martedì 27 dicembre 2011

Enzo Giarmoleo
"Scatti" di Leonard Freed
e Parole di Lawrence Ferlinghetti



Il pittore, lo scultore … c’è anche il poeta che, pur non potendo cambiare il paesaggio, l’andatura delle persone, delle cose, delle architetture, ha più tempo per osservare, ha sicuramente qualche minuto in più di un semplice scatto.  Il tempo gli permette di speculare sulle immagini che può rivedere in momenti successivi, anche se non sono mai le stesse ma è “avvantaggiato” rispetto al fotografo.  Può cambiare gli “scatti” delle parole a tavolino o anche in movimento su un bloc note.  Nella poesia “I vecchi italiani morenti” di Lawrence Ferlinghetti, le parole diventano immagini fluide, frutto di attente osservazioni: i dettagli somatici, gli atteggiamenti dei personaggi in azione, addirittura le forme, l’antropologia delle mani, la foggia degli indumenti, la forma degli orologi – quasi si sente il suono della campana, l’andatura pesante dei piccioni, sembra di vederli.  La parola che descrive diventa immagine senza soluzione di continuità tra fotografia e poesia. 

Quella cosa in Lombardia
(Fortini-Carpi)


lunedì 26 dicembre 2011

Critica
Alessandro Ettore Cimò
La poesia, ahimè, non è morta!


Non conosco di persona Alessandro Ettore Cimò, autore del saggio che qui pubblico.  Di lui , però, avevo letto su un sito di teoria politica «Ventiquattro tesi per un Conflitto Poetico Totale»  e, nel lontano gennaio 2011, gli avevo replicato con un dettagliato «Commento alle tesi di Alessandro Ettore Cimò». La nostra discussione riprende ora con questa messa a punto delle sue precedenti tesi, intitolata in modo significativo e paradossale, La poesia, ahimè, non è morta!  
Nel presentarla, avverto i moltinpoesia che si tratta di uno scritto teorico non di agevole lettura  e che tocca una questione - l’ambivalenza del rapporto tra poesia (o cultura) e potere - che oggi sembra per pochi, mentre fino agli anni Settanta è stato in primo piano nel dibattito culturale italiano in tutta l’area della «poesia critica» (Pasolini, Fortini, Leonetti, Volponi, Majorino, ecc.), più o meno influenzata da Marx. Chi vuole può benissimo saltare.  

domenica 25 dicembre 2011

Segnalazione
Questionario di poesia
a cura di Mario Fresa
sul sito de L'Arca felice

Tabea Nineo: Contesa (2011)

Sul sito de L'Arca Felice (qui) Mario Fresa (qui) sta pubblicando le risposte di vari poeti a dieci domande fisse da lui preparate. Queste sono le mie. Quelle degli altri si possono leggere scorrendo all'indietro e cliccando poi in basso a destra su 'post più vecchi' . [E.A.]

Mario Fresa


     Questionario di poesia (26)


Ennio Abate

Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?


In una poesia del ’92-’93, quasi in tema, avevo dichiarato: «La mia scrittura scriptura / non è progettabile / interrompibile è pienamente / da voi dal freddo / da familiari e amici».[1] E perciò il pensiero che la mia scrittura (poetica) possa essere stata “a progetto”, segreto per giunta, mi ha fatto subito sorridere. Riflettendoci, però, devo dire che nelle raccolte pubblicate tardi e fortunosamente,[2] un progetto s’è delineato: narrare in  forme “lirico-epiche” la mia esperienza dentro l’immigratorio italiano; cioè dentro la vicenda storica dell’immigrazione, che mi ha spostato, assieme a tanti, dal Sud Italia contadino-artigianale al Nord metropolitano-industriale negli anni ’60-’70 del Novecento. In un primo momento prevedevo una ricomposizione di tre conglomerati di  episodi, luoghi e persone: una sorta di trilogia lineare, progressiva, ascendente, “simil-dantesca”. Ne pubblicai un’anticipazione nel 1989, intitolandola Salernitudine/Immigratorio/Samizdat. Successivamente, complesse ragioni, che sarebbe lungo spiegare, mi convinsero a spezzare quella linearità fin troppo ascensionale. Ho, quindi, trattato e pubblicato pezzo per pezzo ciascun blocco, riordinato la materia attorno a personaggi-maschere (Samizdat e/o prof Samizdat; Vulisse); e continuato, in parallelo, a scandagliarla, oltre che in poesia, anche in prosa e in forme grafico-pittoriche. Al momento (alla fine?) ho dato più risalto a Immigratorio[3], che non considero più sezione della primitiva “trilogia”, ma  simbolo riepilogativo della biografia e della storia “fondative” della mia scrittura.


sabato 24 dicembre 2011

Lucio Mayoor Tosi
Natale



Mario Mastrangelo mi ha inviato un ottimo commento critico per la poesia di Natale che vi ho letto ieri.Trovo interessante questa alleanza tra critica e poesia, e se possibile mi piacerebbe metterli entrambi sul blog come hai fatto per la poesia "I rapaci" di Flavio Villani. Grazie. Ancora tanti auguri.

A natale spuntano le margherite
le mucche svizzere suonano coi loro batacchi
come fa il cucchiaino su questa tazza.

Fuori c'è un sole che spacca, preparo la borsa
per la piscina scandinava, mi trucco
mi specchio e ascolto le parole del TG.

La voglia di morire non sta negli ospedali
viene prima, viene a vent'anni anche se oggi
si vive più a lungo,  più a lungo con la voglia
di morire. 

