lunedì 13 febbraio 2012

Gianmario Lucini
La polis che non c'è (4).
Su "Pergamena dei ribelli"
di R. Bertoldo


Proseguendo il discorso su La polis che non c’è. Tre modi di interrogarsi in poesia sul venir meno della polis e della società civile  ecco gli appunti della lettura di G. Lucini  su "La pergamena dei ribelli" [E. A.]
Appunti su La pergamena dei ribelli, di Roberto Bertoldo
“Pergamena” rimanda alla testimonianza di una vicenda ormai chiusa storicamente. I “ribelli”, nell’intenzione della raccolta, sono coloro che non accettano le regole (incivili, inumane o inumanistiche) un “sistema”, che però si dà per vincente. Un messaggio alla posterità, visto che oggi nessuno vuole udirlo. Tono, dunque, di forte pessimismo, ma non di scoramento. Se “resa dei conti” deve esserci, lo sarà dopo questa era, in un futuro salvifico ma che deve avvenire (la speranza – nell’uomo, anche). Messaggio a futura memoria, dunque, perché col presente non è possibile alcun dialogo.

Gianmario Lucini
La polis che non c'è (3).
Su "Immigratorio" di E. Abate

Proseguendo il discorso  su La polis che non c’è. Tre modi di interrogarsi in poesia sul venir meno della polis e della società civile pubblico pubblico gli appunti di di lettura di G. Lucini sulla mia raccolta Immigratorio [E. A.]
Appunti per una lettura di “Immigratorio”, di Ennio Abate
“Immigratorio” è un’opera polimorfa, non nel senso di avere più di una forma (è, anzi, un qualcosa in sé unico, anche se sulla scia di diverse scritture, anche italiane: mi viene in mente ad esempio a Giovanni e le mani, di Fortini) ma nel senso che sta dentro la logica di diverse forme di scrittura. E’ un romanzo storico, ma è anche un poema, è un racconto personale di vita e di identità ma è anche un racconto paradigmatico e generazionale o anche di classe (quella degli immigrati), è un’opera di poesia, ma anche una testimonianza sociologica che tratta dell’incontro di due realtà ambientali molto diverse e, infine, capace di alludere anche alla realtà dell’immigratorio contemporaneo, dai paesi poveri al nostro Paese. E infine vi è il risvolto linguistico che fa dialogare lingua e dialetto in maniera viva e sinergica.

domenica 12 febbraio 2012

Giorgio Linguaglossa
Su "Sensi e sentimento dei sogni"
di Laura Sagliocco

Laura Sagliocco Sensi e sentimento dei sogni Campanotto, Udine, 2011
Scriveva nel 1969 Franco Fortini: «L’attitudine (e l’uso) del dialetto, e dei gerghi e – al limite – della lingua privata è l’altra faccia della costituzione di nuovi linguaggi internazionali. Scrivo un verso in italiano e so di scrivere in una lingua morta, in un dialetto agonizzante; scrivo invece queste righe traducibili in qualsiasi congresso con prenotazione alberghiera, presidenza e microfoni, e so di star scrivendo una specie di latino, nella lingua della clericatura. La dolce e infame anarchia del ghetto fa fiore e muffa per entro il Sacro Capitalistico Impero».
Questo libro d’esordio della romana Laura Sagliocco è un tipico prodotto del Sacro Mediatico Impero, e lo dico nel senso migliore, nel senso che la Sagliocco mette in mostra l’autobiologia delle proprie esperienze di vita in modo davvero sorprendente; una poesia di rabbia e d’amore, passionale, ben scandita su un verso libero che corre veloce senza mai tradire alcun impaccio.

giovedì 9 febbraio 2012

SEGNALAZIONE
Prossimo incontro
del Laboratorio Moltinpoesia



martedì 14 febbraio 2012, ore 18
I MOLTINPOESIA UNO PER UNO 
a cura di Ennio Abate
GIORGIO MANNACIO, DALLA PERIFERIA DELL’IMPERO

Di quel delitto atroce,
di quegli atti meschini e innominabili
solo un ritratto fu testimone
e non ha voce

Introduce Sandro Bajini 
  La Casa della Poesia, Palazzina Liberty, Largo Marinai d'Italia 1,Milano 
 Ingresso libero

