sabato 28 luglio 2012

Maria Teresa Rossi (1916 -2002)
Sette poesie



Maria Teresa Rossi era professoressa al Liceo Parini di Milano nel 1967, quando scoppiò il  caso de “La Zanzara”:  i redattori del giornalino scolastico furono processati per aver aperto un dibattito interno al liceo su argomenti sessuali. Fu l’unica insegnante che si schierò con gli studenti.  E fu ancora l'unica a stare con loro nel ’68, quando essi occuparono la scuola e il preside si rifiutò di chiamare la polizia, che intervenne "d’ufficio" scacciando gli occupanti e  portando fuori di peso anche la professoressa. Fu poi una delle figure di spicco in Avanguardia Operaia. Le poesie che  qui pubblico, traendole da un libretto delle Edizioni Punto rosso del 2004 curato da una sua ex allieva e amica, Erica Rodari, sono, sì, innanzitutto un omaggio postumo a  una «bella persona, una persona non comune» (p.6): era stata antifascista; aveva poi rotto con la famiglia d’origine borghese e cattolica («nella sua famiglia c’erano uno zio vescovo, una zia suora e un fratello presidente nazionale dell’Azione Cattolica», p.19) e con il primo marito fino a separarsi  anche dai figli, lasciati al marito; fu con  tenacia e severità  una militante fino a quando una malattia non la colpì nei suoi ultimi anni di vita. Ma esse vanno anche lette come riprova che la poesia, anche in chi ha scelto  una dimensione pubblica e politica di espressione,  è termometro di verità e di mai sopita  interrogazione sul “resto”. Il ‘noi’ di Maria Teresa forse trascurava l’’io’ di Maria Teresa, ma non lo dimenticava. E queste poesie, al di là del valore letterario  da discutere, lo provano. Ad esse  è affidata  la possibilità di alludere al  drammatico (e  apparentemente contraddittorio) senso di solitudine di una donna che pure aveva trovato la sua "dimensione pubblica": «… non cercare il sogno che t’illude / nel volto del vicino / Lascia intatto il segreto di ciascuno / e serba il tuo / Ogni incontro è rovina» ( p.121). [E.A.]

Distaccami da te
verso che premi
nell'orecchio proteso
ad ascoltar la tua parola amica
Portami via dal cuore questa pena
fanne la nota lieve che consoli
la mente affaticata
Vorrei cantare come l'usignolo
o stormir come il pioppo sotto il vento
Trovare il ritmo uguale e modulato
Senza soffrire

venerdì 27 luglio 2012

Giorgio Linguaglossa
Su "Nessuno sa
quando il lupo sbrana"
di Maddalena Capalbi



Maddalena Capalbi Nessuno sa quando il lupo sbrana La Vita Felice, Milano, 2012


Questo libro di Maddalena Capalbi mi fa venire in mente alcune considerazioni in ordine ai mutamenti  del «parlato» e del «personale» del tardo Novecento. Questo della Capalbi è un «parlato» e un «personale» sciolto, liquido, snodabile, immediato per un «contenuto», o meglio, per un «contenitore» misto tra diario, occasione, storie periferiche e accadimenti vari ma sempre nell’ambito dei legami parentali e affettivi. È una poesia legata al mondo delle esperienze primarie; è il suo modo di restare attaccata al «reale».

mercoledì 25 luglio 2012

Eugenio Grandinetti
Pandora


Cousin, Pandora

Dimmi:le cose che sai ti sono note
Per sapienza infusa o sono il frutto
Di ricerche e di ripensamenti?
A me niente di ciò che so è stato dato
In modo gratuito e permanente.
Sapere è non avere
Nessuna certezza mai
E’ confrontarsi sempre
Con ogni presunta verità, e comunque
Considerarla sempre provvisoria
E costruire sempre con la mente
Un qualche edificio che ci sembri
Possa reggersi in piedi,consapevoli
Però che se una parte minima
Vacilli o cada
Tutto trascinerà nel proprio crollo
E allora occorrerà a fatica ricostruire
Fin dalle basi un edificio nuovo,
Sperando che regga alle intemperie
Dei dubbi e degli eventi.
Certo uno che creda di sapere
Per sapienza infusa potrà vivere
Soddisfatto di sé,senza cercare
Quale invece sia la verità. Ma ogni ricerca
Ha origine dal dubbio e il dubbio è ribellione:
E’ la mela che ci offre il tentatore
O è il fuoco nascosto nella canna
Ed è la consapevolezza che la sorte,
Qualunque essa sia,sarà comunque
L’espulsione dal falso paradiso
Dell’ignoranza e l’utilizzo ancipite dei doni
Racchiusi nel vaso di Pandora.