Flavio Villani
I Rapaci
con un commento
di Leonardo Terzo


I rapaci s’alzano in volo
Poco prima dell’alba
Silenziosi volteggiano
In alto
Oltre i cirri più ostili
In cerca di prede
Acuminati incidono il ghiaccio
Sottile
E mentre feriscono il cielo
Attendono il momento propizio
(Proprio il momento più giusto)
Per fare ciò che i rapaci
più amano al mondo

mercoledì 21 dicembre 2011

Laboratorio MOLTINPOESIA



« Cenai con un piccolo pezzo di focaccia,
ma bevvi avidamente un'anfora di vino;
ora l'amata cetra tocco con dolcezza
e canto amore alla mia tenera fanciulla. »


per un saluto e uno scambio di auguri
c
’incontriamo a Milano
venerdì 23 dicembre alle ore 17
nella sala Dopolavoro Ferroviario sottopasso via Tonale/Pergolesi Stazione Centrale 
(si consiglia di entrare nel sottopasso dalla parte di via Tonale  tenendo il lato sinistra)
Portate una poesia da leggere

[L’incontro-festicciola è aperto a tutti i simpatizzanti]

Di seguito qui sotto un'infornata di poesie natalizie  composte o suggerite da amici e amiche. Altre potete aggiungerne voi stessi negli spazi commenti.

martedì 20 dicembre 2011

domenica 18 dicembre 2011

COMUNICAZIONE DI SERVIZIO
PER I COMMENTATORI
DEL BLOG

Visto che in diversi lamentano la scomparsa del commento che era apparso pubblicato, sono andato a documentarmi, ponendo il problema su Google e ho trovato che qualcosa di simile accade anche in altri blog di BLOGGER.  Invito nuovamente a mantenere copia del commento in modo da poterlo nuovamente inserire, se scomparisse. E a tentare qualche tempo dopo il primo fallito tentativo. O in casi estremi a inviarmelo a:
 
Ecco il link  dove ho trovato la discussione:

Perché i commenti che lascio nei blog che seguo scompaionosubito ...

www.google.com › Forum di assistenzaBloggerAltro
23 risposte - 9 mag
Perché i commenti che lascio nei blog che seguo scompaiono subito ... che il commento è stato caricato correttamente poi in realtà sparisce nel nulla. ... correttamente il commento e compare la scritta che verrà pubblicato in ..

Essa  fa capire che il problema non dipende dall'amministratore  del blog, ma non dà la soluzione. Se ci fosse  qualche esperto che può dare suggerimenti, un grazie anticipato. [E.A.]

sabato 17 dicembre 2011

Giorgio Linguaglossa
«Lingua delle maschere»
(o lingua delle nacchere?)



 Ci salveranno i dialetti (e i dialettali)? Tra le varie strade tentate per  uscire dalla crisi (per chi l'ammette; poi ci sono quelli che, anche nella palude, sognano cieli sublimi alla Tiepolo) quella del "ritorno al dialetto" o del "recupero dei dialetti" (o delle "radici") sembra attirare molti; ed avere una sua patina persino "politica": i dialetti  sarebbere un argine, una forma di resistenza, ai linguaggi  commercializzati e all'anglo-americano globalizzato.  I dialetti? Quelli che oggi affondano le loro radici in comunità sempre più "provvisorie"o "di plastica" o "elettronificate"? Come  non vedere che l'autenticità (dei dialetti, delle comunità, del "popolo", dello stesso "io borghese") è un'invenzione di una tradizione (Hobsbawm) a fini consolatori o politici (si lensi alle "piccole patrie" leghiste)? 
Lo scetticismo  di questa nota di Linguaglossa, al di là dei giudizi sui singoli poeti su cui qualcuno dissentirà, mi pare condivisibile. Troppa mitologia ( o ideologia pseudo-resistenziale o solo nostagica) pesa sulle operazioni condotte almeno dai dialettali "programmatici" (voglio salvare  quelli "spontanei" o naif )  La discussione sul tema non è nuova. Ritorna  di tanto in tanto; ed è sintomo della crisi che "ci lavora", più che l'indicazione del varco da cui uscirne.  Lo dice uno che il "suo" dialetto non l'ha dimenticato. Ma conservare una reliquia cara non  significa resuscitare un mondo perduto. E non si può solo conservare. Si deve cercare. Abbiamo da affrontare una "malattia delle lingue", che colpisce contemporaneamente lingua nazionale e dialetti. Non si sa per quale miracolo questi ultimi ne sarebbero immuni. Insomma, in tempi di "sacrifici" non ci si venga a dire che dobbiamo accontentarci dei dialetti - i "meno abbienti" - o della "sublime lingua borghese" letteraria (Fortini). Esodanti e contrabbandieri, continuiamo a cercare...[E.A.]


Guardando per terra. Voci della poesia contemporanea in dialetto a cura di Piero Marelli LietoColle 2011 pp. 270 € 18,00
(Ivan Crico, Anna Maria Farabbi, Renzo Favaron, Fabio Franzin, Francesco Gabellini, Vincenzo Mastropirro, Maurizio Noris, Alfredo Panetta, Edoardo Zuccato)

Mettere mano ad una antologia della poesia in dialetto significa preliminarmente fare i conti con alcune questioni di fondo, innanzitutto: dobbiamo credere veramente e ciecamente alla tesi zanzottiana del dialetto quale «lingua matria»? Quale linguaggio in grado di attingere una immediatezza più immediata di quanto sia possibile con la lingua maggiore? E che tale presunta immediatezza sia anche il precipitato di una autenticità altrimenti inattingibile? Dobbiamo credere che mediante il dialetto si possa raggiungere il porto sepolto del ritorno a casa? Che il dialetto permetta un rapporto «ingenuo», «inconsapevole» e magico con il «reale»? Dobbiamo ancora credere all’assioma della lingua irta ed asprigna di un Albino Pierro come quella vetta estetica irraggiungibile? Personalmente, ho dei dubbi: si tratta di una vulgata, di una mitologia che, come tutte le mitologie ha un inizio e una fine.
A tal fine citiamo le parole di una intervista di Zanzotto rilasciata a Renato Minore uscita in questi giorni per i tipi di Donzelli:*

Paolo Pezzaglia
Giunca giunchiglia


Vorrei che fosse “postato” questa mia poesia “giunca giunchiglia” - che in realtà parla di un tumble  weed – a commento del bell'articolo di Enzo Giarmoleo.
Grazie e statemi bene.



