lunedì 18 febbraio 2013

Laura Canciani,
Due inediti.




da  “Fortezza e contentezza in viola”


L’acqua è venata di rosa

L’acqua è venata di rosa.
È chiamata Fontanarosa per il ferro puro,
quasi un pensiero puro
 - al centro di un piccolo campo
c’è un ippocampo -
come toccante.
«Quali occhi quali parole sontuose ametista
o abbracci tesi spalancati sull’abisso del non so niente?»


Per automatismo interiore diranno che questo Amore
è di tutti
che è goccia e goccia convergente
che è tempo conico

 - dalla fontana psichica
il vertice sfocia in molle fonde -

La velocità del tempo invia i suoi prolungamenti
fortificanti: cade neve abbondante e libera.
La neve si appropria del dorso del gregge
metafisico
del cardo incrinato ai cristalli, candido,

candido il canto della donna si è chiuso.

Ed è proprio in quest’ora ferma
verso l’indietro e verso l’avanti
che sono più contenta
di un canto di bambina:

sapere toccare il punto d’Omega.


Le rose miracolose di Labers


I rosai erano due: quello
di sopra e quello di sotto.
Il tronco robusto di radici profonde. 
Boccioli rosaviola spuntavano fitti fitti e forti.
Aperte, le rose erano nuvola profumata di cielo
sulla terra.
A maggio, in cerchio dolce e importante
attorno ai rosai, il rosario saliva saliva
festoso
sino a intravvedere un “Tu” creatore
riflesso anche sul volto della mamma.

La voce di mia madre fluiva in viola:
«saprete e capirete e ringrazierete
per non aver potuto giungere
al peso della vita
al fiore di lusso infingardo
alle ferite nostre
chiamate umano amore».

I rosai si sono consumati. Ci è
dato avanzare
ricchi di vento viola, generosi di libertà,
amati di immeritato amore.





* Laura Canciani è nata a Cermes (Bolzano) nel 1934. Le sue radici profonde sono friulane. Vive a Roma. Ha pubblicato in poesia: L’aquila svolata (Forum, finalista al Premio Viareggio 1983), Da questi occhi (Il Ventaglio, Premio Donna Città di Roma, 1986), Il dono e la meraviglia (Amadeus, 1989, Un bouquet d’ombre (Biblioteca cominiana, 1994), Aperta all’infinito (Biblioteca cominiana, 1998), Lo stesso angelo (Fermenti, 1998), Reato di parola (Manni, 2004).
Ha vinto il Premio di Poesia Profezia, Cisternino 1998 e il Premio Renato Serra, Santa Severa 1991. Sue poesie sono state pubblicate in diverse antologie, tra cui «Storia dell’arte italiana in poesia», Sansoni, 1990; l’Altro (Centro Internazionale Alberto Moravia, 1995); Melodie della terra a cura di Plinio Perilli (Milano, Crocetti, 1997); La donna, gli amori a cura di Gabriella Sobrino e Antonietta Garzia, (Loggia de’ Lanzi 2001); Poesia degli Anni Novanta (Roma, Scettro del Re, 2000) a cura di Giorgio Linguaglossa, e riviste letterarie tra cui «Hortus», «L’Ozio», «Versicolori», «Pagine», «Poiesis», «Arsenale», «Poesia».
Hanno scritto della sua poesia, tra gli altri, Eraldo Affinati, Amedeo Anelli, Maria Pia Argentieri, Domenico Alvino, Attilio Bertolucci, Maria Clelia Cardona, Pietro Cimatti, Carla De Bellis, Erri De Luca, Massimo Giannotta, Paolo Lagazzi, Gianfranco Lauretano, Maria Grazia Lenisa, Giorgio Linguaglossa, Dante Maffìa, Giuliano Manacorda, Mario Lunetta, Cesare Milanese, Renato Minore, Carlo Molari, Francesco Muzzioli, Noemi Paolini Giachery, Elio Pecora, Plinio Perilli, Ugo Reale, Francesco Rivera, Merys Rizzo, Aldo Rosselli, Vittorio Sermonti, Giovanna Sicari, Isabella Vincentini.
Collabora con la rivista «Poiesis» con testi critici sulla poesia contemporanea.
Una trattazione estensiva della sua poesia è presente in Appunti Critici. La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte a cura di Giorgio Linguaglossa (Roma, Scettro del Re, 2002).
















4 commenti:

Anonimo ha detto...

Si può scrivere così, pieni di immensità dove tutto si colloca al centro della vita , denso di passione per tutto ciò che si ha avuto che, che si vorrebbe avere e che forse già è nostro. La natura perfettamente descritta, purificatrice in ogni istante. Grazie grazie grazie. Emilia Banfi

giorgio linguaglossa ha detto...

