Ultimo volume di una triologia civile, la raccolta è un secco giudizio negativo della storia e, come sua continuazione, dei recenti fatti geopolitici (la guerra di Libia, l'immigrazione conseguente ad ogni disordine e all'ingiustizia dei rapporti economici fra Stati) fino ai recenti fatti di cronaca nostrana, alle vicende di razzismo e xenofobia di Torino e Firenze. L'excursus inizia dalle antiche guerre romane, risalendo al Medioevo, al Risorgimento, alla Resistenza (con un inedito Luciano Erba partigiano, che poi fugge in Svizzera) e si sofferma sulla guerra di Libia e sulla figura del dittatore Gheddafi (più una icona o un paradigma, che un ritratto) il calvario delle grandi migrazioni contemporanee e, dopo il tetro passaggio di una sezione intitolata "Il respiro del male", sfocia in 24 poesie sulla cronaca degli ultimi mesi del 2011.
domenica 26 febbraio 2012
SEGNALAZIONE
Gianmario Lucini
Monologo del dittatore
Ultimo volume di una triologia civile, la raccolta è un secco giudizio negativo della storia e, come sua continuazione, dei recenti fatti geopolitici (la guerra di Libia, l'immigrazione conseguente ad ogni disordine e all'ingiustizia dei rapporti economici fra Stati) fino ai recenti fatti di cronaca nostrana, alle vicende di razzismo e xenofobia di Torino e Firenze. L'excursus inizia dalle antiche guerre romane, risalendo al Medioevo, al Risorgimento, alla Resistenza (con un inedito Luciano Erba partigiano, che poi fugge in Svizzera) e si sofferma sulla guerra di Libia e sulla figura del dittatore Gheddafi (più una icona o un paradigma, che un ritratto) il calvario delle grandi migrazioni contemporanee e, dopo il tetro passaggio di una sezione intitolata "Il respiro del male", sfocia in 24 poesie sulla cronaca degli ultimi mesi del 2011.
giovedì 23 febbraio 2012
CRITICA
Traduzioni: a che punto siamo oggi?
Il
problema del tradurre ricompare a sprazzi nei discorsi che si vanno facendo sul
blog o nella mailing list dei moltinpoesia. Se ne è parlato di
recente a proposito di una poesia di Wislawa Szymborska e adesso nella
segnalazione del poeta Weldon Kees. In passato in un post,
stranamente a zero commenti, erano apparse le traduzioni di Marcella Corsi dai "Poems" di
Katherine Mansfield (qui). Sarebbe ora di ripensare l'arte del tradurre e del tradurre poesia affrontando il senso che hanno tali operazioni oggi, quando culture varie s’intersecano, si sovrappongono o confliggono nel dramma di una globalizzazione caotica. Per dare una spinta alla riflessione
pubblico due testi: il primo di testimonianza diretta, quella di Francesca
Diano, traduttrice di professione (Cfr. sua nota biobibliografica qui ), "L'arte del
tradurre" tratto dal blog "Il Ramo di Corallo" (qui); il secondo (di
inquadramento della storia della traduzione poetica nell’Italia del Novecento) è un
intervento di Luca Lenzini del Centro F. Fortini di Siena in occasione della presentazione
del libro «Lezioni sulla traduzione di Fortini» curato da Maria Vittoria Tirinato (qui).
Il problema del tradurre ricompare a sprazzi nei discorsi che si vanno facendo sul blog o nella mailing list dei moltinpoesia. Se ne è parlato di recente a proposito di una poesia di Wislawa Szymborska e adesso nella segnalazione del poeta Weldon Kees. In passato in un post, stranamente a zero commenti, erano apparse le traduzioni di Marcella Corsi dai "Poems" di Katherine Mansfield (qui). Sarebbe ora di ripensare l'arte del tradurre e del tradurre poesia affrontando il senso che hanno tali operazioni oggi, quando culture varie s’intersecano, si sovrappongono o confliggono nel dramma di una globalizzazione caotica. Per dare una spinta alla riflessione pubblico due testi: il primo di testimonianza diretta, quella di Francesca Diano, traduttrice di professione (Cfr. sua nota biobibliografica qui ), "L'arte del tradurre" tratto dal blog "Il Ramo di Corallo" (qui); il secondo (di inquadramento della storia della traduzione poetica nell’Italia del Novecento) è un intervento di Luca Lenzini del Centro F. Fortini di Siena in occasione della presentazione del libro «Lezioni sulla traduzione di Fortini» curato da Maria Vittoria Tirinato (qui).
Francesca Diano, L'arte del tradurre
Tradurre, è un’arte o una
scienza?
Per chi è convinto del
secondo caso, in italiano è ormai in uso il termine, che io trovo orribile, di
“traduttologia”, esso stesso traduzione del francese “traductologie”. Meglio,
molto meglio, se è questo il modo in cui la si intende, ”teoria della
traduzione”, che si apre a campi molto più vasti del freddo traduttologia, che
tanto mi suona come tuttologia e che relega in una sorta di obitorio livido le
competenze e le qualità letterarie che un traduttore deve avere.