Vento di terra.

Un secco cespuglio
strappato alle radici.

Un vascello di paglia,
una giunca giunchiglia.

Ti porti al mare
il forte vento di terra.

Ormai sei paglia.

Anche il nome mio
via puoi portare.

venerdì 16 dicembre 2011

Enzo Giarmoleo
Addio George Withman !


                                                                                     
Parigi, luglio 1962

Lungo la Senna Jacopo a gambe levate, inseguito dai commessi di un supermercato del libro. Proiettato in avanti cercando di correre il più possibile, nelle sue tasche buona parte dell’esistenzialismo francese, Jean Paul Sartre, Camus, pocket book, edizioni economiche. I commessi segugi gli stanno alle calcagna, cercano di raggiungerlo. I bateaux mouches lenti tifano per lui, sta risalendo la Senna, suole di vento, direzione Notre Dame. L’unica via per salvarsi è tuffarsi nel labirinto del quartiere latino, uno dei luoghi non sventrati dall’urbanistica poliziesca di metà ottocento che favoriva la costruzione di vie rettilinee abolendo le vie strette e irregolari che favorivano focolai di insurrezione. Ancora uno slancio, ora è sul pavè di Quai de Tuileries. Se arriva a Pont Neuf è fatta! Rue Dauphine e poi un tuffo nei mille vicoli di Saint Germain des Près che conosce come le sue tasche. Scompare nell’atrio interno ad un palazzo, trafelatissimo, aspetta.

giovedì 15 dicembre 2011

Ennio Abate
Sulla gestione dellle "buone rovine"
di Franco Fortini



UNA PERSONALE, EXTRA-ACCADEMICA, OPINIONE.  

«…‘Vi consiglio di prendere le cose che ho detto e di buttarne via più della metà, ma la parte che resta tenetevela dentro e fatela vostra, trasformatela. Combattete!’ »
(Le rose dell’abisso. Dialoghi sui classici italiani,  Boringhieri, Torino, 2000)

1.

Nel dibattito dei moltinpoesia  ho, quando ho potuto,  richiamato l’attenzione su Franco Fortini (1917-1994). Su questo blog tra l’ottobre e il novembre 2010 ho dedicato vari post (si trovano facilmente scrivendo il suo nome in ‘cerca’)  per commentare una sua intervista del 1993 concessa alla RAI, «Che cos’è la poesia». È un esempio di discorso extra-accademico (non automaticamente antiaccademico) sui suoi scritti  e la sua figura, che per me ha una lunga storia alle spalle. Fortini ha influenzato  indirettamente la mia ricerca (qui), pur restando per me, anche quando ho avuto modo d’incontrarlo di persona, «maestro a distanza». Quel mio rapporto con lui fu tardivo e problematico, ma profondo; e ne ho dato un dettagliato rendiconto (qui).
Dopo la sua morte nel 1994, ho - prima in samizdat poi sul Web[1] - praticato, com’egli suggerì, un buon uso delle rovine: della tradizione culturale e politica del comunismo (usiamola questa parola, anche se sporcata, demonizzata e divenuta incomprensibile ai più); e, quindi, anche dei suoi libri, che alla storia di quel grande movimento, in modi sempre vigili e sofferti, si richiamarono senza i pentimenti o gli sbrigativi autodafé di tanti voltagabbana.

Anna Maria Moramarco
Sette dicembre...



All’inizio
fu un canto disteso.
Come di sentinella
che ha vegliato e sente l’alba
nel cielo ancora scuro di notte.

Poi fu alla fine.
La bara dentro la terra
i fiori a far da cornice,
mestizia.

Il canto si accese inatteso:
il passero era fratello del primo.
Se ne stava, su un albero gemello,
striminzito nel freddo della sera.
Se ne stava su una striscia di sole rosso cupo.

Dall’alba al tramonto,
l’ultimo giorno che vidi il volto di mia madre.

mercoledì 14 dicembre 2011

Ennio Abate
Omaggio a
Gianfranco Ciabatti



Faccio circolare anche tra i moltinpoesia alcune  poesie di Gianfranco Ciabatti (1936-1994). Le prelevo dal «medaglione artigianale» curato da Roberto Bugliani a quindici anni dalla sua scomparsa su Nazione indiana (16 aprile 2009, qui), dove si trovano anche informazioni sulla sua vita, la sua militanza politica e un prezioso rimando al n. 34-35 della rivista Allegoria (gennaio-agosto 2000), che gli dedicò una sezione con interventi di Timpanaro, Luperini, Fortini, Cataldi, Commare.
Le riprendo perché Ciabatti, non intaccato né dalla sconfitta politica né dalla malattia, ha voluto e saputo parlare fino al momento della morte in «prima persona plurale», usando un «tu» collettivo e di classe o  il «noi» della storia ormai di un’altra epoca. Ha mantenuto, cioè, un rapporto conflittuale di fronte alla realtà sociale modellata dal Capitale. Non si è “dato pace” (neppure con il "piacere della lettura", aggiungo maliziosamente!).
Quel «noi», oggi, se siamo vecchi, è svanito dai nostri discorsi, tornati fin troppo  facilmente all’«io» o al massimo a un inquieto «io-noi». E, se giovani, non è quasi più pensato come possibile, anzi  è spesso deriso. Lo dico senza moralismo. Come presa d'atto di una realtà (ostile e da combattere per me).
Riporto l’attenzione a questa sua poesia per un’altra ragione. Ciabatti, pur scrivendo poesie (tra altre cose), adottò, come sottolinea Bugliani, «un lirismo rovesciato o negativo» e  mai abbandonò certi  temi “bassi” e “ignobili” alla Brecht. E fu consapevole - per dirla con Fortini - dei confini della poesia . E cioè? Lo spiega bene un commento di ng sotto lo stesso post di Nazione Indiana: «a differenza di tanti autori che pure mirano a politicizzare il segno, [Ciabatti] aveva ben presente la differenza (e la contraddizione) tra la prassi poetica e quella politico-ideologica; ben sapeva che l’azione nella parola, quand’anche condotta in opposizione, è ben poca cosa rispetto a quella nel reale, unica veramente capace di trasformare una situazione». Che, si deve aggiungere, ora che i tempi sono diventati ancora più bui, è ipotesi  più ardua, ma mai da abbandonare, anche se fossimo costretti per quel che ci resta da vivere soltanto a scrivere poesia. [E.A.]