lunedì 23 luglio 2012

PER UNA POESIA ESODANTE
Ennio Abate
La poesia passata a contrappelo.
Sulla ex-piccola borghesia
o ceto medio in poesia. (5)



Tabea Nineo 1990
Questa è la quinta e ultima parte del mio saggio. Per comodità del lettore che vorrà leggerlo lo pubblico completo in appendice [E.A.]
   
13. Progettare? Ma scherzi! «Buone rovine» e storie che scottano

 Non posso al momento mostrare esempi pienamente convincenti di poesia esodante (i miei  li considero, con modestia indispensabile, dei tentativi in tale direzione). E poi oggi, in tempi di crisi, invitare a parlare di progetto (o a presentare dei  progetti da confrontare e scegliere) fa storcere il naso.
Diciamocelo lealmente. Di solito ciascuno di noi segue, se non con sufficienza, con la coda dell’occhio qualsiasi discorso “progettuale”. Lo vive come “calato dall’alto”, roba “da critici” o “da intellettuali”. E, se partecipa a iniziative pubbliche, lo fa con saltuaria eleganza (in modo da esserci e non esserci). Si tratterebbe di riti, ai quali presenziare per cortesia o convenienza.
Ora è pur vero che scrivere poesia è atto compiuto in solitudine e l’intervento altrui è previsto semmai a stadio avanzato o ad operazione compiuta. Ma è proprio così? È sempre stato così ed è irrimediabilmente destinato ad essere così?

domenica 22 luglio 2012

PER UNA POESIA ESODANTE
Ennio Abate
La poesia passata a contrappelo.
Sulla ex-piccola borghesia
o ceto medio in poesia. (4)


 Tabea Nineo 1990


11. Riepilogando. Un criterio politico-poetico come misura delle poetiche

 

Come ho detto nella tesi 1 (qui) credo che siamo in una insoddisfacente Babele poetante, subiamo una cattiva globalizzazione e operiamo in un “cattivo” ceto medio, che non è in grado, così pare (in assenza di una più precisa analisi), di porsi i problemi poetici e politici della “globalizzazione” o farsi voce del nostro tempo. Riproduce, invece, in piccolo il caos globale e frammentato. E in tale caos c’è spazio - tanto la frammentazione è ormai  dominante - per il “nuovo” e per il “vecchio” purché devitalizzati: il Web, la rivoluzione dei trasporti, le biotecnologie ma anche le piccole patrie, i dialetti (magari “meticciati”), i ritorni al mito (ma congelato e privatizzato).

Nessuna nuova polis (globale) si sta costruendo mentre gli stati-nazione vengono sconvolti. La falsa democratizzazione (non solo della poesia) convive con le false élite. L’opposizione storica pochi/molti  rimane intatta nell’ideologia e nell’immaginario in ogni campo, pur svelando ogni campo una microfisica dei poteri che non corrisponde alla macrofisica ufficiale e convenzionale.

Paola Febbraro
Da "Turbolenze in aria chiara"


*

            SOSPIRATI INDIZI

Uscendo dal circondario sapevo
Che la gabbia porta piume



*
Bellezza non ce n'è
e pensare che
ero partita per farne inno.
I sogni sceneggiavano direttamente e puntualmente
gli ultimi richiami prima di chiudere gli occhi
io non li mettevo in pratica, o sì,
scartando la loro realizzazione
e la mattina era più cheta
senza meraviglia, magari
amare per sottrazione d'inganni e promesse.


venerdì 20 luglio 2012

PER UNA POESIA ESODANTE
Ennio Abate
La poesia passata a contrappelo.
Sulla ex-piccola borghesia
o ceto medio in poesia. (3)


Tabea Nineo 1990


9. Contraddizioni interne a gruppi diversi, concorrenti ma in modi subordinati

 