Siamo sommersi da studi, saggi, convegni sulla traduzione, ci sono dipartimenti
universitari ad essa dedicati eppure, e so di suonare blasfema, di essere una
voce fuori dal coro, di scandalizzare gli “esperti” arroccati nella loro
accademia, sono convinta che tutto questo a poco serva.
mercoledì 22 febbraio 2012
SEGNALAZIONE
Weldon Kees
RAGAZZA A MEZZANOTTE
Poi cammina avanti e indietro, o rigirati nel letto
mentre i proiettili, freddi, ciechi, sibilano a ritroso dal centro del bersaglio,
e di’: “Non rifarò quel sogno. Non sognerò
sussurri da tempo consumati che svaniscono per i corridoi
che attraversano palazzi che non ho mai conosciuto;
lo schiocco dei guanti di gomma; il bimbo alto, cieco,
che grida il mio nome; le lenzuola macchiate
di un’altra ragazza. E poi una campana cupa,
che risuona dentro le ombre al freddo,
disturba lo schermo che è la mia testa nel sonno.
—Il tuo volto non è mai sereno. Rimani sempre
su soglie carbone, al buio. Parte del tuo volto
è scomparso. Dici ‘Solo farla finita con questo accidenti di mondo.
Nebbie contagiose calano. Cristo, potremmo morire
come a volte fanno i cervi, le corna impigliate,
marcendo nella neve’.
martedì 21 febbraio 2012
Mario Mastrangelo
Pe' carnevale
Pe' carnevale
Aggio
deciso,
pe'
carnevale
me voglio
veste
ra uno
normale,
e ghì'
giranno,
allegro,
sicuro,
miez' a curiandule
'e tutt'
'e culure.
lunedì 20 febbraio 2012
Ennio Abate
Su sacro e poesia
Marilena De Angelis, Sacro e profano
Tanti i dubbi (spero fecondi) leggendo i vari commenti. Li sistemo per punti schematici e li ripropongo magari in tutta la loro immediatezza e probabile rozzezza,
ragionandoci a modo mio, senza troppe stampelle teoriche, con l'intento di rilanciare la discussione e trovare anche qualcuno/a che mi aiuti a dipanarli:
1. Il sacro sarebbe «ciò che non muta»? Ma c’è davvero qualcosa
(sacro o meno) che non muta? C’è qualcuno/a che l’ha raggiunto ed ha accertato
(intellettualmente) o sentito (emotivamente) questa sua immutabilità? E come si
fa a dichiarare immutabile qualcosa se non si ha la possibilità di conoscerla o
sentirla? Qualcosa, cioè, d’ignoto, di cui - si dice (dice Mayoor, ad es.) - si
sente «l’influsso… notevole… come quando vai al mare e lo senti ben prima di
arrivare». Al mare ci arrivo e posso accertarmi in qualche modo che ho sotto
gli occhi proprio mare. Il sacro, invece? Chi mi assicura che il qualcosa a
cui mi avvicino o che vedo/sento sia proprio il sacro?
venerdì 17 febbraio 2012
Donato Salzarulo
Il gatto di Fortini
Caro Ennio, ho trovato il tempo, oggi pomeriggio, di dare un’occhiata al blog dei Moltinpoesia e ho letto…Incredibile! Ho pensato che il modo migliore di rispondere a certe sciocchezze sia quello di cominciare a pubblicare il materiale dormiente nei file. Ho scritto “Il gatto di Fortini” nel novembre 1997. Servì da base alla conferenza tenuta nello stesso periodo al Centro “Guido Dorso” di Avellino. Insieme a me c’era Graziella Spampinato. Lei parlò di Zanzotto. Confrontammo i due poeti…A distanza di quasi 15 anni, ritengo, senza falsa modestia, che il pezzo regga ottimamente e dica ancora molto al sottoscritto e a tutti noi. Penso che vada molto bene per avviare, dopo l’appello, scioccamente contestato, il “cantiere” su Fortini. Puoi pubblicarlo sia sul blog dei Moltinpoesia che di Poliscritture Ciao Donato
Del
tuo timido gatto...
Del
tuo timido gatto
che
scendeva la scala
dell'orto
la mattina
con
la sua ombra fina
lungo
le terrecotte
cosa
è rimasto? Nulla
fuor
che l'impronta impressa
dalle
sue zampe nella
gettata
di cemento
dove
annusava incerto
Maria Maddalena Monti
e Lucio Mayoor Tosi
Oltre il paesaggismo
Maria Maddalena Monti e Lucio Mayoor Tosi aprono qui, con una introduzione in comune e due loro poesie, una riflessione sul rapporto con la natura devastata dall'intervento umano. [E.A.]