Giorgio Linguaglossa
Su "Senso comune (2004-2009)"
di Jacopo Galimberti


Jacopo Galimberti Senso comune (2004-2009)Le Voci della Luna, Milano, 2011



Recentemente mi è stato chiesto di commentare una mia affermazione che qui riporto per comodità del lettore: «La poesia che ha luogo nel Moderno è come un compasso che giri a vuoto o un binocolo che spii l’orizzonte immobile; disarcionata dalla sua sella, la poesia moderna è costretta a un perenne ricominciare daccapo, una fatica di Sisifo se volete, un riprendere a tessere la tela che la notte disbroglia, ad un tempo Cloto, Lachesi e Atropo...».
In premessa, resta un punto da illuminare: quello della differenza tra il discorso poetico di finzione e il discorso poetico (e narrativo) referenziale: il romanzo poliziesco versus il rapporto di un commissariato di polizia, la verosimiglianza contro la verità (il documento a validità legale contro il documento a validità estetica). Il racconto storico versus la Storia.

martedì 7 febbraio 2012

Ennio Abate
La polis che non c'è (2)
Su "Il disgusto"
di Gianmario Lucini

Pubbblico la seconda parte dell'intervento (rivisto e approfondito) fatto durante l’incontro  del  Laboratorio Moltinpoesia del 31 gennaio 2012 intitolato La polis che non c’è. Tre modi di interrogarsi in poesia sul venir meno della polis e della società civile. Essa è dedicata a "Il disgusto" di Gianmario Lucini. [E.A.]
 
 
1.  L’affermazione nella Nota dell’autore (Bertoldo) in Pergamena dei ribelli:  “la poesia non proviene dal nostro gusto ma, piuttosto, dal disgusto”  può ben introdurre alla raccolta di Lucini.

Il ‘disgusto’ è, infatti, non solo il titolo di queste poesie, ma anche il sentimento che vi domina. Rispetto a Bertoldo, però, quello di Lucini  è un disgusto espresso da un “io minore”. Il suo sguardo  è dal basso ed ansioso. Non è l’io eroico (romantico) di Bertoldo. Egli muove da una “morale di servi” di matrice cristiana, non quella di signori. Ne parlò con grande realismo storico e antropologico Fortini in  un passo di Insistenze che riporto in nota.[i] Lucini proviene da questa cultura cristiana combattiva e non chiesastica. E mentre Bertoldo contrappone “ribelli” e “uomini mediocri”, egli distingue i poveri, termine antico (e problematico),  dalla gente, termine oggi abusato, che occulta  le differenze sociali, specie quelle di classe, ed è, qui in Italia, diventato emblema di un’epoca politicamente vischiosa e ben distinguibile, quella berlusconiana:


lunedì 6 febbraio 2012

Rita Simonitto
Sugli ultimi commenti
apparsi in Moltinpoesia

Sui commenti al post “Omaggio a Wislawa Szymborska” (qui) tornano queste osservazioni puntigliose e appassionate di Rita Simonitto. Vuol dire che a quei temi che avevo elencato in uno dei miei interventi intitolato “Riepilogando” non si può apporre nessun conclusivo Amen!, come auspicava Emy. Continuiamo dunque, se possibile, la discussione. Forse è questa la via stretta su cui proseguire per arrivare, senza alcuna garanzia, a "un grado più alto di verità" [E.A.]

La velocità in questi giorni degli inserimenti e il numero impressionante dei commenti che – come in ogni blog che si rispetti - sono in parte significativi e in parte “rumore”, renderanno forse questo mio intervento obsoleto, superato dall’incalzare dei passi di chi viene in successione. Così come accade nella vita di oggi, né più né meno. Tuttavia mi sono decisa a portare la mia quota di “rumore” e, spero, di significatività.

Partirei dalla considerazione di Mayoor sul sacro e la poesia, in una sua risposta a g.b. Egli sostiene:

“Ma il sacro è altra cosa, giusto distinguerlo dalle religioni. Il sacro è ciò che non muta. Le verità cambiano ma non cambia la ricerca della verità. Pertanto è sacra la ricerca e non la verità. E' sacra la poesia, non è sacro il modo di scriverla, almeno non lo è fin quando l'autore non abbia incontrato se stesso”.