Dal di dentro

Poiché dobbiamo viverci,
teniamo pulita la nostra prigione,
apriamo i vetri all’aria del mattino
zufolando immemori
che un giorno il sole ci accecherà
e la strada sarà troppo grande, per noi,
tremanti passi di convalescente
deboli sotto la madida pelle.
Noi dovremo allora richiamare
gesti antichi alla mente, ricusare
la pace che consente con la legge del silenzio,
tollerare la dura libertà
(aprile 1962)

martedì 13 dicembre 2011

Giorgio Linguaglossa
Sull'"Almanacco dello Specchio 2010-2011"



Partendo da un punto alto di riflessione di cui abbiamo perso memoria  - quello raggiunto agli inizi del Novecento dal poeta russo Osip Mandel’stam, convinto assertore di un’idea  mai mimetica della poesia, per cui essa « non è parte della natura[…] tanto meno un suo rispecchiamento», ma semmai la sua “recita” «con l'ausilio di quei mezzi detti comunemente immagini», Giorgio Linguaglossa può mostrare la gracilità della poesia che si va facendo, specie in Italia. Di certo,  salendo sulle spalle di un gigante come Mandel’stam,  i poeti d’oggi appaiono anche più nani di quello che sono e troppo severi parrebbero i giudizi sugli autori italiani scelti  nell’«Almanacco dello Specchio» 2010-2011. Eppure la questione che il critico romano pone non è trascurabile: se siamo a dopo la lirica,  il vuoto da essa lasciato può essere colmato da «una gigantesca massa prosastica grigia e informe»? L'impressione che nella produzione odierna «si vada un po’ alla rinfusa, per tentativi al buio, per privatissimi sperimentalismi» è difficile da smentire. Resta il fatto che, dichiarando un suo precisoparametro di giudizio, Linguaglossa assolve onestamente a un compito critico oggi fin troppo trascurato. [E.A.]


Almanacco dello Specchio 2010-2011 a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi, Mondadori, Milano, 2011 pp. 260 € 16.00

In un famoso articolo sulla poesia di Dante Alighieri degli anni Venti del Novecento il poeta russo Osip Mandel’stam parlava, a proposito della poesia del suo tempo (ed è la prima volta, a mio avviso, che viene impiegata questa terminologia), di «discorso poetico». A lui la parola:

«Il discorso poetico è un processo incrociato e si genera da due risonanze la prima delle quali, da noi udibile e percepibile, è la metamorfosi dei mezzi propri del discorso poetico che emergono via via nel suo erompere; la seconda è il discorso vero proprio, cioè il lavoro tonale e fonetico che risulta grazie a quei mezzi.

lunedì 12 dicembre 2011

SEGNALAZIONE
A Milano: Poesia della vita,
Una vita di poesia

Centro Puecher
 Spazio del Sole e della Luna
(ex Casa della Pace)

Via U. Dini 7 – 20141 Milano
(tram 3 e 15; MM2-capolinea piazza Abbiategrasso)

Venerdì 16 dicembre 2011
Ore 20.45

POESIA DELLA VITA,
UNA VITA DI POESIA
Presentazione dell’opera poetica di
 Laura Cantelmo, 
Eugenio Grandinetti
Attilio Mangano
Carla Spinella

                                       con la partecipazione straordinaria di
Benny (Baroukh Maurice) Assael

Modera
Giuseppe Deiana, presidente dell’Associazione Centro Comunitario Puecher

Intervengono gli autori che leggono le loro poesie:
Laura Cantelmo, docente di Lingua e letteratura inglese
Eugenio Grandinetti, docente di Lettere
Attilio Mangano, docente di Lettere
Carla Spinella, docente di Lettere
Benny Assael, medico, musicista, letterato

Un critico letterario:
Pasqualina Deriu, poetessa, docente di Lettere

Dibattito


STUDENTI E CITTADINI SONO INVITATI
Agli studenti verrà rilasciato un attestato di partecipazione

Giorgio Mannacio
Sulle poesie di Emilia Banfi

  
Questa puntuale nota critica di Giorgio Mannacio è un esempio di come  dar senso alla formula I MOLTINPOESIA UNO PER UNO: un lettore-critico, partecipante "da lontano" al Laboratorio Moltinpoesia, ha riflettuto sulle poesie di un'altra partecipante al Laboratorio, Emilia Banfi, e dichiarato onestamente quel che ne pensa.  Altri/e, tra cui la stessa Emilia, potranno ora commentare e ampliare la risonanza di questa nota. In Appendice si trovano le poesie della Banfi a cui Mannacio si è riferito. Altre poesie di Emilia Banfi si leggono in questo blog, scrivendo in 'cerca' il suo cognome. [E.A.]

