivare dall'altra parte fino ai campi in siberia o in cina. Il bambino dunque si chiede: perché il sacrificio di milioni di persone-come gli armeni, i kurdi, gli "africani",gli indiani d'america o gli ebrei ed ogni minoranza- conviene? e a chi?
Il bambino non si da pace su questo incubo di domande.

Il sacrifico degli " ebrei " è durato anni, dove era il mitico impero democratico? perché ha lasciato fare per tutti quegli anni? a cosa puntava? che cosa è stato costruito, come ragion di stato mondiale, subito dopo? e quali e quanti altri stermini hanno potuto sic et simpliciter essere rimossi ?

tutte domande a cui le stesse reti ebraiche dissidenti sia allo stato d'israele che alle propagande e manipolazioni mediatiche(composte anche dalle fuffa giornate della memoria) cercano di rispondere per sensibilizzare sui veri termini della Storia e su come sempre, come anche nella loro Storia, chi vende alla morte è per primo il proprio stesso fratello. Del resto come la destraccia fra le piu naziste che ci sia attualmente al mondo, sta facendo nel mediterrano orientale da decenni come baluardo dell'impero , che a suo tempo , per ricompensare del "sacrificio" , legittimò definitivamente la nuova terra "santa" nel nuovo Stato Santo.

Anonimo ha detto...

Cara Ro ‘o, non te ne voglio assolutamente. Anzi, mille grazie per l’intervento. Però, nel nostro nazismo 2.0 io e te cosa siamo? Degli internati o degli internauti? Dei musulmani? A quale sonderkommando apparteniamo? O siamo dei consumatori obbedienti di Das Kapital e dei suoi rapporti sociali? Che cosa vogliamo testimoniare coi nostri scritti? Siamo prigionieri che seppelliscono quotidianamente (o quasi) nell’etere i propri messaggi sperando che quelli di “fuori” (chi?) li legga e sappia quali infelici creature siamo?...Capisci che potrei continuare con le domande? Ma tu davvero pensi che stiamo vivendo una condizione, mutatis mutandis, non dissimile nella sostanza da quella vissuta da Primo Levi, da Imre Kertesz, ecc. ecc.? Democrazia e nazismo, stati (di m…) di diritto e stati totalitari sono equivalenti?...Credimi, sono sinceramente interessato alle risposte:
Prima dell’alba, un incubo:
la società in cui respirava
gli apparve un immenso lager,
sempre in emergenza, sempre in allarme
per la catastrofe imminente.
Tutto il pianeta è un lager?
Ciao
Donato

Unknown ha detto...

ciao Donato caro, innanzitutto grazie della tua modalità . Anche se non condivido la sostanza di questo intervento, condivido invece appieno l'intento dialogico che ne emerge sopra tutti gli altri piani. Badando alla sostanza, anche dei tuoi interrogativi, intermedi e finali, "devo" (proprio per contenere le distorsioni del mezzo in cui ci troviamo) a mia volta invitarti ad un certo ordine logico.

premessa
non so tu, ma per quanto mi riguarda se volevo una vita "obbediente" , comoda comoda e prigioniera di certi andazzi, non avrei fatto scelte che mi sono costate parecchio, e che evidentemente rifarei .

1
non puoi dire a me, o a un qualsiasi "noi" , qualcosa che per primo tu hai scelto, giustamente di fare. Lanciare al vento il tuo messaggio con ogni mezzo del tuo tempo fra cui anche il benedetto E maledetto web.

2
lo scritto, se incollato a tutti gli altri piani di pratica di vita(e sua trasmissione),non è a mio avviso qualcosa da indagare come da tua domanda, ma più semplicemente come una mano testimone del tempo. Lo scritto è invece da mettere sotto inchiesta se pura esibizione del proprio potere, o desiderio, o delirio di potere qualunque esso sia, anche per mancanza(frustrazione) di potere stesso.

3
il punto centrale della mia contestazione è molteplice ma compattabile in un solo punto, che infatti ti fa porre la domanda finale sul pianeta o la catastrofe? E' la Storia tutta di questo pianeta che deve far orrore. Finche non vi sara consapevolezza individuale delle cause di quest'unico orrore ( in ogni sua forma di campo), saremmo sempre sconfitti, e potremmo solo godere di una libertà interiore dal respiro di un fiore, di una mano, di una musica, del mare o del bosco ( per quel poco o tanto che rimane, o evaporato in un ricordo ). Ma il vero punto che ti ho contestato su un piano piu "plurale" faceva riferimento al tuo discorso e citazioni sul perno dello Stato. Come se fosse stato solo uno, solo quello direttamente carnefice. "Il piano" di questo sterminio , che si sia studiata la storia o la storia degli stati o quella del diritto internazionale, coinvolge piu Stati.