sabato 4 febbraio 2012

Marcella Corsi
Una poesia

Marc Chagall


il prolungato non uso rende impossibile
lo scatto, peccato: immobile inaspettata
un’ innocenza incoerente allarga lo sguardo
al risveglio – 4 febbraio, anno duro di crisi

ma una sposa incauta ha steso la sua gonna
sulle chiese di Roma, adesso in silenzio
riposa il respiro nel respiro fermo degli alberi
finché piede di uomo non calpesti –

e la rabbia che corrode il mattino non regge
a tanto immacolato splendore

(come si conserva il volo dei passeri
sotto una notte di venti
centimetri di neve 



(4 feb. 2012)

Ennio Abate
La polis che non c’è.
Su "Pergamena dei ribelli"
di Roberto Bertoldo



L’incontro del 31 gennaio 2012 del Laboratorio Moltinpoesia era intitolato La polis che non c’è. Tre modi di interrogarsi in poesia sul venir meno della polis e della società civile. Si partiva da tre recenti raccolte (la mia, Immigratorio; quella di  Roberto Bertoldo, Pergamena dei ribelli e quella di Gianmario Lucini, Il disgusto), chiedendo a ciascuno degli autori di pronunciarsi su quelle degli altri due. Pubblico per ora sul blog  i miei appunti di lettura sulla raccolta di Bertoldo. Successivamente pubblicherò quelli sulla raccolta di Lucini. Ed invito entrambi a rendere noti, quando possono e se vogliono, i loro. [E. A.] 

1. Vorrei che non parlassimo in generale sul tema della polis che manca, ma partendo dalle nostre raccolte recenti. In quelle cercherei i segni di questa mancanza, di questo vuoto (della polis, della società civile).

2. La ragione dell’accostamento, improvvisato ma non capriccioso o casuale, delle nostre tre raccolte si giustifica per un elemento che le accomuna: tutte e tre tendono a un bilancio, a un rendiconto: di un vita di un certo Vulisse[i]  e di un pezzo di storia dell’Italia (dal dopoguerra agli anni Settanta) la mia; di un’epoca più generale e senza date (Bertoldo); di un vicinissimo biennio 2009-10 (Lucini).

venerdì 3 febbraio 2012

Maria Dilucia
Omaggio a Wislawa Szymborska


Wislawa non c’è più, rimangono le sue parole che sono Poesia e Filosofia assieme. La sua grandezza sta nel riconoscere i difetti degli esseri umani e mostrarceli ma senza giudizio anzi a volte addolorata per il destino di questo piccolo uomo creato ed abbandonato a se stesso su questo mondo. Ha conosciuto  la disillusione ma non ha ceduto alla disperazione, differentemente da molti altri poeti, lei ha continuato, ha capito di aver sbagliato lo ha riconosciuto e ha continuato, continuato ad ESSERE nella sua Poesia. Ha trovato la strada dell’ironia e come altro possiamo salvarci noi esseri umani se non con l’ironia? Ha mutuato la sua sofferenza in lucidità, si è elevata ed è riuscita a vedere non il singolo uomo ma tutti gli uomini, i comportamenti degli uomini e dall’alto guardandoli muoversi, agitarsi, faticare a vivere, e con amore ci ha tolto la colpa, quasi come una madre che giustifica gli errori del figlio. [Maria Dilucia]

  
Utopia di Wislawa Szymborska
 
Isola dove tutto si chiarisce.
 
Qui ci si può fondare su prove.
 
L'unica strada è quella d'accesso.
 
Gli arbusti si piegano sotto le risposte.
 

giovedì 2 febbraio 2012

Giorgio Linguaglossa
"Solo la terra"
di Cristina Sparagana


Pistoletto, Venere degli stracci

Cristina Sparagana Solo la terra Passigli, Firenze, 2011

Se si guarda alle diramazioni stilistiche della poesia del tardo Novecento, molti elementi inducono a ritenere che sul terreno delle istituzioni stilistiche  degli ultimi trenta anni  della poesia al femminile il tempo non è passato invano. Già la poesia femminile degli anni Novanta aveva abbandonato le tematiche della rivendicazione del «politico», del «privato» e del «quotidiano» della generazione immediatamente precedente. Ad un ambito più vasto della questione della crisi dei generi narrativi, la poesia si avviava sempre di più verso la radura della propria irrilevanza culturale
Quello che all’inizio degli anni Novanta si delinea è un orizzonte del tutto nuovo: la crisi definitiva delle istituzioni stilistiche esautorate ed occupate dagli uffici stampa degli editori maggiori. Accade così che nella poesia degli anni Dieci del nuovo secolo, non c’è modello né secondarietà né retroterra di istituzione stilistica che resti immune da questo processo che la poesia possa far valere quale suo corrispettivo e/o funzione. Il perché è chiaro: c’è «funzione» soltanto là dove c’è secondarietà, commissione, servizio, utenza; là dove invece non c’è una utenza cessa anche, corrispettivamente, la necessità di una «funzione» poetica, con tutto il suo bagaglio di retorizzazioni, di stilizzazione e di tematiche che la «funzione» e la «finzione» poetica comportano.