Chiarito che siamo tutti ceto medio e che non è possibile più essere dei piccolo borghesi alla Montale o alla Fortini (a seconda delle preferenze), ci restano del passato vari modelli: eroicistici, nicciani, “neo/neon/avanguardistici” o fortiniani, montaliani, ecc. Sono necessari (ciascuno porta con sé - ammettendolo o negandolo - le sue «buone   «rovine»), ma da soli insufficienti per la chiarificazione della situazione presente e in mutamento. Sono simboli non trascurabili, sintomi di adesioni profonde a una storia o a una visione del mondo, ma da soli non decisivi.[1]  Nello specifico del discorso poetico, ne consegue che, come dice Linguaglossa, è vero: la “democratizzazione” dei linguaggi poetici “quotidiani” subisce l’egemonia di quelli dei mass media ed è  ad essi subordinata (e depauperata delle sue potenzialità). Anche perché la democrazia e la poesia non possono ridursi alla dimensione del quotidiano. Né esse possono esserci (ammesso che le si trovi dove si dice che siano) soltanto nel quotidiano. È però vero pure che l’aristocraticismo -  opposto della medaglia -, che oggi permane negli interstizi o nelle frange del ceto medio più ai margini dalle mode “democratiche” e muove una critica  in parte accettabile a  tale fasulla democratizzazione, limitandosi a fare il broncio e a richiamandosi all’antico, al premoderno o alle Origini, resta  un aspetto, complementare ma non alternativo della situazione di stallo.  E riesce patetico coi suoi tratti di nobiltà decaduta quanto l’altro - il democraticismo - appare  arrogante, rampante o falsamente modesto.

Luciano Troisio
Poesie da "Locations, impermanenza.
L'amore al tempo del pc"


PERCHE' NON CONOSCIAMO LE AVVENTURE STRAORDINARIE

Le avventure più straordinarie
non furono mai documentate
né su stele né su papiro
tanto meno su feuilleton o sulla “Trivial Literature”
che si occupavano di banali imitazioni per condòmini poverini.
Non si devono raccontare.
Molti dubitano che siano davvero successe.
Rimasero nelle remote memorie delle fanciulle più riservate
belle in modo raro e divinamente timide
in quelle degli erculei trasgressivi marinai
di braccio forte e zigomi vigorosi.

giovedì 19 luglio 2012

PER UNA POESIA ESODANTE
Ennio Abate
La poesia passata a contrappelo.
Sulla ex-piccola borghesia
o ceto medio in poesia. (2)

Tabea Nineo 1990

4. La piccola borghesia ai tempi di Fortini e Montale

 

Provo, facendo un altro passo, a riallacciarmi a un mio commento sul nodo Montale-Fortini-Mengaldo (qui); e in particolare al punto in cui scrivevo «c’è piccola borghesia e piccola borghesia» e mi dichiaravo - ancora una volta e per le stesse ragioni già indicate - contrario ad «un’assolutizzazione della categoria ‘piccola borghesia’»  o di quella affine di «ceto medio».

Può servire un confronto con queste due figure: Fortini e Montale. Fortini  si poteva rapportare ancora a un noi reale e storicamente solido (il movimento operaio, i “paesi allegorici” che per lui furono l’Urss, il Vietnam, poi la Cina). Quel noi ai suoi occhi pareva potesse ereditare una grande tradizione classico-borghese (lucacciana o adorniana) da contrapporre all’invasione dell’industria culturale, a cui Pasolini parve cedere. Poteva anche ricorrere fiduciosamente alla «sublime lingua borghese» come argine ai linguaggi dei mass media. O sentire ancora la “lotta per i comunismo” come un processo di inveramento possibile dei valori della Totalità Umanistica. Proprio quei valori che, forti in passato, il Moderno aveva spezzato o accantonato, promettendo di sostituirli con altri ben più universali. Poteva, infine, pensare alla propria poesia come un omologo anticipato della Forma, che l’umanità, uscendo dalla servitù capitalistica, avrebbe potuto dare alla propria vita.

Eugenio Grandinetti
Il grande fiume












Sto su una sponda del gran fiume e guardo 
l'acqua scorrere lenta e andare a perdersi 
tra le anse ed i salici e m'appare 
che un fiume non è altro che lo scorrere 
di vapori indistinti che da mari 
lontani una corrente 

mercoledì 18 luglio 2012

PER UNA POESIA ESODANTE
Ennio Abate
La poesia passata a contrappelo.
Sulla ex-piccola borghesia
o ceto medio in poesia. (1)

Tabea Nineo 1990

Pubblico, suddivisa in varie puntate, una lunga riflessione sulla crisi della poesia e sul soggetto che oggi  maggiormente se ne occupa, confrontandomi soprattutto con gli scritti dell'amico Giorgio Linguaglossa. [E.A.]