E' nella natura che possiamo scorgere la via da intraprendere, e forse ce ne stiamo dimenticando. Siamo così presi da noi stessi e dalle nostre faccende che non ci accorgiamo dell'aria che respiriamo, della devastazione che stiamo creando intorno a noi. Non ci preoccupiamo del pianeta dove abitiamo, forse perché non ne sentiamo individualmente la responsabilità. Ma la responsabilità di cosa stiamo diventando è in ciascuno, riguarda individualmente tutti. Avere uno sguardo capace di guardare alla vita nel suo insieme non significa abbandonare le necessità quotidiane, non significa rinunciare a battersi per i propri diritti. Al contrario, significa dare alle istanze un obiettivo che va oltre le questioni economicistiche, è questione di sopravvivenza in senso lato. Offre obiettivi che, pur comprendendoli, vanno oltre gli interessi delle categorie sociali. I responsabili della devastazione sono gli stessi che ci costringono a vivere secondo leggi idiote perché distruttive, e che quindi ci vorrebbero idioti e distruttivi al pari di loro. Per i poeti però non si tratta più di fare paesaggismo, serve ben altro. I poeti possono generare attenzione alle cose, risvegliare memorie, aiutare la gente a rendersi conto delle ragioni per cui sono/siamo al mondo. E non occorre essere militanti teorici, non occorre schierarsi, non è più questione di ideologie. Capire e vedere aiuterà a capire e a vedere. I poeti non hanno da far sentire alcunché perché la sensibilità è già nelle persone, non proviene dai poeti. I poeti possono farci affidamento. Se così intesa, anche una breve poesia sulla neve può fare più di tante chiacchiere. Non risolverà le difficoltà ma darà un senso, una direzione diversa che oggi quasi non si vede perché occultata da interessi di parte che sfiorano la pazzia. Altrimenti, se non è già così, pazzi lo diventeremo tutti.
E' nella natura che possiamo scorgere la via da intraprendere, e forse ce ne stiamo dimenticando. Siamo così presi da noi stessi e dalle nostre faccende che non ci accorgiamo dell'aria che respiriamo, della devastazione che stiamo creando intorno a noi. Non ci preoccupiamo del pianeta dove abitiamo, forse perché non ne sentiamo individualmente la responsabilità. Ma la responsabilità di cosa stiamo diventando è in ciascuno, riguarda individualmente tutti. Avere uno sguardo capace di guardare alla vita nel suo insieme non significa abbandonare le necessità quotidiane, non significa rinunciare a battersi per i propri diritti. Al contrario, significa dare alle istanze un obiettivo che va oltre le questioni economicistiche, è questione di sopravvivenza in senso lato. Offre obiettivi che, pur comprendendoli, vanno oltre gli interessi delle categorie sociali. I responsabili della devastazione sono gli stessi che ci costringono a vivere secondo leggi idiote perché distruttive, e che quindi ci vorrebbero idioti e distruttivi al pari di loro. Per i poeti però non si tratta più di fare paesaggismo, serve ben altro. I poeti possono generare attenzione alle cose, risvegliare memorie, aiutare la gente a rendersi conto delle ragioni per cui sono/siamo al mondo. E non occorre essere militanti teorici, non occorre schierarsi, non è più questione di ideologie. Capire e vedere aiuterà a capire e a vedere. I poeti non hanno da far sentire alcunché perché la sensibilità è già nelle persone, non proviene dai poeti. I poeti possono farci affidamento. Se così intesa, anche una breve poesia sulla neve può fare più di tante chiacchiere. Non risolverà le difficoltà ma darà un senso, una direzione diversa che oggi quasi non si vede perché occultata da interessi di parte che sfiorano la pazzia. Altrimenti, se non è già così, pazzi lo diventeremo tutti.
giovedì 16 febbraio 2012
Francesca Diano
Il Minotauro
Di terra e pietre il cui disegno esatto
Mesce follia e ragione.
Io nacqui alla vendetta che mia madre
Pasifae – tacque agli dei. Il mio nome
È Asterione e pur del nome m’hanno depredato.
Ma io divino sono
Ché in me riverberando
L’impronta della luce di Elio
Si fa bestiale traccia dell’origine
Tutta della stirpe dell’uomo.
mercoledì 15 febbraio 2012
SEGNALAZIONE
Cantieri di "Poliscritture":
Su Fortini (per "Poliscritture" n. 9)
Pubblico la traccia di lavoro approvata dalla redazione di "Poliscritture". I collaboratori possono inviare suggerimenti, proposte e contributi (testi non superiori alle 15mila battute, spazi inclusi) a poliscritture@gmail.com [E.A.]
“Poliscritture” n. 9 in preparazione/ invito alla collaborazione sul
tema:
FORTINI (1917-1994): BUONE ROVINE PER ESODANTI VECCHI E GIOVANI
«…‘Vi consiglio di prendere le cose che ho detto e di buttarne via più della metà, ma la parte che resta tenetevela dentro e fatela vostra, trasformatela. Combattete!’ » (Le rose dell’abisso. Dialoghi sui classici italiani, Boringhieri, Torino, 2000)
1.C’è il “Fortini poeta” (titolo dei saggi su di lui scritti da Luca Lenzini). Riproporlo a quanti dopo di lui hanno continuato o cominciato a scrivere poesie. Misurarsi coi suoi versi di una vita, da Foglio di via a Composita solvantur, può essere un primo percorso di lavoro. Farlo liberamente (su alcuni testi o raccolte ritenute “esemplari” o che parlano alla soggettività del lettore-critico) o in modi mirati (ad es. scegliendo alcuni suoi testi “difficili”) e vedere come reagiscono di fronte ad essi i moltinpoesia d’oggi: come interrogano questa sua poesia, come sono interrogati da essa; potrebbe essere interessante tentare degli “esercizi di rifacimento” ( non di imitazione) proprio per misurare vicinanze e distanze.