martedì 31 gennaio 2012

Flavio Villani
L'assedio di Saigon


                                                                   
 Invio la nuova versione dell'Assedio di Saigon. Penso che essendo lavoro che si pone (con convinzione) al limite fra poesia e prosa, sfruttando in modo, credo, non del tutto convenzionale entrambi i linguaggi, potrebbe fornire materiale di discussione sulle questioni sollevate dal dibattito aperto di recente sull'argomento. La scelta di scrivere questo particolare testo in tale forma è dipesa, come spesso avviene, da plurime considerazioni, difficilmente sintetizzabili in poche parole, non ultima la mia personale propensione verso forme narrative, per così dire, "ibride", dove versi e prosa narrativa e teatrale si possono comporre a costituire un insieme eterogeneo. La possibilità, propria della poesia, d'infrangere le barriere imposte dall'unità di tempo e di spazio del racconto è stata per me ulteriore forte motivazione per esplorare questa via. [Flavio Villani]
  
                        
Il tempo è tutto. Tutto.
In ogni dramma il tempo è tutto.
In questo dramma il tempo è l’aprile del
settantacinque.  

Non è un caso. No non credo che lo sia.

Lucio Mayoor Tosi
Milanesi



Parecchi di qui sono tedeschi 
morti sotto i bombardamenti di Dresda e Berlino.  
Tutta brava gente. 
A Roma e a Napoli ce ne sono meno  
qualche artista e qualche menagramo.
In Africa quelli che avrebbero voluto scappare 
ma non ce l'hanno fatta.
Gli artisti per bene sono tedeschi di Berlino.  
Quelli di Napoli son bombardati.

domenica 29 gennaio 2012

SEGNALAZIONE
Laboratorio Moltinpoesia
martedì 31 gennaio 2012, ore 18


Palazzina Liberty, Largo marinai d'Italia 1 - ingresso libero
La Casa della Poesia di Milano

Cari amici
vi segnaliamo l'incontro del Laboratorio Moltinpoesia a cura di Ennio Abate, con un pomeriggio dedicato a tre raccolte di poesia.
martedì 31 gennaio 2012, ore 18

Moltinpoesia: LA POLIS  CHE NON C'E'
Tre modi di interrogarsi in poesia sul venir meno della polis e della società civile
Ennio Abate , Roberto Bertoldo , Gianmario Lucini 
dialogano  sulle loro recenti raccolte di poesia: 
Immigratorio, Pergamena dei ribelli e Il disgusto.

Dove andare? e correre ancora?
o ubriacarsi dondolandosi sulla soglia?
*

La tonaca dei versi mi sta stretta, 
è una benedizione falsa,

*

Mi fanno tenerezza quei che salgono sui tetti a protestare 

e vorrebbero tornare nel mondo di ieri

sabato 28 gennaio 2012

Ezio Partesana
Sette poesie




Uomini vanno


Uomini vanno di mente perduta
a picco nell'acqua sottile:
lava loro la mano.
E il male fanno o non fanno
appena, come cosa
che tra le altre smarrite cade.

Ma dei servi la miseria
ma colpire con il dorso il viso
questo sì che non c'è sangue
sullo stipite che l'angelo possa fermare
quando verrà.

