mercoledì 6 febbraio 2013

Gianni Iasimone,
da "Chiavi storte".




-1 Gelo nell’anima

Fiocchi pazzi girano e scendono tutt’intorno
che precipita con essi alla velocità del saccheggio,
della bugia di chi ormai ti volge le spalle.

Compresi noi futuri barboni che, nonostante il tempo
e il vento che ringhia come un frustrato, reggiamo il passo
piuttosto bene, sul ghiaccio ai margini della crisi.

Più tosti che prima ma con ossa e carne a pezzi
dei giorni nostri e altri a venirci incontro
dentro con una coperta calda.

Un pugno di terra feconda,
una parola che non sia
trappola sotto la candida neve.



-25 Questo tempo disumano

Con la voce roca
l’ultimo pastore raccoglie le pecore
sparse sul bordo del burrone.

Compresi i cani che fiutano
le stelle più remote che il cielo
rovescia con i suoi pallidi colori
sulle mani della terra.

Non una scia, una belante
scusa, alla tenebrosa
legge del macello.


-28 Dis-senso

La colata di cemento continua
sulle ultime forme di senso,
ma bisogna proteggersi
dalla sabbia negli occhi,
resistere al deserto che avanza.

Come le zone indistinte
dalla rassegnazione ancora non vinte,
tra il nuovo parcheggio
e il piazzale in disuso,
tra l’autostrada che si allarga
e la ferrovia veloce che incalza.
Il marciapiede non transitabile
e la pista ciclabile per le stelle
intermittente.

Resistere come una cicoria,
una farfalla e altre promettenti
piccole forme di vita, insieme
alla sabbia portata dal vento,
nel mondo ristretto, rifatto dentro
la smisurata circonferenza
dell’ultima replicante rotatoria.

Non servono occhiali,
tantomeno scafandri,
bastano esili ciglia.


-30 Chiavi

Nell’antro della notte
un asino sperduto
quel carattere che segna
sempre carico di fuoco
per aprire un varco
uno sterrato sentiero.

E le porte chiuse.

Il ferro penetra nel legno.
Ancora un tentativo
un altro giro nella toppa
e il ritmo schiude
e il tempo di una volta
se la chiave
è quella giusta.


-35 Martirio d’estate

Le querce non volano con le foglie,
hanno scelto il mulo per scendere
dai pendii dell’infanzia in fiamme.

E il cerbone tra i rovi sibilando,
con il merlo e la merla disperati
per i loro pulcini inermi,
non fugge dalla sua muta.

Anche la tartaruga più non corre,
sa che della sua carne non resterà
che immortale vento fra la corazza.

E la cenere salita al cielo
con milioni di barbagli
già scende in forma di calco
di stelle sulla terra.


-42 Esposizione

Come un vecchio ulivo deportato in laguna
resisto agli attacchi della nordica salsedine
condensando l’esilio in nodi di luna.

E la bora più che lo scirocco o grecale
mi scompiglia la chioma - scarne branche
del tronco ritorto sull’ampliata statale -

come mani fra i capelli non di olio unti,
ma di nuovi pidocchi - noti sfruttatori
finto trasparenti - di catrame bisunti.

Senza più radici né nome al secolo
noto, in piena luce su giusto pendio,
solo, in vaso, poca terra e senza scolo.

Neanche un ramarro, un piccolo sasso,
le stagioni passano e non mi adatto,
non muto, come uno strano tasso.

E ogni giorno una foglia abbandono
così esposto all’orgia dei clacson - ai fanali -
ma non è il gelido vento che non perdono.


-50

Eccomi qua.
Da solo.
Di fronte al tempo
del dolore puro.
Gioia? Sì.
Pure sprazzi di autentica felicità.
No! Prego, troppa luce no.





-114 Non mangio non bevo non dormo

Tengh na fame na sete nu suonn
Si m passassi na manu p ncuoll
M passass a fame a sete o suonn[1]
Mi disse - il delirio
di un profeta dimenticato
o il delirio di un saggio,
finito fra i ruderi sul litorale
o già all’indice in oriente
nel mondo prossimo presente?

No, il delirio di un matto
che non mangia non beve non dorme
anzi, di un contadino disturbato,
pazzo tornitore schizzato
che non fa a botte col suo io.

Che sfotte il sonno della convenienza
del calcolo del dire e non dire
o tutto quanto insieme al tempo
dei lupi della finanza
non vita mia, solo loro -
sempre dell’altro
da sé.

E così io dico
ciò che non so dire
o non so che dico
vedo e so di vedere
ma non so che vedo
cosciente o non cosciente
lucido o non lucido
me stesso o non me.

Semmai so perché scrivo
oltre a saper di scrivere
ma non so che scrivo.
Aveva un senso prima
di farlo e ora?
Adesso? Poi?
Cerco che cosa?
Cerco? Ricerco

il senso nello scrivere
la storia - la mia?
O di chi sento vicino
pur lontano dalle mie mani incerte
dai miei occhi stanchi sempre più.