lunedì 13 febbraio 2012
SEGNALAZIONE
Stefania Portaccio a Milano
e 5 poesie
da "Brodskij di notte"
giovedì 16 febbraio, ore
18.30
LIBRERIA LINEA D’OMBRA
via San Calocero 29 - Milano
lettura di poesie e
presentazione di
LA MATTINA DOPO
di Stefania Portaccio
Passigli Editori
Sarà presente l'autrice, a
dialogo con Stefano Levi Della Torre, saggista e pittore,
e Giulia
Niccolai, fotografa e poetessa
Scompaio da una vita appaio
in posa
ammiraglia
sola in coperta – il vento
gonfia
la nave solca e i pasti
si preparano soli
e i tasti picchiano
e le frasi s’inseguono
come delfini a prora
muto e solerte è
l’equipaggio mentre
scompaio da una vita
d’altrove vivo
di questo
scrivo
Gianmario Lucini
La polis che non c'è (4).
Su "Pergamena dei ribelli"
di R. Bertoldo
Proseguendo il discorso su La polis che non c’è. Tre modi di interrogarsi in poesia sul venir meno della polis e della società civile ecco gli appunti della lettura di G. Lucini su "La pergamena dei ribelli" [E. A.]
Appunti
su La pergamena dei ribelli, di Roberto Bertoldo
“Pergamena”
rimanda alla testimonianza di una vicenda ormai chiusa storicamente. I
“ribelli”, nell’intenzione della raccolta, sono coloro che non accettano le
regole (incivili, inumane o inumanistiche) un “sistema”, che però si dà per
vincente. Un messaggio alla posterità, visto che oggi nessuno vuole udirlo.
Tono, dunque, di forte pessimismo, ma non di scoramento. Se “resa dei conti”
deve esserci, lo sarà dopo questa era, in un futuro salvifico ma che deve
avvenire (la speranza – nell’uomo, anche). Messaggio a futura memoria, dunque,
perché col presente non è possibile alcun dialogo.
Gianmario Lucini
La polis che non c'è (3).
Su "Immigratorio" di E. Abate
Proseguendo il discorso su La polis che non c’è. Tre modi di interrogarsi in poesia sul venir meno della polis e della società civile pubblico pubblico gli appunti di di lettura di G. Lucini sulla mia raccolta Immigratorio [E. A.]
Appunti per una lettura di “Immigratorio”, di Ennio Abate
“Immigratorio” è un’opera polimorfa, non nel senso di avere
più di una forma (è, anzi, un qualcosa in sé unico, anche se sulla scia di
diverse scritture, anche italiane: mi viene in mente ad esempio a Giovanni e
le mani, di Fortini) ma nel senso che sta dentro la logica di diverse forme
di scrittura. E’ un romanzo storico, ma è anche un poema, è un racconto
personale di vita e di identità ma è anche un racconto paradigmatico e
generazionale o anche di classe (quella degli immigrati), è un’opera di poesia,
ma anche una testimonianza sociologica che tratta dell’incontro di due realtà
ambientali molto diverse e, infine, capace di alludere anche alla realtà
dell’immigratorio contemporaneo, dai paesi poveri al nostro Paese. E infine vi
è il risvolto linguistico che fa dialogare lingua e dialetto in maniera viva e
sinergica.
domenica 12 febbraio 2012
Giorgio Linguaglossa
Su "Sensi e sentimento dei sogni"
di Laura Sagliocco
Scriveva nel 1969 Franco Fortini: «L’attitudine (e l’uso) del dialetto, e dei gerghi e – al limite – della lingua privata è l’altra faccia della costituzione di nuovi linguaggi internazionali. Scrivo un verso in italiano e so di scrivere in una lingua morta, in un dialetto agonizzante; scrivo invece queste righe traducibili in qualsiasi congresso con prenotazione alberghiera, presidenza e microfoni, e so di star scrivendo una specie di latino, nella lingua della clericatura. La dolce e infame anarchia del ghetto fa fiore e muffa per entro il Sacro Capitalistico Impero».
Questo libro d’esordio della romana Laura Sagliocco è un tipico prodotto del Sacro Mediatico Impero, e lo dico nel senso migliore, nel senso che la Sagliocco mette in mostra l’autobiologia delle proprie esperienze di vita in modo davvero sorprendente; una poesia di rabbia e d’amore, passionale, ben scandita su un verso libero che corre veloce senza mai tradire alcun impaccio.
Questo libro d’esordio della romana Laura Sagliocco è un tipico prodotto del Sacro Mediatico Impero, e lo dico nel senso migliore, nel senso che la Sagliocco mette in mostra l’autobiologia delle proprie esperienze di vita in modo davvero sorprendente; una poesia di rabbia e d’amore, passionale, ben scandita su un verso libero che corre veloce senza mai tradire alcun impaccio.
giovedì 9 febbraio 2012
SEGNALAZIONE
Prossimo incontro
del Laboratorio Moltinpoesia
martedì 14 febbraio 2012, ore 18
I MOLTINPOESIA UNO PER UNO
a cura di Ennio Abate
GIORGIO MANNACIO, DALLA PERIFERIA DELL’IMPERO
di quegli atti meschini e innominabili
solo un ritratto fu testimone
e non ha voce
Introduce Sandro Bajini
La Casa della Poesia, Palazzina Liberty, Largo Marinai d'Italia 1,Milano
Giorgio Linguaglossa
Su "Senso comune (2004-2009)"
di Jacopo Galimberti
Jacopo Galimberti Senso comune (2004-2009)Le Voci della Luna, Milano, 2011
Recentemente mi è stato chiesto di commentare una mia
affermazione che qui riporto per comodità del lettore: «La poesia che ha luogo
nel Moderno è come un compasso che giri a vuoto o un binocolo che spii
l’orizzonte immobile; disarcionata dalla sua sella, la poesia moderna è
costretta a un perenne ricominciare daccapo, una fatica di Sisifo se volete, un
riprendere a tessere la tela che la notte disbroglia, ad un tempo Cloto,
Lachesi e Atropo...».