  

Emilia Banfi
Alla nuova memoria



La luna appesa al chiodo
nel cielo sparisce dietro
una macchia di sangue
la spiaggia sbarca sfinita
il mare accoglie la morte
un niente di vento porta
odori di mani graffiate
capelli di donna un anello
di fiori legato a una veste.



venerdì 27 gennaio 2012

Giorgio Linguaglossa
Sulla poesia
di Silvana Palazzo

Slai, donna che si pettina

La poesia di Silvana Palazzo
Relazioni di psiche Periferia, Cosenza, 2009
Insomnia (a Barcellona) testo spagnolo a fronte, Le nuvole, Cosenza, 2011
Il meme è un seme CjC Editore, Cosenza, 2011

«Andiamo verso la catastrofe senza parole. Già le rivoluzioni di domani si faranno in marsina e con tutte le comodità. I Re avranno da temere soprattutto dai loro segretari». Era l’aprile del 1919 quando Vincenzo Cardarelli scriveva queste parole. Era iniziata la rivoluzione della società di massa, la rivoluzione industriale era ancora di là da venire, e l’epoca delle avanguardie era già alle spalle, il ritorno all’ordine era una strada in discesa, segnato da un annunzio che sembrava indiscutibile».
Oggi, a distanza di quasi un secolo dalle parole di Cardarelli, è avvenuto esattamente il contrario di quanto preconizzato da il poeta de «La Ronda»: oggi andiamo verso la catastrofe con un eccesso di parole; le rivoluzioni di domani non si faranno né in marsina né in canottiera, né con tutte le comodità né con tutti gli incomodi: non si faranno affatto. Al Politico è subentrato il «privato». Ai «maestri» sono succeduti i «pessimi maestri». Il Novecento si è chiuso con una deriva epigonica. La società della comunicazione totale ha posto in soffitta la «poesia», e quest’ultima si è vista relegare all’ultimo scalino della scala gerarchica della comunicazione. A questo punto che cosa poteva fare una poetessa della lontana Calabria che voleva scrivere versi? La poesia della Palazzo decide così di parlare dal punto di vista della sua posizione singolare e marginale quale la geografia e la storia hanno disegnato: adotta un verso breve, a volte brevissimo, formato da una sola parola o da un bisillabo, quasi una spartana economia delle parole troppo abusate dalla civiltà della comunicazione totale.

giovedì 26 gennaio 2012

Ennio Abate
Poesia/prosa.
Qualche ipotesi
a partire dalla poesia
di Anna Cascella Luciani



Riprendo qui l'interessante discussione iniziata nel post dedicato alla poesia "non ho sorelle" d Anna Cascella Luciani e sollecito altri interventi. Se dovessero essere, come questo mio, superiori alla misura breve del commento, inviatemeli e li collocherò in successivi post. [E.A.] 

1. Schematizzo per andare al nocciolo della questione poesia/prosa. Poesia=lirica=giovinezza? Prosa=ragione (o razionalità)=età adulta (o vecchiaia, quando “si partecipa meno alla vita e più al passato”)? Approvo in parte, ma dovremmo documentare meglio queste  equazioni. Specie oggi che i confini tra poesia e prosa, già mobili quando la distinzione dei generi pareva netta e incrollabile, sono diventati - per dirla con Bauman (e affidandoci,  non ciecamente però, alla sua autorità) - *liquidi*. Resta aperto il problema del grado e del senso di questa "liquefazione" dei generi: parziale, totale? reversibile, irreversibile? sintomo di "decadenza" (di allontanamento dall'Origine, o  dal principiale, senza il quale non si dà logos poetico [Cfr.Giuseppe Pedota, Dopo il moderno?) o, come sostiene Lucio Mayoor Tosi, irrinunciabile tensione di "quell'animo futurista" o utopista che serpeggia in qualcuno? 

lunedì 23 gennaio 2012

Anna Cascella Luciani
non ho sorelle
da "La vita negli orli"
in "tutte le poesie 1973-2009"



I

non ho sorelle, mamma, di cui
scrivere di cappotti
sulla neve - una volta t'ho
detto "mi piacerebbe avere
un fratellino" ma non c'era
padre e tu - giustamente -
rimanesti male ma
non dicesti niente - com' era
tuo uso - tuo costume -
né alla bimbetta o ragazzina
poteva essere chiara allora
la ragione (il chiaro era
solo il mare di celeste -
i giochi sotto casa - l'erba
nel prato vuoto della guerra -
il freddo dei geloni e la tua
distanza- io piccola