Cito dal mio libro che è in corso di stampa: "Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea", la parte dedicata a Laura Canciani:

La poesia di Laura Canciani (da «L’aquila svolata» – 1983 a «Il contagio dell’acqua» – 2010), nasce dalla nostalgia del poema assoluto, che non può più essere ricostruito se non come ricomposizione di «frammenti» i quali rinviano al «tutto» come un torso classico mutilato dagli eventi del tempo rimanda all’opera originaria, all’origine del tempo, quando la parola poetica sfolgorava nella sua bella integrità; di qui metonimia e la metafora che sostituiscono una parte con un’altra o il tutto con una parte, non tanto per giungere ad una pars pro toto quanto per sfuggire quest’ultima, mediante un atto magico di allontanamento da un oggetto, o di sostituzione di un oggetto con un altro che non deve essere nominato, o mediante la rimozione di una parola-tabù, una parola-feticcio che deve essere rimossa, trasfigurata, tagliata via anche con l’ausilio di aggettivi obliqui, usati come forbici, che si pongono di traverso, che tentano una estrema resistenza alla linea progressiva della significazione. Quella significazione che ricopre il manto stradale dei significati come un asfalto ottundente. Di contro all’asfalto della significazione poetica delle poetiche epigoniche, la Canciani opera dei «tagli» obliqui, intercetta lontanissime rifrazioni semantiche con l’esilissimo e innocuo strumento dell’acchiappafarfalle. Come il feticcio è il segno di qualcosa e della sua assenza, la parola poetica della Canciani è la traduzione e la traslazione simbolica della «parola» dal piano del quotidiano a quello dello spazio simbolico dove si celebra la liturgia dell’«alterità». Leggiamo da Il «contagio dell’acqua»:

La soglia sottratta
genera
omissioni ostruenti:
è la sosta putativa che
muove all’alleanza inclinata
negli spazi
aguzza posizione di esordio.
Nell’indefinibile diritto d’ingresso
com’è difficile la parola
a penetrare, ad attecchire sul palmo
l’erba lungimirante.
Appesa a un filo di febbre
l’attesa esulta
intuizioni indifese.

Anonimo ha detto...


C'è nella poesia di Laura Canciani sempre un'aria claustrale, lustrale, un'aria sbiadita dove, in un tempo immobile, avviene qualcosa, che è lì da sempre, c'è un «ippocampo» al centro di una «fontana»... non succede niente, non c'è azione, siamo in un limbo dove non esiste la Storia, la poesia si muove in questo limbo "interiore":

«Fontanarosa per il ferro puro (...) al centro di un piccolo campo / c’è un ippocampo (...) fontana psichica (...) neve abbondante e libera».

E alla fine c'è una neve abbondante che, con il suo gelo, avvolge tutte le cose, le cose del peccato e quelle del non peccato.Il ritmo e il lessico della poesia sono posti in modo che il risultato finale sia quello del riposo, della pace dopo l'irrequietezza e l'angoscia. Nelle poesie della Canciani si trovano sempre, a un certo punto, l'«acqua» o la «neve» che con il loro candore coprono tutte le cose.
È la personale chiave di violino «in viola» quella che consente alla poesia della Canciani di sosteggiare nel limbo metafisico da dove, come una prigione, non potrà fuggire mai.
Luciana Sanguigni

Anonimo ha detto...

La velocità del tempo invia i suoi prolungamenti
«fortificanti»: «cade neve abbondante e libera». Ma dove? non c'è uno spazio qui: c'è una «fontana psichica», c'è un «ippocampo», c'è un campo «interiore», ma non si capisce dove siamo e dove andiamo. È una poesia di ardua penetrazione; la poesia si difende tentando di impedire l'ingresso al lettore, con tutte le proprie forze; si sottrae, indietreggia, si ribella all'ermeneutica... verso dove? verso il vertice dell'imbuto (verso il carnefice?). Vuole ritornare all'infanzia («il tempo conico»), il tempo mitico, ma non può più, essa è condannata ad andare avanti, inoltrarsi nel groviglio del mondo:

che è tempo conico

- dalla fontana psichica
il vertice sfocia in molle fonde -

La velocità del tempo invia i suoi prolungamenti
fortificanti: cade neve abbondante e libera...

La poesia narra la storia di un'anima gentile nel mondo peccaminoso con una lingua ostica e astuta, imperiale e imperiosa, ignifuga. La poesia di Laura Canciani, quando eccelle, sta come una rosa in mezzo alle sue spine, nel rosaio. È questa la sua bellezza, aspetta la salvezza nella certezza che vi è salvezza nel mondo.

Dante Maffìa