 Divergevano due strade in un bosco
ingiallito, e spiacente di non poterle fare
entrambe uno restando, a lungo mi fermai
una di esse finché potevo scrutando
là dove in mezzo agli arbusti svoltava.

Poi presi l’altra, così com’era,
che aveva forse i titoli migliori,
perché era erbosa e non portava segni;
benché, in fondo, il passar della gente
le avesse invero segnate più o meno lo stesso,

perché nessuna in quella mattina mostrava
sui fili d’erba l’impronta nera di un passo.
Oh, quell’altra lasciavo a un altro giorno!
Pure, sapendo bene che strada porta a strada,
dubitavo se mai sarei tornato.

Io dovrò dire questo con un sospiro
in qualche posto fra molto molto tempo:
divergevano due strade in un bosco, ed io…..
io presi la meno battuta,
e di qui tutta la differenza è venuta.

(Robert Frost, “La strada non presa”, Traduzione di G. Giudici)

 

 

1. Coincidenze

 

Sul sito (cuginastro?) di "Le Parole e Le Cose" ho letto «Il romanzo nell’epoca della postletteratura» (qui). Il saggio - una introduzione di Carlo Carabba  a L'inferno del romanzo  del francese Richard Millet - sfiora appena il tema ‘poesia’, ma ho trovato delle coincidenze non casuali tra i suo concetti di «epoca della postletteratura» (la nostra d’oggi) o di «estetica postletteraria» e i discorsi sulla «post-poesia» o sul’«epoca della stagnazione» spesso accennati, sul questo blog e altrove, da Giorgio Linguaglossa.

Per  farsi un’idea, vediamo nella sintesi di Carabba  cosa si intende per «postletteratura». Per Millet:

 

«Postletterario è chi «scrive senza avere letto» (af. 277), la sua principale caratteristica è scrivere senza rendere conto di trovarsi in una tradizione: «Nei postletterari, tutto risiede nella postura, vale a dire nell’ignoranza della tradizione e nella fede nei poteri di immediatezza espressiva del linguaggio» (af. 346), o anche «postletteratura come confutazione dell’albero genealogico» (af. 233). L’autenticità data dall’immediatezza è obiettivo dello scrittore postletterario e prova della sua validità: «L’ignoranza della lingua in quanto prova di autenticità: ecco un elemento dell’estetica postletteraria» (af. 3); «il romanziere postletterario scrive addossato non alle rovine di un’estetica obsoleta ma nell’amnesia volontaria che fa di lui un agente del nichilismo, con l’immediatezza dell’autentico per unico argomento» (af. 92). […] In poche parole l’autore postletterario è quello che considera la letterarietà come un disvalore, che rinuncia a interrogare la tradizione a favore di uno spontaneismo compositivo, in cui l’atto creativo può rispondere a certe regole più o meno apprendibili e formalizzabili, ma mai a uno sguardo sull’«abisso come principio di conoscenza» (af. 290)».

Giorgio Linguaglossa
Sul "QUADERNARIO BLU"
della LietoColle -


Venticinque poeti d’oggi a cura di Giampiero Neri e Vincenzo Mascolo LietoColle, Faloppio, 2012

Partiamo dalla proposizione «Siamo usciti dal Novecento» che molto spesso si trova pronunciata dagli autori delle ultime generazioni. Che cosa significa essere usciti dal Novecento? Che cosa comporta trovarsi nel mezzo del guado dell’«Ignoto»? Hanno coscienza i nuovi autori di questa Antologia di ciò che comporta l’essere usciti dal Novecento?  - Giampiero Neri e Vincenzo Mascolo hanno lavorato sodo, hanno consegnato alle stampe questo tomo  di 274 pagine che raccoglie «alcune tra le voci poetiche più interessanti di oggi. Non un’antologia…», come è scritto nella brevissima introduzione, appena un cenno e via. Eppure, ci sarebbe stato bisogno di spiegare le ragioni che militano in favore dell’esistenza di questa cospicua schiera di autori presentati. Se davvero la poesia ha, oggi, diritto all’esistenza, dico una esistenza reale e significativa per dei lettori che cercano esperienze linguistiche significative.

martedì 17 luglio 2012

Samizdat
Scherzetto contro un filo-Monti



* Il testo (specie per i riferimenti a Stan, un commentatore) fa riferimento al dibattito in corso nel post: I primi otto mesi del governo Monti di  Mauro Piras apparso su LE PAROLE E LE COSE   di Mauro Piras (qui)

Cabaletta, tratta dal *Trovatore dei Riformatori fasulli*,
musica rubata da Samizdat a Giuseppe Verdi, libretto da riscrivere nei prossimi mesi.