In
premessa, resta un punto da illuminare: quello della differenza tra il discorso
poetico di finzione e il discorso poetico (e narrativo) referenziale: il
romanzo poliziesco versus il rapporto di un commissariato di
polizia, la verosimiglianza contro la verità (il documento a validità
legale contro il documento a validità estetica). Il racconto storico versus la Storia.
martedì 7 febbraio 2012
Ennio Abate
La polis che non c'è (2)
Su "Il disgusto"
di Gianmario Lucini
1. L’affermazione nella Nota dell’autore
(Bertoldo) in Pergamena dei ribelli: “la poesia non proviene dal nostro gusto ma,
piuttosto, dal disgusto” può ben
introdurre alla raccolta di Lucini.
Il ‘disgusto’ è,
infatti, non solo il titolo di queste poesie, ma anche il sentimento che vi domina. Rispetto a Bertoldo,
però, quello di Lucini è un disgusto
espresso da un “io minore”. Il suo
sguardo è dal basso ed ansioso. Non è
l’io eroico (romantico) di Bertoldo. Egli muove da una “morale di servi” di matrice
cristiana, non quella di signori. Ne parlò con grande realismo storico e
antropologico Fortini in un passo di Insistenze che riporto in nota.[i] Lucini
proviene da questa cultura cristiana combattiva e non chiesastica. E mentre
Bertoldo contrappone “ribelli” e
“uomini mediocri”, egli distingue i poveri,
termine antico (e problematico), dalla gente,
termine oggi abusato, che occulta le differenze
sociali, specie quelle di classe, ed è, qui in Italia, diventato emblema di un’epoca
politicamente vischiosa e ben distinguibile, quella berlusconiana:
lunedì 6 febbraio 2012
Rita Simonitto
Sugli ultimi commenti
apparsi in Moltinpoesia
Sui commenti al post “Omaggio a Wislawa Szymborska” (qui) tornano queste
osservazioni puntigliose e appassionate di Rita Simonitto. Vuol dire che a quei
temi che avevo elencato in uno dei miei interventi intitolato “Riepilogando”
non si può apporre nessun conclusivo Amen!, come
auspicava Emy. Continuiamo dunque, se possibile, la discussione. Forse è questa
la via stretta su cui proseguire per arrivare, senza alcuna garanzia, a
"un grado più alto di verità" [E.A.]
La
velocità in questi giorni degli inserimenti e il numero impressionante dei
commenti che – come in ogni blog che si rispetti - sono in parte significativi
e in parte “rumore”, renderanno forse questo mio intervento obsoleto, superato
dall’incalzare dei passi di chi viene in successione. Così come accade nella
vita di oggi, né più né meno. Tuttavia mi sono decisa a portare la mia quota di
“rumore” e, spero, di significatività.
Partirei
dalla considerazione di Mayoor sul
sacro e la poesia, in una sua risposta a g.b. Egli sostiene:
“Ma il sacro è altra cosa, giusto distinguerlo dalle
religioni. Il sacro è ciò che non muta. Le verità cambiano ma non cambia la
ricerca della verità. Pertanto è sacra la ricerca e non la verità. E' sacra la
poesia, non è sacro il modo di scriverla, almeno non lo è fin quando l'autore
non abbia incontrato se stesso”.
sabato 4 febbraio 2012
Marcella Corsi
Una poesia
Marc Chagall
il prolungato non uso rende impossibile
lo scatto, peccato: immobile inaspettata
un’ innocenza incoerente allarga lo sguardo
al risveglio – 4 febbraio, anno duro di crisi
ma una sposa incauta ha steso la sua gonna
sulle chiese di Roma, adesso in silenzio
riposa il respiro nel respiro fermo degli alberi
finché piede di uomo non calpesti –
e la rabbia che corrode il mattino non regge
a tanto immacolato splendore
(come si conserva il volo dei passeri
sotto una notte di venti
centimetri di neve
(4 feb. 2012)
Ennio Abate
La polis che non c’è.
Su "Pergamena dei ribelli"
di Roberto Bertoldo
L’incontro del 31
gennaio 2012 del Laboratorio Moltinpoesia era intitolato La polis che non c’è. Tre modi di interrogarsi in poesia sul venir meno
della polis e della società civile. Si partiva da tre recenti raccolte (la
mia, Immigratorio; quella di Roberto Bertoldo, Pergamena dei ribelli e quella di Gianmario Lucini, Il disgusto), chiedendo a ciascuno degli
autori di pronunciarsi su quelle degli altri due. Pubblico per ora sul blog i miei appunti di lettura sulla raccolta di
Bertoldo. Successivamente pubblicherò quelli sulla raccolta di Lucini. Ed
invito entrambi a rendere noti, quando possono e se vogliono, i loro. [E.