1.
Il percorso poetico di E.B si snoda tra la lingua e il dialetto ( lombardo ). Di fronte a manifestazioni di tale tipo si è tentati , oggi, ad attribuire l’adozione del secondo modulo ad una volontà di “esperimento “. Si pensa che tale adozione sia il tentativo di trovare una sorta di “ via di fuga “ o di “ uscita di sicurezza “ da una lingua che sta consumando e banalizzando sempre di più il proprio patrimonio di senso. Ma vi è anche un’altra direzione o tentazione di indagine , a cavallo di discipline incerte, come l’antropologia e la psicanalisi . Tale indagine pretende di ricondurre i due differenti momenti di espressione ad istanze o istinti più profondi e originari: dialetto come linguaggio naturale o materno; lingua come idioma culturale o paterno. C’ è qualcosa di arbitrario e insieme di fondante in questo tipo di indagine dato che nell’esperienza poetica non c’è mai qualcosa che sia solo istintivo e naturale ovvero solo culturale. Ma la distinzione può servire a misurare l’esistenza e il peso delle influenze e la loro concreta incidenza sui risultati del lavoro poetico.

domenica 11 dicembre 2011

Attilio Mangano
Cattolica cultura anni Cinquanta



Cattolica cultura anni cinquanta.
L'anno santo svelava i suoi misteri
di quella jungla che i tigrotti di Mompracem
violavano giocando al dottore.

Scuola privata "Santa Caterina
da Siena", i maschi col grembiule nero
e le bambine col grembiule bianco,
il segno della croce ogni mattina.
Famiglia patriarcale, il padre in testa
Mamma con il tailleur proprio elegante
poi sette figli tutti in fila indiana
che indossano il vestito della festa.

sabato 10 dicembre 2011

SEGNALAZIONE
I moltinpoesia uno per uno

 Martedì 13 dicembre 2011
ore 18
alla Palazzina Liberty, P.zza Marinai d’Italia 1
Milano
Luca Ferrieri e Donato Salzarulo
parlano di
IMMIGRATORIO
di
Ennio Abate

«Di qui, non serve dirlo, il titolo forte e attualissimo dell’opera. Questo libro non è però la storia di una migrazione interna, né solo l’allegorizzazione, per mezzo di quella, dei grandi movimenti migratori di oggi: è soprattutto la ricostruzione di una condizione stabile della civiltà moderna, e del modo in cui il soggetto ha trasformato in destino la scelta dell’emigrazione»
(dalla prefazione di Pietro Cataldi  edizioni CFR - ottobre 2011)
  *
Oh, quando l’evidente tornò nel disordine! Come in sospensione: rimescolato il bestiario d’infanzia assieme ai busti di padri dominatori o inetti del Novecento e alle fanciulle alle prese con la storia di Carlo V e Lutero.
Oh, quanta brutta, indigesta metafisica nell’orcio dell’immigratorio d’improvviso buio! Interamente nella disciplina d’un duraturo purgatorio. O nelle sporche pause di quieta apparenza, senza code in paradiso. Assillati da notizie storte di lontani inferni, riattizzanti i vicini. All’opera nella storia i nostri coetanei delle sacrestie e delle sezioni. O i loro turgidi allievi da rissa.

Luca Ferrieri
Sul piacere della lettura


Replica a Ennio Abate

Intervengo in ritardo, e mi scuso, in questa discussione di cui sono involontariamente parte in causa. Lo faccio in modo abbastanza schematico, per punti, disponibile eventualmente a approfondire se il discorso non fosse chiaro.
Le obiezioni di Ennio riguardano e ingigantiscono un solo punto dei tanti che Donato nel suo intervento e io nel mio libro abbiamo toccato, ossia quello del piacere della lettura. E stiamo pure  su questo, ma teniamo presente che l’ipertrofia del tema è dovuta più alla controanalisi di Ennio che all’originario approccio della discussione… Peraltro di questi argomenti con Ennio discutiamo da alcuni decenni ed è sempre un piacere (oops…) farlo nuovamente.
1.
Non c’è nessuna ideologia del piacere di leggere. Non c’è neanche in Roland Barthes, autore refrattario a tutte le ideologie, figuriamoci nelle nostre modeste chiose epigoniche o collaterali. Per ideologia infatti intendo una costruzione sistemica, chiusa, tendenzialmente organica organicistica e totalitaria, fondata sull’obbedienza a interessi e posizionamenti materiali, “rispecchiati” nella produzione intellettuale. Questa, almeno, è l’interpretazione di Marx, cui anch’io in questo caso mi attengo, perché mi sembra scientificamente molto più felice di quella di altri (pure marxisti come Althusser).

giovedì 8 dicembre 2011

Lorenzo Pezzato
Poesie da "Dipendenze, abbandoni
e strane forme di sopravvivenza"

La selezione di poesie che ho fatto dal libro di Lorenzo Pezzato dovrebbe dare un'idea dell'oscillazione, a mio parere  irrisolta, di un giovane poeta (Lorenzo è del 1973) tra modelli vagheggiati (le avanguardie artistiche del primo Novecento a cui nei suoi versi accenna) e volontà di stare in questo nostro tempo per ora di crisi piatta e senza sussulti, in cui anche a lui tocca crescere. "Scapigliato fogliame agitato/ da veloci venti futuristi" è, al presente, solo una pianta (il noce) evocata nei suoi versi, non la gioventù a lui coetanea. Le sue poesie mi  paiono la registrazione fredda degli umori, delle irritazioni e degli sgomenti (anche familiari) di un giovane alle prese, come tanti, con la gabbia (dorata? postmoderna? addirittura liquida?) e per ora senza uscite in cui tutti siamo. Rafforzata ancor più dall'uso capitalistico delle nuove tecnologie e dalle sue dinamiche imprenditoriali. Il poeta (fossile di altri tempi?), per il lavoro "non poetico" che gli tocca fare per vivere e che pur  lo porta in contatto quotidiano con "cento persone diverse", fronteggia l'insensatezza (una volta si diceva l'alienazione) della società (capitalistica) tenuta sotto controllo  da potenze sempre più innominate o indecifrabili. E Pezzato reagisce con gli strumenti di  pensiero e linguaggio di cui dispone, continuamente istigato dall'esterno a "riempire il vuoto con altro vuoto". Ne risente anche la sua poesia. Che non ha più Tradizione affidabile a cui ancorarsi (ci sono in questi versi solo alcuni echi distorti e dolenti e inerti di un immaginario religioso più o meno biblico e una volta potente: "maledirai la madre bestemmierai il padre per la croce". Ho aggiunto alla fine delle poesie due brani dell'introduzione di Giorgio Linguaglossa a questa raccolta. Il critico romano insiste sulla "marginalità linguistica e stilistica" della ricerca di Pezzato e di altri giovani.  Epigoni vecchi con lo sguardo volto al passato (il solito angelo di Benjamin...) noi? E smarriti, testardi, solitari esodanti  loro? Un problema spinoso da trattare a parte. [E.A.]


