Luisa Colnaghi, “DA UNA ZONA D'OMBRA” Ed. La Vita Felice
2012
La spera di
sole
sulle mani stanche
una macchia bianca
un graffio sul tavolo
nebbia di tristezza
nell’aria immobile
angoscia temperata
nel pulviscolo d’oro
Non c’erano nuvole
ti ribellavi con furore,
vuoto come una canna
sbattuta dal vento
scendevi giù in fondo
fino agli inferi
lenta la risalita
alla musica
alle tue distrazioni
dio di consolazione
I silenzi delle pianure
con ombre allungate
sulla rugiada del prato
sensazioni dimenticate,
pomeriggi di giorni aridi
file di pioppi assopiti
il coro delle cicale
riempie il vuoto
nuove emozioni
il profumo di fiori
limoni e arance
il richiamo di un uccello
di passaggio
scuote l’aria della sera
silenzi rossi al tramonto
l’ombra del sacro
Le tue paure nascoste
fra pareti di pietra
sapore di eternità
si trasfigura il dolore
dirigi i tuoi passi
scopri i segreti
l’orizzonte più vasto
l’aloe e fiorito
vola l’allodola
il vento scompiglia
le foglie ingiallite
il nido è vuoto
fino a primavera
fusione di note
armonia di bellezza
se muore il sole
nasce la luna
Il gallo canta alle quattro,
canta alle cinque e alle sei
la voce della civetta
incide l’aria del mattino
il cielo già si fa luce
profumo di biscotto
e il tuo caffè
le navi illuminate
incrociano al largo
chi va a Nord chi va a Sud
la tua vita ruota
su un asse senza poli
non hai punti cardinali
non conosci la rosa dei venti
forse andrai a oriente
un giorno non preciso
La fila nera di formiche
tenaci senza peso
sale e scende
sul muro al tetto
fino al crepuscolo
tu non sei formica
non sei cicala
farfalla senza ali
nel tuo volo stanco
c’è luce di tramonto
Tramonta il tempo
un poco ogni sera
l’ultima ombra rossa
scende sul mare
dietro il colle
oltre le cime più alte
di ogni stagione,
nel cielo della vita
il nostro tempo
nel declino della sera
si trasfigura eterno
e muore
Il giro del vento
rotola i giorni muta
direzione li soffia via.
Con il giro del vento
cambia la storia
tempi e colori.
Nel giro del vento
bufere e arcobaleni
torreggiano rinnovano.
Al giro del vento
sciolgo la mia vela leggera
per traversare mari e tempeste.
Al giro del vento
lascerò le mie parole
disperdere nel cielo
* PRESENTAZIONE
Una quiete , ma non troppo, quella
mormorata da Luisa Colnaghi, tra una tempesta e l’altra. E’ la natura, ma non è
certo quella pascoliana, essa ancora in qualche modo a pieno titolo. Qui
invece, è detta in sintesi e, a volte,
come se fosse superstite in quanto in attesa, chiusa fuori dalle metropoli,
dove invece si consuma l’orgia meccanica, inconsapevole, dell’accavallamento
dei popoli.
Qui la natura è come l’omerico Ettore,
che rimasto fuori dalle Mura di Troia, come in un approccio al confronto
finale. Ciò che è esterno e ciò che è all’interno, sono oramai fra di loro
incompatibili. Luisa Colnaghi ne dà conto , mediante i suoi lacerti di
Lombardia; i suoi filari di pioppi sembrano i riservati protagonisti
dell’europea Battaglia dei Giganti, tra le note onomatopeiche di Jean Equin o
nelle scene fiere di Fernand Hodler. La scrittura è chiara , a volte
intirizzisce lasciando sereno lo sguardo del lettore che vi si sente implicato.
Il rosmarino è la stella alpina del
rifugio dal tetto di ardesia, e la scala che ne diparte, fa tutt’uno con
l’acqua del mare. La stretta della mano cara o un appena di sorriso, sono la
discrezione della descrizione di sé. E il palcoscenico è il vento che
predilige, ai tramonti, le prime luci, perché alla fin fine, la scrittura della
Colnaghi sono versi per un avvento , come di chi sembra farsi un poco da parte,
non per arrendersi, ma per testimoniare delicatamente di più.
Guido
Oldani
5 commenti:
Stupore e pace avvolgono anche il dolore. Complimenti Luisa! Emy
C'è molto vento in queste poesie di Luisa Colnaghi, molto vento e nuvole, silenzi delle pianure, e cicale, limoni arance allodole, galli che cantano al mattino… non sembra di stare a Milano, direi, ma in Giappone. Il campo di battaglia è chiaramente quello di una scrivania, naturalmente non considerata, dalla quale si parte volando per quel gioco che forse un tempo fu dell'infanzia ma che ora appartiene a una donna che si accorge della morsa del tempo, coi suoi dolori solo nominati come si trattasse di acciacchi, anche se s'intuisce che non è così. Sembra scrittura all'acquerello. Nemmeno le sue parole vorrebbe lasciare per terra.
Non è certo il paesaggio urbano il protagonista di queste poesie di Luisa, ma quello di un luogo amato,di un rifugio,attraverso il quale,senza compiacimenti far decantare sentimenti ed esperienze. Il risultato una scrittura essenziale, pulita, sincera.
Maria Maddalena Monti
Dopo le avvisaglie puntuali del gallo, la civetta incide con il suo canto aggiacciante e annuncia il giorno. Farei ruotare la poetica di Colnaghi intorno a questa frase “la voce della civetta incide l'aria del mattino”. E' come se si volesse temporeggiare, tenere la distanza dalla luce del giorno che ci riporta al disagio esistenziale. Siamo senza poli, senza coordinate non sappiamo quale sia la direzione sembra quasi che anche le navi si incrocino casualmente. Enzo
Voglio precisare due cose per non sembrare confermata una interpretazione non esatta:
1. La casa dove ho scritto queste poesie era in poaizione con vista sul mare
2. il disagio o dolore che si sente è dovuto a una malattia mentale, no dolori fisici.
Luisa
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