A.]
1. Vorrei che non parlassimo in
generale sul tema della polis che manca,
ma partendo dalle nostre raccolte recenti. In quelle cercherei i segni di
questa mancanza, di questo vuoto (della polis, della società civile).
2. La ragione dell’accostamento,
improvvisato ma non capriccioso o casuale, delle nostre tre raccolte si
giustifica per un elemento che le accomuna: tutte e tre tendono a un bilancio, a
un rendiconto: di un vita di un certo Vulisse[i] e di un pezzo di storia dell’Italia (dal
dopoguerra agli anni Settanta) la mia; di un’epoca più generale e senza date
(Bertoldo); di un vicinissimo biennio 2009-10 (Lucini).
venerdì 3 febbraio 2012
Maria Dilucia
Omaggio a Wislawa Szymborska
Wislawa non
c’è più, rimangono le sue parole che sono Poesia e Filosofia assieme. La
sua grandezza sta nel riconoscere i difetti degli esseri umani e
mostrarceli ma senza giudizio anzi a volte addolorata per il destino
di questo piccolo uomo creato ed abbandonato a se stesso su questo mondo.
Ha conosciuto la disillusione ma non ha ceduto alla disperazione,
differentemente da molti altri poeti, lei ha continuato, ha capito di aver
sbagliato lo ha riconosciuto e ha continuato, continuato ad
ESSERE nella sua Poesia. Ha trovato la strada dell’ironia e come
altro possiamo
salvarci noi esseri umani se non con l’ironia? Ha mutuato la sua
sofferenza in lucidità, si è elevata ed è riuscita a vedere non il singolo
uomo ma tutti gli uomini, i comportamenti degli uomini e dall’alto
guardandoli muoversi, agitarsi, faticare a vivere, e con amore ci ha tolto
la colpa, quasi come una madre che giustifica gli errori del figlio. [Maria Dilucia]
Utopia di
Wislawa Szymborska
Isola dove tutto si chiarisce.
Qui ci si può fondare su prove.
L'unica strada è quella d'accesso.
Gli arbusti si piegano sotto le risposte.
giovedì 2 febbraio 2012
Giorgio Linguaglossa
"Solo la terra"
di Cristina Sparagana
Pistoletto, Venere degli stracci
Cristina Sparagana Solo la terra Passigli, Firenze, 2011
Se si guarda alle diramazioni stilistiche della poesia del
tardo Novecento, molti elementi inducono a ritenere che sul terreno delle
istituzioni stilistiche degli ultimi
trenta anni della poesia al femminile il
tempo non è passato invano. Già la poesia femminile degli anni Novanta aveva
abbandonato le tematiche della rivendicazione del «politico», del «privato» e
del «quotidiano» della generazione immediatamente precedente. Ad un ambito più vasto
della questione della crisi dei
generi narrativi, la poesia si avviava sempre di più verso la radura della
propria irrilevanza culturale
Quello che all’inizio degli anni Novanta si delinea è un
orizzonte del tutto nuovo: la crisi definitiva delle istituzioni stilistiche
esautorate ed occupate dagli uffici stampa degli editori maggiori. Accade così
che nella poesia degli anni Dieci del nuovo secolo, non c’è modello né
secondarietà né retroterra di istituzione stilistica che resti immune da questo
processo che la poesia possa far valere quale suo corrispettivo e/o funzione. Il
perché è chiaro: c’è «funzione» soltanto là dove c’è secondarietà, commissione,
servizio, utenza; là dove invece non c’è una utenza cessa anche,
corrispettivamente, la necessità di una «funzione» poetica, con tutto il suo
bagaglio di retorizzazioni, di stilizzazione e di tematiche che la «funzione» e
la «finzione» poetica comportano.
martedì 31 gennaio 2012
Flavio Villani
L'assedio di Saigon
Invio la nuova versione dell'Assedio di Saigon. Penso che essendo lavoro
che si pone (con convinzione) al limite fra poesia e prosa, sfruttando
in modo, credo, non del tutto convenzionale entrambi i
linguaggi, potrebbe fornire materiale di discussione sulle questioni
sollevate dal dibattito aperto di recente sull'argomento. La scelta di
scrivere questo particolare testo in tale forma è dipesa, come spesso
avviene, da plurime considerazioni, difficilmente sintetizzabili in
poche parole, non ultima la mia personale propensione verso forme
narrative, per così dire, "ibride", dove versi e prosa narrativa
e teatrale si possono comporre a costituire un insieme eterogeneo. La
possibilità, propria della poesia, d'infrangere le barriere imposte
dall'unità di tempo e di spazio del racconto è stata per me ulteriore
forte motivazione per esplorare questa via. [Flavio Villani]
Il tempo è tutto. Tutto.
In
ogni dramma il tempo è tutto.
In
questo dramma il tempo è l’aprile del
settantacinque.
Non
è un caso. No non credo che lo sia.
Lucio Mayoor Tosi
Milanesi
Parecchi di qui sono tedeschi
morti sotto i bombardamenti di Dresda e Berlino.