La parabola dei talenti

Scagliano versi con fionde rudimentali
come ciottoli da tavole di legge frantumate
nel passaggio al nuovo millennio,
i contemporanei poeti a corta gittata
stelle filanti
talenti in parabola discendente.

Odio l’estate

Odio l’estate la calura il frinire
la funesta eccitazione di cicale antropomorfe
e io formica non mi do pace travaglio immagazzino
prego perché presto giunga l’autunno
a riportar malinconia.

mercoledì 7 dicembre 2011

Ennio Abate
La lettura inquinata dall’ideologia
non regala libertà


 


Replica 2 a Donato Salzarulo

 

Avete - parlo al plurale perché so che molti/e la pensano come Donato - un bel dire e applaudire, ma per me l’ideologia del «piacere della lettura»  oggi resta una fregatura. E non mi va di vedervi sguazzare dentro come omini e donnine che si abbracciano e si sbaciucchiano nella fontana della giovinezza di qualche affresco medievale. L’acqua del “piacere della lettura” è per me sporca, sporchissima. E di piacere autentico c’è spesso solo l’apparenza. Che Donato, sulla scia di  Luca Ferrieri, a sua volta sulla scia di Barthes, metta intelligenza e bella scrittura anche al servizio di questa ideologia è questione che ci divide. Ma non c’impedirà, spero, di continuare discutere per capire meglio e di più e non solo per stabilire “chi ha più ragione” (o consenso). E perciò ribatto ancora.

martedì 6 dicembre 2011

Qui c'era un post
di Erminia Passannanti,
Analisi della poesia
di Franco Fortini,
‘Neve e faine’
con un'appendice di Ennio Abate.
E' stato cancellato
per volontà dell'autrice.

 
 Credo (ancora) nella critica dialogante. La pratico sia con avversari che con amici (Cfr. il "duello" con Salzarulo sul "piacere della lettura") nel Laboratorio MOLTINPOESIA, nella rivista POLISCRITTURE e su siti e blog che non la impediscono. Sulla questione dell'eredità di Fortini, riaffiorata  nel post di Linguaglossa (qui), pensavo di potermi confrontare anche con una studiosa dell'opera di Fortini come la Passannanti;  e avevo persino sollecitato altri amici a intervenire. Prendo atto che no, non è possibile. Proseguirò in modo autonomo la mia riflessione in un prossimo post. [E.A.]

Fiorella D'Errico
Poesie




da Lettere dal ventre



*
Se non dormi, scrivi.
O prega: il corpo si piega nello stesso modo.

Ti alzi, lasci il letto – riprendi i nodi che trascini
normalmente al ventre.

Hai paura. Anche stanotte.


domenica 4 dicembre 2011

SEGNALAZIONE
Marina Massenz,
La ballata delle parole vane

Lunedì 5 dicembre, alle ore 21,

alla Libreria popolare di via Tadino 18,
a Milano, 
 Marina Massenz presenterà
la sua nuova raccolta poetica
(casa editrice L’Arcolaio)
Intervengono
Ennio Abate e Paolo Giovannetti.

Con garbo

Noi che siamo quelli che si amano
che sempre la sera si lavano i denti,
noi che rimbocchiamo il letto prima di
iniziare a litigare, serviamo
il garbo solo come antipasto. Poi io
parto con lo scoppio, esplodo nell’urlo,
“l’aguzzo nasino” ti fracasserei,
ti vorrei fare nero, pesto di pugni
per ridurti in poltiglia, azzerato,
assoluto finalmente il silenzio.
Prego, non c’è di che.


Donato Salzarulo
Il piacere è un fatto.
La lettura: un atto di libertà


Questa replica di Donato Salzarulo va letta  tenendo conto della discussione iniziata nel post precedente intitolato "Salzarulo-Abate, Sul "piacere della lettura": libertà o ideologia" (qui)

 

REPLICA AD ENNIO ABATE

 

1. - «Si dovrebbe guardare allo scarto tra lettori forti, saltuari e non lettori…Esso è secondo me la spia di differenze sociali (o di classe) che poi ritroviamo in tutti i campi del sapere, della politica e dell’economia.» E’ più che probabile. Io, però, non saprei dire se quel 6,9 % di lettori forti appartenga automaticamente ai “capitalisti, ai leader di partiti e agli accademici”. La piatta empiria mi dice il contrario. Non so se gli appartenenti a Moltinpoesia che, stando alla definizione di lettore forte (colui o colei che legge più di 12 libri l’anno), sicuramente lo sono, debbano finire tutti nel mucchio dei “capitalisti, ecc.”. I lettori e le lettrici forti che conosco non li so a capo di aziende, di piccole o medie imprese, dediti al gioco in borsa o alla scalata di qualche banca, alla gestione di una gioielleria, di una macelleria, di un chiosco per la rivendita della frutta. Anzi, ne conosco diversi disoccupati, cassintegrati o disperatamente in cerca di lavoro.