O del sangue vivo
ancora versato
per verità a tempo
di chi nasconde
la nuda verità,
- nascosta - appunto,
non per pudore.

Non so dove.







[1] Scioglilingua della mia infanzia: Ho una fame una sete un sonno / Se mi facessi una carezza / Mi passerebbe la fame la sete il sonno.


*GIANNI IASIMONE, classe 1958, e nato a Pietravairano, un piccolo centro dell’Altocasertano.
Laurea in DAMS all’Università di Bologna e master in Poesia Contemporanea presso l’Università di Urbino.
Poeta, performer, attore, regista, studioso di tradizioni popolari, fotografo, autore di video e testi teatrali.
Sue poesie e interventi sono apparsi su varie riviste come: “Hyria”, “Opposizioni”, “Mongolfiera”, Poiesis”, “Tratti”, “Alchimie” e in alcune antologie tra le quali: Bologna e i suoi poeti, curata da G. Centi e C. Castelli, Bologna, 1991.
Ha pubblicato una raccolta di versi: La memoria facile, Piacenza, 1991, e nel 2005 il “poema metà-fisico” Il mondo che credevo, Mobydick editore, (finalista Premio Pascoli 2006 e 2° posto Premio internazionale di Poesia Città di Marineo-Palermo). Recente l’uscita del libro di poesie Chiavi storte, Mobydick, 2012.
Nel 2002, per i tipi di Caramanica Editore, ha pubblicato il saggio critico: Conta nu cuntu! Il racconto orale come strumento creativo e comunicativo.
A partire dagli anni Ottanta ha realizzato varie performances poetiche itineranti ed ha letto i suoi versi in diverse piazze e teatri.
Come attore, ha partecipato a numerosi spettacoli teatrali, realizzandone molti come regista e autore.
Attivo come operatore culturale, è uno dei fondatori dell’associazione Microcosmus (www.microcosmus.org) di Rimini, dove attualmente vive e lavora.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Molto bella questa resistenza, come le viole d'inverno sul mio balcone.
Poesia che insegna , che fa amare una solitudine pensante, davvero sincera . Bravo! Emy

Erasmo ha detto...

Alcune belle, tutte sincere, come dice Emy.
Preferisco Chiavi ed Esposizione, per la loro velocità espressiva ed incisività, sembra che nulla sia di troppo, nulla appesantisca. Peso che invece grava su certi versi di Dis-senso, Martirio d'estate e Non mangio non bevo non dormo, è un mio modestissimo parere, ma credo che si pubblichi su un blog per ricevere impressioni. La mia è che il tutto sarebbe più espressivo se fosse più essenziale, se si lavorasse maggiormente sulla sottrazione, più che sull'accumulo.
Due esempi: nella seconda strofa di Dis-senso è davvero utile nominare parcheggi, piste ciclabili, piazzali, autostrade, ferrovie, marciapiedi tutti insieme? Non esprimono tutte lo stesso concetto? L'immagine sarebbe data già da due soli tra questi elementi, sei appaiono troppi.
In Non mangio non bevo non dormo la quarta strofa è eccezionale - forse i migliori versi di questa breve selezione - tanto che funzionerebbero anche isolati, perché aggravare una tale agilità, un tale scintillio, della quinta e sesta strofa che sono appendici ad essa?
Spero le mie critiche servano a riflettere.

Complimenti e coraggio,
Erasmo

Anonimo ha detto...

Penso che queste chiamiamole "ripetizioni" danno alla poesia un senso maggiore di sconforto, un voler dare allo sguardo quell'incalzare di visioni che turbano il poeta e che lo spingono a voler resistere, da solo, con la sua sola umanità. E' una poesia che recitata, darebbe il meglio di se stessa( se così si può dire) e del suo autore.
Emy

Anonimo ha detto...

E' come la fame, la sete, il sonno, camminare per ore, pregare, pensare... e trovare le parole per descrivere l'impulso che sia vitale, ribelle, mortale purché riescano a sbloccare, schiudere un movimento, che solo le "chiavi storte" possono aprire...

Anonimo ha detto...

Carissimi, grazie. E grazie a Ennio per l'ospitalità e per chi "crede" ancora nella poesia, per i vostri commenti e le preziose critiche. E' che - lo so, è banale - un libro di poesie come ogni libro ad un certo punto non è più solo tuo e ogni parola - non solo scritta ovviamente - condivisa anche con un "solo" lettore restituisce senso non soltanto alla tua scelta, ti aiuta ad andare oltre non solo questo difficile momento, ma quell'orizzonte, a volte agognato, spesso disperato, solo di sé. Tante altre cose potrei dire ma ogni mia ulteriore parola - qui ora - sarebbe di troppo. Non so... Buon pro-seguimento.
gianni iasimone