Tutta brava gente.
A Roma e a Napoli ce ne sono meno
qualche artista e qualche menagramo.
In Africa quelli che avrebbero voluto scappare
ma non ce l'hanno fatta.
Gli artisti per bene sono tedeschi di Berlino.
Quelli di Napoli son bombardati.
domenica 29 gennaio 2012
SEGNALAZIONE
Laboratorio Moltinpoesia
martedì 31 gennaio 2012, ore 18
La Casa della Poesia di Milano
Cari amici
vi
segnaliamo l'incontro del Laboratorio Moltinpoesia a cura di Ennio Abate, con un pomeriggio
dedicato a tre raccolte di poesia.
martedì 31 gennaio 2012, ore 18
Moltinpoesia: LA
POLIS CHE NON C'E'
Tre modi di interrogarsi
in poesia sul venir meno della polis e della società civile
Ennio Abate , Roberto
Bertoldo , Gianmario Lucini
dialogano sulle loro recenti raccolte di
poesia:
Immigratorio, Pergamena
dei ribelli e Il
disgusto.
Dove andare?
e correre ancora?
o ubriacarsi dondolandosi sulla
soglia?
*
La tonaca dei versi mi sta stretta,
è una benedizione falsa,
*
Mi fanno tenerezza quei che
salgono sui tetti a protestare
e vorrebbero tornare nel
mondo di ieri
sabato 28 gennaio 2012
Ezio Partesana
Sette poesie
Uomini vanno
Uomini vanno di mente
perduta
a picco nell'acqua sottile:
lava loro la mano.
E il male fanno o non fanno
appena, come cosa
che tra le altre smarrite
cade.
Ma dei servi la miseria
ma colpire con il dorso il
viso
questo sì che non c'è sangue
sullo stipite che l'angelo
possa fermare
quando verrà.
Emilia Banfi
Alla nuova memoria
La luna appesa al chiodo
nel cielo sparisce dietro
una macchia di sangue
la spiaggia sbarca sfinita
il mare accoglie la morte
un niente di vento porta
odori di mani graffiate
capelli di donna un anello
di fiori legato a una veste.
venerdì 27 gennaio 2012
Giorgio Linguaglossa
Sulla poesia
di Silvana Palazzo
Slai, donna che si pettina
La poesia di Silvana Palazzo
Relazioni di psiche Periferia,
Cosenza, 2009
Insomnia (a Barcellona) testo
spagnolo a fronte, Le nuvole, Cosenza, 2011
Il meme è un seme CjC
Editore, Cosenza, 2011
«Andiamo
verso la catastrofe senza parole. Già le rivoluzioni di domani si faranno in
marsina e con tutte le comodità. I Re avranno da temere soprattutto dai loro
segretari». Era l’aprile del 1919 quando Vincenzo Cardarelli scriveva queste
parole. Era iniziata la rivoluzione della società di massa, la rivoluzione industriale
era ancora di là da venire, e l’epoca delle avanguardie era già alle spalle, il
ritorno all’ordine era una strada in discesa, segnato da un annunzio che
sembrava indiscutibile».
Oggi, a distanza di quasi un
secolo dalle parole di Cardarelli, è avvenuto esattamente il contrario di
quanto preconizzato da il poeta de «La
Ronda »: oggi andiamo verso la catastrofe con un eccesso di
parole; le rivoluzioni di domani non si faranno né in marsina né in canottiera,
né con tutte le comodità né con tutti gli incomodi: non si faranno affatto. Al
Politico è subentrato il «privato». Ai «maestri» sono succeduti i «pessimi
maestri». Il Novecento si è chiuso con una deriva epigonica. La società della
comunicazione totale ha posto in soffitta la «poesia», e quest’ultima si è
vista relegare all’ultimo scalino della scala gerarchica della comunicazione. A
questo punto che cosa poteva fare una poetessa della lontana Calabria che
voleva scrivere versi? La poesia della Palazzo decide così di parlare dal punto
di vista della sua posizione singolare e marginale quale la geografia e la
storia hanno disegnato: adotta un verso breve, a volte brevissimo, formato da
una sola parola o da un bisillabo, quasi una spartana economia delle parole
troppo abusate dalla civiltà della comunicazione totale.
giovedì 26 gennaio 2012
Ennio Abate
Poesia/prosa.
Qualche ipotesi
a partire dalla poesia
di Anna Cascella Luciani
Riprendo qui
l'interessante discussione iniziata nel post dedicato alla poesia "non ho
sorelle" d Anna Cascella Luciani e sollecito altri interventi. Se
dovessero essere, come questo mio, superiori alla misura breve del commento,
inviatemeli e li collocherò in successivi post. [E.A.]
1. Schematizzo per
andare al nocciolo della questione poesia/prosa. Poesia=lirica=giovinezza?