lunedì 28 novembre 2011

SEGNALAZIONE
Paolo Pezzaglia
Il mio circolo è di lettura




«Come sai anche per me la lettura è importante. Con il mio gruppo a Monza abbiamo letto (o riletto) in ordine Il Castello di Kafka, Ulisse di Joyce, Proust Chez-Swan, Gogol Le anime morte, il Riccardo III e Antonio e Cleopatra di Shakespeare. Ora stiamo leggendo Tolstoi e andiamo avanti con le nostre regolette con grande soddisfazione». Paolo Pezzaglia, amoroso cultore dei miti, lo sguardo volto ad Oriente, contro il Lucifero (televisivo) propone l’antidoto  del circolo di lettura. E gli trova antecedenti antichissimi: i circoli che si formavano spontaneamente, di notte vicino al fuoco nel mondo contadino. «I circoli di lettura hanno un’incredibile forza magnetica, tutta da esplorare ed utilizzare», dice. Non ci avevo pensato, ma  da sempre, quando ci riuniamo in Palazzina Liberty, ci mettiamo in circolo per discutere. Magnetismo o  spirito democratico? Nel circolo di Pezzaglia si legge «bene, lentamente, a voce alta, senza esagerare; un tono medio leggermente impostato, senza voler fare gli attori». Ma è meglio lasciargli la parola…(E.A.)

Ho recentemente organizzato un mio piccolo circolo di lettura.
Se dicessi che è stata un’idea mia, originale, sarei un po’ troppo  egocentrico e, in realtà, è invece solo una vecchia storia: niente invenzioni, né privative quindi.
Io sono sempre alla ricerca di qualcosa che smuova la coscienza, la mia per prima.
L’amata preda è sempre lei, Sofia, la conoscenza, sorella della coscienza…ma avendo la fatale tendenza ad assopirmi, ho ritrovato con gioia questo vecchio arnese dimenticato, come nuovo! La lettura ad alta voce!
Potrebbe essere considerata una strana vecchia mania, un po’ da stranotti, come dicevano una volta i milanesi bene.

Giorgio Linguaglossa
Commento a un commento
di Erminia Passannanti
a "Neve e faine"
di Franco Fortini

Acquaforte di Girolamo Battista Tregambe
 

"C’è in Fortini l’idea marxista propria del suo tempo secondo cui la poesia deve essere capace di esercitare un ruolo di guida e di educazione dialettica dei lettori di poesia verso i prodotti di poesia nella prospettiva escatologica della lotta di classe". E' possibile ancora oggi pensare alla poesia come la voleva Franco Fortini? E cioè non "aroma spirituale" (per le élites) né "vino dei servi" (per un ceto medio ubriacato dalla società dello spettacolo), ma strumento per "espandere le facoltà critiche dei lettori"? Questo il problema che pone il commento di Linguaglossa a "Neve e faine", un testo che respira ancora  in un'epoca di grandi speranze storiche. [E.A.]

Scrive Franco Fortini ne L’ospite ingrato (1966): «La menzogna corrente dei discorsi sulla poesia è nella omissione integrale o nella assunzione integrale della sua figura di merce. Intorno ad una minuscola realtà economica (la produzione e la vendita delle poesie) ruota un’industria molto più vasta (il lavoro culturale). Dimenticarsene completamente o integrarla completamente è una medesima operazione. Se il male è nella mercificazione dell’uomo, la lotta contro quel male non si conduce a colpi di poesia ma con “martelli reali” (Breton). Ma la poesia alludendo con la propria presenza-struttura ad un ordine valore possibile-doveroso formula una delle sue più preziose ipocrisie ossia la consumazione immaginaria di una figura del possibile-doveroso. Una volta accettata questa ipocrisia (ambiguità, duplicità) della poesia diventa tanto più importante smascherare l’altra ipocrisia, quella che in nome della duplicità organica di qualunque poesia considera pressoché irrilevante l’ordine organizzativo delle istituzioni letterarie e, in definitiva, l’ordine economico che le sostiene».

domenica 27 novembre 2011

Salzarulo - Abate
Sul "piacere della lettura":
libertà o ideologia?



Questo scambio di opinioni presuppone la lettura dei commenti al post di Donato Salzarulo Pomeriggio a Milano. La lettura spiegata a chi non legge (qui). Mi pare giusto continuare la discussione in un post autonomo per  mettere meglio a fuoco un tema denso di implicazioni di vario tipo.  (E.A.)

Donato Salzarulo

 Grazie a tutti per gli interventi e gli apprezzamenti. Il dibattito sviluppatosi è molto interessante. Non riesco a rispondere a tutti, a meno che non mi metta a scrivere un altro post di dieci pagine. Mi limiterò a toccare in questa replica cinque punti:

1. - Quando si diventa “librodipendenti” o “bibliodipendenti” penso che si possa correttamente parlare di “vizio” o di “malattia”. Se c’è dipendenza vuol dire, infatti, che si è di fronte ad un’abitudine, ad un comportamento coatto. Di vizio non parla solo Ferrieri. Lo fa, ad esempio, anche Vittorio Sermonti che intitola una sua antologia personale di letture proprio «Il vizio di leggere» (Rizzoli, 2009).
Il bibliodipendente è un “lettore forte”. Non si accontenta di un libro l’anno, come i lettori censiti dall’Istat. Ne legge più di uno al mese.
Comunque, stando ai dati Istat del 2009, il 45,1 % degli italiani di età superiore ai 6 anni ha letto almeno un libro non scolastico l’anno (25 milioni e mezzo). La maggioranza della popolazione si tiene ben lontana da questa pratica.
La fascia dei lettori saltuari (da 1 a 11 libri l'anno) è consistente: quasi 22 milioni di persone sopra i sei anni d'età.
Chi legge più di 12 libri l'anno, infine, rappresenta solo il 6,9 % (3 milioni e 900 mila).
Siccome il 20% dei laureati non legge MAI un libro, devo dedurre che la “passione di leggere”, se non vogliamo definirla vizio, non si contrae necessariamente frequentando le aule scolastiche o universitarie. Come si contrae?...Le ragioni che possono scatenare l’infezione sono sicuramente molteplici. Ognuno/a ha la sua storia più o meno singolare. Io ho detto la mia, Ferrieri la sua. Voi come siete diventati lettori forti?...