Manrico (tenore):

Di quella Piras l'orrendo foco
ELLEPI’ELLECI’ avvamperà!...
Empi, spegnetela! O Stan tra poco
Col sangue vostro la spegnerà...

Bruciava già TreMonti fa.
Or ch’al PIDI' uno glien resta
L’onta a sinistra chi laverà
Nell’Italietta ognor men desta?

Leonora:

Non reggo a colpi tanto funesti...
Oh quanto meglio sarìa morir!

Ruiz, Coro di armati (rivolgendosi a Stan):

All'armi, all'armi! eccone presti
A pugnar teco, teco a sparir.

lunedì 16 luglio 2012

Luca Ferrieri
da "L'amore senza"


IN VECE DI POETICA
(Versacci, 5)

Scrivo quando la musica sale alle tempie
addenta la polpa
, il midollo, la luce.
Lo spasmo getta piccole gocce d'inchiostro,
artiglia la carta, scarnifica fino
a vederne zampillata l'arteria.
Quando si placa, anche le tracce della lotta
scompaiono
; nella distesa bianca nulla
che dica la strage fatta, l'orrendo nodo
mozzato alla gola. Stinge in parole
domestiche, che la mano pietosa
appallottola.

sabato 14 luglio 2012

Giuseppe Cornacchia
Su alcuni problemi della poesia d'oggi


Van Dongen, Clow

Per incoraggiare il confronto sui problemi della poesia d'oggi pubblico e apro la discussione su questa risposta ad  un questionario del 2001 della rivista Atelier. E' di Giuseppe Cornacchia, fondatore e co-gestore del  blog nabassar - letterature ed arti . [E.A]

La questione



"Ci si è lamentati, di recente, di una chiusura della poesia nel privato, ma di che cosa la storia ci chiede testimonianza? Ci si è anche preoccupati del pubblico della poesia, ricadendo in sociologismi viziosi e perdendo di vista la responsabilità del poeta che è forse rivolta, anzitutto, all'oggetto del proprio discorso. Allora, che cosa ci ispira poesia oggi, e perché? E che cosa significa essere ispirati? E come si resta (nella lingua e nello stile) fedeli all'avvenimento di cui ci sentiamo responsabili? 
È sempre più diffusa la convinzione che il Novecento sia prossimo alla fine, se non già esaurito. Sei d'accordo con la realtà di questo passaggio? E quale poesia sta soppiantando quella novecentesca? Quali scelte nuove sarebbero, secondo te, alla base della svolta? Dal Simbolismo in poi, e in un certo senso per tutto il Novecento, abbiamo assistito all'annuncio di un evento assoluto, come se il quid da sondare fosse la creazione in sé. Superare il Novecento significa riferirsi a questa tradizione, magari sviluppandone le istanze in modo finalmente costruttivo, oppure volgersi ad altre linee forti, ad esempio a certe esperienze progettuali oppure 'civili', per inaugurare (o tornare a) una poesia più inerente alla Storia?

SEGNALAZIONE
News letter
dell’Associazione Poiein
e CFR edizioni



i nostri siti: www.poiein.it     www.edizionicfr.it      www.artecivile.it

venerdì 13 luglio 2012

Eros Alesi
Da "Frammenti"


Ben Shahn - Unemployed
Caro Papà.
Tu che ora sei nei pascoli celesti, nei pascoli terreni, nei pascoli marini.
Tu che sei tra i pascoli umani. Tu che vibri nell’aria. Tu che ancora ami tuo figlio Alesi Eros.
Tu che hai pianto per tuo figlio. Tu che segui la sua vita con le tue vibrazioni passate e presenti.
Tu che sei amato da tuo figlio . Tu che solo eri in lui. Tu che sei chiamato morto, cenere, mondezza.
Tu che per me sei la mia ombra protettrice.
Tu che in questo momento amo e sento vicino più di ogni cosa.
Tu che sei e sarai la fotocopia della mia vita.

mercoledì 11 luglio 2012

Ivan Pozzoni
Cinque "non-poesie"


INTERVISTA AD UN MORTO AMMAZZATO

Il comitato di redazione m’ha affidato un incarico strano
correre, filosofo in bicicletta, lungo le piste ciclabili di Milano
nella speranza di sottrarre all’anonimato
l’intervista ad un morto ammazzato.