Giorgio Linguaglossa
Su "Sbarco clandestino"
di Dante Maffia


Dante Maffìa Sbarco clandestino Tracce, Pescara, 2011 

Certo, come ho scritto più volte, più il testo si de-letteralizza (prende le distanze dal reale), più il rapporto col reale diventa problematico, e più la problematicità, che è comunque sempre un fatto stilistico-formale, si dà una risposta che è sempre problemato-logica, e retorico-stilistica. Per contro, più il testo si letteralizza (tende a riprodurre mimeticamente il reale), più la problematicità e la conseguente resa iconica e figurativa, tenderà verso forme di «realismo». Ora, non c’è dubbio che Sbarco clandestino di Dante Maffìa oscilli tra queste due dimensioni della scrittura poetica.

domenica 22 gennaio 2012

SEGNALAZIONE
"Poliscritture"
alla Libreria Odadrek di Milano

Libreria Odradek
Via Principe Eugenio 28
20155 Milano
tel. 02 314948

www.odradek.it




Giovedì 26 gennaio, alle ore 18
Felice Accame introduce un dibattito sul Revisionismo storico 
in occasione della pubblicazione di "Poliscritture" n. 8. Partecipano Ennio Abate e la redazione.

CRITICA
Giorgio Mannacio
Variazioni non canoniche
sulla immortalità della poesia



1.
Oggi che la poesia è diventata per molti oggetto di banalità quotidiane è forse arrivato il tempo di svolgere alcune variazioni di pensiero sulla sua immortalità.
Che la poesia sia immortale è affermazione comune. Essa è più vera e al tempo stesso meno impegnativa e importante di quanto appaia.
Si può iniziare una analisi non canonica di essa dall’osservazione  – senza illusioni – sul destino delle grandi opera di architettura. Al pari delle case dei terremotati, anche le Mura Aureliane si stanno sbriciolando . Il sito archeologico di Pompei conosce altra cenere. Nella prospettiva del tempo storico di lungo periodo, di tali gioielli nulla rimarrà in piedi. Se ipotizziamo – cosa possibile date le nostre enormi capacità tecniche – che essi possano essere ricostruiti “ come se la distruzione non fosse avvenuta “ , è onesto riconoscere che si tratterebbe comunque di “ cose  diverse dall’originale “ , di “ copie o falsi “ .
Identica sorte attende opere mirabili della pittura. Identicamente ipotizzabile, cioè, sia la loro fine sia la loro riproducibilità come “ falso “ in senso proprio ( se la quantità e qualità dei restauri finisce per sostituirsi al dipinto ).
Per tali manifestazioni artistiche dello spirito umano si può dire che l’immortalità è assicurata da una serie più o meno perfetta di falsi.

Luca Ferrieri
Cinque poesie


*
Mia madre aveva l'auto bloccata nel traffico
e io l'attendevo al cancello col cuore in gola.
Per un ragazzo è semplice capire che la vita
cessa: è quando non ha più suono quel grembo.
Mi è capitato anche dopo, nelle corsie,
l'ho vista controluce sul mare che rovesciava
la notte. Appena il medico ha scosso la testa
ho riconosciuto la mano dal finestrino.
La mia infanzia al muro come un quadro
o un'esecuzione. Non ha avuto più asilo.
E la notte mi sveglio pensando: come potrò
portarla al pronto soccorso se è già morta.
Mia madre è stata l'infanzia, la sola vita
vera. Quando aprì il gas la salvarono
quelle due cucciole batuffole, noialtri
eravamo tutti via.

Alda Cicognani
Tre poesie

         
Scegliere un uomo

                          I

scegliere un uomo  come scegliere un uovo
                     lì sullo scaffale in un contenitore
una giornata calda  uova calde  minacciose
così innocentemente bianche  ovoidali
                      con quel dono all’interno
non si pensa al colesterolo nel tuorlo
avvolto nella chiara spessa di opale

è nel cuocere un uovo al tegamino l’atto
il più sensuale di tutta la gastronomia
                      dopo la preparazione dell’ostrica
un attimo per l’ostrica  ma un attimo sacrale

venerdì 20 gennaio 2012

Luigi Cannillo
Sette poesie
da "Cielo Privato"


*
Anni di presunta gloria
lanciati in alto
come berretti in giubilo
quando le cene d'estate spalancavano
le porte generose al vicinato
e poi precipitarsi lustri al varietà
Spinti senza passato
a proseguire il secolo
tempo a cambiali per gli adulti
firmato testa bassa a cancellare
lividi di fatica e frenesie notturne
A noi risparmiavano il racconto
delle adunate le corse nei rifugi
perché le ferite e il cambio di uniformi
la storia accantonata per i grandi
Per me ai confini del silenzio
le gare il teatro in solitaria
eroi di carta e gli ostacoli davanti
Nessuno adesso si permetta
il lusso della nostalgia
bruciano i documenti fra le mani
senza mai consumarsi
Resta la storia il tempo che strattona
e i suoi schiaffi, la pelle
che ne brucia ancora
Questa la nostra corona
il campo di battaglia senza tregua