sabato 26 novembre 2011

Giorgio Mannacio
Poesia e canone


Giorgio Mannacio s’interroga e c’interroga sul percorso compiuto dalla poesia: da epoche in cui un canone - quello del potere dei pochi che sapevano scrivere - era convenzione normale e indiscussa all’epoca odierna (postmoderna)  caratterizzata dalla «babele dei canoni», perché  «tutti sanno scrivere/scrivere è facile».  La sua tesi: la critica potrebbe oggi puntare al ristabilimento di un canone (« un metro di valutazione oligarchico») pur sapendo che esso sarà «smentito dalla realtà delle esperienze plurime», a patto però di dimostrare che l’esperienza poetica stessa ha un senso «nella vita delle persone e della società». Bella sfida... (E.A.)

                                                                    I.
Sono sempre più sorpreso dalla “ rimozione “ , nel discorso sulla poesia e sulla critica , della dimensione “ politica “ . Si intende: nel senso della relazione con l’assetto concreto e storicamente ricostruibile con una determinata organizzazione politico-sociale.
                                                                   
                                                                         II.
L’esperienza poetica  è universale nel senso che essa è  concretamente riscontrabile in ogni
“ polis “ storicamente esistita ed esistente. All’interno di essa tale tipo di esperienza ne costituisce uno degli aspetti costanti.Non valgono però per tutte queste comunità socio-politiche gli stessi criteri di valutazione della qualità delle esperienze poetiche proprie a ciascuna di esse.Nel corso delle vicende storiche proprie a ciascuna di esse variano anche i criteri di valutazione  delle qualità di tale esperienza.Dei criteri di valutazione non può essere predicata la “ universalità “ né rispetto allo spazio né rispetto al tempo.

Luigi Fabio Mastropietro
La poesia è morta viva la poesia



Il libro di Giorgio Linguaglossa Dalla Lirica al discorso poetico continua a ricevere  commenti e riflessioni. Questo intervento  di Luigi Fabio Mastropietro presenta una prima parte di denuncia risentita (e moraleggiante) del « MinCulPop di una letteratura e di una poesia anodine e neutrali» gestito «dai poetarchi e dai loro porno protettori governativi» e una seconda in cui ipotizza una visione  salvifica e sacrificale del compito dei poeti. (E.A.)


1

Questa ultima opera di Giorgio Linguaglossa – critico dalla sensibilità finissima quanto eversiva, impegnato da anni in una solitaria lotta contro la satrapia mediatica di poetarchi e poetastri che da decenni costringe in catene la poesia e la fa marcire – non è solo uno studio storico–critico sulla poesia italiana contemporanea che riannoda i fili di un epos letterario tanto ampio e articolato, per ricondurlo ad una omogenea cornice critico–ermeneutica e per colmare una lacuna storica ormai annosa. Questa storia della poesia è anche e soprattutto un’arma a disposizione del libero pensiero. Una delle poche armi oggi disponibili per pensare. Una cartina di tornasole che rivela il vuoto autoreferenziale che si cela dietro l’entertainment pseudominimalista dominante in poesia e in letteratura.

venerdì 25 novembre 2011

Donato Salzarulo
Pomeriggio a Milano.
La lettura spiegata a chi non legge.

   

Dalla videopoesia  del post precedente a questa cronaca simpatetica da lettore classico, incallito, anzi "nevrotico consumista"confesso. Si parla della presentazione a Milano di un libro che di lettura e lettori tratta. Ferrieri - scrive Salzarulo - parla della lettura, accentuandone la dimensione del piacere. Lettura come «promessa di felicità». E aggiunge:...e definisce clinicamente il lettore un ammalato, una persona che ha contratto il vizio di leggere. Tra lettura e poesia il passo è breve o lungo? La videopoesia è un mezzo per sfuggire alla malattia del lettore o no?   [E.A.]

    


1. - Non ricordo l'ultima volta che ho preso la metro. Mesi fa, sicuramente. Sono un habitué della periferia, un amante degli angoli colognesi. I miei percorsi quotidiani sono quasi sempre gli stessi: casa, edicola, ufficio, villa Casati, libreria Celes, piazza della Resistenza, piazza Castello, piazza XI Febbraio...Un consumo veloce, indaffarato e, a tratti, inavvertito dell'esistenza e dei giorni. Decido di riprendermi questo pomeriggio, il venerdì pomeriggio di questo 14 Ottobre, col sole e i primi freddi, un po' malinconico e luttuoso. L’estate è durata un altro mese (ancora ne indosso i panni), ma s’appresta celermente a morire.

Decido di riprendermelo perché l'occasione è buona. A Palazzo Sormani, nella Biblioteca civica milanese, verrà presentato l'ultimo libro di Ferrieri. Luca me lo regalò a fine maggio. Lo lessi con curiosità e attenzione partecipe. Ho ancora l'impressione di una scrittura mossa e intelligente, affinata e sapiente. L'argomento, paradossale sin dal titolo («La lettura spiegata a chi non legge»), è nelle mie corde. Mi gira in testa pure qualche pensiero. Meglio, però, ascoltare presentatori autorevoli, sentire i loro argomenti. Più facile e anche più rilassante. L’accidia  non è un vizio capitale che detesto e ho proprio bisogno di distendere nervi e muscoli.