Cercando il cadavere d’un bandito,
la morte dell’uomo comune non è fatto gradito,
mi rifugiai al fresco d’un deposito mortuario,
interrogandone ogni misero affittuario,
e mi imbattei nel disdicevole pallore
delle incallite spoglie d’un rapinatore.

martedì 10 luglio 2012

SEGNALAZIONE
Versi Umani FEST - 2012
a Milano


Venerdì 13:
Versi Umani FEST - 2012
dalle 21.00 presso FABBRICA DEL VAPORE in via Procaccini 4, Milano. 

Programma:
h. 22.00: presentazione dell'antologia MILANO, n. 0 della collana Manifesti. Con reading degli autori pubblicati.

Alejandro De Luna – A LA "MADONNINA"  Y EL DUOMO DE MILÀN
Alessandro Magherini – MILANO COME TOKIO
Andrea Ferrari – MEZZANOTTE DI COPRIFUOCO
Anna Lamberti-Bocconi – VIALE MONTECENERI; BONOLA;CRONACHE DA VIA FATEBENEFRATELLI
Beppe Ratti – (non un aliante a linate…)
Cettina Lascia Cirinnà – I MIEI ANNI OTTANTA A MILANO
Davide Ferrari – (Mi hai detto - uno sguardo…)
Davide Gigli –  AUTUNNO
Donald Datti – (milano, dal basso…); (il giorno che godzilla ha fatto la sua apparizione…)
Fabio Ventre – (A Milano sappiamo…)
Fabrizio Venerandi – (io a milano ci sono stato seduto…)
Francesca Genti – (Noi, dandy di Lambrate…)
Gianni Montieri – (A Lambrate la granita stava a quattro euro…); SALONE DEL MOBILE
Giuliano Mori – BRICIOLE STELLE STRISCE
Lucio Mayoor Tosi – AREA C
Manuela Dago – MILANO PORTA POESIA
Meeten Nasr – LUCCIOLE; NAVIGLIO
Pietro Fornari – CONTO ALLA ROVESCIA PER TROVARE SE STESSI A MILANO
Silvia Monti – INNAMORATI A MILANO
Stefania Carcupino -  GORLA
Tina Caramanico – STRADE
Veronica Liga – LA MIA MILANO 

h. 23.00: concerto di Johnnie Selfish & the Worried Men Band.
h. 24.00: dj set e dancefloor northern soul/motown a cura di Fred Bully (aka Federico Vinella).

lunedì 9 luglio 2012

Ennio Abate
Nature morte



a Gigi Lanza
E la contestazione? 1

E gli intellettuali del sessantotto (Cezanne: Nature morte au)
che decretarono col lancio d'uova marce sugli smoking
la fine della vecchia mercantile mostra del cinema di Venezia
e di un turismo élitario e un poco snob?

Oggi sono sposati, quadri dirigenti dei partiti di sinistra
consulenti culturali di enti pubblici.

L'altra sera, coi loro vecchi jeans e gli occhialini alla Trotckij
erano tutti in Campo San Trovaso, alla rassegna di cinema-estate
organizzata dal comune di Roma ad applaudire il "fascista”
John Wayne
in una vecchia pellicola  (Ombre rosse)
di tanto tanto tempo fa.

Emilia Banfi
Poesie



*
Chiedetemi del mio io
rendetemi partecipe
del vostro stare qui
con me che ascolto
il vostro esistere.

Per ciò che farò
non avrete grande interesse
ma sulla mia altalena c’è
un posto anche per voi.
  