Francesco Leonetti
Tre
delle "Poesie scelte 1942-2001"



Riassunti mondiali (1994)

1.
I corpi in trincea a buchi / bombardati da velivoli.
E quindi si solleva in su / la crosta terrena stessa.
È lava rossa, espansa; / è movimento come in noi, si esulta.
Ma per bloccare l'impeto / caldo umano sono scaricati
addosso i massi giù / dai mostri meccanici in cielo.
Oh non c'è un bel essere / diabolico fra noi capace
di rispondere ribelle e / battere l' irragione al dominio.

2.
Qui c'è solo la cosa del lavoro e la foia.
Ma stiamo per ore allo schermo mirando.
Le giostre, le sfide, con camere addosso.
Da vedenti. Il caracollante occidentale
attacca coi suoi fendenti a spada corta.
L'altro d'oriente col sandalo pesta fango:
per levare gli schizzi fulminei nella cura
di percezione del dettaglio trasversale
durante i sobbalzi dei passaggi continui.
La stilla infine all'occhio acceca quello ...
Ma non era che un' ombra, una sagoma esposta:
si ripresenta, duplicata presenza, il cavaliere
    dell' occidente e un musulmano è in campo.
Qui si combatte a pezzi per le lunghe notti.
Solo il guardare i grandi ci è concesso.
Ahi mai nessuno muore fra i campioni presto.

3.
Vengono i mali giù dai mostri meccanici in cielo.
Un bell' essere diabolico non c'è più in noi indigeni.


martedì 17 gennaio 2012

Lucio Mayoor Tosi
Area C + Zero orizzontale.


AreaC

Una città che fa scivolare l’acqua per i platani fin dentro i polmoni
come inchiostro. La notte fradicia, le cose vere senza colore.
Come stai?
Ero sola. Laggiù i semafori, qua parcheggiate le auto. Avevo pensieri
qualcuno parlava e parlava. Il cuore in affanno.
Le guance dentro la fotografia, di velluto. La città di grafite. Il cuore
dentro la notte fradicia spenta, sul lettino. Un lenzuolino. Altrove.
Qui le auto, le ombre che balzano sui platani. Tu come stai che la città
è morta non si sa per quale spavento.
In centro hanno messo un pendolo. Uno di sinistra dopo l’altro di destra.
Quasi la stessa faccia. Di grafite e lenzuolino.

Amedeo Anelli
Tre poesie
da "Contrapunctus"

Contrapunctus VIII
                             
                                    Negli occhi di mia madre
Di sopra il tempo camminava sulle travi.
D'inverno la legna di traversa mandava fumo.
Il fuoco crepitava.
Cigolava lo sportellino in ghisa,
mentre guardavi nel fuoco
e tutto era silenzio.

Silenzio era il manto di neve sopra i campi,
silenzio erano gli alberi canditi dal gelo
silenzio era il rumore degli stivali sulla neve.
Silenzio era il fischio del treno,
che si perdeva fra luce e nebbia.
Ma la voce cresceva
cresceva il pungitopo in giardino,
cresceva l'ombra nelle tue spalle,
si alzava la nebbia nella luce.

Giorgio Mannacio
Cinque poesie
da "Dalla periferia dell'impero"


ENTROPIA
Di quel delitto atroce,
di quegli atti meschini e innominabili
solo un ritratto fu testimone
e non ha voce.
Il giudizio del tempo, lento e distratto,
sa mettere d'accordo
vittima ed assassino,
il boia che ride
e il pianto senza ritegno di un bambino.
Infinito disordine si cela
nell'apparente uniformità della polvere,
la sua multiforme, poco indagata origine.
Fu, forse, anche vertigine
di capelli disciolti in giochi e danze
o annodati con fiori, anime strette
in vesti di seta
inseguiti e strappati nelle stanze.
Ora non ha più suono
lo strato grigio, indifferente
e rimane un messaggio mai chiarito,
ultima traccia,
la frase del giudizio e del perdono:
quando ritornerai tra le mie braccia.