Prosa=ragione (o razionalità)=età adulta (o vecchiaia, quando “si partecipa
meno alla vita e più al passato”)? Approvo in parte, ma dovremmo
documentare meglio queste equazioni. Specie oggi che i confini tra
poesia e prosa, già mobili quando la distinzione dei generi pareva netta e
incrollabile, sono diventati - per dirla con Bauman (e affidandoci, non
ciecamente però, alla sua autorità) - *liquidi*. Resta aperto il problema del
grado e del senso di questa "liquefazione" dei generi: parziale,
totale? reversibile, irreversibile? sintomo di "decadenza" (di allontanamento
dall'Origine, o dal principiale,
senza il quale non si dà logos poetico [Cfr.Giuseppe
Pedota, Dopo il moderno?) o, come sostiene Lucio Mayoor Tosi,
irrinunciabile tensione di "quell'animo futurista" o utopista che
serpeggia in qualcuno?
lunedì 23 gennaio 2012
Anna Cascella Luciani
non ho sorelle
da "La vita negli orli"
in "tutte le poesie 1973-2009"
I
non ho sorelle, mamma, di cui
scrivere di cappotti
sulla neve - una volta t'ho
detto "mi piacerebbe avere
un fratellino" ma non c'era
padre e tu - giustamente -
rimanesti male ma
non dicesti niente - com' era
tuo uso - tuo costume -
né alla bimbetta o ragazzina
poteva essere chiara allora
la ragione (il chiaro era
solo il mare di celeste -
i giochi sotto casa - l'erba
nel prato vuoto della guerra -
il freddo dei geloni e la tua
distanza- io piccola
Giorgio Linguaglossa
Su "Sbarco clandestino"
di Dante Maffia
Dante Maffìa Sbarco clandestino Tracce, Pescara, 2011
domenica 22 gennaio 2012
SEGNALAZIONE
"Poliscritture"
alla Libreria Odadrek di Milano
Libreria Odradek
Via Principe Eugenio 28
20155 Milano
tel. 02 314948
www.odradek.it
Via Principe Eugenio 28
20155 Milano
tel. 02 314948
www.odradek.it
Giovedì 26 gennaio, alle ore 18
Felice Accame introduce un dibattito sul
Revisionismo storico
in occasione della pubblicazione di
"Poliscritture" n. 8. Partecipano Ennio Abate e la redazione.
CRITICA
Giorgio Mannacio
Variazioni non canoniche
sulla immortalità della poesia
1.
Oggi che la poesia è diventata per molti oggetto di banalità quotidiane è forse arrivato il tempo di svolgere alcune variazioni di pensiero sulla sua immortalità.
Che la poesia sia immortale è affermazione comune. Essa è più vera e al tempo stesso meno impegnativa e importante di quanto appaia.
Si può iniziare una analisi non canonica di essa dall’osservazione – senza illusioni – sul destino delle grandi opera di architettura. Al pari delle case dei terremotati, anche le Mura Aureliane si stanno sbriciolando . Il sito archeologico di Pompei conosce altra cenere. Nella prospettiva del tempo storico di lungo periodo, di tali gioielli nulla rimarrà in piedi. Se ipotizziamo – cosa possibile date le nostre enormi capacità tecniche – che essi possano essere ricostruiti “ come se la distruzione non fosse avvenuta “ , è onesto riconoscere che si tratterebbe comunque di “ cose diverse dall’originale “ , di “ copie o falsi “ .
Identica sorte attende opere mirabili della pittura. Identicamente ipotizzabile, cioè, sia la loro fine sia la loro riproducibilità come “ falso “ in senso proprio ( se la quantità e qualità dei restauri finisce per sostituirsi al dipinto ).
Per tali manifestazioni artistiche dello spirito umano si può dire che l’immortalità è assicurata da una serie più o meno perfetta di falsi.
Luca Ferrieri
Cinque poesie
Mia madre aveva l'auto bloccata nel traffico
e io l'attendevo al cancello col cuore in gola.
Per un ragazzo è semplice capire che la vita
cessa: è quando non ha più suono quel grembo.
Mi è capitato anche dopo, nelle corsie,
l'ho vista controluce sul mare che rovesciava
la notte. Appena il medico ha scosso la testa
ho riconosciuto la mano dal finestrino.
La mia infanzia al muro come un quadro
o un'esecuzione. Non ha avuto più asilo.
E la notte mi sveglio pensando: come potrò
portarla al pronto soccorso se è già morta.
Mia madre è stata l'infanzia, la sola vita
vera. Quando aprì il gas la salvarono
quelle due cucciole batuffole, noialtri
eravamo tutti via.
Alda Cicognani
Tre poesie
Scegliere un uomo
I
scegliere un uomo come scegliere un uovo
lì sullo scaffale in un contenitore
una giornata calda uova calde minacciose
così innocentemente bianche ovoidali
con quel dono all’interno
non si pensa al colesterolo nel tuorlo
avvolto nella chiara spessa di opale
è nel cuocere un uovo al tegamino l’atto
il più sensuale di tutta la gastronomia
dopo la preparazione dell’ostrica
un attimo per l’ostrica ma un attimo sacrale
I
scegliere un uomo come scegliere un uovo
lì sullo scaffale in un contenitore
una giornata calda uova calde minacciose
così innocentemente bianche ovoidali
con quel dono all’interno
non si pensa al colesterolo nel tuorlo
avvolto nella chiara spessa di opale
è nel cuocere un uovo al tegamino l’atto
il più sensuale di tutta la gastronomia
dopo la preparazione dell’ostrica
un attimo per l’ostrica ma un attimo sacrale
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