Maria Maddalena Monti
Poesie


                           
MINUTI

E ci consegniamo a questi giorni
che sfuggono fra le pieghe delle dita.
Ore, minuti fissati a punta di spillo.
Sull’atlante il viaggio prosegue,
ma il dito puntato ritorna sempre
là,dove forse era  il nostro posto.

domenica 8 luglio 2012

Giorgio Linguaglossa
Poesia e ontologia
in Gëzim Hajdari




Gëzim Hajdari, Nûr – Eresia e Besa (Edizioni Ensemble, 2012)


Nûr è forse l’opera più complessa e di maggiori ambizioni di Gëzim Hajdari, quella che riprende e trasfigura gli elementi principali della poesia hajdariana attraverso una ridistribuzione drammatica dell’io nella varietà dei protagonisti scenici.Verità ed essere, e loro relative semantizzazioni, fanno da sfondo al discorso poetico di Hajdari, Occorre qui, in via preliminare, abbozzare la posizione di Hajdari su «verità» ed «essere». La verità, nella tradizione metafisica, è stata sempre intesa come il rispecchiamento di un dato, l’adeguazione alla presenzialità dell’essere: da una parte l’essere nella sua già data, già completa presenza, e dall’altra il pensiero che tenta di rispecchiarlo, e che tuttavia, in questo rispecchiamento non aggiunge nulla all’essere. Hajdari raccogliendo suggestioni heideggeriane, nicciane e gadameriane, intende la verità come «evento», come l’aprirsi di orizzonti storici entro cui gli eventi vengono all’essere; e, come tale, essa deve accadere e non è nulla al di fuori o al di sopra di tale accadere.

sabato 7 luglio 2012

Giorgio Linguaglossa
Su "BABEL - Oms, feminis
e cantonîrs"
di Lucia Gazzini


Lucia Gazzino BABEL - Oms, feminis e cantonîrLa Vita Felice, Milano, 2012

Dopo l’iperrealismo (con il correlativo speculare di un certo espressionismo in poesia) che è stato in auge in Occidente fino agli anni Novanta, oggi sembra prevalere, anche nella poesia in dialetto, tra le ultime generazioni, il genere intimistico. L’intimismo di Lucia Gazzino infatti predilige l’ingrandimento progressivo delle unità verbali prese ognuna per sé e le collega con elementi asintattici, con congiunzioni o particelle avversative, costruendo una sintassi liquida, come in sospensione, in emulsione. In questo modo gli elementi significanti e sonori del linguaggio, come accade in queste poesie in dialetto friulano di Lucia Gazzino, vengono esaltati ed ampliati. le parole diventano parole-immagini. Procedura già anticipata da un quarantennio da un film come Blow up di Antonioni, dove un fotografo, che ha scattato numerose fotografie in un parco, rientra nel proprio studio, e qui viviseziona le immagini attraverso ingrandimenti successivi e arriva ad identificare, stesa dietro un albero, una forma supina: un uomo ucciso da una mano armata di rivoltella che, in altra parte dell’ingrandimento, appare tra il fogliame di una siepe.

Giorgio Linguaglossa
Su "L’appropriato governo del fuoco"
di Alessandra Palmigiano


Alessandra Palmigiano L’appropriato governo del fuoco La Vita Felice, Milano, 2012 

Non siamo proprio alla teatralizzazione dell’io come avviene nel genere di poesia frequentata nell’occidente dell’epoca della stagnazione ma in un sotto-genere che elegge il «tu» quale destinatario dei testi-missiva; Alessandra Palmigiano opta per l’esplicita forma dialogica del «tu» e parla con un misterioso lettore «implicito», una specie di «doppio» (?) della propria coscienza, oppure con il lettore spettatore, etc. Leggo nel risvolto che l’autrice si occupa di «logica»; e non c’è dubbio che è una poesia che riscuote il plauso della sfera razionale del lettore senza penalizzare, direi, neanche l’emisfero deputato alla immaginazione del lettore. Palmigiano racconta sempre un evento preciso (un non-detto, un implicito) con il massimo risparmio di parole e con il massimo di elusività, ecco la ragione della incisività del verso lineare di questa poesia, che termina proprio lì dove deve terminare, ma il significativo è nel verso successivo: si nasconde in una omissione, in un patto tacito, nella elusione, nel non-detto. La traduzione in inglese dei testi ci aiuta a metterci in consonanza con il linguaggio dell’autrice, se non altro per la nota predilezione dell’inglese per le forme attive  e pragmatiche.

giovedì 5 luglio 2012

Raffaele Piazza
Poesie



Nuvole e Alessia


1
Da dove tu sei, in via Petrarca,
vedi la stessa nuvola, mi dici,
nel mio da Piazza Dante
scorgerla e

2
il telefono a unirci in voci
nel coro di questo postmoderno
occidentale. dici la nuvola
si sfiocca in forma di cavallo
candido il cielo sopra Napoli e

Lucio Mayoor Tosi
Gente, scoiattoli, formiche


The construction of Empire State Building

Ciao Ennio, ti mando per gioco queste poesie, che poi sono una sola, e che sono state scritte per la voce meccanica del ripetitore di un computer.[L.M.T.]