4 conclusione provvisoria
a meno che si voglia fare dell'orrore di cui al tuo scritto, la ripetizione di tante pagine scritte piu o meno sempre allo stesso modo (utile ai potenti di sempre e quelli nuovi a loro agganciati) , vista invece la molteplicità degli aspetti coinvolti, proprio per fare memoria attiva di questo pezzo puzzle degli orrori, conviene concentrarsi punto per punto. Che ne dici di partire da uno ad esempio? quello dei ricavi...a chi è convenuto il secondo conflitto con il suo piu evidente sacrificio? come mai adesso, fanno addirittura saltare gli stati prima di qualsiasi conflitto, intervenendo per la bufala della democrazia e prima invece, proprio negli anni attinenti al tuo scritto, ne lasciavano crepare a milioni?

Anonimo ha detto...

Cara Rò ò, Das Kapital è un rapporto sociale. Quando vado in un negozio o al supermercato a far la spesa, oltre che nutrire me stesso, alimento questo rapporto. Lo alimento anche quando lavoro o quando sto seduto in poltrona a guardare la TV. Lo sto alimentando anche adesso che sto rispondendo a te. O credi davvero che tutto questo comunicare sia gratuito?...Chi scrive “nazismo 2.0”, se le parole hanno un senso, è questa storia qui: siamo imprigionati in un lager. Ed è un lager pure questo blog in cui dei pensierosi-spensierati internati-internauti s'accapigliano ora su Pascoli ora sul futurismo ora sulla poesia che dovrebbe tornare ad essere filosofica, ecc. ecc.
Ho letto che nei campi si sviluppava il mercato nero perché pare che l'istinto di sopravvivenza, la fame e la sete, costringano gli esseri umani a far di tutto: mangiare erba e bere acqua di pozzanghere è il minimo. Anche tra di noi si sta sviluppando questo mercato nero? Noi sopravviviamo perché togliamo il cibo a qualcun altro (che so? I popoli del continente africano...)? Noi sopravviviamo perché i nostri generali e i nostri padroni ci buttano in faccia i resti dei loro banchetti?...Insomma, siamo almeno un po' liberi o non siamo per nulla liberi? Che libertà abbiamo? Quella dei cani alla catena o quella degli esseri umani? Quando abbaiamo e facciamo i disobbedienti, il nostro disobbedire ha un senso (anche se ci costa) o è tutta una manfrina?
Cara Rò ò, io non ho scritto che Auschwitz è il solo orrore della storia. Mi pare di aver scritto ben altro. E non ho scritto che gli orrori son finiti il 27 gennaio del 1945...Però, siccome la mattina del 19 gennaio, dopo aver messo, provvisoriamente, il punto alla mia riflessione sulla “giornata della memoria” (riflessione discutibilissima) ho avuto davvero la sensazione della società e del pianeta lager, vorrei che mi aiutaste a capire se il mio era soltanto un incubo o è davvero così...Abitare un lager senza neanche accorgermene, sarebbe il massimo dell'assurdo. Help!
Ciao
Donato

Unknown ha detto...

Mi spiace Donato caro, purtroppo non riesco a seguirti, ma la vita va così e non te ne faccio una colpa o meglio, non te ne faccio una responsabilità . Tirare in ballo in una relazione quale quella terra terra, di una conversazione, il rapporto dei massimi sistemi capitale, la trovo una bizzarria per eccesso della ragione che al contrario per difetto non viene applicata, dai tuoi ragionamenti, alle domande che ti ho sollevato - Ma non pretendo di rifarti le domande precedenti,proprio perché di questo mezzo, per nulla virtuale, ho gia fatto esperienza utile per sapere quando fermarmi.Ovvero ogni volta che , per dirla con tue parole, NON le mie, il rischio che si corre è proprio quello delle solite "manfrine".
Rielaborando quindi il tutto, tu con il tuo scritto hai esposto le tue considerazioni, io le mie. Nulla di più che uno scambio GRATIS!!!

Un caro saluto di belle cose per tutto.

Anonimo ha detto...

La bellezza dei versi, la profondità dei pensieri , l'empatia che si coglie nella poesia e nel saggio successivo, hanno origine da una sensibilità unica ma anche da uno studio di approfondimento, da un percorso di ricerca notevole.Altro che manfrine...
Ringrazio Ennio per questa pubblicazione.
Giulia