sabato 14 gennaio 2012

Francesco Dalessandro
Da "L'osservatorio"
con una nota di Giorgio Linguaglossa



I PARTE – L’OSSERVATORIO

2     
  
Un fiume di luci cangianti dal bianco
al rosso defluente alle sette
serali d’una domenica d’ottobre
in cui gli ultimi spiccioli di questa
estate straordinaria per caldo
e dolore si spendono, dal buio
dell’inversa corsia a chi torna – bava
brillante di lumaca più che corso
di luminarie nella notte (persa
l’ora legale) presto caduta, scia
del giorno assolato in cui sonnecchia pronto
al risveglio improvviso il primo freddo –
un fiume sordo-lento defluisce
e pulsa vita nell’opposto verso
nel giro del ramo che si piega
e divarica dal tronco in minori
affluenti, in un delta di quartieri
periferici o stagna nel traffico;
un fiume che nel cupo defluire
non sai ancora cosa reca se altro
dolore – sia graffio o puntura –,
o l’abbandono di un corpo
all’altro nell’enfasi perfetta
del desiderio (e il riposo che il dopo
amore fa sereno, rende necessario);
o forse l’ansia reca nel ritorno
a casa dove in due si è più soli
che soli, cupa smania il desiderio
ardente non cancella il dolore
ma ne cresce l’angoscia e incresce
al cuore, e più che stella splende
sull’antro famelico e l’affama
diana?
  

Giuseppe Pedota
Dopo il moderno?



Per intensificare il confronto tra il Laboratorio Moltinpoesia e gli amici romani  che hanno cominciato ad intervenire su questo blog,  anticipo stralci consistenti di un saggio di Giuseppe Pedota [Cfr. Nota alla fine]. Rielaborato da appunti sparsi, uscirà presto, per i tipi delle edizioni CFR nella collana di critica curata da Giorgio Linguaglossa. Fu scritto tra il 2005 e il 2010, anno della sua scomparsa. E nelle intenzioni dell’autore doveva contribuire al rilancio della rivista di letteratura «Poiesis», che a Roma tra il 1993 e il 2005 funzionò nella cosiddetta  condizione postmoderna come «una zattera di naufraghi»(Andrej Silkjn). La successiva dissoluzione del gruppo originario (G. Linguaglossa, D. Mafia, G. Stecher, G. Pedota, L. Stace, C. Santese e A. Silkjn) ha impedito la prosecuzione di una riflessione in comune sul tema che Pedota qui affronta: il passaggio dall’epoca dell’impegno, che è durata fino agli anni Settanta del Novecento e teneva  assieme cultura e politica progressista (di sinistra), all’epoca del “disimpegno” o della sfiducia nella necessità o possibilità di un cambiamento della società capitalistica. (Per la precisione «Poiesis» parlava di «Epoca del Tramonto» in un’accezione fortemente heideggeriana).

Leopoldo Attolico
Otto poesie
da "La realtà sofferta del comico"



A SBARBARO E UNGARETTI
Un intero tragitto
Montesacro
-Porta Pia
nel costipato inverecondo "36"
con l'afrore mefìtiço di cipolla
respiratomi in viso da una donna cannone
ho fatto pensieri liberatori molto vicini
ai profumi colorati dei licheni di Camillo.
Non sono stato mai
tanto
attaccato alla vita



APPARIZIONI
Ad alta voce nella platea "IN" del Barberini:
«Ma che caspita, coglionazzo che sei
dare dieci euro alla lucciola
ma chitticredi, Onassis?»
«Stai calma ché se li rnerita!»
Le lucciole sono scomparse.
Lei è l'ultima

giovedì 12 gennaio 2012

Mario Mastrangelo
So' scunusciute



So’ scunusciute ’e ffemmene ca stanno
rint’ ê ccase difronte,
nun se ne sanno ’e ffacce, ’e ggeste, ’e vvoce,
quanno girano svelte
rint’ ê stanze scuiete,
ca stanno llà ’e rimpetto, ma luntane
so’ cchiù d’ ’e scie r’ ’e stelle cumete.

Sulo, a ’e barcune, ’e loro veré lasciano
– simbolo ’e vite addó ’e ccose cchiù ìnteme
so’ nzieme palpitante e priggiuniere –
nu filare ’e mutande culurate
a ’o viento come fossero bandiere.