Sprofonda nella patta aperta l'Empire State Building
come precipitasse, e non si sa dove finisca.

Occhi vispi di uno scoiattolo impagliato. 

Gambe lunghe che non si sa dove finiscano:
            Qui è pieno di gente

Come quando vedi una formica sul piano della cucina 
e dici: 
            E' pieno di formiche.

mercoledì 4 luglio 2012

POESIA VOLANTINO
Inesistenti.
Dialoghetto tra Samizdat
e un democratico

ai lavoratori della cooperativa Ala di Bollate che
alzano la testa e scendono in lotta.


Questa mattina, 4 luglio 2012, è  iniziato..
Cosa? Lo sciopero dei lavoratori
della COOPERATIVA  INESISTENTI
Che fa ‘sta cooperativa?
Cerca di lavorare, di eseguire
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martedì 3 luglio 2012

PER UNA POESIA ESODANTE
Ennio Abate
La poesia passata a contrappelo.
Un nodo: Montale-Fortini-Mengaldo



La voce Montale, una delle Ventiquattro voci per un dizionario di lettere[1] scritte da Frannco Fortini e pubblicate nel 1968 contiene un giudizio sintetico e ostile, in seguito ribadito e approfondito,  sul poeta poi premio Nobel. Fortini lo presenta così: è un poeta intellettuale, con una formazione spiritualista e positivista, un amante da sempre degli «aromi dell’umanesimo alto-borghese» e, dunque, con  scarso senso della storia (definita una volta da Montale «sterminio di oche»); la sua poesia è lirica e laica; mira a costruire una corrispondenza (in termini più  dotti  gli studiosi parlano di «correlativo oggettivo»[2]) tra esterno (la realtà naturale, ad es. della arida costa ligure) e interno (stati psichici di atonia);  ha strofe brevi, ritmi robusti, abbondanza di rime e assonanze, lessico espressionista.

lunedì 2 luglio 2012

Marcella Corsi
Richard G. Kerschhofer.
Da una conversazione
a due traduzioni


Una conversazione con Claudia Hochstrasser mi ha fatto conoscere alcuni versi – da un blogger erroneamente attribuiti a Kurt Tucholsky – di Richard G. Kerschhofer, autore tedesco che nel 1929 li pubblicò sulla rivista austriaca "Zeitbuehne" con lo pseudonimo di Pannonius. Viene voglia di riproporli per la completa attualità che conservano dopo oltre 80 anni.

Giorgio Linguaglossa
Su "L'equilibrista dell'oblio"
di Zingonia Zingone

De Chirico, Ritorno di Ulisse

Zingonia Zingone L’equilibrista dell’oblio Equilibrista del olvido Raffaelli, Rimini, 2012


Ho assistito di recente alla presentazione del  volume di poesie di Zingonia Zingone (poeta e scrittrice bilingue: italiano spagnolo) al Santuario delle Tre  Fontane in Roma e ne ho tratto una impressione positiva. Il libro l'ho trovato vivo, intenso, a tratti anche struggente, ingenuo e sentimentale se diamo a tali termini il senso che gli dava Schiller nel suo famoso saggio sulla poesia ingenua e sentimentale. In una certa misura, direi che quella  di Zingonia Zingone è una poesia che rientra nel parametro schilleriano, e questo grazie anche alla sua cultura e alla lingua spagnola con cui Zingonia si esprime, il che le facilita il compito, evitandole così le congiunture nelle quali si è andata a cacciare la poesia italiana del secondo Novecento, con le sue idiosincrasie per tutto ciò che attiene all’«ingenuo» e al «sentimentale».

sabato 30 giugno 2012

Enzo Di Mauro
Poesie da "Il tempo che non venne"



Il tempo che non venne
Non pare - mi dico mentre scrivo
un mucchietto di versi servili -
l'inverno più freddo della storia.
Ma certo è qualcosa, è certo qualcosa
questa pastetta di terra umida,
questo grumo sporco
che si apparenta al cielo e resta giù
cascando e cascando
desolato e incomprensibile
- come desolata è la mia furia di uomo
che non possiede nulla e zoppica
non sostenuto neppure da catene o dall'artiglio
che strazia col suo gelo di speranza,
ed essere senza nome, impronunciato,
è una grandezza che fa tremare.